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IL ROMANZO NEL NOVECENTO
Il romanzo è una forma letteraria di genere narrativo che solamente in seguito all'avvento del Romanticismo acquista consapevolmente un'intonazione realistica.
A noi oggi esso appare come un componimento narrativo di ampio respiro, di carattere prevalentemente realistico.
Nei confronti della novella il romanzo si distingue per una più complessa struttura: mentre la prima si svolge sulla trama di un'unica azione dominante, il secondo riduce all'unità azioni ed esperienze molteplici.
E' importante notare come la cultura del primo Novecento in Italia influisca sul genere letterario che in quegli anni sta nascendo: il romanzo. Esso infatti risente del netto declino della fiducia nella ragione e nella scienza.
Molte rivoluzionarie scoperte nel campo della fisica avevano distrutto la validità assoluta dei princìpi tradizionali della conoscenza scientifica, degradando così la ragione ad una pura registrazione di fenomeni e privando l'uomo, a causa delle sintesi frettolose di scienziati improvvisatisi filosofi, della sua libertà.
A questo proposito nacquero, dunque, generi letterari che esaltavano la libertà dell' 'io' e sottolineavano la capacità umana di creare il mondo conforme al proprio pensiero e alla propria volontà.
Tutto ciò spingeva, così, l'uomo a comporre opere che si basassero sull'estetismo e l'angoscia esistenziale, le due componenti centrali e complementari della cultura del Novecento.
Quel che però caratterizza il romanzo moderno, soprattutto nei sec XVIII e XIX, non è tanto la continuazione, mascherata o contraffatta, dei due maggiori livelli narrativi dell'età rinascimentale (quello 'alto', epico-feudale o pastorale-avventuroso, e quello 'basso', parodico, sarcastico, plebeo) quanto il separamento definitivo dalla medievale 'separazione degli stili'.
Si attribuisce ormai serietà e persino tragicità alle vicende della vita quotidiana: è un processo che da D. Diderot porta a Stendhal e, attraverso G. Flaubert e i grandi russi, arriva fino a M. Proust e a noi.
Il romanzo è sempre stato accomnato dalla riflessione eritica degli autori, da una saggistica di autore.
Ma tipico del romanzo del nostro secolo è l'inserimento di una teoria del romanzo entro il romanzo stesso, sino a farne il suo tema maggiore.
Altra particolarità assai comune in gran parte delle opere letterarie del primo Novecento è l' 'assenza di soggetto', tipica soprattutto all'interno dei romanzi di Musil, Joyce e KafKa.
La narrativa ottocentesca aveva lasciato al Novecento due grandi eredità: quella del Realismo di Stendhal e Honoré de Balzac e quella del Naturalismo di Emile Zola. Come si è visto, entrambe queste poetiche puntavano a fare del romanzo una forma di conoscenza della realtà e un interprete critico del suo tempo dello scrittore.
Ciò si rispecchiava con chiarezza nelle tecniche narrative adottate: personaggi 'scolpiti' nelle loro caratteristiche tipiche di un ambiente, di una società, di una mentalità; trame fitte di eventi e di colpi di scena; un linguaggio lineare e facilmente comprensibile spesso strumento di un narratore che si esprime in terza persona.
Sono questi i tratti essenziali del romanzo ottocentesco.
Agli inizi del nuovo secolo osserviamo una vera rivoluzione nel linguaggio narrativo. Al posto di un narratore in terza persona troviamo spessissimo un narratore in prima persona che prende attivamente parte al racconto: la narrazione diviene cioè fortemente 'soggettiva'.
La trama non ha più per oggetto grandi fatti storici o sociale ma si ripiega sulle vicende di un individuo, che assurge ad assoluto protagonista del romanzo.
I personaggi perdono 'tipicità': più che rafurare precisi momenti della realtà, esprimono simbolicamente gli stati d'animo e i pensieri del protagonista.
