letteratura |
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(1867-l936)
Pirandello è lo scrittore italiano del '900 più famoso nel mondo; in numerose lingue dal nome pirandello derivano termini quali "pirandelliano" (per definire un avvenimento paradossale) o "pirandellismo" (che indica un eccessivo cerebralismo), che bastano da soli a sottolineare l'influenza che tale autore ha avuto sulla cultura dello scorso secolo a livello mondiale. La sua formazione culturale, sulla quale influiscono principalmente tre ambienti (quello siciliano, quello tedesco e quello romano), ha avuto numerosi sviluppi: da un iniziale avvicinamento al positivismo si passa ad una coscienza della sua crisi fino all'elaborazione di una propria poetica fondata sul gusto per il paradosso e per la frantumazione espressionista, e sull'umorismo. Diamo ora uno sguardo alla vita di questo autore che oltre ad essere stato il maggiore esponente italiano dell'espressionismo europeo ha contribuito alla formazione di un nuovo tipo di letteratura.
Il nome della villa materna che dette i natali a Luigi Pirandello, "il Caos" (in provincia di Agrigento), contiene un singolare annuncio di quello che sarà uno dei motivi centrali dell'ispirazione dello scrittore, ossia la riflessione sulle contraddizioni e sul disordine della realtà. Pirandello, dunque, nasce al "Caos" il 28 giugno 1867, da un'agiata famiglia di fervente tradizione patriottica. Il padre, che intende impiegarlo come amministratore nell'azienda familiare, lo avvia a studi di indirizzo tecnico, ma il giovane rivela presto una spiccata passione per gli studi umanistici. Per questo passa al ginnasio e poi al liceo di Palermo, per iscriversi infine, nel 1886, sia alla facoltà di lettere che a quella di legge della stessa città. Da qui si trasferisce a Roma, ma per contrasti con un professore conclude gli studi all'università di Bonn, dove approfondisce i suoi interessi filologici (si laurea nel 1891 proprio con una tesi di filologia romanza) rimanendovi in seguito come lettore di italiano per un anno. Ha iniziato frattanto a comporre poesie, la maggior parte delle quali confluiranno nella raccolta Elegie renane, pubblicate nel 1895.
Nel 1893 torna in Italia e si stabilisce a Roma, dove insegnerà lingua e letteratura italiana all'Istituto superiore di magistero dal 1897 al 1922. Nello stesso anno scrive il suo primo romanzo, Marta Ajala, pubblicato solo nel 1901 con il titolo L'esclusa.
Grazie all'amicizia con Luigi Capuana, partecipa intensamente alla vita giornalistica romana, ed entra in contatto con gli ambienti letterari della capitale. Fra l'altro, fonda con Ugo Fleres il giornale letterario "Ariel", attraverso il quale lotta per il rinnovamento dell'arte poetica in una direzione diversa dalle posizioni, in quel momento egemoni, del dannunzianesimo.
Nel 1894, ad Agrigento sposa Maria Antonietta Portulano, dalla quale avrà tre li, Stefano (che diventerà a sua volta romanziere e commediografo con lo pseudonimo di Stefano Landi), Fausto (che sarà un pittore affermato), e infine Lietta. Prosegue la sua attività letteraria, scrivendo saggi critici, novelle, poesie e il romanzo breve Il turno (1902).
Il 1903 è un anno tragico per la famiglia Pirandello: una frana distrugge la zolfara in cui erano stati impiegati i capitali del padre e la dote della moglie, la quale, alla notizia, rimane immobilizzata per sei mesi alle gambe ed inizia a dare segni di paranoia, che si aggraverà con il tempo fino a manifestarsi in una gelosia ossessiva. La malattia di Maria Antonietta, che acuirà in Pirandello la tendenza alla riflessione sul significato dell'esistenza e sulla natura del reale, diventerà materia di ispirazione artistica: fra i temi che più frequentemente ricorrono nella meditazione dello scrittore, ricordiamo in particolare la follia e il concetto della famiglia come istituzione soffocante, che condiziona l'uomo fisicamente e intellettualmente.
La perdita delle rendite della zolfara procura a Pirandello disagi economici tali che è costretto ad integrare lo stipendio profondendo maggiore impegno nell'attività letteraria.
Nel 1904 esce a puntate sulla rivista "Nuova Antologia" Il fu Mattia Pascal, e negli anni che seguono lo scrittore darà alle stampe varie raccolte di novelle, poi riunite sotto il titolo Novelle per un anno, comprendenti 241 testi: un numero abbastanza inferiore rispetto al progetto iniziale che ne prevedeva 365, uno per ogni giorno dell'anno. Pubblica anche saggi critici, tra i quali (nel 1908) il fondamentale L'umorismo, i due romanzi Suo marito (1911) e I vecchi e i giovani (1913); per di più lavora in campo cinematografico come sceneggiatore.
