letteratura |
IL PESSIMISMO DI GIACOMO LEOPARDI (1798-l837) E' da accogliersi il giudizio che Leopardi non fu filosofo, infatti esaminando la sua visione del mondo ci accorgiamo che egli mira soprattutto a darci una spiegazione del reale e determinare secondo quella la condotta morale, indirizzandosi principalmente alla vita pratica. Perciò agli è più moralista che metafisico. Il De Sanctis affermò che 'l'infelicità sua propria in età così giovane, lo condusse di buon'ora alla meditazione sul male e sul dolore' : il pessimismo è dunque radicato fin dal principio possiamo dunque parlare di un pessimismo ('14-'15) esistenziale che fa da base alle successive fasi e al successivo sviluppo della sua ideologia. Esso è motivato dall'ambiente, Recanati, il nativo borgo selvaggio nel quale Leopardi è nato e vissuto, è un luogo chiuso, primitivo nelle sue articolazioni; culturali, nell'assenza di affetti da parte della famiglia, e nella mancanza di rapporti e relazioni affettive da parte di amici e dame. Intorno al 1815/ '16 Leopardi conosce quella che lui stesso chiama nello Zibaldone la sua prima conversione letteraria: conversione al bello. Fino a questo momento, infatti, egli si era formato sui testi classici latini, greci ed ebraici; da ora in avanti che possiamo definirla fase dell'erudizione. Egli da questo stadio passa alla lettura di opere più moderne, autori neoclassici come Monti, Foscolo, Winckelmann. In quella che possiamo spiegare come una conversione al Neoclassicismo egli comprende che la sua cultura è stata fino a quel momento un insieme di nozioni cui sfuggiva il senso della vera bellezza. Nel 1818-l9 con la conversione filosofica dal bello al vero decide di dedicarsi all'ambito della realtà psicologico-soggettiva dell'uomo del suo tempo, sceglie la lirica e la poesia come mezzo di comunicazione per descrivere l'insieme delle sfaccettature dell'animo umano. Con la crisi del '19 Leopardi comincia ad elaborare quello che lui stesso definirà il suo sistema filosofico. Da Rousseau egli deriva la convinzione che il contrasto fra una natura benefica e una ragione malefica ha prodotto l'infelicità del genere umano; quest'ultima distruggendo le illusioni di cui l'uomo primitivo si alimentava si rivela nemica di ogni grandezza. Egli scrive nello Zibaldone: 'Voglio dire che un uomo tanto meno o tanto più difficilmente sarà grande, quanto più sarà dominato dalla ragione: ché pochi possono essere grandi (e nelle arti e nella poesia forse nessuno) se non sono dominati dalle illusioni.' Secondo Leopardi dunque la società primitiva fu dominata dalle illusioni , al contrario la civiltà produce la convinzione dell'uomo che si volge verso i beni materiali della vita. Sulla formulazione della teoria roussoniana di una natura madre amorosa delle sue creature il Leopardi ha inserito il mito di un'umanità eroica dei tempi antichi dominati dalle illusioni e dalle ' belle fole', che per lui segnano un'epoca di felicità, una sorta di età dell'oro. infanzia del mondo. I moderni, vittime della ragione, che uccide le illusioni, sono assai più infelici degli antichi. Questo momento del pessimismo leopardiano è stato definito dalla critica 'pessimismo storico'(1823) ed è la fase che corrisponde alla produzione dei piccoli idilli. Nel 1824 con le Operette Morali si compie il passaggio dalla fase del pessimismo comico, comico perché la condizione che descrive riguarda tutto l'universo e tutte le fasi della storia e dell'umanità: questo processo durerà fino al 1831. Leopardi arriva , dunque, a capovolgere la posizione precedente. La sua concezione approda alle filosofie materialistiche e meccanicistiche del '700. La natura perde il suo volto di madre benigna e prende quello di matrigna indifferente ai fatti degli uomini: crea l'uomo e tutto l'ordinamento dell'universo e li distrugge esclusivamente per mantenere integro il suo ciclo vitale meccanicistico . E' dunque la natura la causa prima dell'infelicità, di questa dura condanna inflitta all'uomo, non limitata al nostro tempo, ma riferibile alle più antiche età della storia. Secondo una concezione sempre più meccanicistica e materialistica che approda alle ine del Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco, dove la natura dal duro volto di matrigna assiste imperturbata e implacabile all'eterna vicenda del sorgere e del perire dei mondi. Leopardi scrive nello Zibaldone: 'La natura, per necessità della legge di distruzione e riproduzione, e per conservare lo stato attuale dell'universo, è essenzialmente regolarmente e perpetuamente persecutrice e nemica mortale di tutti gli individui di ogni genere e specie, ch'ella dà in luce; e comincia a perseguitarli dal punto medesimo in cui li ha prodotti. Ciò, essendo necessaria conseguenza dell'ordine attuale delle cose, non dà una grande idea dell'intelletto di chi è o fu autore di tale ordine.' Parallelo, dunque, è anche il progressivo distacco del Leopardi dalla fede cattolica. La ragione diviene per l'uomo strumento utile per smascherare gli inganni della natura e prendere consapevolezza della sua condizione. Il pessimismo storico, che fa da sfondo ai grandi idilli, ritorna dunque ad essere vicino alle condizioni illuministe. Secondo