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Il lettore, l'allegoria e la struttura dell'opera, La similitudine, fondamentale strumento della conoscenza allegorica, Metrica, lingua e stile, La co

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Il lettore, l'allegoria e la struttura dell'opera  

. 357 Luperini Rosso


Per coinvolgere il lettore all'avventura narrata nel poema, una tecnica è quella di fare riferimento alle sue stesse categorie culturali. Per questo quando noi leggiamo un'opera scritta in tempi remoti, come la Divina Commedia di Dante, dobbiamo sforzarci di proiettarci in una categoria culturale alla quale Dante aveva indirizzato il suo poema.

Al tempo di Dante, ogni cosa era vista come creazione divina ed espressione di Dio, così che la realtà era concepita come un'espressione di Dio. La Commedia, in quanto imitazione del mondo, è rivelazione allegorica dei segni divini che vi sono impressi; in quanto poema costruito sul modello teologico delle Sacre Scritture, è opera che comunica in modo allegorico un messaggio di salvezza. Come nella Bibbia, anche nella Commedia sia il piano letterale, sia quello allegorico sono presentati come storicamente reali.

L'allegoria dei poeti è quella nella quale i fatti narrati non hanno in sé valore storico, ma esistono soltanto in funzione del significato allegorico che devono esprimere; l'allegoria dei teologi è quella in cui i fatti narrati e il senso letterale che li esprime hanno un valore storico.



Nella Commedia, da un lato ogni elemento della struttura dell'opera e del mondo terreno è presentato come un segno di Dio; dall'altro il viaggio ultraterreno di Dante attraverso i tre regni, corrisponde in una prospettiva storica più ampia al cammino dell'umanità verso la salvezza.

Seppure il lettore dell'epoca fosse più sensibile del lettore contemporaneo, Dante non poteva pretendere di essere considerato al pari di Dio, perciò dovette organizzare la materia del poema secondo una struttura che suggerisse nel suo insieme e nei suoi particolari il riferimento ai modelli divini.

Dante, accostando nella quarta e ultima zona del nono cerchio dell'Inferno tre personaggi quali Bruto, Cassio e Giuda, fa un accostamento implicito fra i personaggi traditi da questi tre elementi, ovvero Cristo da Giuda e Cesare, fondatore dell'Impero, da Bruto e Cassio.


Il tema del viaggio: l'oltretomba e il mondo terreno 


Le anime che Dante incontra durante il suo viaggio nei tre regni dell'oltretomba, fanno di volta in volta considerazioni differenti, che non sono mai però casuali, ma anzi tali da esprimere il significato profondo della propria vita. Ogni anima è allo stesso tempo presentata con una propria individualità ma anche come appartenente a una determinata categoria. Il mondo rappresentato nella Commedia non è soltanto più ricco di quello terreno, ma si  trova rispetto a questo in una condizione di eccezionale perfezione, ordinato in modo definitivo, dato che l'ordine dell'aldilà è quello stabilito da Dio, suprema espressione di giustizia.

Nella prospettiva cristiana l'oltretomba non è, come nella concezione classica, una riproduzione scolorita del mondo terreno, bensì è considerato questo il vero mondo, la vita terrena è considerato un  passaggio intermedio e insignificante, finalizzato al raggiungimento della vita perfetta ultraterrena. In Dante è diverso, perché egli avverte l'importanza della vita terrena, essendo in essa che l'uomo si procura, a seconda dei suoi comportamenti, la dannazione o la salvezza.

Le anime, quando Dante si ferma a interrogarle, vanno subito al cuore della propria vicenda terrena, rivelandone l'autentica particolarità. E, quando si tratta di dannati, non gioverebbe a niente tentare di nasconderla. La legge del contrappasso ha la funzione di rendere più trasparente il rapporto fra condizione interiore del soggetto e sua obbiettiva condizione nel sistema universale dei valori, rovesciando l'interiorità del soggetto sullo scenario in cui esso è collocato, così che ciascuno si trova in qualche modo inserito dentro il proprio mondo interiore.


