letteratura |
LA ROBA
Il viandante che andava
lungo il Biviere di Lentini,
steso là come un pezzo di mare morto, e le stoppie riarse della Piana di
Catania, e gli aranci sempre verdi di Francofonte, e
i sugheri grigi di Resecone, e i pascoli deserti di Passaneto e di Passanitello, se
domandava, per ingannare la noia della lunga strada polverosa, sotto il cielo
fosco dal caldo, nell'ora in cui i campanelli della lettiga suonano tristamente nell'immensa camna, e i muli lasciano
ciondolare il capo e la coda, e il lettighiere canta la sua canzone malinconica
per non lasciarsi vincere dal sonno della malaria: - Qui di chi è? -
sentiva rispondersi: - Di Mazzarò -. E
passando vicino a una fattoria grande quanto un paese, coi magazzini che
sembrano chiese, e le galline a stormi accoccolate all'ombra del pozzo, e le
donne che si mettevano la mano sugli occhi per vedere chi passava: - E qui? -
Di Mazzarò -. E cammina e cammina, mentre la
malaria vi pesava sugli occhi, e vi scuoteva all'improvviso l'abbaiare di un
cane, passando per una vigna che non finiva più, e si allargava sul
colle e sul piano, immobile, come gli pesasse addosso la polvere, e il
guardiano sdraiato bocconi sullo schioppo, accanto al vallone, levava il capo
sonnacchioso, e apriva un occhio per vedere chi fosse: - Di Mazzarò
-. Poi veniva un uliveto folto come un bosco, dove l'erba non spuntava mai, e
la raccolta durava fino a marzo. Erano gli ulivi di Mazzarò.
E verso sera, allorché il sole tramontava rosso come il fuoco, e la camna si
velava di tristezza, si incontravano le lunghe file degli aratri di Mazzarò che tornavano adagio adagio
dal maggese, e i buoi che passavano il guado lentamente, col muso nell'acqua
scura; e si vedevano nei pascoli lontani della Canziria,
sulla pendice brulla, le immense macchie biancastre delle mandre di Mazzarò; e si udiva il fischio del pastore
echeggiare nelle gole, e il campanaccio che risuonava ora sì ed ora no,
e il canto solitario perduto nella valle. - Tutta roba di Mazzarò.
Pareva che fosse di Mazzarò perfino il sole
che tramontava, e le cicale che ronzavano, e gli uccelli che andavano a
rannicchiarsi col volo breve dietro le zolle, e il sibilo dell'assiolo nel
bosco. Pareva che Mazzarò fosse disteso tutto
grande per quanto era grande la terra, e che gli si camminasse sulla pancia. -
Invece egli era un omiciattolo, diceva il lettighiere, che non gli avreste dato
un baiocco, a vederlo; e di grasso non aveva altro che la pancia, e non si
sapeva come facesse a riempirla, perché non mangiava altro che due soldi di
pane; e sì ch'era ricco come un maiale; ma aveva la testa ch'era un
brillante, quell'uomo.
Infatti, colla testa come un brillante,
aveva accumulato tutta quella roba, dove prima veniva da mattina a sera a
zappare, a potare, a mietere; col sole, coll'acqua, col
vento; senza scarpe ai piedi, e senza uno straccio di cappotto; che tutti si
rammentavano di avergli dato dei calci nel di dietro, quelli che ora gli davano
dell'eccellenza, e gli parlavano col berretto in mano. Né per questo
egli era montato in superbia, adesso che tutte le eccellenze del paese erano
suoi debitori; e diceva che eccellenza vuol dire povero diavolo e cattivo
atore; ma egli portava ancora il berretto, soltanto lo portava di seta nera,
era la sua sola grandezza, e da ultimo era anche arrivato a mettere ilcappello di feltro, perché costava meno del berretto di
seta. Della roba ne possedeva fin dove arrivava la vista, ed egli aveva la
vista lunga - dappertutto, a destra e a sinistra, davanti e di dietro, nel
monte e nella pianura. Più di cinquemila bocche, senza contare gli
uccelli del cielo e gli animali della terra, che mangiavano sulla sua terra, e
senza contare la sua bocca la quale mangiava meno di tutte, e si contentava di
due soldi di pane e un pezzo di formaggio, ingozzato in fretta e in furia, all'impiedi, in un cantuccio del magazzino grande come una
chiesa, in mezzo alla polvere del grano, che non ci si vedeva, mentre i
contadini scaricavano i sacchi, o a ridosso di un liaio, quando il vento
spazzava la camna gelata, al tempo del seminare, o colla testa dentro un
corbello, nelle calde giornate della mèsse. Egli non beveva
vino, non fumava, non usava tabacco, e sì che del tabacco ne producevano
i suoi orti lungo il fiume, colle foglie larghe ed alte come un fanciullo, di
quelle che si vendevano a 95 lire. Non aveva il vizio del giuoco, né quello
delle donne. Di donne non aveva mai avuto sulle spalle che sua madre, la quale
gli era costata anche 12 tarì, quando aveva
dovuto farla portare al camposanto.
