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L'economia dell'Europa negli anni della restaurazione alla metà dell'800 presenta segni di radicale rottura rispetto alla situazione dell'ancien regime e segni di innovazione rispetto ad esso: si comincia ad affermare il capitalismo industriale. Tutto ciò avviene molto lentamente, all'inizio con l'uso di aratri nuovi, di sistemi di rotazione delle colture, estensione delle colture foraggiere, tutti sistemi che si limitavano a perfezionare le tecniche già note. Nonostante questo l'agricoltura era ancora arretrata, i trasporti lenti, anche se la rete stradale era migliorata, e il movimento delle merci era ostacolato dalle barriere doganali. Solo in Inghilterra esistevano già le macchine agricole. In questo periodo si verificarono carestie, che portarono a un aumento dei prezzi con conseguenze disastrose. Ma vicino a questi elementi di arretratezza ereditati dal passato c'erano fattori di crescita e progresso: il primo è l'aumento della popolazione, dovuto soprattutto al calo della mortalità, legato ai lenti progressi della medicina e dell'igiene. Si ebbero maggiori opportunità di lavoro create dall'industria e dall'emigrazione. Con l'aumento della popolazione il mercato si allargò con conseguenze migliori per il commercio internazionale.
Un altro fattore di crescita per la società europea fu il progresso scientifico: infatti in questo periodo ci furono numerose scoperte scientifiche importanti.
Ma la vera novità rivoluzionaria fu l'uso della macchina a vapore che, insieme ai concimi artificiali, diede una grande affermazione allo sviluppo dell'industria, soprattutto carbonifera, in Europa. La locomotiva, sull'esempio di quella americana, fu costruita in Inghilterra, e fu perfezionata da Stephenson e utilizzata per il trasporto del carbone. L'Inghilterra e il Belgio si dotarono di un'efficiente rete ferroviaria nazionale.
In Francia l'uso della macchina fu lento e difficile, prima per il blocco economico imposto da Napoleone, che aveva sì chiuso le frontiere alle importazioni britanniche, ma così facendo anche impedito la circolazione dei ritrovati tecnologici inglesi. Con la pace la concorrenza inglese si fece sentire, provocando una crisi generale. Le maggiori aree di industrializzazione si ebbero in Belgio e in Inghilterra, soprattutto perché favoriti dalla ricchezza del sottosuolo.
In Germania il cammino verso l'industrializzazione fu difficilissimo. Lentamente però si costruì una rete ferroviaria abbastanza estesa, e si sviluppò una scuola scientifica di ingegneria e chimica, che avrebbe permesso alla Germania di bruciare le tappe dell'industrializzazione e di affermarsi nei settori più avanzati di chimica e siderurgia.
In Austria, pur essendo dotati di una amministrazione efficiente, di una buona rete stradale e di un certo livello di istruzione, lo sviluppo fu ostacolato dallo strapotere delle aristocrazie terriere.
Al di fuori di questi paesi l'industria moderna era pressoché sconosciuta, quindi i paesi dell'Europa orientale e mediterranea mancarono la prima fase dell'industrializzazione, e la conseguenza di ciò si sarebbe sentita a lungo. Lo sviluppo dell'industria portò a una trasformazione in campo sociale: mentre finora il ceto era legato alla posizione occupata per nascita, esso fu sostituito dalla classe sociale, in base al rapporto e al ruolo svolto nella società. Si andava però creando un nuovo antagonismo, tra il borghese (proprietario di mezzi di produzione) e il proletario, ricco soltanto della forza delle sue braccia e della capacità di riprodursi. Come sempre la Gran Bretagna si trovò all'avanguardia nel confronto sociale: la borghesia svolgeva già un ruolo politico e la stessa aristocrazia si imborghesiva, si faceva imprenditrice e dava lavoro a una massa operaia sempre più agguerrita. Quindi nacque la ura sociale dell'operaio di fabbrica, che, al contrario dell'artigiano, il quale conosce i segreti del mestiere, non possiede gli strumenti di lavoro, ma esegue un lavoro ripetitivo e meccanico. I salari erano bassi, e ciò comportò condizioni di vita estremamente disagiate, e gradualmente si arrivò alla ribellione, a causa della vita alienante, del ritmo di lavoro massacrante, dell'alimentazione troppo povera a causa dei bassi salari, del sovraffollamento nei sobborghi delle città industriali e per l'igiene inesistente. Le prime ribellioni si ebbero in Inghilterra, dove gli operai sperimentarono forme di agitazione pacifica, come comizi e scioperi. Ci furono lotte per l'abrogazione delle leggi che rendevano illegali le associazioni fra operai, lotte che ebbero successo: da tutto ciò infatti nacquero le trade unions, il movimento sindacale degli operai inglesi.
