letteratura |
IL COMBATTIMENTO DI TANCREDI E COLRINDA
T70 -
Solo Tancredi riesce a riconoscerla;
egli è sopraggiunto qui tempo prima;
vi giunse quando essa uccise Arimone:
la vide e la individuò, e si mise dietro di lei.
Vuole sfidarla a duello: un uomo la stima
degno di misurarsi con lui in valore.
Questa va girando il colle di Gerusalemme
verso l'altra porta, dove si prepara ad entrare.
Questo la segue impetuoso, e assai prima
che giunga, fece in modo che le sue armi risuonassero da lontano,
così quella si voltò e gridò: - O tu, che cosa porti,
che così corri? - Risponde: - Sia guerra che morte.
- Guerra e morte avrai; - disse - io non rifiuto
di dartela, se la cerchi -, e ferma attende.
Tancredi non vuole usare il cavallo,
poiché ha veduto il suo nemico appiedato, e scende.
E impugna l'una e l'altra spada acuminata,
ed aguzza l'orgoglio ed accende l'ira;
e si scagliano l'uno contro l'altro non differenti
da due tori gelosi e ardenti di ira.
Degni di un chiaro sole, degni di un pieno
teatro, questi gesti sarebbero da ricordare.
Notte, che chiudesti nel profondo oscuro seno
e nell'oblio un evento così grande,
ti si gradito che io ne prenda spunto e in un bel sereno
ai posteri lo narri e lo tramandi.
Viva la loro fama; e tra le loro imprese gloriose
splenda l'alta memoria della tua oscurità.
Questi non vogliono né schivare, né parare, né ritirarsi,
né qui trova luogo la destrezza.
Non danno i colpi ora finti, ora pieni, ora scarsi:
l'oscurità e il furore impediscono di usare tecniche raffinate.
Sentii le spade urtarsi orribilmente
in mezzo alla lama, e non indietreggia di un passo;
il piede è sempre fermo e la mano sempre in moto,
né scende invano il colpo di taglio o di punta.
Il colpo incassato spinge il duellante a vendicarsi,
e la vendetta del colpo ricevuto suscita nell'avversario nuovo sdegno;
così sempre al ferire, sempre alla fretta
si aggiunge uno stimolo nuovo e una nuova causa.
Di ora in ora, la battaglia si fa
più confusa e serrata, e non giova combattere con la spada:
si colpiscono con le impugnature, e arrabbiati e crudi
si scontrano con gli elmi e con gli scudi.
Tre volte il cavaliere strinse la donna
con le robuste braccia, ed altrettante
volte quella si sciolse da quei tenaci nodi,
nodi di fare nemico e non di amante.
Riprendono le spade, e l'uno tinge di sangue l'altro
con molte ferite; e questo, stanco ed anelante,
e quello alla fine si stacca dall'avversario,
e dopo lunga fatica respira.
L'uno guarda l'altro, e sul pomo della spada appoggia
il peso del suo corpo dissanguato.
Ormai il raggio dell'ultima stella è debole
al primo albore che è acceso in oriente.
Tancredi vede in maggior abbondanza il sangue
del suo nemico, ed egli non è tanto ferito.
Non gioisce e non si vanta. Oh nostra folle
mente che ogni momento propizio rende superba!
Misero, di che gioisci? Oh quanto meste
sarà la tua vittoria ed infelice il tuo vanto!
I tuoi occhi heranno (se vivrai)
di ogni goccia di quel sangue un mare di pianto.
Così tacendo e rimirando, questi
sanguinosi guerrieri interruppero la contesa.
Infine Tancredi ruppe il silenzio e disse,
perché l'altro rivelasse il suo nome al lui:
- Per nostra sventura è giusto che noi qui diamo prova
di tanto valore, di notte, mentre il silenzio copre ogni cosa.
Ma poiché accade che il caso infausto ci neghi
sia lode che testimone degno dell'impresa,
ti prego(se nell'armatura hanno luogo le preghiere)
che tu mi riveli il tuo nome e il tuo stato,
così che io sappia, o vinto o vincitore,
chi la mia morte o la vittoria onori. -
Risponde la feroce: - Invano chiedi
quello che non rivelo per tradizione.