Intanto, prosegue e amplia anche la produzione teatrale, che diventerà ben presto il suo principale impegno. L'esordio era avvenuto nel 1910 con gli atti unici La morsa e Lumíe di Sicilia, in cui, come nei successivi Liolà, 'A giarra (La giara), 'A birritta cu' i ciancianeddi (Il berretto a sonagli, steso prima in siciliano e poi in italiano), l'autore si muove ancora, per ambiente e lingua, in una dimensione regionale. Solo nel 1917, con Così è (se vi pare), inizia la fase più complessa del suo teatro, dalla quale nasceranno i capolavori in lingua. Tra questi vi sono: Ma non è una cosa seria e Il giuoco delle parti, ambedue del 1918; L'uomo, la bestia e la virtú del 1919; Sei personaggi in cerca d'autore (messo in scena al "Teatro Valle" di Roma nel 1921, subisce un clamoroso insuccesso, mentre pochi mesi dopo, al "Manzoni" di Milano, ottiene un altrettanto clamoroso successo). Segue l'Enrico IV, che nel 1922, alla prima rappresentazione milanese, decreta la fortuna internazionale dell'autore.
Nonostante i riconoscimenti come autore, per Pirandello sono anni travagliati: durante la guerra, il lio Stefano viene fatto prigioniero e internato in un campo di concentramento; più tardi, l'aggravarsi della malattia mentale della moglie rende inevitabile il ricovero in una casa di cura.
Pirandello continua a scrivere soprattutto per il teatro, e dal 1923 - abbandonato l'insegnamento - segue la messa in scena delle sue opere in Europa, in America e in Giappone, e riscuote ovunque un enorme successo.
Nel 1924, proprio poco dopo l'assassinio di Giacomo Matteotti, Pirandello chiede la tessera del partito fascista: un gesto al quale il regime darà una vasta eco. L'episodio è stato a lungo discusso, ma ne restano tuttora oscure le motivazioni, non solo perché, pur evitando ogni polemica con il regime, lo scrittore si manterrà sempre estraneo a qualunque forma di proanda o di partecipazione diretta alla vita politica, ma soprattutto se si considera che la sua intera opera, tesa a criticare e a smascherare la falsità delle istituzioni sociali, cozza contro l'ipocrisia e la vuota retorica dell'ideologia fascista.
Nel 1925 Pirandello assume la direzione artistica del "Teatro d'arte di Roma", dove allestirà spettacoli tratti dal suo repertorio e da quello di altri autori moderni e significativi. In tal modo egli approfondisce la sua esperienza di uomo di teatro, tenendo, fra l'altro, corsi di recitazione. Come prima attrice scrittura la giovane Marta Abba, che da quel momento diventa la sua ispiratrice e con la quale avrà un lungo e intenso rapporto affettivo. Nel 1928 scrive Questa sera si recita a soggetto, rappresentata per la prima volta in tedesco a Königsberg nel 1930.
Nel 1934 lo scrittore, che già nel 1929 era entrato a far parte dell'Accademia d'Italia, viene insignito del Premio Nobel per la letteratura, che consacra la sua fama in campo internazionale.
L'amarezza dovuta alla rottura della relazione con Marta Abba, fa sì che Pirandello continui a lavorare senza sosta, non solo curando i suoi interessi teatrali, ma seguendo gli adattamenti cinematografici delle sue opere. Proprio mentre a Cinecittà assiste alla lavorazione di un film tratto da Il fu Mattia Pascal, contrae una polmonite e muore nel dicembre del 1936, lasciando incompiuto l'ultimo lavoro, il dramma I Giganti della Montagna.
Come abbiamo detto, prima di approdare all'umorismo, pirandello subisce svariate influenze culturali. Dal positivismo (quello negativo tipico del verismo) Pirandello desume un sostanziale materialismo e una totale avversione al simbolismo e all'estetismo decadente. Col tempo tale materialismo sarà destinato ad entrare in crisi; Pirandello è conscio di tale crisi che lo porta ad un duplice interesse culturale: per autori che dal seno della stessa corrente filosofica (il positivismo) si stanno aprendo allo studio dei fenomeni psichici (grande influenza viene subita soprattutto da Alfred Binet, il quale in un saggio dal titolo Les alteration de la personalitè, aveva supposto l'esistenza di vari livelli mentali, consci ed inconsci, e quindi di varie personalità all'interno di uno stesso individuo) e per autori totalmente contrari a tale filosofia quali Nietzsche e Schopenauer.
