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LA VITA NUOVA, IL CONVIVIO, DE VULGARI ELOQUENTIA, DE MONARCHIA

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LA VITA NUOVA


La vita nuova, la prima vera e propria opera di Dante, fu scritta tra il 1294 e il 1296. I titolo può assumere due diversi significati a seconda del punto di vista: uno inteso come sinonimo di giovinezza, l'altro inteso come cambiamento avuto sia nel dante uomo che nel dante poeta.

La vita nuova è un prosimetro, cioè scritto sia in prosa che in versi. Tutti moduli della vita nuova sono infatti divisi in tre parti fondamentali: la prima in cui si ha un testo in prosa che spiega al lettore l'occasione nella quale dante ha concepito la poesia; la seconda, quella centrale, in cui vi è il testo poetico; la terza in cui vi è il commento del testo poetico, al quale dante da un significato strutturale e tematico. Se consideriamo i testi dunque possiamo vedere l'opera come un piccolo canzoniere, se invece badiamo alla prosa possiamo vederlo come un racconto costruito attorno alle occasioni poetiche via via rievocate.

Tra rime e versi vi è un rapporto dinamico perché mentre le poesie appartengono al periodo in cui si consuma l'amore per Beatrice, la prosa viene scritta invece, in un secondo momento in cui l'autore può dare alle rime un significato che prima non avevano.



Il racconto della vita nuova inizia con il primo incontro fra Dante e Beatrice. A cui ne segue un secondo nove anni dopo che causerà il vero e proprio innamoramento di dante. I due episodi sono descritti con riferimenti sia numerologici che astrologici tra l'età di Beatrice e l'ora dell'incontro. Infatti entrambi si verificano in chiesa, alla nona ora del giorno, il primo all'età di nove anni, il secondo all'età di diciotto, multiplo di tre. Nei moduli seguenti vengono poi descritti gli effetti dell'innamoramento e l'amore per la donna, sempre seguendo i canoni della lirica cortese. Infatti dante aspetta il suo saluto, usa lo stratagemma della donna specchio, che serve a deviare i sospetti del suo amore della donna e che alimenterà. Ciò però gli costerà la negazione del saluto da parte di Beatrice che sarà sdegnata dal comportamento di Dante. Questo farà passare a Dante un nuovo momento della sua educazione sia alla poesia che all'amore. In questo momento si ricollegherà al modello cavalcantiano. Infatti Dante non cerca più il saluto della donna ma gli basta cantarne le lodi. Da questo punto in poi dante descriverà l'amore per Beatrice con questa nuova poetica che però si accomnerà con i segni premonitori della morte della stessa, che Dante però non riesce ancora a capire. Gli ultimi moduli saranno caratterizzati dalla morte prima del padre di Beatrice e poi della stessa donna.

In quest'opera sono presenti diverse tematiche della poesia dantesca infatti ci sono influenze della lirica cortese, in cui l'amore doveva essere tenuto nascosto dalle maldicenze, influenze del mondo sia cavalcantiano che guinizzellesco. Inoltre sono presenti caratteri prevalentemente stilnovistici in cui Beatrice viene paragonata ad una donna angelo, che innalzerebbe non solo dante, ma tutta l'umanità a Dio. In questo sonetto non vi è solo una "gara" tematica e concettuale , ma anche stilistica e formale. Infatti Dante vuole dare al suo sonetto una fluidità e un armonia che lo consacreranno come maggior esponente dello stilnovo.


IL CONVIVIO



Il convivio fu scritto, presumibilmente nei primi anni successivi all'esilio, in cui la speranza di dante di tornare a Firenze sfuma definitivamente.

Il significato del titolo viene spiegato nel primo trattato, e l'acquisire il sapere viene paragonato a un banchetto in cui però si mangia il "pane degli angeli", cioè il sapere scientifico, filosofico e teologico. Dante in quest'opera si fa da mediatore tra coloro che partecipano al banchetto, i letterati, e coloro che ne sono esclusi, per i quali raccoglie le briciole, convinto che la filosofia sia la fonte della felicità terrena per gli uomini.

Quest'opera rappresenta un ambizioso  progetto di espansione e di democratizzazione della cultura di cui dente è ben consapevole. Infatti anche l'uso dell'Italiano in luogo del latino è un fatto da tener conto. Il convivio rappresenta un vera e propria enciclopedia dello scibile medievale .

Esso è costituito da 15 trattati. Il primo a carattere introduttivo, gli altri tenuti come commento d'autore ad altrettante canzoni. Ogni trattato è formato da un commento letterale e da un commento allegorico in cui l'autore spiega il significato filosofico dell'opera. Questa però rimase un opera incompiuta perché scrive solo il primo trattato e il commento a tre canzoni.