Era che ci aveva pensato e ripensato tanto
a quel che vuol dire la roba, quando andava senza scarpe a lavorare nella terra
che adesso era sua, ed aveva provato quel che ci vuole a fare i tre tarì della giornata, nel mese di luglio, a star
colla schiena curva 14 ore, col soprastante a cavallo dietro, che vi piglia a
nerbate se fate di rizzarvi un momento. Per questo non aveva lasciato passare
un minuto della sua vita che non fosse stato impiegato a fare della roba; e
adesso i suoi aratri erano numerosi come le lunghe file dei corvi che
arrivavano in novembre; e altre file di muli, che non finivano più,
portavano le sementi; le donne che stavano accoccolate nel fango, da ottobre a
marzo, per raccogliere le sue olive, non si potevano contare, come non si
possono contare le gazze che vengono a rubarle; e al tempo della vendemmia
accorrevano dei villaggi interi alle sue vigne, e fin dove sentivasi
cantare, nella camna, era per la vendemmia di Mazzarò.
Alla mèsse poi i mietitori di Mazzarò
sembravano un esercito di soldati, che per mantenere tutta quella gente, col
biscotto alla mattina e il pane e l'arancia amara a colazione, e la merenda, e
le lasagne alla sera, ci volevano dei denari a manate, e le lasagne si
scodellavano nelle madie larghe come tinozze. Perciò adesso, quando andava
a cavallo dietro la fila dei suoi mietitori, col nerbo in mano, non ne perdeva
d'occhio uno solo, e badava a ripetere: - Curviamoci, ragazzi! - Egli era tutto
l'anno colle mani in tasca a spendere, e per la sola fondiaria il re si
pigliava tanto che a Mazzarò gli veniva la
febbre, ogni volta.
Però ciascun anno tutti quei
magazzini grandi come chiese si riempivano di grano che bisognava scoperchiare
il tetto per farcelo capire tutto; e ogni volta che Mazzarò
vendeva il vino, ci voleva più di un giorno per contare il denaro, tutto
di 12 tarì d'argento, ché lui non ne voleva di
carta sudicia per la sua roba, e andava a comprare la carta sudicia soltanto
quando aveva da are il re, o gli altri; e alle fiere gli armenti di Mazzarò coprivano tutto il campo, e ingombravano le
strade, che ci voleva mezza giornata per lasciarli sfilare, e il santo, colla
banda, alle volte dovevano mutar strada, e cedere il passo.
Tutta quella roba se l'era fatta lui, colle
sue mani e colla sua testa, col non dormire la notte, col prendere la febbre
dal batticuore o dalla malaria, coll'affaticarsi
dall'alba a sera, e andare in giro, sotto il sole e sotto la pioggia, col
logorare i suoi stivali e le sue mule - egli solo non si logorava, pensando
alla sua roba, ch'era tutto quello ch'ei avesse al mondo; perché non aveva né
li, né nipoti, né parenti; non aveva altro che la sua roba. Quando uno
è fatto così, vuol dire che è fatto per la roba.
Ed anche la roba era fatta per lui, che
pareva ci avesse la calamita, perché la roba vuol stare con chi sa tenerla, e
non la sciupa come quel barone che prima era stato il padrone di Mazzarò, e l'aveva raccolto per carità nudo e
crudo ne' suoi campi, ed era stato il padrone di tutti quei prati, e di tutti
quei boschi, e di tutte quelle vigne e tutti quegli armenti, che quando veniva
nelle sue terre a cavallo coi campieri dietro, pareva
il re, e gli preparavano anche l'alloggio e il pranzo, al minchione, sicché
ognuno sapeva l'ora e il momento in cui doveva arrivare, e non si faceva
sorprendere colle mani nel sacco. - Costui vuol essere rubato per forza! -
diceva Mazzarò, e schiattava dalle risa quando
il barone gli dava dei calci nel di dietro, e si fregava la schiena colle mani,
borbottando: - Chi è minchione se ne stia a casa, - la roba non è
di chi l'ha, ma di chi la sa fare -. Invece egli,
dopo che ebbe fatta la sua roba, non mandava certo a dire se veniva a
sorvegliare la messe, o la vendemmia, e quando, e come; ma capitava
all'improvviso, a piedi o a cavallo alla mula, senza campieri,
con un pezzo di pane in tasca; e dormiva accanto ai suoi covoni, cogli occhi
aperti, e lo schioppo fra le gambe.