Il ritmo della narrazione muta completamente: si fa lento e talvolta lentissimo. Diventa conseguentemente minore la differenza tra momenti descrittivi e momenti narrativi, fino al punto che è difficile distinguerli con esattezza.
Il linguaggio cambia radicalmente: interpretando in un modo nuovo la realtà, privilegia la sua funzione espressiva su quella comunicativa.
Lo stile narrativo asseconda fedelmente lo svolgersi dei pensieri che si susseguono nel narratore: nasce il 'monologo interiore' il quale, abolendo ogni regola di raziocinio e di sequenzialità espressiva, è da distinguersi dal tradizionale 'soliloquio'.
Il periodare si complica, le relazioni fra i concetti non seguono più una logica di causa/effetto, ma una necessità puramente psichica ed affettiva; la grammatica stessa viene talvolta forzata per rendere visibile ciò che nella vita quotidiana di ciascuno si cela nel più profondo della mente, al limite tra conscio ed inconscio.
Le trasformazioni delle strutture narrative appena citate sono opera di grandi e celebri scrittori: James Joyce, Marcel Proust, Robert Musil.
Essi, pur differenziandosi per la cultura e per la tecnica stilistica, sono accomunati per alcuni aspetti fondamentali; ci parlano, infatti, sotto differenti punti di vista, della crisi che si è creata tra l'uomo e la realtà. Tale crisi non riguarda solamente la società, ma il senso stesso della vita e il rapporto con gli altri.
L'io narrante, simbolo dell'uomo novecentesco, si ritrova sperduto nel mondo che lo circonda, mondo che gli impedisce uno spontaneo rapporto con gli altri.
A questo punto perciò nascono tre differenti stili, i quali si manifestano in un monologo interiore adesso sostituito dal 'flusso di coscenza' per Joyce, e nel proiettare l'uomo sullo sfondo di una crisi irreversibile per Musil.
Proust si limita, invece, a far viaggire il suo personaggio nella memoria.
La vera rivelazione è però costituita dal tempo interiore dell'io narrante, che esprime a fondo la dissociazione intervenuta tra la realtà esterna e la vita della coscenza.
Nel nostro Paese la rivoluzione delle tecniche narrative è stata meno vistosa che altrove: probabilmente ha interferito il resistente 'freno' classico della nostra tradizione, che esclude le violente fratture formali e suggerisce soluzioni di compromesso tra le diverse epoche storiche.
Così, anche nel campo della scrittura narrativa, le importanti innovazioni tematiche intervenute nel primo Novecento si attuano in un lento passaggio dalle tecniche naturalistiche verso soluzioni e sperimentazioni nuove.
Anche l'Italia conosce in campo letterario una 'cultura della crisi', ma essa non rompe mai del tutto i nessi con uno stile di narrazione.
E' questo il caso, anzitutto, di Luigi Pirandello che passa lentamente dalle esperienze veriste dei romanzi come 'L'esclusa' o 'I vecchi e i giovani' a nuovi temi come 'Il fu Mattia Pascal' e infine alla messa in discussione dell'identità dell'io e dei modi di rappresentarlo artisticamente in 'Uno, nessuno e centomila'.
Lo stesso può dirsi di Italo Calvino, lo scrittore italiano che più si avvicina per motivi e per resa artistica ai livelli del grande romanzo europeo: gli schemi di tipo naturalistico del primo romanzo, 'Una vita', sono erosi dall'interno nella chiave esistenziale del secondo romanzo, 'Senilità', e finalmente ribaltati ne 'La coscenza di Zeno', dove in primo piano, ina dopo ina, è il vissuto interiore del protagonista alle prese con una crisi che si manifesta in tutti gli aspetti dell'esperienza, dall'incapacità di smettere di fumare ai rapporti con la moglie e con il lavoro, e si 'somatizza', si esprime fisicamente in tanti piccoli acciacchi.