La similitudine, fondamentale strumento della conoscenza allegorica   

. 359 Luperini Rosso


La similitudine è un mezzo fondamentale di espressione, nella Commedia. La similitudine è la dichiarazione di una somiglianza tra due fenomeni diversi nella sostanza, ma legati da uno o più punti di contatto. Lo scopo della similitudine è di rendere più evidenti determinati aspetti di un oggetto o di una situazione, facendo riferimento a un altro oggetto o a un'altra situazione. Tutto questo processo avviene grazie all'utilizzazione di un riferimento che il lettore conosce, e grazie al quale può avvicinarsi alla comprensione di un dato che invece gli è ignoto. Grazie alla similitudine è poi possibile comunicare chiaramente dei concetti facendo uso di poche parole, conferendo inoltre al discorso ricchezza di sfumature e profondità. La funzione "economica" della similitudine è spesso accresciuta dalla presenza di un significato "secondo", attivo in una dimensione profonda e segreta-

L'uso della similitudine nella Commedia è abbondante e vario, poiché il modo specifico di raccontare di Dante necessita un continuo ricorrere da parte di quest'ultimo a tale ura retorica. Questo fatto è in contrasto con la tendenza di gran parte della letteratura religiosa medievale a rifiutare le tecniche analogiche, come la similitudine e la metafora, poiché sintomi di un'eccessiva attenzione all'aspetto materiale della realtà. La diversità della posizione di Dante si spiega dicendo che la Commedia è collocata in un nuovo orizzonte culturale, nel quale la realtà mondana e materiale non è più percepita come una minaccia o un rischio, ma come un luogo di verifica morale e come un'opportunità d'intervento offerta al cristiano.


Metrica, lingua e stile

. 362 Luperini edizione Rossa


La Commedia è formata da 14233 endecasillabi. Se questo verso è il più usato della letteratura italiana dal Duecento a oggi, ciò deriva in particolar modo dall'autorità dell'esempio dantesco, oltre che dalla straordinaria versatilità di questo metro. Dante, adottato questo tipo di verso dalla Scuola Siciliana, aveva saputo sfruttarlo al massimo, prima che subentrasse la metrica petrarchesca.

Anche le strofe usate da Dante, la terzina, trova nella Commedia il suo massimo sviluppo, poiché di 4711 terzine quasi la metà è formata da un unico periodo in sé concluso. Nella Commedia un'altra cosa molto importante è la rima, che accresce lo spessore semantico del testo. Inoltre grazie alla rima Dante riesce a comunicare l'atmosfera delle tre cantiche.

Nella Commedia Dante effettua una continua ricerca di nuovi registri espressivi, adottando tutti i dialetti italiani con prevalenza ovviamente del fiorentino, ricorrendo a latinismi, arcaismi, provenzalismi, senza rinunciare all'introduzione di neologismi. Anche lo stile mostra una ricchezza a un'apertura straordinaria, andando dal parlato a raffinate dimostrazioni teologiche, nelle quali lo stile elevato dei classici si fonde con la tradizione teologica della filosofia scolastica.


La concezione della storia e della cultura nella Commedia: il sincretismo

. 350 Luperini edizione Rossa


La storia è considerata da Dante come il realizzarsi di un disegno divino, al centro del quale sono collocate l'Incarnazione di Cristo e la Rivelazione. Questo fa sì che tutti i fatti storici, anche quelli in realtà precedenti o estranei alla civiltà cristiana, vengano interpretati alla luce della concezione cristiana e inseriti all'interno di essa. Nella Commedia il caso più lampante di sincretismo è quello di Virgilio, che si colloca prima della civiltà cristiana e ne è quindi sostanzialmente estraneo, ma la sua opera viene letta nel Medioevo in una prospettiva cristiana. Virgilio nel Medioevo veniva ritenuto un profeta, e Dante assunse e rielabora questa concezione scegliendo Virgilio come guida.

L'Eneide è assunta come modello per quel che riguarda l'idea stessa del viaggio nell'aldilà; infatti nel libro sesto del poema virgiliano, Enea scende agli Inferni per udire dall'anima del padre il destino della città che egli si appresta a fondare. Attraverso un'operazione di forte sincretismo, Dante affianca tale precedente a quello della salita al cielo, da vivo, di San Paolo.