Negli altri paesi dell'Europa continentale lo sviluppo del proletariato fu più lento, tuttavia la questione operaia si impose all'attenzione dell'opinione pubblica e delle classi dirigenti. Negli anni '30 e '40 si sarebbero sviluppate in Francia e Germania le prime ideologie moderne. In questi anni prese forma un nuovo nazionalismo democratico, espressione dei popoli oppressi: quello di Mazzini in Italia e di Kossuth in Ungheria. Nello stesso mondo cattolico si manifestavano le nuove teorie che volevano conciliare i valori della fede, della libertà e della giustizia sociale.
La diffusione in Europa delle ideologie socialiste fu conseguente alla crescita del proletariato in fabbrica. Il pensiero socialista aveva il suo nucleo centrale nella convinzione che per superare le ingiustizie del capitalismo non erano sufficienti le riforme dall'alto, né il ricorso alla filantropia. Occorreva invece colpire alla radice i principi su cui si fondava la società capitalistico-borghese (individualismo, concorrenza e profitto) e sostituirli con i nuovi concetti di solidarietà e uguaglianza. I maggiori assertori del socialismo moderno furono Owen, che si dedicò all'organizzazione delle trade unions e di cooperative di consumo dei lavoratori, ed ebbe una enorme importanza nel movimento operaio inglese e mondiale, e St. Simon, che elaborò delle teorie che non possono essere definite completamente socialiste; infatti teorizzò una società nuova, liberata da ogni forma di parassitismo e governata da tecnici.
In Germania le idee socialiste furono portate avanti da due intellettuali, Marx e Engels, che stilarono il "Manifesto dei comunisti", su incarico della Lega dei Comunisti, un gruppo di esuli a Londra. Marx ed Engels si fecero assertori di un nuovo socialismo, definito da essi stessi "scientifico", in contrapposizione a quello utopistico di St. Simon, e che era supportato da una fortissima carica rivoluzionaria.
IL MARXISMO è una delle maggiori componenti intellettuali e politiche dell'età moderna. Marx, oltre che il filosofo del comunismo, è anche un classico della cultura. Il suo pensiero ha un valore universale. Divenuto capo redattore della Gazzetta Renana, è costretto a trasferirsi a Parigi dopo la soppressione del giornale da parte del governo prussiano. A Parigi conosce Engels: la loro amicizia durerà per tutta la vita. Espulso dalla Francia sotto pressione del governo prussiano, va a Bruxelles dove con Engels pone le basi della concezione materialistica della storia. In occasione del I congresso della Lega dei Comunisti viene incaricato di elaborare un documento teorico programmatico: il Manifesto del Partito Comunista. Emigra poi a Londra, in seguito allo scioglimento della lega si ritira dalla politica e vive anni economicamente difficili. Nel '64 viene eletto rappresentante ideologicamente dominante dell'Internazionale dei Lavoratori. Nel '66 inizia il I libro del Capitale, pubblicato quando egli era ancora in vita. Il II e III saranno pubblicati postumi.
Il marxismo è sempre legato alla prassi, ovvero la tendenza a interpretare l'uomo e il suo mondo con un impegno rivoluzionario. Infatti per tutta la vita Marx ha cercato un'ideale unione fra teoria e prassi, ossia l'aspirazione a rendere possibile l'incontro fra realtà e razionalità. Marx ritiene di poter raggiungere questo ideale attraverso la prassi, edificando una nuova società. Alla base della sua teoria vi è la critica totale della civiltà moderna e dello stato liberale. Per Marx esiste una frattura fra società civile e stato. Mentre nella polis greca l'individuo era un tutt'uno con la comunità, nella società moderna l'uomo è costretto a vivere due vite: una come borghese, nell'ambito dell'egoismo e degli interessi particolari, la seconda come cittadino, ovvero interessato al bene comune. Ma tutto ciò è illusorio, perché lo stato non riesce a fare il bene comune, ma soltanto gli interessi particolari delle classi più forti. Di conseguenza gli individui dell'epoca borghese pur essendo diversi nella società si consolano di essere tutti uguali di fronte allo stato. L'unico modo per realizzare un nuovo modello di comunità è l'eliminazione delle disuguaglianze fra gli uomini, e in particolare quella della proprietà privata. L'arma per questo obiettivo è la rivoluzione sociale, il cui esecutore è il proletariato.