La crisi dei vecchi valori è nata secondo Pirandello dalla scoperta della relatività di ogni cosa; la modernità è un insieme di spinte e controspinte contraddittorie condannate alla relatività del proprio punto di vista: non esiste più una verità assoluta. A questa crisi l'autore risponde con l'elaborazione di una nuova poetica, fondata sull'umorismo, sollecitata dalla lettura di maestri dell'umorismo europeo e di studiosi di psicologia.
L'uomo da sempre vive in una dimensione senza senso all'interno della quale cerca di crearsi una serie di autoinganni ed illusioni che al rendano apparentemente sensata; l'umorismo è la tendenza dell'altro a svelare tale contraddizione e nasce dalla crisi dei valori ottocenteschi che minaccia il concetto stesso di verità. Non si propongono quindi valori ma si mettono in risalto le contraddizioni della vita (irridendole e compatendole allo stesso tempo), il contrasto tra forma e vita, tra persona e personaggio. La forma, che è tutta quella serie di autoinganni creati dall'uomo in base ai propri ideali ed alle leggi civili, blocca la spinta alle pulsioni vitali, cristallizza la vita, cioè quella forza profonda ed oscura che si manifesta solo raramente nella malattia o nei momenti in cui non si è coinvolti nel meccanismo dell'esistenza. Il soggetto, costretto a vivere nella forma, non è più una persona ma una maschera (un personaggio) che recita la parte assegnatagli dalla società (quella di padre, di impiegato . ) e che egli stesso si impone in base ai propri principi morali.
Dal momento che ci si rende conto di tutto questo si diventa maschere nude, consci di tale contraddizione, ma completamente impotenti di fronte ad essa: più che vivere ci si guarda vivere compatendo non solo gli altri ma anche se stessi. È proprio questo amaro distacco dalla vita che contraddistingue l'umorismo dalla comicità: quest'ultima nasce da un semplice "avvertimento del contrario" (l'avvertimento che una situazione risulta contraria a come dovrebbe essere) che provoca il riso; l'umorismo nasce invece da un "sentimento del contrario", ovvero una riflessione sulle cause per le quali tale situazione risulta ribaltata, che provoca, dopo l'istintiva risata, un amaro sentimento di pietà.
mentre nell'arte tradizionale, dominava una compostezza e un'armonia della composizione, l'umorismo predilige il deforme, il grottesco, il ridicolo e ama la discordanza e la contraddizione.
Dalla consapevolezza dell'insensatezza di una vita senza inizio e senza fine, deriva la propensione a strutture aperte e in concluse.
L'umorismo pirandelliano rifiuta il linguaggio sublime dell'arte classica, romantica e decadente, prediligendo un linguaggio più discorsivo e quotidiano, più adatto a rappresentare non una verità, ma le storture di un esistenza insensata.
Il soggetto viene sbattuto giù dal trono, poiché l'anima cessa di essere il luogo dell' identità, diventando luogo addirittura di più personalità diverse.
Poiché l'esistenza è insensata, al soggetto che percepisce tale contraddizione e "si guarda vivere" impotente (come abbiamo gia detto), rimane come unica arma una riflessione, uno sfrenato cerebralismo, riguardo tale insensatezza. L'arte pirandelliana predilige dunque il momento riflessivo.
La concezione dell'arte, non come creazione naturale e spontanea, ma come artificio e creazione, fanno dell'arte di Pirandello un esempio di letteratura allegorica, avvicinabile all'espressionismo di Kafka.
LE OPERE
Novelle per un anno
Pirandello pensava di riunire tutti i suoi racconti sotto di una raccolta dal titolo, Novelle per un anno, che doveva contenere circa 360 novelle (circa una al giorno); in realtà alla morte dello scrittore la raccolta conteneva solo 225 racconti (che anche se non erano l'obbiettivo dell'autore, sono veramente una produzione immensa). La struttura dell'opera è abbastanza enigmatica: le novelle non sono raccolte ne in ordine cronologiche, tantomeno in ordine tematico. Si avverte gia una contraddizione (d'altronde tutta la poetica pirandelliana si basa sulle contraddizioni): all'apparente rigore logico suggerito dal titolo (novelle per un anno: una novella al giorno), si contrappone l'illogicità del raggruppamento delle novelle; è un'allegoria: quest'aspetto corrisponde all'apparente logicità della vita, che si rivela invece priva di alcun senso e dominata dalla dissipazione e dal caos. L'opera insomma è segnata dal caos. Il tempo stesso (tema suggerito dallo stesso titolo) viene vissuto come dissipazione e caos. Ad eccezione di alcune novelle, quasi tutte hanno un linguaggio basso e discorsivo, coerente col progetto di desublimare la vita.
