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I romanzi - Luigi Pirandello
4.1. «L'esclusa» e «Il tuono». L'esclusa Nell'estate 1893, a ventisei anni, Pirandello scrisse il suo primo romanzo, Marta Ajala; lo pubblicò però solo nel 1901 nelle appendici del quotidiano romano «La Tribuna», col titolo L'esclusa, poi in volume nel 1908 e in una redazione riveduta nel 1927. È la storia, ambientata in Sicilia, di una donna accusata ingiustamente di adulterio, che viene cacciata di casa dal marito e vi verrà riammessa solo dopo essersi resa effettivamente colpevole.
Negazione della consequenzialità deterministica. La fatalità deterministica scaturisce non da un evento reale, ma da una realtà solo soggettiva, il convincimento della colpa di Marta quale si afferma nella mente del marito, della famiglia, dei concittadini. Non colo, ma la struttura a chiasmo della vicenda (Marta viene scacciata quando è innocente, raccolta in casa quando è colpevole) sottolinea gli aspetti assurdi, paradossali, delle azioni umane, che possono provocare conseguenze totalmente diverse da quelle previste. Al meccanismo deterministico si sostituisce il gioco imprevedibile e beffardo del caso: in tal modo Pirandello conduce un'implicita polemica nei confronti del Naturalismo, che aveva appunto impostato in maniera deterministica, rigidamente consequenziale, il rapporto tra cause ed effetti.
Il turno. Il gioco del caco è ancora ripreso nel breve romanzo successivo, Il turno (1895), dove un innamorato deve aspettare il suo «turno» per sposare la donna amata, dopo la morte di due altri mariti. Il tema è però impostato a livello di minore responsabilità concettuale, come divertimento comico, dai risvolti bizzarri, grotteschi, quasi marionettistici.
«Il fu Mattia Pascal». Ormai decisamente al di 1à dell'ambito naturalistico è il terzo romanzo di Pirandello, Il fu Mattia Pascal, che presenta già in forme pienamente mature i temi più tipici dello scrittore e sperimenta soluzioni narrative nuove. Fu pubblicato nel 1904 a puntate sulla rivista «La Nuova Antologia> e nello stesso anno in volume.
I motivi. Il romanzo è folto di motivi, che esamineremo più approfonditamente nella parte antologica ad esso dedicata. Qui ci limitiamo a ricordare quelli più rilevanti: la «trappola» delle istituzioni sociali che imprigionano il flusso vitale; la critica dell'identità individuale, che si rivela inconsistente, una maschera convenzionale sovrapposta a un variare indistinto di stati psicologici continuamente in divenire; l'estraniarsi dal meccanismo sociale da parte di chi ha «capito il giuoco».
L'«umorismo». Nel Fu Mattia Pascal, fa anche una prima prova altamente significativa la poetica dell'<umorismo>, che Pirandello teorizzerà quattro anni dopo nel volume omonimo (che non a caso, nella prima edizione, reca la dedica: "Alla buon'anima di Mattia Pascal bibliotecario"). La realtà, attraverso il gioco paradossale del caso, viene grottescamente distorta, ridotta a meccanismo bizzarro, assurdo, ma al di 1à del riso che questo suscita vi è l'autentica sofferenza del protagonista, sia quando è imprigionato nella «trappola» della vita sociale, sia quando ne è escluso e ne prova una disperata nostalgia. Scatta dunque il «senti mento del contrario»: tragico e comico, serio e ridicolo nella vicenda di Mattia Pascal sono indissolubilmente congiunti.
L'impianto narrativo. La novità investe anche l'impianto narrativo. Non troviamo più la narrazione in terza persona da parte di un narratore eterodiegetico, esterno e superiore al piano del narrato e quindi perfettamente attendibile, come nel romanzo naturalistico (e come avveniva ancora nell'Esclusa): il romanzo è raccontato dal protagonista stesso, in forma retrospettiva, in quanto Mattia Pascal, al termine della sua vicenda, affida ad un memoriale la sua esperienza; inoltre il racconto è focalizzato non sull'io narratore, che ha già vissuto i fatti e quindi ne 'sa di più', ma sull'io narrato, sul personaggio mentre vive i fatti.
Il punto di vista soggettivo e inattendibile. Al punto di vista oggettivo della narrazione naturalistica si sostituisce quindi un punto di vista soggettivo, parziale, mutevole, sostanzialmente inattendibile e inaffidabile, che non fornisce una prospettiva certa sugli eventi, e contribuisce a dare il senso della relatività del reale. Non è quindi solo la casualità bizzarra a disgregare l'oggettività naturalistica del fatto, ma anche la prospettiva soggettiva attraverso cui esso viene presentato.