Alienazione
Il lavoratore è alienato rispetto al prodotto della sua attività, perché egli con la sua forza lavoro produce un oggetto, il capitale, che non gli appartiene, ma anzi agisce come forza dominatrice nei suoi confronti.
Il lavoratore è alienato rispetto alla sua stessa attività, che egli sente come lavoro forzato, in cui egli è lo strumento di fini estranei (profitto del capitalista) con gravi conseguenze: egli si sente bestia quando si dovrebbe sentire uomo (quando lavora), e si sente uomo quando fa la bestia (quando mangia, procrea, ecc.). Queste funzioni, che sono umane, egli le fa diventare scopi ultimi e unici della vita.
Il lavoratore è alienato rispetto alla sua essenza stessa di uomo. Infatti il lavoro dell'uomo dovrebbe essere creativo e universale, mentre nella società capitalistica il lavoratore è costretto a un lavoro forzato.
Il lavoratore è alienato rispetto al prossimo, perché "l'altro" è il capitalista che lo tratta come un mezzo e lo priva del frutto della sua fatica.
Materialismo storico. Partendo dalla teoria che l'alienazione economica è alla base di ogni altra alienazione, Marx afferma che il primo GESTO storico dell'uomo è la produzione dei mezzi necessari a soddisfare i propri bisogni vitali. Avendo apato il primo bisogno, se ne avvertono di nuovi e la produzione di essi è la prima AZIONE storica di un uomo. Nascono in seguito la famiglia, le diverse forme della proprietà, fino all'affermarsi della borghesia e del capitalismo industriale. Lo sviluppo delle forze produttivo materiali regola i rapporti fra gli uomini, perciò i motivi economici sono alla base di tutte le attività umane e di tutte le creazioni teoriche (religiose, morali, ecc, le sovrastrutture). Marx rifiuta sempre la dimensione puramente filosofica della storia, ma col suo materialismo storico tenta di individuare il vero motore della storia, raggiungendo una visione obiettiva della società. Bisogna distinguere la struttura dalla sovrastruttura: la struttura di una società sono le forze produttive, cioè la base economica della società, la sovrastruttura sono le espressioni dei rapporti che definiscono la struttura, cioè le forze politiche, i rapporti giuridici, le dottrine artistiche, religiose o filosofiche. Di conseguenza non sono queste ultime che determinano la struttura economica della società, ma è la struttura economica che determina le leggi, lo stato, le religioni, ecc. In altri termini, quello di Marx è un materialismo storico che si contrappone polemicamente all'idealismo storico. Ovviamente per Marx la sovrastruttura è superflua e poco importante. L'unico elemento veramente determinante della storia è la struttura economica.
Economia politica. Nello studio dell'economia politica, Marx usa un metodo storicistico per spiegare lo sviluppo della produzione. Il valore di un prodotto, secondo l'economia capitalista, consiste esclusivamente nelle ore impiegate a produrlo. In teoria il lavoratore dovrebbe ricevere come retribuzione l'intero valore del prodotto, che coincide col suo lavoro. Ma l'imprenditore retribuisce il lavoro al di sotto del suo valore. Trattiene la differenza, che costituisce il suo profitto, che Marx chiama plusvalore. Con la sua forza lavoro il lavoratore in alcune ore di lavoro produce una quantità di merce corrispondente al salario, ma lavorando tutto il giorno egli produce altra merce, che costituisce il plusvalore, a completo vantaggio dell'imprenditore. Va quindi abolito il sistema capitalistico di produzione. Il regime capitalistico comporta la concentrazione di piccole aziende in aziende sempre più grandi, e gradatamente piccoli imprenditori sfociano nel proletariato. Crescendo l'oppressione e la miseria, il proletariato si organizza in classe e diventa partito politico. Espropria così gli espropriatori e trasforma la proprietà capitalistica in proprietà sociale. Allo stesso modo in cui l'alienazione economica nega l'uomo, la disalienazione, liberando l'uomo, lo condurrà verso il comunismo con cui l'uomo tornerà uomo sociale, uomo umano.
