letteratura |
L'impronta lasciata da Beppe Fenoglio nella narrativa italiana della seconda metà del secolo scorso è grande e insuperabile per le sue straordinarie ine sul tema della Resistenza. Oggi lo scrittore è considerato tra i massimi rappresentanti del Neorealismo ma ebbe la sfortuna di non essere gradito ai critici marxisti per la particolare ironia e singolare distacco con cui rievocò la sua esperienza bellica.
Nato ad Alba il 1° marzo 1922 fu studente di liceo e poi frequentò l'università che non finì per via della guerra. Fu soldato dell'esercito regio e poi dopo l'8 settembre 1943 partigiano attivo; dopo la guerra, tornato ad Alba dove rimarrà per il resto della sua vita, fu impiegato in una ditta vinicola. Nel 1960 si sposò con Luciana Bombardi dalla quale ebbe una lia; nel febbraio 1963 morì in seguito ad una grave malattia.
Beppe Fenoglio non fu mai un letterato di professione ma uno scrittore d'istinto notevolmente influenzato dalla cultura e dalla civiltà inglese, che ammirò, e approfondì soprattutto attraverso la lettura dei maggiori autori inglesi quali Colleridge e Melville: da loro prese spunto per elaborare il suo stile ma anche per il lessico riuscendo a creare un linguaggio realistico ed essenziale. Ebbe un forte senso della dignità e dell'amicizia che probabilmente traeva dal mondo contadino; un mondo che sentiva suo e che voleva rappresentare al di là del paesaggio naturale cogliendone i valori e l'atmosfera: Alba e le Langhe sono, per lui, luoghi più autentici della società urbana. Esse, infatti, non rappresentano un mito irripetibile e lontano da recuperare con la memoria come in Cesare Pavese, ma l'unico mondo in cui si realizzano tutte le dimensioni della vita, anche la guerra. Dallo sconvolgente contatto con la guerra nasce in Fenoglio l'incapacità di comprendere come l'uomo possa risultare tanto spietato all'uomo. Indagando su ciò, scopre che la violenza tra gli uomini non nasce dalla guerra, anche se in essa trova la massima espressione, ma è presente anche nella vita quotidiana. Questa risposta viene dagli episodi, dalle sensazioni e dalle parole che, con fascino ed orrore, va anche inconsciamente registrando e che costituiranno il materiale che, a guerra conclusa, lo scrittore organizzerà nelle sue opere:
I ventitrè giorni della città di Alba
La malora
Primavera di bellezza
Una questione privata
Un giorno di fuoco
Il partigiano Johnny
La a del sabato
"I ventitrè giorni della città di Alba" è una raccolta di 12 racconti ambientati nelle Langhe, alcuni nati dall'esperienza di partigiano dell'autore, gli altri dalla sua attenzione per i problemi della vita contadina e per la situazione sociale su cui la Resistenza era passata senza quasi nulla cambiare. In tutti i racconti la realtà esce senza falsità: il mondo contadino è riportato nella sua difficile condizione di vita, senza cedimenti all'illusione o al sentimento e i racconti, pur ambientati nelle Langhe, non ne colgono un paesaggio naturale ma un paesaggio morale fatto di paure, inquietudine dei giovani, dolore, crudeltà e sdegno contro la violenza in cui i rapporti umani nascono e vivono difficilmente. Anche la guerra partigiana è presentata nelle sue luci e nelle sue ombre: la drammaticità degli eventi, i dubbi di chi decide di farsi partigiano in un clima di sopraffazioni e di violenza, le contraddizioni della guerra civile e le sue implicazioni politiche. Il libro, al momento della sua pubblicazione, sorprende e viene frainteso per la schiettezza antieroica e del suo e tono epico-burlesco e ironico in cui non c'è posto per l'enfasi e la retorica. Nell'opera si riflette la vicenda autobiografica dell'autore e la sua particolare visione della vita intesa come interminabile guerra. Nei suoi racconti, infatti, sotto l'apparenza documentaria, la guerra, la Resistenza, l'amore, la giovinezza e gli affetti domestici sono tutti riportati sotto un segno di violenza.
Il primo racconto è forse il più importante dell'opera e quello che dà il titolo all'opera stessa. In esso viene narrata la presa da parte dei partigiani della città di Alba e la sua successiva perdita dopo soli 23 giorni. L'incipit del racconto è una sintesi molto efficace di ciò che accadde ad Alba: "Alba la presero in 2000 il 10 ottobre e la persero in 200 il 2 novembre 1944.". La narrazione prosegue ricordando gli avvenimenti più importanti che avvennero in quei 23 giorni con particolare attenzione per il tragico epilogo della battaglia finale.
Non appena gli venne garantita l'incolumità dell'esodo, grazie alla mediazione dei preti, il presidio repubblicano incalzato dai partigiani lasciò la città di Alba. Negli otto giorni che seguirono non successe nulla; la mattina del 24 ottobre ci fu invece un primo scontro fra partigiani e repubblicani che volse a netto favore dei primi. Verso la fine di ottobre, dopo alcuni giorni di pioggia che innalzarono il fiume Tanaro, tanto che i partigiani iniziarono ad avere più paura di esso che dei repubblicani, questi ultimi fecero sapere ai partigiani, sempre attraverso la mediazione di un prete, di volere un incontro. Al termine di questo incontro i fascisti non vollero dire che non avevano voglia di riprendersi Alba con la forza e i partigiani non vollero dire che non si sentivano di difenderla a lungo. Da queste reticenze nacque la battaglia di Alba, che durò dall'alba del 2 novembre alle due del pomeriggio stesso, e che ebbe esito sfavorevole per i partigiani. La ina in cui si descrive la prima sfilata dei partigiani entrati nella città di Alba denota con efficacia lo stile antieroico e ironico di cui Fenoglio si servì per parlare della Resistenza in modo quasi dissacrante. Ma non vi è solo l'ironia e il tono epico-burleso in questo primo racconto; ovviamente il tono si fa drammatico quando i partigiani sono costretti ad abbandonare la città di Alba a e ritirarsi sulle colline, inseguiti da un gran numero di fascisti. Eppure anche in queste ine Fenoglio non evita le sue punte umoristiche e grottesche, accanto a quelle pietose e questo a riprova del fatto che la sua non è altro che un'opera di cronaca fedele di quello che è stato o comunque di quello che lui ha vissuto, senza cedere all'enfasi e alla retorica politica.
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