Narrazione e riflessione 'metanarrativa'. Pirandello ha chiara coscienza dell'impossibilità di scrivere un romanzo tradizionale, in un'età che ha visto crollare le certezze in una totalità ordinata del reale, per cui alla narrazione unisce la riflessione su di essa: in una prefazione 'metanarrativa' il Mattia Pascal narratore scarta ironicamente tutti i modelli di racconto tipicamente ottocenteschi. Non solo, ma avverte che l'ordine attraverso cui si presentano i fatti narrati è puramente convenzionale, e che ha potuto offrire un intreccio organicamente costruito solo grazie alla «distrazione», mettendo tra parentesi la consapevolezza dell'inconsistenza della realtà oggettiva.
«I vecchi e i giovani». Un passo indietro, rispetto alle innovazioni del Fu Mattia Pascal, segna il romanzo successivo, I vecchi e i giovani. Fu scritto fra il 1906 e il 1909, pubblicato parzialmente a puntate sulla "Rassegna contemporanea" nel 1909 e in volume nel 1913.
La storia «non conclude». Il personaggio chiave diviene perciò il vecchio don Cosmo Laurentano, che rappresenta la ura, cara a Pirandello, del «filosofo> estraniato, che ha «capito il giuoco» e guarda la vita come da un'infinita lontananza. Agli occhi del vecchio le passioni degli uomini, gli ideali patriottici, le conquiste del potere economico, le ideologie politiche come il socialismo, sono pure illusioni che ci si crea per consistere, per vivere, magari nobili ma del tutto vane, prive di realtà oggettiva, di cui non si può scorgere «né il senso né lo scopo>>. Tutto il complesso quadro storico del romanzo, folto di precisi riferimenti ad avvenimenti e problemi dell'Italia del decennio precedente, finisce dunque per dissolversi, per appiattirsi nel fluire insensato della vita.
Il quadro storico si dissolve. I1 suggello del romanzo è nelle parole finali di don Cosmo: «Affannatevi e tormentatevi, senza pensare che tutto questo non conclude. Se non conclude, è segno che non deve concludere, e che è vano dunque cercare una conclusione. Bisogna vivere, cioè illudersi, lasciar giocare in noi il demoniaccio beffardo [quello che, come dice poco sopra, «si spassa a rappresentarci di fuori, come realtà, ciò che poco dopo egli stesso ci scopre come una nostra illusione, deridendoci»], finché non si sarà stancato; e pensare che tutto questo passerà passerà».
L'umorismo. Dietro il corposo impianto del romanzo storico e naturalistico riaffiora quindi l'«umorismo» pirandelliano, che disgrega e scompone l'assurdo meccanismo della vita sociale, con un atteggiamento di scettica irrisione e insieme di pietà.
«Suo marito» e «Si gira ». Suo marito Minore importanza ha il romanzo Suo marito, scritto verso il 1909 e pubblicato nel 1911 (di cui una più tarda redazione, col titolo mutato in Giustino Roncella nato Boggiolo, rimase incompiuta e inedita). Sullo sfondo di un'acre rappresentazione satirica degli ambienti intellettuali romani, si innesta il motivo, caro a Pirandello, del modo tutto soggettivo in cui ciascuno guarda il mondo e dell'incomunicabilità umana che ne deriva.
L'incomunicabilità. I1 contrasto qui si apre tra Silvia Roncella, scrittrice giunta a Roma dalla provincia, che rappresenta la spontaneità istintiva e totalmente disinteressata della creazione artistica, e il marito Giustino Boggiòlo, buon uomo, devotissimo alla moglie, ma limitato, attento solo agli aspetti economici della vita, che pensa esclusivamente a favorire il successo letterario della scrittrice e a bene amministrarne i guadagni. L'inconciliabilità dei due punti di vista, resi narrativamente con la focalizzazione alternata sull'uno e sull'altro personaggio, sfocia nell'incomprensione totale e nella rottura.
Si gira Connesso con i nuclei più vitali della problematica pirandelliana e denso di spunti acuti è invece il successivo Si gira . pubblicato nel 1915 sulla «Nuova Antologia» e poi nel 1916 in volume, ripreso e riveduto nel 1925 con il nuovo titolo Quaderni di Serafino Gubbio operatore. Dopo romanzi di impianto eterodiegetico come I vecchi e i giovani e Suo marito, Pirandello torna alla narrazione autodiegetica, soggettiva: il romanzo è costituito dal diario del protagonista, operatore cinematografico.