Come abbiamo visto, l'Inghilterra era comunque all'avanguardia nei progressi sociali e nelle riforme, anche se esistevano comunque nella società vittoriana enormi contraddizioni. La borghesia vittoriana era orgogliosa del suo benessere, delle sue buone maniere e dei suoi valori morali, e tendeva a ignorare gli enormi problemi che tuttora affliggevano l'Inghilterra. C'era in effetti una parte della società, soprattutto la classe lavoratrice, nella quale la miseria e l'alienazione erano enormi: le condizioni urbane peggiorarono a causa della crescita abnorme degli "slums", e di conseguenza dei problemi legati alla salute e all'igiene.
Questa particolare situazione, che vedeva prosperità e progresso da un lato e povertà e ingiustizia dall'altro, che opponeva il conformismo etico alla corruzione, il moralismo e la filantropia al denaro e al capitalismo, è solitamente chiamato compromesso Vittoriano.
La nuova Poor Law del 1834 non fu una soluzione a questi problemi: la creazione delle famigerate Work Houses rese la vita un inferno per i poveri. La povertà, anche se dovuta a sfortuna , era considerata un crimine e quindi punita. Nel vano tentativo di "riabilitare" i criminali, i detenuti venivano sottoposti a ogni sorta di umiliazioni, e si poteva finire in prigione anche per debiti, come accadde al padre di CHARLES DICKENS.
Dickens, lio di un impiegato che finì ben due volte in prigione per debiti, visse con la sua famiglia negli "slums" di Londra e non potè frequentare la scuola a causa delle gravi difficoltà economiche. Ancora giovanissimo, fu costretto a lavorare in una officina sporca e fredda, sottoposto ad ogni sorta di angherie dai suoi datori di lavoro, persone rozze e violente. Soltanto dopo due anni le condizioni economiche della sua famiglia migliorarono in seguito a un'eredità, e il giovane Dickens potè lasciare l'officina e iscriversi a scuola, dove però rimase appartato e solitario, senza amici, essendo di costituzione molto delicata, timido e introverso. All'epoca anche le condizioni delle scuole inglesi, specialmente di quelle per i giovani delle classi sociali medio-basse, erano molto dure, e c'era bisogno di una grande forza morale e fisica per superare la durezza e la severità degli insegnanti, che facevano ricorso continuamente alle punizioni corporali.
Tutte queste terribili esperienze, che segnarono la sua infanzia e la sua adolescenza, costituirono materiale per molti dei suoi migliori romanzi, particolarmente per David Copperfield e Oliver Twist. I suoi romanzi sono stati spesso definiti sociali o umanitari. Egli in realtà considerava lo scrivere come una vocazione, ed era solito usare la "fiction" per denunciare i vizi e il male della sua epoca, ma non fu mai un vero riformatore: infatti non giunse mai ad auspicare alcun cambiamento fondamentale nella società vittoriana, e ancora meno alcuna lotta rivoluzionaria tra le classi sociali. Egli in fondo si limitò a denunciare le terribili condizioni di vita delle classi meno abbienti, e in questo senso esercitò comunque una considerevole influenza sui movimenti di riforma dell'epoca mettendo in luce la brutalità di alcune scuole, i vizi del mondo criminale, la sporcizia e lo squallore dei sobborghi londinesi e le condizioni di vita dei suoi abitanti nel periodo dell'espansione industriale. Il mondo di Dickens è popolato da centinaia di personaggi, disegnati osservando la gente reale. Essi possono essere suddivisi in "buoni" e "cattivi", ma non costituiscono mai degli stereotipi, poiché ogni personaggio è diverso dagli altri; possono talvolta essere esagerati o grotteschi, ma quando Dickens descrive i modi eccentrici, le idiosincrasie o le debolezze di alcuni personaggi dà il meglio di sé. Dickens tuttavia non si occupa mai del lato spirituale dei suoi personaggi: egli è un instancabile osservatore delle caratteristiche esteriori della gente. A volte descrive personaggi seri e tipi aristocratici, ma la sua rappresentazione dei personaggi semplici, che stimola il suo forte "sense of humour", è insuperabile.
Questo suo naturale "sense of humour" può essere apprezzato particolarmente nel suo miglior romanzo comico, The Pickwick Papers. Qui ogni episodio, una specie di breve storia completa in sé stessa, è puro humour, e Dickens è un maestro nel creare un personaggio dopo l'altro e nel porli in situazioni comiche dalle quali poi li sbroglierà nei modi più inaspettati.