Il concetto di "cortesia" e le premesse teoriche del romanzo cortese e della lirica d'amore: Andrea Cappellano e la trattatistica d'amore

. 42-44 Luperini edizione Rossa


L'aggettivo cortese deriva dalla corte del sovrano e dei signori feudali e indica una condizione di gentilezza o cortesia, di nobiltà: definisce, insieme, uno stato sociale reale, quello dei frequentatori della corte feudale e una tensione verso un modello di perfezione spirituale e culturale. Cortese è opposto a villano, termine che nel Nord della Francia non indica solo il popolo basso ma anche la borghesia: infatti la villania è opposta alla cortesia, ed è sinonimo di grettezza, avarizia e rozzezza di costumi. La cortesia definisce una nuova fase della civiltà feudale. I termini presenti ancora oggi nel linguaggio, derivanti dall'aggettivo cortese e dal sostantivo corte, inerenti alla sfera dell'amore, non sono casuali: nei secoli XI e XIII nasce una nuova concezione dell'amore che si prolunga fino a oggi. L'amore cortese è al centro del romanzo e della lirica, è argomento di trattazione scientifica, morale e filosofica. Il trattato più noto è il De Amore di Andrea Cappellano, che da un lato raccoglie le teorie d'amore più diffuse e dall'altro le codifica in modo originale. Esso definisce i principali "comandamenti d'amore". Il De Amore si propone una definizione dell'amore in cui confluiscono aspetti istintivi e passionali e aspetti legati all'immaginazione e alla riflessione. Un aspetto fondamentale che troviamo spesso in Cappellano è la vista relazionata all'amore, la visione della persona amata e tutto ciò che ne deriva.

Nel De Amore il rapporto fra l'innamorato e la donna riflette quello feudale fra vassallo e signore: al servizio del primo deve corrispondere la concessione di un privilegio da parte della seconda, la quale non può respingere l'omaggio dell'amante, se questo è animato da un amore puro e da gentilezza di costumi. Cappellano sostiene inoltre che amore e matrimonio siano inconciliabili. Si afferma inoltre che c'è uno stretto legame fra gentilezza e amore, e che la gentilezza, ovvero la purezza e la nobiltà di costumi e di sentimenti, non dipende dalla nobiltà di sangue, ma dalla nobiltà d'animo e si associa di necessità al bisogno d'amore.


Il "Dolce stil novo": le ragioni di questa denominazione e la poetica; i luoghi, il tempo, gli autori

. 162 Luperini Rosso


"Dolce stil novo" è la denominazione con cui Dante nella Commedia definisce una nuova poetica letteraria, che si affermò a Firenze nel periodo 1280 - 1310. La definizione di questo stile Dante la fa dire a Bonagiunta da Lucca, incontrato nel girone dei golosi nel canto XXIV del Purgatorio. I suoi maggiori rappresentanti furono Guido Cavalcanti e Dante spesso, anche se precursore e iniziatore fu un bolognese, Guido Guinizzelli. Lo Stil novo si impose a Firenze, città che nella seconda metà del Duecento inizia ad affermare la propria egemonia su tutta la Toscana, divenendo poi, all'inizio del Trecento, una delle città più popolose e più ricche d'Europa e uno dei centri artistici e letterari più importanti per la storia dell'intera civiltà occidentale. Al suo interno, si sviluppa un ceto dominante raffinato e colto, che ama l'eleganza e la distinzione sociale e culturale. Questo è il clima che si trova a Firenze alla nascita dello Stil novo. La novità dello Stil novo è nell'assoluta fedeltà ai dettami d'Amore, ai quali invece si sarebbero sottratti sia i Siciliani, sia i Siculo-Toscani.