L'eroe estraniato dalla vita. Anche Serafino è il tipico eroe «filosofo», estraniato dalla vita, che contempla l'assurdo affannarsi degli uomini per inseguire illusioni che essi credono realtà oggettive. La sua professione, il suo stare sempre dietro alla macchina da presa che registra la vita, diviene la metafora di questo distacco contemplativo. Pirandello, in questo romanzo, mette a frutto la sua conoscenza diretta della nuova industria cinematografica appena affermatasi, e ha modo di affrontare uno dei nodi più urgenti della realtà contemporanea: il trionfo della macchina.
La macchina. È una realtà di fronte a cui gli intellettuali del tempo avevano avuto atteggiamenti quanto mai problematici: Pascoli, nella sua nostalgia per un mondo rurale ed arcaico, guardava con paura e orrore alle macchine che minacciavano di distruggerlo; D'Annunzio, per esorcizzare mi analogo sentimento d'orrore per la modernità che negava la bellezza, aveva scelto di offrirsi come celebratore della nuova e inquietante realtà, levando inni alla macchina in Maia (1903) e in Forse che si forse che no (1910); i futuristi celebravano entusiasticamente la macchina, portatrice di un'immagine nuova e sconvolgente della bellezza, nata dal dinamismo e dalla velocità.
Il rifiuto pirandelliano della condizione moderna. Pirandello dinanzi alla realtà industriale e alla macchina è diffidente e ostile: nella sua insofferenza per l'organizzazione sociale in assoluto, che soffoca la spontaneità della «vita», non può non provare repulsione per la macchina, che contribuisce ulteriormente a rendere meccanico il vivere degli uomini. La macchina da presa, che fissa per sempre in un fotogramma della pellicola il fluire continuamente mobile della vita, diventa emblema di questa angosciosa condizione moderna. Se la società in quanto tale, in ogni tempo, imprigiona il movimento vitale, questo suo nefasto effetto è per lo scrittore accresciuto dall'organizzazione sociale moderna.
La critica della mercificazione. Alla critica della meccanizzazione si unisce strettamente quella della mercificazione: la realtà industriale trasforma tutto in merce, negando la spontaneità dei sentimenti. Questo è particolarmente visibile in un'industria culturale come il cinema, che, a fini di profitto, fissa la vita in moduli convenzionali e stereotipati, quali sono gli intrecci dei film. La vicenda che sta al centro del romanzo sembra proprio uno dei soggetti prediletti dal cinema di consumo del tempo, una tempestosa storia d'amore, che ha al centro una 'donna fatale', l'attrice russa Varia Nestoroff, e si conclude con un finale tragico, a sensazione: il giovane Aldo Nuti, innamorato geloso dell'attrice, mentre si gira una scena con una tigre, spara alla donna anziché alla belva ed è sbranato da essa; nel frattempo Serafino continua a girare meccanicamente la manovella della macchina da presa, e resta muto per lo choc subito.
Lo straniamento della materia esasperatamente romanzesca. In realtà questo soggetto esasperatamente romanzesco è del tutto straniato ironicamente, secondo il procedimento umoristico proprio di Pirandello: da un lato al fondo di quell'intreccio convenzionale e falco vi è una materia dolente, un nucleo di autentica, straziata sofferenza, ma dall'altro la vicenda è ridotta a puro meccanismo, svuotata di senso, come Pirandello proprio negli stessi anni fa con gli intrecci dei suoi drammi «grotteschi», che portano all'assurdo e al paradosso gli schemi stereotipati del teatro borghese. Segno tangibile dello straniamento è che la vicenda, più che essere narrata e distribuita in scene, è semplicemente enunciata in una serie di riprese successive, come se si trattasse delle prove di un «romanzo da fare> (De benedetti).
Il mutismo dell'eroe e la reificazione dell'artista. Anche il finale mutismo di Serafino è denso di significati. Come suggerisce acutamente Luperini, il suo «silenzio di cosa diventa metafora della reificazione stessa dell'artista che può soltanto passare in rassegna gli avvenimenti che la realtà gli squaderna davanti, ma non può più interpretarli»: l'alienazione del soggetto non è che il riflesso dell'alienazione che domina la realtà oggettiva.