L'opera è uno dei risultati più alti della narrativa italiana dopo l'unità, e va considerata quale capolavoro della novellistica italiana di tutti i tempi.
Il fu Mattia Pascal
Nel terzo romanzo di Pirandello, viene maturata la riflessione sull'uomo e sulla vita, articolandola in una struttura più complessa e ricca di significati. La storia, come sempre paradossale, ha per protagonista Mattia Pascal, bibliotecario nel paesetto di Miragno, in Liguria. Oppresso da un matrimonio infelice e da una suocera che lo maltratta; dopo un ennesimo litigio familiare Mattia fugge da casa con pochi soldi in tasca, ma la sorte lo porta a Montecarlo, dove vince un'ingente somma di denaro al Casinò. Decide allora di tornare al suo paese per ostentare l'inaspettata fortuna di fronte alla moglie e alla suocera; ma mentre è in viaggio, gli capita di leggere su un giornale la straordinaria notizia della propria morte. Così, all'improvviso, egli concepisce l'idea di sparire per sempre e di ricominciare a vivere sotto una nuova identità. Sceglie un nome diverso, Adriano Meis, e si stabilisce a Roma, in una pensione tenuta dal signor Paleari e dalla lia di lui, Adriana, della quale si innamora. Ben presto, però, Mattia si accorge che gli è impossibile condurre una nuova vita come Meis: non ha documenti che comprovino la sua esistenza, non può quindi trovare un lavoro, né sposarsi con Adriana, né denunciare un furto del quale è rimasto vittima. Finge dunque il suicidio per rinascere come Mattia Pascal. Torna al paese, e qui scopre che la moglie si è risposata. Sebbene legalmente egli abbia la possibilità di far annullare il secondo matrimonio, si rende conto di non poter distruggere quella nuova famiglia. Così, il "fu" Mattia Pascal si rassegna a vivere con una vecchia zia, trascorrendo gran parte del tempo in biblioteca in comnia del curato, con l'aiuto del quale scrive questa sua incredibile vicenda dietro la promessa che ne manterrà il segreto come in confessione. Il manoscritto, poi, lo lascerà alla biblioteca, con l'obbligo che nessuno lo apra se non dopo cinquant'anni dalla sua "terza, ultima e definitiva morte".
Per vari motivi, Il fu Mattia Pascal (pubblicato nel 1904) può essere considerato una premessa fondamentale a tutta la prosa italiana del Novecento, il capostipite del cosiddetto antiromanzo, ossia di quella forma narrativa che non deve rispettare un ordine logico e una struttura sequenziale, come era invece tenuto a fare il romanzo naturalista.
L'autore usa tecniche narrative analoghe a quelle che saranno impiegate da Svevo nella Coscienza di Zeno (1923): non narra una storia oggettiva, ordinata secondo una linea cronologica, ma segue il libero associarsi delle idee, proprio dell'immaginazione.
Il racconto è condotto dal punto di vista del "personaggio", e l'intreccio è basato sull'intervento continuo di colui che sta narrando in prima persona le vicende delle quali è già stato protagonista. L'enunciazione si organizza sotto forma di un flusso di eventi e di pensieri spesso privi di connessioni cronologiche e disposti secondo un procedere casuale. Il racconto comincia quando la vicenda è conclusa, per procedere "all'indietro", con una serie di anticipazioni e di recuperi temporali, analoghi ai flashback cinematografici, attraverso i quali il soggetto narrante rivive il passato e compie l'analisi di sé in una visione "obliqua", estraniata, segnalata metaforicamente anche da un suo occhio "sbalestrato" (strabico).
Il romanzo si articola in una struttura circolare costituita da 18 moduli, che sono suddivisi, grosso modo, in quattro momenti speculari: comincia infatti con la presunta ssa di Mattia Pascal, cui segue la nascita di Adriano Meis; il terzo momento è la fittizia morte di Meis, il quarto la rinascita di Mattia. La costruzione circolare e la struttura simmetrica del testo contribuiscono a sottolineare l'idea-base del romanzo, ossia che la condizione dell'esistenza è, di fatto, immutabile.