La situazione italiana. All'indomani dell'unità, l'Italia si trovava in ritardo rispetto ai paesi europei più evoluti, non avendo ancora iniziato uno sviluppo industriale, economico, politico e sociale. Se per la prima volta dai tempi di Roma si poteva parlare di uno stato unitario in Italia, è però vero che alla costruzione di esso erano rimaste estranee le grandi masse rurali e le plebi cittadine, cioè la grande maggioranza degli italiani. Il tasso di analfabetismo era enorme. I governi borghesi segnano un impegno per la realizzazione di infrastrutture che contribuissero a superare un'arretratezza secolare. Nuove difficoltà sopraggiunsero con l'inizio dell'industrializzazione, a cui conseguirono agitazioni operaie e repressioni durissime.
Le nuove istanze positivistiche e realistiche della nostra cultura vennero sviluppate originalmente dal verismo. Il naturalismo si era proposto uno studio scientifico della società e della psicologia dell'uomo, rigettando ogni idealismo e studiando di preferenza i ceti più umili, che per le loro reazioni psicologiche elementari meglio sembravano prestarsi a un'analisi scientifica oggettiva. Opponendosi allo spiritualismo romantico, i nuovi scrittori sottolineavano il dipendere dell'uomo dalle condizioni dell'ambiente e i suoi limiti morali. La loro natura non era più quella concepita come "buona" degli illuministi, ma la società, in particolare quella borghese e capitalistica contemporanea, che essi vedevano come luogo di sopraffazione e di abbrutimento degli individui. Il deterioramento delle relazioni sociali produceva in essa il male, la malattia, e il nuovo scrittore assumeva il compito della denuncia, che coincideva con l'adesione stretta alla realtà. Il brutto e il bello diventavano neutri, soverchiati dal vero, nella rappresentazione artistica di quello che fu chiamato allora il "documento umano".
La poetica verista può così essere riassunta: l'arte è lo studio disinteressato del documento umano. Di qui si vede la differenza fra esso e il realismo romantico: nei veristi, l'angolo visuale è materialistico e scientifico. Il verista si proponeva di rappresentare la realtà oggettivamente, senza alcuna intrusione soggettiva, né di sentimenti né di ideologie. Suo fine era una letteratura che fosse strumento di conoscenza e diffusione del vero.
Il maggior rappresentante del verismo italiano è GIOVANNI VERGA. Egli trascorse l'infanzia e la giovinezza in Sicilia: fin da allora collaborò come giornalista. Quindi visse a Firenze (Storia di una capinera) e quindi a Milano. Questo fu il periodo più fruttuoso della sua attività: partecipando alle polemiche scapigliate e classicistiche dell'ambiente di quel periodo, cominciò a maturare la sua poetica del verismo. Nedda, il primo racconto di ambiente siciliano, dà l'avvio alla stesura di tutti i suoi capolavori: Vita dei campi, I Malavoglia, Le novelle rusticane, Mastro Don Gesualdo e il dramma Cavalleria rusticana (musicato da Mascagni). Protagonista di tutte queste opere è il popolo umile siciliano: contadini, pastori, piccola borghesia provinciale. Ma l'arte del Verga non si rinchiude mai in un ristretto ambiente regionale: assumendo proporzioni maggiori, i personaggi verghiani assumono gli aspetti più svariati dell'umanità in generale. Dopo il essendosi esaurita la sua vena, Verga tornò a Catania, dove condusse una vita di sfaccendato fino alla morte.