Dante vede il Dolce stil novo come il culmine di un processo iniziato dai Siciliani, ma allo stesso tempo insiste con forza particolare, ma allo stesso tempo insiste con forza particolare sulla rottura rappresentata dalla nuova poetica, in modo da valorizzarne l'originalità e la novità, e cioè quegli elementi che potevano differenziarla dai Siciliani e dai Siculo-Toscani, e soprattutto, fra questi ultimi, da Guittone d'Arezzo e dai guittoniani. Quest'ultimo era il maggiore poeta del momento, e occorreva prendere le distanze dal vecchio caposcuola di Arezzo e marcare con decisione i caratteri di novità che in Toscana opponevano la nuova generazione alla precedente, come sottolinea la denominazione "novo". Questa novità è sia tematica sia stilistica.

Rispetto ai Siciliani la nuova poetica si distingue per due ragioni, ovvero la diversa concezione dell'amore e il fatto che il poeta descrive dettagliatamente le sensazioni che provoca in lui l'Amore. L'amore non è più un semplice corteggiamento, ma diventa elevazione spirituale, adorazione di una donna che può assumere i tratti di un angelo, cioè di una creatura intermediaria fra la terra e il cielo. L'amore innalza e nobilita l'uomo e quindi lo avvicina a Dio. Essere nobili per animo e per cultura, comporta una tendenza all'elevazione spirituale che si realizza contemporaneamente nella poesia, nell'amore, nella spiritualità religiosa.

Per essere fedeli ad Amore si richiedono conoscenze scientifiche e teoriche che Guittone non possedeva, da questo deriva il disprezzo che Dante e Cavalcanti nutrivano per questo poeta, giudicato da loro troppo rozzo perché privo di un'adeguata filosofia d'amore.

Per quanto riguarda il linguaggio del dolce stil novo, doveva essere un volgare illustre che fosse il più possibile elevato e puro e insieme melodioso e musicale.

Il pubblico delle nuove rime sarà quello, ristretto, che proviene dalla nobiltà feudale e dagli strati intellettuali più elevati.

Appare nel dolce stil novo il motivo dell'incontro e del saluto della donna amata, che assume anche il significato di salvezza spirituale per chi lo riceve.


Il titolo e il genere

. 340 Luperini edizione Rossa


Non è sicuro che il titolo che Dante voleva dare alla sua più importante opera fosse Commedia, ma è probabile che fosse così. È possibile dirlo leggendo l'Epistola XIII indirizzata a Cangrande della Scala, nella quale Dante dichiara che il titolo della sua opera è appunto Commedia. Inoltre l'autore definisce due volte il poema Commedia all'interno dello stesso. L'aggettivo "divina" e per la prima volta in un'edizione veneziana del 1555, riprendendo una definizione critica di Boccaccio contenuta nel Trattatello in laude di Dante. Esso allude originariamente al tema dell'opera, che è argomento soprannaturale e perciò divino, ed è però sentito ormai anche come riferimento al suo valore artistico.

Il titolo Commedia riporta però alla distinzione medievale fra commedia, tragedia e elegia, su base prevalentemente stilistica, riservando alla commedia lo stile mediocre, in quanto intermedio fra quello sublime della tragedia e quello decisamente di bassi livelli dell'elegia. Nel poeta dantesco effettivamente domina uno stile medio, anche se non mancano nell'Inferno, discese verso registri più bassi, e nel Paradiso impennate verso il sublime. Infatti, la definizione commedia e due volte nell'Inferno e poi più, mentre nel Paradiso l'autore definisce l'opera "sacrato poema" e "poema sacro". La questione del titolo è in effetti congiunta a quella del genere letterario.

La Commedia non può essere considerata semplicemente come un genere misto, poiché al suo centro vi è la tradizione letteraria nel suo complesso.


Giacomo da Lentini

. 148 Luperini edizione Rossa


Giacomo da Lentini fu probabilmente l'inventore del sonetto. Di quest'autore ci restano trentotto componimenti, fra i quali sonetti, canzoni e canzonette. È considerato dallo stesso Dante il massimo rappresentante dei Siciliani. Giacomo da Lentini fu funzionario imperiale dal 1233 al 1241.