Il romanzo è tutto giocato su una linea di sorridente ironia, che allude tra l'altro allo sdoppiamento dello scrittore/Svevo nel personaggio/Zeno, ma la sostanza dell'opera è tragica: dietro al comico malessere di Zeno, dietro le sue infinite bugie che il lettore perdona sorridendo, dietro al suo dolore alla gamba si cela una più profonda malattia di tutto un tempo e di tutto un mondo.
Se in Pirandello e in Svevo nuove sono le tematiche, nuovi i personaggi e i loro problemi, restano però saldamente riconoscibili il linguaggio e l'essenziale delle tecniche narrative.
Ciò è visibile, nel romanzo italiano, anche nel caso di autori come Federigo Tozzi ('Con gli occhi chiusi', 'Il podere'), nel quale l'impalcatura esterna della narrazione si colloca nel solco del Verismo, ma il 'fuoco' della scrittura è poi rivolto tutto all'inquieta psicologia dei personaggi, ai meccanismi che li 'alienano' irrimediabilmente dalla realtà quotidiana e comune.
Inoltre tutto questo è evidente ne 'Gli indifferenti' di Alberto Moravia, la più corrosiva immagine della società borghese contemporanea, in cui donne e uomini si muovono senza motivazioni ideali e morali, resi inetti, indifferenti, dal vuoto della loro sfera interiore.
'Papà Goriot'
L'insieme dei racconti e dei romanzi di Balzac segna il completo affermarsi del romanzo realista e sociale.
La narrazione della vita reale è allo stesso tempo descrizione minuziosa di luoghi e situazioni, rappresentazione di individui, disegno di caratteri, espressione di desideri, delusioni e passioni.
E' un quadro straordinariamente persuasivo della società e della condizione umana dell'ottocento.
E' proprio a tale condizione che Balzac rivolge la sua attenzione e dedica la sua capacità narrativa: ai vari tipi umani, visti nelle loro abitudini, nella loro moralità, nei loro gesti quotidiani.
'Papà Goriot' mostra la grande capacità dell'autore nell'esaminare, quasi al microscopio, i drammi umani, la difficile vita della gente qualunque.
Nel romanzo si possono riconoscere anche le caratteristiche romantiche della scrittura di Balzac: il gusto per la rappresentazione a tinte forti, la sottolineatura passionale dei personaggi e l'uso di espressioni di contenuto drammatico.
L'ambientazione, come in tutti i romanzi realisti, è fondamentale: la Parigi degli anni trenta è la città della restaurazione, delle lotte per il successo a tutti i costi, del compromesso, del trionfo dell'ambizione. E' il luogo come personaggi come Goriot, ingenui, leali e sinceri sino all'eccesso, non possono che essere sopraffatti, vittime di forze più grandi di loro.
Trama:
Il vecchio Goriot, che abita in una misera pensione di Parigi, si è rovinato a causa delle lie, Anastasie e Delphine.
Le donne, sposate con due meschini individui, il conte di Restaud e il barone di Nucingen, pur di vivere nel lusso non si sono fatte scrupolo di estorcere denaro al padre per anni, approfittando del suo immenso affetto e della sua debolezza.
Ridotto in miseria ma sempre disposto a dissanguarsi pur di ricevere un gesto di tenerezza dalle lie, papà Goriot trova conforto solo nell'amorevole assistenza del giovane Eugène de Rastignac, che abita nella pensione.
Dopo che il vecchio è vittima di un colpo apoplettico causatogli dall'emozione per una lite furibonda tra le lie in sua presenza, sarà proprio Eugène a vegliare su di lui.
Il giovane sarà presente anche al momento della morte, dopo un lungo delirio nel quale papà Goriot alterna invocazioni a maledizioni alle lie.
'Alla ricerca del tempo perduto'
Il vero protagonista del romanzo di Proust è il tempo, quello 'perduto', che appartiene ormai al passato.
Ma l'uomo del novecento, testimone diretto di quanto insegnavano le teorie di Freud sull'inconscio e quelle di Einsten sulla relatività, ha una percezione nuova di sé e delle proprie facoltà razionali.