Scrittore antiletterario, con una scarsa conoscenza dei classici, Verga giunse al verismo attraverso un processo di maturazione partito da un'esperienza romantica: nelle sue prime opere si riscontra un certo autobiografismo, passionalità ed esuberanza. Ma Verga era già ben lontano dal languido sentimentalismo: il realismo di certi ambienti, la ricerca del vero e della cronaca, fanno presentire la personalità dello scrittore. Inoltre egli si tenne sempre lontano dai cenacoli letterari, ostentando la sua ignoranza della tradizione, che si risolse all'inizio in uno sciatto stile giornalistico. Più tardi sopravvenne la scoperta del romanzo francese moderno, che determinò la conversione del Verga. Ma più di ogni altra cosa contribuì alla formazione della sua nuova arte una reazione intima contro il fervore giovanile: la nausea di quella società di ricchi, oziosi e corrotti e di sé stesso che vi aveva aderito lo portò ad accostarsi alla materia degli affetti umili di una sua provincia. Così Verga riprende possesso della sua vera natura, quella appunto di provinciale, e ritorna alla sua terra. E tutti gli elementi dei racconti verghiani (la natura ostile, gli umili personaggi con la loro sofferenza e la loro rassegnazione di fronte ai duri colpi del destino, la arretrata, quasi feudale, società siciliana) danno un quadro veramente azzeccato e realistico, e al tempo stesso poetico e leggendario, della Sicilia. Ma in un certo senso il Verga guarda ai problemi degli umili, pur denunciandoli, con l'occhio del ricco proprietario, quindi con una certa indifferenza. In ogni caso, quello che contraddistingue la sua arte è l'assoluta mancanza di sentimentalismo paternalistico, proprio perché in lui le fiducie positivistiche nella scienza, nel progresso, nel socialismo vengono meno. Egli, nella mentalità positivistica, accetta molte cose (p. es. il dato reale), ma rifiuta del tutto la fiducia ottimistica nel progresso riformistico e nella scienza. E proprio il rifiuto della speranza nel popolo del socialismo porta alla più convincente rappresentazione del popolo italiano di quegli anni. La denuncia delle tristi condizioni del meridione rientra nell'attualità politico sociale, ma non è questo che interessa al Verga, che voleva semplicemente fornire un quadro della condizione umana, da lui concepito in modo sempre più cupo. Questo dissolversi di ogni fiducia nel futuro, di ogni valore laico, portò inoltre al lungo silenzio letterario di Verga, che in quel periodo giunge al conservatorismo e al vero e proprio reazionarismo. Per cui, anche se il verismo rappresenta il punto di massima vocazione verso il reale contrassegnato dalla mentalità positivistica, già nel suo maggiore rappresentante venivano meno queste certezze positivistiche: la sfiduciata constatazione dell'inesorabile meccanismo della vita umana portava al silenzio o all'evasione dal reale. In ogni caso, la validità degli scritti verghiani sta anche nel linguaggio, assolutamente lontano da qualunque ispirazione letteraria e direttamente attinto dall'antica parlata popolare, per cui in perfetta coerenza con lo stile della poetica verista (linguaggio dalla sintassi povera ma originalissima, arricchito da proverbi e espressioni dialettali, di un caldo impressionismo primitivo). Anche se Verga non potè creare, come Manzoni, un linguaggio valido ed immediato per tutti, proprio per il suo atteggiamento più contemplativo che attivo di fronte alla sua materia, il suo linguaggio appare, a differenza dell'effimera eloquenza dannunziana o dell'aulico classicismo carducciano, tutto proteso all'avvenire. Agli scrupoli linguistici del Manzoni, che risciaquò i panni in Arno, Verga contrappone una lingua personale, con radici volutamente affondate nel dialetto. Entrambi aristocratici, seguendo la fertile tendenza popolare avevano preso a protagonista delle loro opere il mondo degli umili, a loro estraneo. Ma nei Promessi Sposi è sempre presente Dio; per Verga a regolare le vicende umane era una fatalità senza risvolti religiosi, un tragico e ineluttabile destino. Comunque, il suo nome doveva restare legato al ciclo dei vinti, galleria di personaggi caduti per aver forzato sotto la spinta del bisogno o peggio dell'ambizione, il proprio destino (Malavoglia, Mastro Don Gesualdo).
In campo artistico, il pensiero socialista influenzò grandemente lo sviluppo di un movimento che all'inizio del '900 si affermò in Europa centrale , specialmente in Germania e in Russia: l'ASTRATTISMO.
L'astrattismo è una delle correnti artistiche più discusse di questo secolo, per il completo capovolgimento della plurisecolare concezione dell'arte come imitatrice della realtà. Esso rappresenta la conclusione naturale di quel processo che, partito dal romanticismo a attraverso il cubismo e l'espressionismo, è andato sempre più negando all'arte il compito di descrizione della realtà esterna per esprimere invece all'esterno il sentimento interiore dell'artista. L'astrattismo spinge questa tesi fino in fondo: se l'arte non è rappresentazione del mondo esteriore, allora bisogna avere il coraggio di andare oltre ciò che è già stato fatto e non limitarsi a proiettare la nostra vita interiore negli oggetti reali dipinti, ma abolire completamente questi ultimi, visualizzando con forme, linee e colori il complesso oscuro dei sentimenti che si agitano dentro ciascuno di noi, agendo psicologicamente sull'inconscio dello spettatore, attraverso il suo occhio, così come il musicista agisce sull'orecchio dell'ascoltatore.