Leopardi la sofferenza è tanto più grande , quanto più sensibile è la coscienza, e un desino di grandezza è indissolubilmente associato ad una vita di dolore . Al dolore si associa la noia, anch'essa una forma di infelicità, perché nasce dalla piena consapevolezza della nostra dura condizione di vitae dall'impossibilità di apare quei desideri che la natura fa di continuo nascere in noi. La noia non viene individuata come dolore, bensì come momento antico positivo che ci aiuta a prendere coscienza della nostra assenza. Leopardi scrive nello Zibaldone :'La noia è manifestamente un male, e l'annoiarsi una infelicità. Or che cosa è la noia? Niun male né dolore particolare ma la semplice vita sentita, provata, conosciuta, pienamente presente all'individuo e occupantelo ' . E' in questa fase che Leopardi articola la sua teoria del piacere: il piacere che l'uomo insegue è un obiettivo vano, vuoto, che mai acquisterà sostanza nella vita dell'uomo. Il piacere è infatti o l'attesa di piacere del 'Sabato del villaggio' oppure interruzione di dolore come nella 'Quiete dopo la tempesta' : in entrambi i casi per Leopardi coincide con il vuoto, con il nulla. Dal 1831 al '37 Leopardi elabora il cosiddetto pessimismo agonistico (o eroico) che, dal punto di vista ideologico non è molto dissimile dal pessimismo cosmico. Egli, pur avendo la consapevolezza di non poter arginare in nessun modo le offese della natura, invita a combatterla pur sapendo che sarà una battaglia perduta. Ci deve essere un impegno morale da parte dell'uomo nella lotta contro la natura, condotta con razionalità, attraverso la ragione. E' essenziale creare una sorta di catena solidale tra gli uomini di genio, dall'animo nobile che li esorti ad essere uniti in questa battaglia. E' un atteggiamento spirituale che presenta alcune affinità con quello dei grandi romantici europei soprattutto per la comune coscienza dell'inutilità, oltre che della nobiltà della lotta contro il destino. Questa movenza viene a volte definita anche titanismo leopardiano. Poco prima della morte, nel componimento la 'Ginestra', egli, dopo aver polemizzato contro le filosofie ottimistiche del suo tempo che esortavano le 'magnifiche e progressive sorti del genere umano', scrive della sua fralezza, della sua nullità di piccolo essere nell'immenso ciclo vitale delle leggi della natura (concezione rievocata anche dalla sua poetica dell'indefinito), invitandolo a cessare le lotte fratricide e a confederarsi contro la comune nemica, accettando con stoica fermezza la tragedia del suo destino e a cimentarsi nel nobile impegno di ridurre le sofferenze che la natura impone di sopportare. 'Nobil natura è quella Che a sollevar s'ardisce Gli occhi mortali incontra Al comun fato, e che con franca lingua, Nulla al ver detraendo, Confessa il mal che ci fu dato in sorte, E il basso stato e frale; Quella che grande e forte Mostra sé nel soffrir, Né gli odii e l'ire Fraterne, ancor più gravi D'ogni altro danno, accresce Alle miserie sue, l'uomo incolpando Del suo dolor, ma dà la colpa a quella Che veramente è rea, che dei mortali Madre è di parto e di voler matrigna. Costei chiama inimica; e incontro a questa Congiunta esser pensando, Siccome è il vero, ed ordinata in pria L'umana comnia, tutti fra sé confederati estima Gli uomini, e tutti abbraccia Con vero amor, porgendo Valida e pronta ed aspettando aita Negli alterni perigli e nelle angosce Della guerra comune. La vita per quanto arida e dolorosa sia, non è del tutto vana perché fornisce l'uomo la consolazione degli affetti e dell'immaginazione di cui si nutre la poesia (poetica del rimembrare). Egli quindi non sceglie il suicidio come soluzione, ma trova la forza per continuare a vivere e alleviare le sue sofferenze nell'arte del poetare, nella meditazione, nei suoi studi dai quali confessa di aver tratto soddisfazioni profonde ed i soli momenti d'oblio dei suoi tormenti, dando prova di altezza morale ed onestà intellettuale. Già nel dialogo di Plotino e di Porfirio infatti conclude: 'Viviamo , Porfirio mio, e confortiamoci insieme: non ricusiamo di portare quella parte che il destino ci ha stabilita, dei mali della nostra specie. Sì bene attendiamo a tenerci comnia l'un l'altro; e andiamoci incoraggiando, e dando mano e soccorso scambievolmente; per compiere nel miglior modo questa fatica della vita.' E' possibile rinvenire gli elementi della sua ideologia nei principi della sua poetica. Il presente è intriso di sofferenza e dolore, la poesia può trasmettere la dolcezza di un ricordo passato non importa se triste o felice. La poetica della rimembranza permette di dilatare tempi e spazi nel passato rendendo la poesia soave. Gli episodi interiori del poeta sono affidati ad una ricostruzione indeterminata, vaga, incerta quasi a voler rammentare che l'uomo è nulla rispetto alla grandiosità della natura che lo circonda; è questa la sua poetica dell'indefinito. Quell'atteggiamento sentimentale di vicinanza affettiva a paesaggi e luoghi descritti, ma anche alle proprie vicende ed a quelle degli altri che si sentono simili a sé stessi, è stata chiamata dagli stessi romantici: 'Poetica del patetico'. |
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