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IL COMBATTIMENTO DI TANCREDI E COLRINDA

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IL COMBATTIMENTO DI TANCREDI E COLRINDA

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Solo Tancredi riesce a riconoscerla;

egli è sopraggiunto qui tempo prima;

vi giunse quando essa uccise Arimone:

la vide e la individuò, e si mise dietro di lei.


Vuole sfidarla a duello: un uomo la stima

degno di misurarsi con lui in valore.

Questa va girando il colle di Gerusalemme

verso l'altra porta, dove si prepara ad entrare.

Questo la segue impetuoso, e assai prima



che giunga, fece in modo che le sue armi risuonassero da lontano,

così quella si voltò e gridò: - O tu, che cosa porti,

che così corri? - Risponde: - Sia guerra che morte.


- Guerra e morte avrai; - disse - io non rifiuto

di dartela, se la cerchi -, e ferma attende.

Tancredi non vuole usare il cavallo,

poiché ha veduto il suo nemico appiedato, e scende.

E impugna l'una e l'altra spada acuminata,

ed aguzza l'orgoglio ed accende l'ira;

e si scagliano l'uno contro l'altro non differenti

da due tori gelosi e ardenti di ira.


Degni di un chiaro sole, degni di un pieno

teatro, questi gesti sarebbero da ricordare.

Notte, che chiudesti nel profondo oscuro seno

e nell'oblio un evento così grande,

ti si gradito che io ne prenda spunto e in un bel sereno

ai posteri lo narri e lo tramandi.

Viva la loro fama; e tra le loro imprese gloriose

splenda l'alta memoria della tua oscurità.


Questi non vogliono né schivare, né parare, né ritirarsi,

né qui trova luogo la destrezza.

Non danno i colpi ora finti, ora pieni, ora scarsi:

l'oscurità e il furore impediscono di usare tecniche raffinate.

Sentii le spade urtarsi orribilmente

in mezzo alla lama, e non indietreggia di un passo;

il piede è sempre fermo e la mano sempre in moto,

né scende invano il colpo di taglio o di punta.











Il colpo incassato spinge il duellante a vendicarsi,

e la vendetta del colpo ricevuto suscita nell'avversario nuovo sdegno;

così sempre al ferire, sempre alla fretta

si aggiunge uno stimolo nuovo e una nuova causa.

Di ora in ora, la battaglia si fa

più confusa e serrata, e non giova combattere con la spada:

si colpiscono con le impugnature, e arrabbiati e crudi

si scontrano con gli elmi e con gli scudi.


Tre volte il cavaliere strinse la donna

con le robuste braccia, ed altrettante

volte quella si sciolse da quei tenaci nodi,

nodi di fare nemico e non di amante.

Riprendono le spade, e l'uno tinge di sangue l'altro

con molte ferite; e questo, stanco ed anelante,

e quello alla fine si stacca dall'avversario,

e dopo lunga fatica respira.


L'uno guarda l'altro, e sul pomo della spada appoggia

il peso del suo corpo dissanguato.

Ormai il raggio dell'ultima stella è debole

al primo albore che è acceso in oriente.

Tancredi vede in maggior abbondanza il sangue

del suo nemico, ed egli non è tanto ferito.

Non gioisce e non si vanta. Oh nostra folle

mente che ogni momento propizio rende superba!


Misero, di che gioisci? Oh quanto meste

sarà la tua vittoria ed infelice il tuo vanto!

I tuoi occhi heranno (se vivrai)

di ogni goccia di quel sangue un mare di pianto.

Così tacendo e rimirando, questi

sanguinosi guerrieri interruppero la contesa.

Infine Tancredi ruppe il silenzio e disse,

perché l'altro rivelasse il suo nome al lui:


- Per nostra sventura è giusto che noi qui diamo prova

di tanto valore, di notte, mentre il silenzio copre ogni cosa.

Ma poiché accade che il caso infausto ci neghi

sia lode che testimone degno dell'impresa,

ti prego(se  nell'armatura hanno luogo le preghiere)

che tu mi riveli il tuo nome e il tuo stato,

così che io sappia, o vinto o vincitore,

chi la mia morte o la vittoria onori. -











Risponde la feroce: - Invano chiedi

quello che non rivelo per tradizione.