Giacomo da Lentini padroneggia gli schemi della tradizione provenzale e al tempo stesso sa inserirvi notevoli innovazioni sia sul piano tematico, che su quello fantastico della creazione delle immagini. Sul piano tematico egli tende all'analisi dei movimenti psicologici dell'io e alla descrizione della fenomenologia dell'amore. L'Amore viene scomposto in occhi, tramite i quali si riesce a vedere la bellezza dell'amata, e cuore, nel quale hanno sede le riflessioni amorose del soggetto e il suo spirito vitale.

In un sonetto egli riprende dal De Amore di Andrea Cappellano l'immagine di un paradiso terrestre degli amanti, già trasponendola in un'atmosfera ultramondana che sembra anticipare i modi di Guinizzelli e del primo "Stil novo", ma manca in Giacomo da Lentini il tema dell'angelicazione della donna, fondamentale dello Stilnovismo.


Guido Guinizzelli, il "padre" degli stilnovisti

. 166 - 167 Luperini Rosso


Guinizzelli ebbe in comune con Guittone sia il genere letterario, sia la tradizione, ovvero quella della poesia d'amore dei provenzali e della Scuola siciliana. La novità di Guinizzelli fu comunque percepita con prontezza sia dai guittoniani, sia dagli scrittori soprattutto fiorentini della generazione più giovane, i quali non esitarono a farlo maestro del loro Stil novo.

Il canzoniere guinizzelliano è composto da soli venti testi integri, e nei primi Guinizzelli chiama Guittone "maestro" e "padre", è quindi probabile che la svolta poetica di Guinizzelli sia intervenuta successivamente, negli ultimi anni della sua attività di poeta. La nuova poetica ricerca un linguaggio dolce e leggiadro, che incontrò le lodi di Dante. A differenza del preziosismo retorico e linguistico dei Siculo-toscani che si rivolge a un lettore borghese educato alle diffuse discipline della retorica, l'impegno intellettuale richiesto dai testi guinizzelliani esige un lettore esperto di questioni dottrinarie e filosofiche, un lettore di cultura universitaria. I temi fondamentali della poesia guinizzelliana sono l'identità di amore e di cuore nobile, la caratterizzazione angelica della donna e la lode dell'amata. Quello che impedisce di collocare Guinizzelli entro le coordinate dello stilnovismo è, innanzi tutto, la mancata partecipazione all'ambiente culturale della sua affermazione, l'estraneità rispetto alla cerchia degli "avanguardisti" toscani di pochi anni dopo. Inoltre la concezione guinizzelliana della donna e dell'amore risulta, rispetto a quella rigorosamente canonizzata degli stilnovisti, maggiormente aperta e disponibile a sviluppi anche profani e terreni.


La composizione del poema, la tradizione manoscritta, la struttura formale

. 341 Luperini Rosso


Boccaccio sostiene che Dante avrebbe cominciato a scrivere la Commedia a Firenze, per poi concluderla durante il suo esilio. Questa ipotesi è però oggi rifiutata dalla maggior parte degli studiosi, che sostengono invece che la Commedia sia stata composta interamente durante gli anni dell'esilio.

L'Inferno risulta noto al pubblico a partire dal 1313 circa, il Purgatorio dal 1316, successive alla morte del poeta sono le notizie sulla conoscenza integrale del Paradiso, diffuso parzialmente in accomnamento all'Epistola XIII, tra il 1316 e il 1320.

Il testo della Commedia ci è pervenuto solo attraverso copie manoscritte, ovviamente non concordanti in molti punti, dal momento che il testo originale si va corrompendo di copiatura in copiatura. La prima edizione a stampa del poema di ebbe a Foligno l'11 Aprile 1472.

Alla base dell'organizzazione strutturale del poema sta il numero tre, il numero della Trinità cristiana. Il poema è infatti diviso in tre parti, dette cantiche: l'Inferno, il Purgatorio e il Paradiso. La materia è distribuita in canti, nel numero complessivo e perfetto di cento: trentatré per cantica, più un canto introduttivo premesso all'Inferno, che consta così di trentaquattro canti. Il metro scelto è quello dell'endecasillabo, raggruppato in terzine e legato alla terza rima.