La realtà esterna si presenta come un dato relativo che diventa esistente solo nella coscienza dell'individuo, poichè qui trova il proprio riconoscimento. Trasferiti nell'interiorità individuale, il tempo e lo spazio valicano i propri limiti oggettivi e gli eventi ritornano dal passato caricati di tutti i significati di allora e anche di quelli che vi aggiunge la distanza.
Un episodio casuale e di nessuna importanza, un sapore, un profumo,possono scatenare il meccanismo della memoria involontaria, che dal profondo restituisce intatte al presente esperienze ed emozioni.
Trama:
E' un ciclo di sette romanzi che raccontano le vicende del protagonista e narratore dagli anni 1882-83 fino alla fine della prima guerra mondiale (1918).
Nel primo volume, intitolato 'La strada di Swann', il protagonista rievoca la sua infanzia nella casa di camna di Combray, animata dalle ure adorate della mamma, della nonna e di Swann, l'amico di famiglia emarginato dalla buona società a causa della passione che lo lega ad una donna di facili costumi, Odette de Crécy.
Swann e Odette finiscono per sposarsi e dalla loro unione nasce Gilberte, il primo amore del protagonista.
'Gli indifferenti'
Quando Alberto Moravia pubblicò 'Gli indifferenti' era il 1929 e l'Italia si trovava in pieno regime fascista. La dittatura presentava l'immagine di una società incorrotta, legata ad alcuni princìpi tradizionali: la sanità morale, il lavoro, la volontà.
Dall'opera di questo autore, invece, emerge un ritratto della borghesia fascista crudele e spietato e così poco gradito al regime che ne fù vietata una seconda edizione.
Questi 'indifferenti', irrequieti e incapaci di darsi una guida morale, si muovono per forza d'inerzia o per noia e finiscono con l'accettare ogni cosa con la stessa passività con la quale la borghesia italiana di quegli anni accetta la dittatura fascista.
L'autore fà un analisi minuziosa e oggettiva che mira ad isolare i tratti psicologici dei personaggi utilizzando gli strumenti dell tradizione naturalistica: un lessico quotidiano, di uso comune, molto lontano da quello dei suoi contemporanei; un intreccio in cui situazioni e stati d'animo vengono montati secondo una rigida conseguenza logica; ed infine una rappresentazione attenta e puntuale degli ambienti, messi in relazione con gli atteggiamenti psicologici.
Il narratore, infine, tende a farsi da parte lasciando spazio sulla ina alle parole dei personaggi:
Trama:
La famiglia Ardengo è composta dalla madre Maria Grazia, vedova e non più molto giovane, e dai suoi due li Michele e Carla.
Da anni Maria Grazia è l'amante di Leo Merumeci, uomo cinico e senza scrupoli.
Tra i due scoppiano innumerevoli scenate di gelosia poichè Maria Grazia sospetta che L'eo abbia riallacciaro la relazione con Lisa, una sua vecchia fiamma.
Ma l'obiettivo di Leo è quello di sedurre Carla: stanco dell madre, non esita a rivolgere le sue attenzioni alla lia. Carla cede alla corte di Leo mentre Lisa cerca di conquistare Michele e gli rivela di aver scoperto la tresca tra la sorella e l'amante della madre.
Michele si rende conto di provare solo una profonda indifferenza nei confronti di queste trame, eppure vorrebbe reagire ed opporsi, vendicare l'onore della sorella oltraggiata, svergognare il traditore.
Decide allora di recarsi a casa di Leo e diucciderlo a sangue freddo, ma il goffo tentativo, non sostenuto da alcuna profonda ed autentica motivazione, finisce nel ridicolo: Michele dimentica di inserire i proiettili nel caricatore e la pistola spara a vuoto:
La vendetta dunque non si compie e Michele, sempre più isolato nella sua indifferenza, assiste alle nozze di Leo con Carla.
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