letteratura |
Il giorno della civetta (Milano, Adelphi, 1993, pp.137, lit 22000) esce per la prima volta nel 1961, in cui Sciascia affronta il doloroso e scottante tema della mafia con più battagliero e appassionato impegno, per il grande amore verso la sua terra. Inoltre con questo romanzo, come ha sottolineato l'autore, per la prima volta la mafia veniva messa al centro di un'opera narrativa destinata ad un vasto pubblico. Il libro ebbe un grande successo e contribuì a stimolare la discussione su un fenomeno criminale che il potere politico tendeva allora ad ignorare. "Ma la mafia era, ed, è altra cosa: un «sistema» che in Sicilia contiene e muove gli interessi economici e di potere di una classe che approssimamene possiamo dire borghese; e non sorge e si sviluppa nel «vuoto» dello Stato ( cioè quando lo Stato, con le sue leggi e le sue funzioni, è debole o manca) ma «dentro» lo Stato. La mafia insomma altro non è che una borghesia parassitaria, una borghesia che non imprende ma soltanto sfrutta". Sciascia stesso, nella nota aggiunta al volume, confessa la prudenza che dovette adottare per non incorrere in accuse di oltraggio e vilipendio, per evitare le ' possibili intolleranze ' di coloro che si ritenessero colpiti dalla sua rappresentazione, e depreca di non aver potuto scrivere ' con quella piena libertà ' di cui un autore avrebbe il diritto di valersi.
Il romanzo è costruito come un ' giallo '. In Sicilia, in un paese non precisato, intorno agli anni Cinquanta, viene assassinato Colasberna, il presidente di una piccola cooperativa edilizia, mentre sta per prendere, come al solito, l'autobus. L'indagine viene affidata al capitano dei carabinieri Bellodi, emiliano ed ex partigiano, un uomo che crede nei valori di una società democratica e moderna, contro l'immobilità di un mondo di vecchi interessi costituiti. La narrazione si muove su due piani: quello dell'inchiesta che l'ufficiale conduce su una catena di delitti di mafia; e quello delle complicità, più o meno potenti, più o meno segrete, che scattano a fermarla e ad annientare i risultati positivi. Mentre Bellodi cerca di capire chi avesse commesso quell'omicidio viene ucciso anche un contadino, Nicolosi, che ha visto fuggire uno dei killers. Un confidente dei carabinieri, Dibella, fa alcuni nomi; Bellodi riesce così ad arrivare al potente 'padrino' don Mariano Arena, e lo fa arrestare. Il fatto provoca allarme negli ambienti politici romani collusi con la mafia. Durante un dibattito parlamentare, un sottosegretario afferma che la mafia non esiste 'se non nella fantasia dei socialcomunisti'. Tornato nella sua Parma in congedo per malattia, il capitano Bellodi apprende dai giornali che la sua indagine è stata vanificata da una serie di disposizioni che forniscono alibi falsi agli esecutori dei delitti. Don Mariano, trionfante, viene scarcerato. Il capitano però non si arrende, e decide di tornare in Sicilia. 'Mi ci romperò la testa ', sono le sue parole che chiudono il libro.
Sotto le apparenze di un romanzo poliziesco, il romanzo di Sciascia è un racconto drammatico e politico; vengono, infatti, messe di fronte due concezioni di vita: quella del capitano Bellodi, che simboleggia l'Italia della Resistenza, la nuova società democratica, che crede negli ideali di giustizia, di civile convivenza; di contro quella del capo mafia, con i suoi amici, piccoli e grandi, simbolo dell'antica oppressione dei privilegi di casta tipici della Sicilia. Questo romanzo è la storia di un delitto di mafia, ma al tempo stesso un lucido atto di accusa, tanto più coraggiosa in quanto fatta in un'epoca in cui all'esistenza reale della mafia non si credeva sul serio. E' il più classico romanzo sulla mafia scritto in Italia, ed è anche una storia appassionante ed una lettura piacevole, come quasi sempre i libri di Sciascia.
Recentemente è stato criticato in quanto dà un'immagine quasi 'mitica', e dunque 'positiva' del boss mafioso protagonista. Una rilettura del libro, tuttavia, conferma che il romanzo non solo è bello, ma anche ben fatto sul piano della ricostruzione storica e politica. Nel narrare, Sciascia, non si concede ambagi e volute, ma fissa lo sguardo sempre e soltanto sulle nervature del significato, fossero anche in un minimo gesto o dettaglio.
Dal romanzo e' stato tratto anche un film (nel 1968) di Damiano Damiani, con Giuliano Gemma e Claudia Cardinale, che e' uno dei più classici film sulla mafia italiani.
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