Ma chiunque io sia, innanzi a te vedi

uno di quei due che accese la grande torre. -

Tancredi arse di sdegno a quelle parole,

e: - Hai detto ciò in un momento non opportuno; - poi riprese

- le tue parole e il tuo oltraggioso silenzio mi incitano ugualmente,

barbaro scortese, alla vendetta.


Torna l'ira nei cuori, e li trasporta,

benché deboli in guerra. Oh selvaggia guerra,

dove non si bada alla tecnica, dove ormai la forza è morta,

dove, invece, combatte il furore di entrambi!

Oh che sanguigna e spaziosa ferita

fa l'una e l'altra spada, ovunque giunga,

nell'armatura e nella carne! E se la vita

non esce, è lo sdegno a tenerla unita al petto.


Come il profondo Egeo, benché l'Aquilone  o il Noto

cessino, che tutto prima volsero e scossero,

però non si calma, ma mantiene il suono e il moto

delle onde ancora agitate e grosse,

così, se ben manca in loro in seguito alla copiosa perdita di sangue

quel vigore che mosse le braccia a colpire,

serbano ancora l'impeto primo, e vanno

sospinti da quello ad aggiungere danno a danno.


Ma ecco omai giunta l'ora fatale

in cui la vita di Clorinda deve giungere alla fine.

Egli spinge la spada nel bel seno appuntito

immergendosi e bevendo avidamente il sangue;

e la veste, che trapuntata di oro vago

stringeva tenera e lieve le mammelle,

si riempie di un caldo fiume. Ella già sente

morirsi, e il piede le manca debole e vacillante.


Segue la sua vittoria, e incalza e preme

la trafitta vergine minacciandola.

Quella, mentre cadeva, muovendo la voce

afflitta, disse le parole estreme;

parole che a lei sia dato un nuovo spirito(cristiano),

spirito di fede, di carità, di speranza:    VVirtù teologali

virtù che ora Dio le infonde, e se fu ribelle

in vita, la vuole ancella in morte.










- Amico, hai vinto: io ti perdono . perdona

anche tu, non al corpo, che nulla teme,

bensì all'anima; Su! Prega per lei, e dona

battesimo a me affinché lavi ogni mia colpa. -

In queste parole languide risuona

un non so che di flebile e soave

che gli scende al cuore e placa ogni rancore,

e invoglia e sforza gli occhi a lacrimare.


Poco lontano da lì nel seno del monte

sgorgava mormorando un piccolo fiume.

Egli se ne accorse e riempì l'elmo alla fonte,

e tornò mesto al compito di battezzarla in punto di morte.

Sentì la mano tremare, mentre liberò il volto

dall'elmo non ancora riconosciuto e lo scoprì.

La vide, la riconobbe, e restò senza

voce ed impietrito. Ah vista! Ah conoscenza!


Non morì già, che raccolse le sue forze

tutte in quel punto e le mise in guardia al cuore,

e reprimendo l'angoscia si volse a dare

vita con l'acqua a chi uccise con la spada.

Mentre egli pronunciava la formula battesimale,

quella si trasurò per la gioia e sorrise;

e in atto di morire lieta e vivace,

pareva dire: "Si apre il cielo; io vado in pace."


Ha il bianco volto cosparso di un bel pallore,

come se ai gigli fossero mescolate delle viole,

e fissa gli occhi al cielo, che sembrano rivolti verso di lei

per la pietà il cielo e il sole;

e alzando la mano nuda e fredda verso

il cavaliere al posto di parole

gli dà un segno di pace. In questa forma

muore la bella donna, e sembra che dorma.


Non appena l'anima gentile fu uscita egli vede,

rallenta quel vigore che aveva raccolto;

abbandona il proprio animo al dolore

ormai acuto e folle,

che si stringe al cuore e, avendo serrato gli spiriti vitali

nel breve spazio del suo cuore, empie di morte i sensi e il volto.

Il vivo è già simile al morto preso dal languore

al colore, al silenzio, ai gesti, al sangue.











E certo l'anima sua ormai sdegnosa di vivere,

spezzando a forza il debole legame che la tratteneva al corpo,

avrebbe infine seguito quella ormai sciolta dal corpo(di Clorinda),

che aveva appena spiccato il volo verso il cielo;

ma arriva a caso qui nello stuolo dei Franchi,

che trae bisogno d'acqua o di qualcos'altro del genere,

e il cavaliere arrivò con la donna,

di per sé moribondo e morto nello spirito per la morte di Clorinda.




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