In tal modo a poco a poco Mazzarò divenne il padrone di tutta la roba del
barone; e costui uscì prima dall'uliveto, e poi dalle vigne, e poi dai
pascoli, e poi dalle fattorie e infine dal suo palazzo istesso,
che non passava giorno che non firmasse delle sectiune bollate, e Mazzarò ci metteva sotto la sua brava croce. Al
barone non era rimasto altro che lo scudo di pietra ch'era prima sul portone,
ed era la sola cosa che non avesse voluto vendere, dicendo a Mazzarò: - Questo solo, di tutta la mia roba, non fa
per te -. Ed era vero; Mazzarò non sapeva che
farsene, e non l'avrebbe ato due baiocchi. Il barone gli dava ancora del tu,
ma non gli dava più calci nel di dietro.
- Questa è una bella cosa, d'avere
la fortuna che ha Mazzarò! - diceva la gente;
e non sapeva quel che ci era voluto ad acchiappare quella fortuna: quanti
pensieri, quante fatiche, quante menzogne, quanti pericoli di andare in galera,
e come quella testa che era un brillante avesse lavorato giorno e notte, meglio
di una macina del mulino, per fare la roba; e se il proprietario di una chiusa
limitrofa si ostinava a non cedergliela, e voleva prendere pel collo Mazzarò, dover trovare uno stratagemma per
costringerlo a vendere, e farcelo cascare, malgrado la diffidenza contadinesca.
Ei gli andava a vantare, per esempio, la fertilità di una tenuta la
quale non produceva nemmeno lupini, e arrivava a fargliela credere una terra
promessa, sinché il povero diavolo si lasciava
indurre a prenderla in affitto, per specularci sopra, e ci perdeva poi il
fitto, la casa e la chiusa, che Mazzarò se
l'acchiappava - per un pezzo di pane. - E quante seccature Mazzarò
doveva sopportare! - I mezzadri che venivano a lagnarsi delle malannate, i debitori che mandavano in processione le loro
donne a strapparsi i capelli e picchiarsi il petto per scongiurarlo di non
metterli in mezzo alla strada, col pigliarsi il mulo o l'asinello, che non avevano
da mangiare.
- Lo vedete quel che mangio io? -
rispondeva lui, - pane e cipolla! e sì che ho i magazzini pieni zeppi, e
sono il padrone di tutta questa roba -. E se gli domandavano un pugno di fave,
di tutta quella roba, ei diceva: - Che, vi pare che l'abbia rubata? Non sapete
quanto costano per seminarle, e zapparle, e raccoglierle? - E se gli
domandavano un soldo rispondeva che non l'aveva.
E non l'aveva davvero. Ché in tasca non
teneva mai 12 tarì, tanti ce ne volevano per
far fruttare tutta quella roba, e il denaro entrava ed usciva come un fiume
dalla sua casa. Del resto a lui non gliene importava del denaro; diceva che non
era roba, e appena metteva insieme una certa somma, comprava subito un pezzo di
terra; perché voleva arrivare ad avere della terra quanta ne ha il re, ed esser
meglio del re, ché il re non può ne venderla, né dire ch'è sua.
Di una cosa sola gli doleva, che
cominciasse a farsi vecchio, e la terra doveva lasciarla là dov'era.
Questa è una ingiustizia di Dio, che dopo di essersi logorata la vita ad
acquistare della roba, quando arrivate ad averla, che ne vorreste ancora,
dovete lasciarla! E stava delle ore seduto sul corbello, col mento nelle mani,
a guardare le sue vigne che gli verdeggiavano sotto gli occhi, e i campi che
ondeggiavano di spighe come un mare, e gli oliveti che velavano la montagna
come una nebbia, e se un ragazzo seminudo gli passava dinanzi, curvo sotto il
peso come un asino stanco, gli lanciava il suo bastone fra le gambe, per
invidia, e borbottava: - Guardate chi ha i giorni lunghi! costui che non ha
niente! -
Sicché quando gli dissero che era tempo di
lasciare la sua roba, per pensare all'anima, uscì nel cortile come un
pazzo, barcollando, e andava ammazzando a colpi di bastone le sue anitre e i
suoi tacchini, e strillava: - Roba mia, vientene con
me! -
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