"Uno, nessuno e centomila". Dopo Si gira , Pirandello si dedica prevalentemente al teatro, diradando il suo impegno di narratore. Tuttavia lavora ancora ad un romanzo, Uno, nessuno e centomila, avviato sin dal 1909 ma portato a termine molto più tardi, pubblicato nel 1925-l926 sulla rivista «La fiera letteraria> e infine in volume nel 1926.
La crisi dell'identità individuale. I1 romanzo si collega al Fu Mattia Pascal, riprendendo il tema centrale della visione pirandelliana, la crisi dell'identità individuale. I1 protagonista, Vitangelo Moscarda, scopre casualmente che gli altri si fanno di lui un'immagine diversa da quella che egli si è creato di se stesso, scopre cioè di non essere «uno», come aveva creduto sino a quel momento, ma di essere <centomila», nel riflesso delle prospettive degli altri, e quindi <nessuno». Questa presa di coscienza fa saltare tutto il suo sistema di certezze e determina una crisi sconvolgente. Vitangelo ha orrore delle «forme> in cui lo chiudono gli altri e non vi si riconosce, ma ha anche orrore della solitudine in cui lo piomba lo scoprire di non essere «nessuno». Decide perciò di distruggere tutte le immagini che gli altri si fanno di lui, in particolare quella dell'«usuraio> (il padre infatti gli ha lasciato in eredità una banca), per cercare di essere «uno per tutti>. Ricorre così ad una serie di gesti folli e sconcertanti, come vendere la banca che gli assicura l'agiatezza. Ferito gravemente da un'amica della moglie, colta da un raptus inspiegabile di follia, al fine di evitare lo scandalo cede tutti i suoi averi per fondare un ospizio per poveri, ed egli stesso vi si fa ricoverare, estraniandoci totalmente dalla vita sociale.
La guarigione e la fusione con la "vita". Proprio in questa scelta trova una corta di guarigione dalle sue ossessioni, rinunciando definitivamente ad ogni identità e abbandonandosi pienamente al puro fluire della «vita>, rifiutando di fissarsi in alcuna «forma», rinascendo nuovo in ogni istante, vivendo tutto fuori di sé e identificandosi di volta in volta nelle cose che lo circondano, alberi, vento, nuvole. I1 romanzo porta alle estreme conseguenze la critica all'identità che era stata proposta più di vent'anni prima col Fu Mattia Pascal: l'eroe non si limita più ad una condizione negativa, sospesa (il fu Mattia Pascal), ma trasforma la mancanza di identità in una condizione positiva, gioiosa, in liberazione completa della «vita» da ogni limitazione mortificante.
L'irrazionalismo dell'ultimo Pirandello. In questo abbandonarsi al fluire della «vita», in questo perdersi smemorato nella natura, in una sorta di esperienza panica, si possono però scorgere i segni di quell'irrazionalismo misticheggiante che connota l'ultima stagione pirandelliana.
La disgregazione della forma romanzesca. Uno, nessuno e centomila porta anche all'estremo la disgregazione della forma romanzesca già sperimentata con le prove narrative precedenti, in particolare Il fu Mattia Pascal e Si gira Si tratta anche qui di una narrazione retrospettiva da parte del protagonista, ma essa non si concreta più nella forma organica (per quanto parziale e provvisoria) del memoriale scritto o del diario, come nei precedenti romanzi, bensì resta allo stato puramente magmatico, informale, di un ininterrotto monologo. La voce narrante si abbandona ad un convulso, torrentizio argomentare, riflettere, divagare, che dissolve la narrazione dei fatti. Per una buona metà del libro non vi è racconto, ma solo l'arrovellarsi ossessivo del protagonista, monologante sui temi dell'identità fittizia, dell'inconsistenza della persona. I1 discorso chiama continuamente in causa l'interlocutore immaginario, che ad un certo punto viene persino introdotto nella vicenda come personaggio in carne ed ossa.
Salta la concatenazione di cause ed effetti. Solo nella seconda. parte il filo di un intreccio comincia a dipanarsi, ma anche qui l'organicità del racconto, la concatenazione logica e coerente delle cause e degli effetti, salta: i gesti inconsulti dei protagonista sono la negazione di ogni logica comune, sono coerenti solo all'interno della sua follia, e così pure il gesto di Anna Rosa, l'amica della moglie che spara a Vitangelo, resta del tutto gratuito, immotivato, inspiegabile (sul romanzo torneremo più approfonditamente nella parte antologica).
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