LA PESTE IN BOCCACCIO E IN MANZONI
La peste: plurisecolare e nefasta, protagonista delle crisi che hanno
accomnato l'uomo nel corso della storia, mietendo vittime; generando
sconforto, angoscia, provocando reazioni tra le più svariate. Il
traguardo ultimo cui porta è la morte sempre e comunque, ma c'è
chi come Boccaccio, individua in questa così tragica vicenda un motivo
per continuare a'vivere', se per vivere intendiamo sfaldare i propri
sentimenti, i valori umani in concomitanza.con l'aggravarsi del contagio, se
vivere significa accettare di demolire ogni speranza, ogni tentativo degli
uomini di opporsi al male fisico e morale, e abbandonarsi ad una vita sregolata
dove costumi e principi morali non sono altro che degli optional, da chiudere
in una valigia e da spedire ad un nuovo indirizzo. Un morbo letale, questo
è tutto ciò che la parola peste nasconde dietro la sua cupa
maschera nella laica mentalità boccacciana, concezione questa che rivela
una personalità molto particolare e sicuramente molto lontana da un
religioso Manzoni che nei"Promessi Sposi' fa una minuziosa e macabra
descrizione della peste che nel 1629 si era drasticamente abbattuta sulla
Lombardia. Carestie, peste sono i mali con i quali la Provvidenza tesse la sua
tela, elementi necessari al compimento dei suoi disegni. Se gli uomini sono
cattivi, dominati dall'egoismo, dalla superbia, dell'invidia, dal desiderio di
emergere, di salire e per questo calpestano il proprio prossimo, ignorano la
voce di chi cade e chiede pietà, queste grandi sventure, queste
calamità immense, che colpiscono in ugual misura poveri e ricchi,
accomunandoli nel dolore e nella morte, fanno sì che l'uomo avverta la
brevità della vita la fragilità delle passioni, l'inutilità
di tanto odio, di tanto egoismo e, deposte superbia e invidia, si avvicini al
derelitto, ne ascolti la voce implorante, lo riconosca fratello; e con lui,
purificato dalla sofferenza, inizi una vita rinnovata, nel bene e nell'amore.
E' questa, la concezione manzoniana a proposito del deleterio morbo. Il Manzoni
ci propone quadri realisti e alquanto macabri di questa immane sciagura, ma,
sempre dominati da un religioso raccoglimento, hanno un che di mesto e di
meditabondo, sono venati quasi da un senso di stupore; stupore di essere potuti
giungere a tanto, di aver potuto mettere da parte, di aver dimenticato la
carità, che, secondo l'alta coscienza cristiana del Manzoni, deve essere
fondamento di ogni nostro atto di vita. C'è quindi tra Manzoni e
Boccaccio una profonda divergenza di costumi, di ideali; potremmo definirli il
poeta del cielo e il poeta della terra, diversi e lontani tra di loro. Diversa
è la loro stessa concezione del dolore umano; Nei Promessi Sposi vi
è un religioso dolore scaturito della meditazione cristiana sulle
vicissitudini dell'umanità. Renzo torna verso casa, ed è evidente
in lui lo scoramento senza parole e senza pianto, che incute la vista di un
paese un tempo tranquillo e fiorente, ora taciturno, sparso di miserie e di
lutti. C'è in lui quell'abbattimento che non cerca nemmeno più
uno sfogo, che non è nemmeno più rassegnazione ma
immobilità intontita, sotto la percossa. Tonio è reso dalla peste
così simile al fratello scimunito, da poter essere scambiato con lui: in
questo solo particolare è tutta la sua miseria. Incantato dalla malattia
ripete meccanicamente un'unica frase: ½ chi la tocca, la tocca', ed
è Questo l'unico resto di pensiero che gli abbia lasciato la peste. La
sua coscienza è tutta in queste sei parole, dove risuona, come in un
immenso vuoto la devastazione dell'immane sventura; Tonio non è
più che le preda abbandonata della peste. Le ine dolorose del
Manzoni, riecheggiano la grande musica cristiana, dove risuona un dolore fermo,
chiaro, e si espande la luce di un mondo, che noi ignoriamo in quasi tutti i
momenti della nostra vita. In contrapposizione a tale profondo e mesto dolore
manzoniano si delinea un tenue ed ovattato dolore che nel Decamerone sfocia in
un atteggiamento di cieca rabbia, si fa sempre più forte la
volontà di liberarsi da ogni convenzione, per abbandonarsi ad un sordido
modo di vivere, c'è chi beve, chi sollazzando soddisfa ogni proprio
appetito. Illuminante è poi il trasferimento di una piccola brigata in
un podere di camna, per trascorrere i giorni 'novellando'. Un
episodio questo che ci fa capire quanto flebile, debole, fosse il loro ardore
di carità, il loro interesse per i moribondi, per gli affamati. Sto
parlando di quella stessa devozione, di quella stessa tenerissima carità
familiare, che arde e si spende oltre la morte in mezzo al desolante orrore
della peste manzoniana, che è percepibile nelle amorevoli cure della
madre di Cecilia, negli esempi di fermezza e di pietà che padri, madri,
fratelli danno, sostenendo e confortando i loro cari. E' questa un'eroica
carità civile di anime sempre deste alla cura del prossimo, una
dolcissima carità umana, sollecitata da ciò che di divino
c'è in ogni uomo, come quella di umili donne che si prodigano
nell'ospedale degli innocenti, e che non sognano neppure di ritirarsi in camna
per raccontarsi novelle, perché quella profonda spiritualità,
moralità, loro impressa dal Manzoni, le impedirebbe di convertirsi ad
una libertina mentalità boccacciana. Diverso è infine
1'atteggiamento di questi due grandi poeti dinanzi alla morte. Nel Decamerone
di Boccaccio si avverte l'incombere della morte, che invita gli uomini a fare
tutto ciò che desiderano fare prima che con il suo manto nero avvolga
quel pugno di umanità, sapiente di novelle, ma povera di Dio. Una morte
che a tratti appare orrida, spasmodica, terrificante; quadro questo che ci
porta lontano da quel così pacato morire manzoniano. Nei 'Promessi
Sposi' la morte viene con una compostezza ineffabile. Scene di madri che
costringono i li, di bambini che si tengono al seno di madri morte, pur
essendo segno di un drammatico disfacimento, hanno sempre qualcosa di composto,
che muove il sospiro e la pietà e che non da ripugnanza fisica. La
morte, il morire manzoniano ha il potere di sollevare l'anima a Dio, sta come
un solenne atto di vita, come un traguardo in cui si dissolvono gli affetti
terreni, un elemento fondamentale nel contesto provvidenziale, necessario del
reale. Sono tutti questi elementi che rilevano due grandi e pur così
diverse personalità della letteratura, sono questi particolari che ci
fanno capire quanto il contesto politico, religioso di un'epoca, sia
fondamentalmente alla base della produzione letteraria di grandi scrittori
quali Boccaccio e Manzoni.