Ma chiunque io sia, innanzi a te vedi
uno di quei due che accese la grande torre. -
Tancredi arse di sdegno a quelle parole,
e: - Hai detto ciò in un momento non opportuno; - poi riprese
- le tue parole e il tuo oltraggioso silenzio mi incitano ugualmente,
barbaro scortese, alla vendetta.
Torna l'ira nei cuori, e li trasporta,
benché deboli in guerra. Oh selvaggia guerra,
dove non si bada alla tecnica, dove ormai la forza è morta,
dove, invece, combatte il furore di entrambi!
Oh che sanguigna e spaziosa ferita
fa l'una e l'altra spada, ovunque giunga,
nell'armatura e nella carne! E se la vita
non esce, è lo sdegno a tenerla unita al petto.
Come il profondo Egeo, benché l'Aquilone o il Noto
cessino, che tutto prima volsero e scossero,
però non si calma, ma mantiene il suono e il moto
delle onde ancora agitate e grosse,
così, se ben manca in loro in seguito alla copiosa perdita di sangue
quel vigore che mosse le braccia a colpire,
serbano ancora l'impeto primo, e vanno
sospinti da quello ad aggiungere danno a danno.
Ma ecco omai giunta l'ora fatale
in cui la vita di Clorinda deve giungere alla fine.
Egli spinge la spada nel bel seno appuntito
immergendosi e bevendo avidamente il sangue;
e la veste, che trapuntata di oro vago
stringeva tenera e lieve le mammelle,
si riempie di un caldo fiume. Ella già sente
morirsi, e il piede le manca debole e vacillante.
Segue la sua vittoria, e incalza e preme
la trafitta vergine minacciandola.
Quella, mentre cadeva, muovendo la voce
afflitta, disse le parole estreme;
parole che a lei sia dato un nuovo spirito(cristiano),
spirito di fede, di carità, di speranza: VVirtù teologali
virtù che ora Dio le infonde, e se fu ribelle
in vita, la vuole ancella in morte.
- Amico, hai vinto: io ti perdono . perdona
anche tu, non al corpo, che nulla teme,
bensì all'anima; Su! Prega per lei, e dona
battesimo a me affinché lavi ogni mia colpa. -
In queste parole languide risuona
un non so che di flebile e soave
che gli scende al cuore e placa ogni rancore,
e invoglia e sforza gli occhi a lacrimare.
Poco lontano da lì nel seno del monte
sgorgava mormorando un piccolo fiume.
Egli se ne accorse e riempì l'elmo alla fonte,
e tornò mesto al compito di battezzarla in punto di morte.
Sentì la mano tremare, mentre liberò il volto
dall'elmo non ancora riconosciuto e lo scoprì.
La vide, la riconobbe, e restò senza
voce ed impietrito. Ah vista! Ah conoscenza!
Non morì già, che raccolse le sue forze
tutte in quel punto e le mise in guardia al cuore,
e reprimendo l'angoscia si volse a dare
vita con l'acqua a chi uccise con la spada.
Mentre egli pronunciava la formula battesimale,
quella si trasurò per la gioia e sorrise;
e in atto di morire lieta e vivace,
pareva dire: "Si apre il cielo; io vado in pace."
Ha il bianco volto cosparso di un bel pallore,
come se ai gigli fossero mescolate delle viole,
e fissa gli occhi al cielo, che sembrano rivolti verso di lei
per la pietà il cielo e il sole;
e alzando la mano nuda e fredda verso
il cavaliere al posto di parole
gli dà un segno di pace. In questa forma
muore la bella donna, e sembra che dorma.
Non appena l'anima gentile fu uscita egli vede,
rallenta quel vigore che aveva raccolto;
abbandona il proprio animo al dolore
ormai acuto e folle,
che si stringe al cuore e, avendo serrato gli spiriti vitali
nel breve spazio del suo cuore, empie di morte i sensi e il volto.
Il vivo è già simile al morto preso dal languore
al colore, al silenzio, ai gesti, al sangue.
E certo l'anima sua ormai sdegnosa di vivere,
spezzando a forza il debole legame che la tratteneva al corpo,
avrebbe infine seguito quella ormai sciolta dal corpo(di Clorinda),
che aveva appena spiccato il volo verso il cielo;
ma arriva a caso qui nello stuolo dei Franchi,
che trae bisogno d'acqua o di qualcos'altro del genere,
e il cavaliere arrivò con la donna,
di per sé moribondo e morto nello spirito per la morte di Clorinda.
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