Dopo il primo trattato viene descritto il metodo con il quale dante commenta le proprie opere, e si concentra poi sul racconto di come dopo la morte di Beatrice, si sia dedicato allo studio di cicerone ricavando dalla filosofia una vera e propria ragione di vita e paragonando l'amore per essa all'amore per una donna. Nel terzo trattato la lode della donna viene convertita in lode della  filosofia e della felicità che essa apporta. L'ultimo trattato rappresenta un brusco cambiamento nell'opera. Infatti a differenza dei precedenti non è più una canzone d'amore ma una vera è propria canzone dottrinale. Questo modulo, molto più esteso dei precedenti, parla proprio delle origini della nobiltà, una delle più dibattute questioni etico- politiche del tempo, volendo dimostrare che essa è un dono divino.

Questa opera ha molti tratti comuni con la vita nuova specialmente nei primi tre trattati nei quali la struttura è pressoché simile, unica differenza è nel commento nel quale il poeta deve lasciare le tematiche amorose, per quelle filosofiche- conoscitive.




DE VULGARI ELOQUENTIA



Il De Vulgari Eloquentia viene avviato poco dopo l'interruzione del Convivio. Anche quest'opera rimase incompiuta forse per lasciare spazio alla composizione della Commedia.

Già dal titolo si può ben capire la rivoluzionarietà dell'opera. Infatti esso è una sorta di ossimoro, cioè mentre in contrapposizione l'eloquenza, cioè l'arte oratoria propria dei dotti, con il volgare, lingua del popolo. Infatti dante contrapponeva appunto, il latino e il volgare, proprio perché voleva dimostrare che la seconda potesse diventare una lingua eloquente. Non deve stupire l'uso del Latino per la composizione dell'opera perché essa doveva difendere il volgare proprio con l'uso della grammatica e della retorica del tempo, che era stata sempre Latina.

L'opera rappresenta la prima indagine sulla letteratura e sulla lingua italiana, in particolare della lirica duecentesca.

I primi due libri si occupano di questioni ben distinte. Il primo affronta il nodo della lingua italiana. Dante per difendere questa lingua e per considerarla nobile, parte da un quadro molto ampio. Infatti dice che Dio ha creato il linguaggio, però questo a seguito della torre di babele andò perduto, e si originarono tre aree linguistiche: quella greca, quella germanica e quella neolatina. Da quest'ultima si originarono poi tre ceppi linguistici la lingua d'oc (francia meri), la lingua d'oil (francia sett) e la lingua del sì (italia). Dante reputa quest'ultima più nobile, proprio come il de vulgari eloquentia vuole dimostrare, proprio perché più vicina alla grammatica. Poi dante passa a parlare dei volgari, dicendo che nessuno di essi può rappresentare il volgare illustre, cioè degno di parlare dei concetti di significato più alto. In esso dante riconosce ogni parlata locale, quella più vicina e quella meno, ma senza che nessuna di esse primeggi sulle altre. Poi descrive le caratteristiche del volgare illustre che deve essere cardinale, cioè perno fisso attorno a cui ruotino i diversi volgari, aulica cioè la lingua di palazzo, e curiale la lingua usata cioè dalla chiesa. Questo discorso assume nel finire del primo libro una caratteristica politica perché dante vorrebbe oltre ad un unità di linguaggio anche un unità politica. Nel secondo libro dante spiega i rapporti tra volgare e letteratura. Dice che solo i più eccellenti poeti per gli argomenti più nobili. Quindi poi fissati questi aspetti, il libro continua con l'analisi delle più importanti forme poetiche fino alla brusca interruzione.



DE MONARCHIA


Il De Monarchia è un trattato di carattere politico, scritto in latino che si occupa del rapporto esistente tra papato e impero. La sua datazione è incerta, ma qualsiasi essa fosse, l'obiettivo di dante è quello di interrogarsi se l'impero è decisivo per la felicità terrena dell'uomo, se spetti al popolo di roma scegliere l'imperatore, e se l'autorità imperiale divenisse proprio da dio o d un suo intermediario in terra il papa.

Quest'opera è organizzata in tre libri. Il primo libro afferma che la ricerca della felicità terrena, è l'unico scopo della vita dell'uomo. Questa può essere raggiunta solo con la pace e la tranquillità che si può avere solo con l'impero. Il secondo libro fa discendere direttamente il potere imperiale da dio, e quindi il diritto di scegliere l'imperatore spetta al popolo dei romani e non ai principi tedeschi. Stabilendo quindi che l'autorità imperiale non è sottoposta all'autorità ecclesiastica.

Nel terzo libro le due autorità vengono messe sullo stesso piano affermando che l'imperatore è sottomesso al papa in quanto uomo ma non in veste di imperatore. I due poteri collaborano alla realizzazione uno della felicità terrena, l'altro di quella eterna. Però siccome la felicità terrena è nulla senza quella eterna l'imperatore deve rispetto al papa, ma ognuno risponde a dio della propria autorità, quindi al papa spettava il potere religioso e spirituale, mentre all'imperatore quello temporale. Per Dante solo la comprensione dei meccanismi che regolano il creatore alla chiesa e all'impero possono portare a capire la funzione etica sociale e religiosa delle due autorità senza appoggiare una tesi in modo partigiano.





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