Il teorico e creatore dell'astrattismo fu Vasilij Kandinskij, che enunciò le sue teorie in un trattato chiamato "L'elemento spirituale nell'arte".
Dopo aver compiuto studi giuridici a Mosca, si trasferì a Monaco di Baviera, dove fondò il movimento chiamato Il cavaliere azzurro, a cui aderirono molti pittori. In questa fase si riscontrano ancora alcuni seppur deboli legami con la realtà; il passaggio di Kandinskij all'astrattismo puro, ossia alla totale abolizione della riconoscibilità degli oggetti esteriori, è graduale. Kandinskij comincia ad usare, coerentemente con le sue idee, titoli che non fanno riferimento a un qualsiasi tema e a numerare progressivamente le opere, per renderle definizioni generiche.
Con lo scoppio della guerra Kandinskij torna in Russia, vivendo i grandi eventi storici della rivoluzione di ottobre, della caduta dell'impero zarista, dell'avvento delle repubbliche sovietiche e ricoprendo col nuovo regime un ruolo pubblico importante nell'organizzazione dell'insegnamento e dei musei.
Nella sua pittura inizia a far uso di forme geometriche, innanzi tutto del cerchio, considerato da lui la forma geometrica più perfetta. Ma questo geometrismo non significa un formalismo arido fine a sé stesso, perché è una forma precisa, ma variabile in modo inesauribile, sintesi di grandi contrasti, unione di concentrico e eccentrico.
Il pensiero di Kandinskij venne ulteriormente sviluppato in senso socialista da Piet Mondrian, pittore olandese che introno al 1910 iniziò un processo astrattivo della realtà graduale ma continuo: nel giro di pochi anni la rappresentazione dell'oggetto si trasforma. Al raggiungimento della sua concezione dell'arte non è estraneo il cubismo, ma allo scoppio della guerra Mondrian viene elaborando un suo nuovo modo di intendere la pittura, che lo porterà all'astrattismo assoluto.
Il cubismo per Mondrian non è riuscito a giungere alle conseguenze estreme della sua scoperta, perché resta legato alla realtà, limitandosi a scomporla e ricomporla in una diversa disposizione delle facce e dei volumi. Mondrian, giungendo all'estremo dell'astrattismo, non cerca solo valori esclusivamente etici, ma tenta di superare "l'individuale", in contrapposizione con Kandinskij e in piena fase comunista. Poiché per lui il dramma umano nasce dal contrasto fra sentimento individuale e aspirazione all'universale, e quindi fra egoismo del singolo e armonia collettiva (forse ciò gli era suggerito dalla guerra) scopo dell'arte deve essere quello di farsi modello di armonia suprema. L'attività estetica non è perciò fine a sé stessa, anzi ha una finalità etica, quella di innalzare l'uomo verso la perfezione. Questo è il senso politico che deve essere dato alla concezione di Mondrian, di grande impegno morale. Perciò la pittura non deve copiare la realtà esterna, che è transitoria, ma bisogna andare fino in fondo: non si devono nascondere i rapporti di linea e colore dietro le forme del soggetto rappresentato, ma mostrarli con chiarezza indipendentemente dal soggetto. Il mezzo che egli trova per esprimere questo soggetto "universale", "collettivo" e non più individuale, è il rettangolo: forma perfetta, perché non ha l'ambiguità della curva e nei suoi angoli si equilibrano le diverse forze della linea orizzontale e verticale. Questo tipo di pittura si chiama neoplasticismo.
Mondrian giunge agli estremi limiti dell'astrattismo dipingendo prima segni di "più" e "meno" su fondo bianco, poi rettangoli colorati su fondo bianco, infine rettangoli di colori primari intervallati da linee nere che li mantengano ben separati affinchè non si influenzino tra loro. Mondrian ha raggiunto l'assoluto, la perfezione della forma, e non cambierà più questa sua concezione, perché ciò che è perfetto non è perfezionabile.
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