Lo stilnovismo tragico di Guido Cavalcanti

. 173 - 174 Luperini Rosso


Nel canzoniere di Guido Cavalcanti la tematica amorosa si fissa in un canone che risulta decisivo per lo stilnovismo, per Dante e per il futuro della lirica d'amore. Cavalcanti riorganizza temi della tradizione provenzale e siciliana seguendo un consapevole interesse filosofico, prendendo a modello Guinizzelli. Il genere della lirica d'amore definisce con Cavalcanti anche il proprio pubblico: la nuova borghesia colta. Cavalcanti nacque intorno al 1259, nel 1284 era membro del Consiglio generale del Comune. La casata dei Cavalcanti era tra le più nobili a Firenze, ed era schierata con i guelfi bianchi. In seguito a violenti scontri scoppiati fra guelfi bianchi e guelfi neri, i capi delle due parti furono condannati all'esilio. Fra questi vi era anche Guido, che fu esiliato a Sarzana. Ammalatosi probabilmente di malaria, Cavalcanti morì il 29 Agosto 1300, dopo essere rientrato da pochi giorni a Firenze. Tra i priori che firmarono la condanna all'esilio di Cavalcanti vi era anche Dante, che considerava Cavalcanti uno dei suoi primi amici, e che subì le influenze di quest'ultimo.

L'amore in Cavalcanti viene vissuto ancora come opportunità insostituibile di nobilitazione, ma soprattutto come devastante esperienza tragica. L'amore è l'esperienza più radicale e complessa dell'anima sensitiva, ed è perciò l'unica in grado di esaltare l'identità individuale del soggetto. D'altra parte, in quanto tale, l'esperienza dell'amore non può essere sottoposta al controllo razionale; può essere, al massimo, oggetto di conoscenza. Così, la passione amorosa è al tempo stesso una condizione di eccezionale intensità vitale e una minaccia di disgregazione per l'io. L'esperienza dell'amore scompone il soggetto nelle sue diverse funzioni vitali e ne distrugge l'armonia, rendendole reciprocamente incompatibili. Il canzoniere di Cavalcanti è composto da poco più di cinquanta componimenti, in prevalenza canzoni, che meglio si adattano allo stile cavalcantiano, incarnando agevolmente il registro leggero e insieme sconsolato che lo caratterizza.

L'amore è dunque rappresentato nei termini di una minaccia per la vita stessa del soggetto, come eccesso e disavventura. I temi del saluto e della lode ne risultano quindi trasformati: l'incontro con l'amata è simbolo di distruzione e non di salvezza. La ura della donna amata è veicolo di un'esperienza a tal punto radicale per il soggetto da risultare non rappresentabile se non nei suoi effetti devastanti sull'io.


Dante autore e personaggio. E il lettore

. 356 Luperini Rosso


Nella Commedia è rivoluzionaria la narrazione dei fatti in prima persona, cioè in una forma direttamente affidata al protagonista. Questa scelta comporta la coincidenza tra narratore e protagonista. Dato poi che quest'ultimo, ovvero Dante, si identifica con l'autore del poema, ecco la coincidenza fra protagonista e autore. Dal punto di vista della materia, Dante è l'unico personaggio a non conoscere il proprio destino eterno. Sotto questo aspetto, la vicenda della Commedia coincide con la progressiva rivelazione del suo destino al personaggio Dante. La Commedia, oltre che essere considerata nella prospettiva della descrizione dello stato delle anime dopo la morte, va considerata anche come la storia della ricerca della salvezza da parte di Dante. Mentre nel primo caso la presenza di Dante ha la funzione di risvegliare nelle anime il desiderio di comunicare e di esprimersi, nel secondo caso la visione delle anime è funzionale alla salvezza di Dante, aiutandolo a rifiutare il peccato poiché egli ne vede su esse le conseguenze. Il personaggio di Dante non rappresenta solo sé stesso, ma si pone come ura esemplare di cristiano in cerca della salvezza, richiamando così l'attenzione del lettore sin dall'inizio dell'opera. Infatti neanche il lettore, come Dante, conosce il proprio destino. Il lettore rappresenta l'intera umanità traviata nel peccato e rivolta dal poema verso il riscatto e la salvezza.






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