Mattia Pascal è un tipico uomo del Novecento, privo di certezze, la cui esistenza è in gran parte affidata all'imprevedibile intervento del caso. I rapporti con la suocera, la vincita al gioco, l'equivoco della morte, che determinano la nascita dell'"alter ego" e il tentativo di crearsi una nuova vita come Adriano Meis, sono altrettanti momenti in cui viene affermata la prevaricazione della sorte sulla libertà di scelta e di decisione di Mattia. Egli è insomma un io privo di identità: perduta la consistenza anagrafica, è senza più essere; quando la ritrova è, ma ancora una volta solo come fu. Mattia Pascal incarna il classico "personaggio-ombra" pirandelliano, titolare di una vita "vista vivere" e, quindi, ridotta a pura apparenza.
Il carattere del personaggio è coerente all'idea che Pirandello ha dell'uomo; infatti, Mattia è un inetto che ha avuto una serie di occasioni, ma le ha sfruttate solo in apparenza. Liberato dalla famiglia, dalla società, dalla storia, poteva cercare una identità autentica e tentare una sfida radicale contro il mondo; al contrario, riesce solo a reincarnarsi, ma non a trasformarsi. Secondo Pirandello, infatti, l'uomo appare, ma non è; uscendo da sé, Mattia può solo essere la maschera, il fantasma di sé. Egli è votato alla sconfitta e non può diventare eroe positivo. Questo personaggio scisso è cosciente della sua estraneità, del suo essere "inventato", per questo non può vivere, ma solo narrare di se stesso, del suo io destituito di identità.
Il lessico è grigio, pacato, volutamente privo di rilievo drammatico, ma è reso particolarmente espressivo da improvvise coloriture dialettali, neologismi o termini ormai desueti. La lingua mescola abilmente vari registri, facendosi di volta in volta comica o patetica, ironica o drammatica.
Allo stesso modo, l'andamento sintattico è sinuoso, spezzato, e alterna un periodare freddo, analitico ad uno istintivo, immediato, che risponde agli impulsi, ai sentimenti, alle passioni che ispirano il personaggio di momento in momento. Il tono, a volte è discorsivo, a volte paradossale. L'immediatezza del pensiero e la spontaneità del parlato sono rese attraverso l'uso costante del presente, al cui interno, però, convivono e si nascondono tre diversi livelli temporali: quello corrispondente al momento in cui il testo è stato scritto, quello vissuto dall'autore e infine quello vissuto dal personaggio.
Uno, Nessuno e Centomila
Uno, nessuno e centomila, pubblicato a puntate sulla "Fiera letteraria" nel 1925-l926 e sempre nel 1926 in volume, è, secondo le parole dello stesso Pirandello, "il romanzo della scomposizione della personalità". L'autore vi porta alle estreme conseguenze il suo discorso sull'"essere" e sull'"apparire", e sulla "maschera" che l'uomo è costretto a portare per continuare a vivere.
Il protagonista, Vitangelo Moscarda, detto Gengè, si accorge, quando la moglie glielo fa notare, di avere il naso un po' storto. L'osservazione, in sé banale, lo mette in crisi, poiché all'improvviso egli si rende conto di non avere l'aspetto univoco che ha sempre creduto, ma quello che ognuno vede in lui; in altre parole, di non essere "uno" ma "centomila", e quindi "nessuno". Ha inizio così una sua lucida follia, che lo spinge a compiere azioni imprevedibili e, secondo il punto di vista comune, del tutto prive di logica, come quella di sfrattare un inquilino per poi regalargli la casa, o di chiudere la banca che dirige. La moglie, ben presto stanca, lo lascia; il paese lo commisera come pazzo. Gengè si riduce a stare in un ospizio, rifiutando il suo nome e la sua soggettività per vivere esperienze mai provate in un'esistenza completamente nuova. Immedesimandosi nella natura, egli scopre di volta in volta le sensazioni diverse che gli offre il contatto con il mondo degli animali e delle cose, e può vivere rinnovandosi giorno dopo giorno, senza avere né un passato né un futuro.
Uno, nessuno e centomila contiene e riassume in sé tutti i motivi fondamentali dell'"esistenzialismo" pirandelliano, dall'intervento iniziale del caso, che determina lo sviluppo al tempo stesso ironico e tragico della vicenda, all'insistenza sul dramma dell'individuo che si rende conto della sua inconsistenza e di essere ridotto a una semplice "maschera" nel continuo "gioco delle parti" in cui consiste la nostra illusoria esistenza. Ma la perdita di identità e la tragedia della continua scomposizione della propria vita, quel "vedersi vivere" che ricorre in tutti i personaggi pirandelliani, giunge in questo romanzo a soluzioni nuove: il protagonista di Uno, nessuno e centomila trova, in fondo, una possibilità di salvezza abbandonando le regole e gli obblighi dettati dalla ragione e rifugiandosi in una dimensione puramente sensoriale, di istintiva identificazione con le forze della natura.
Il teatro
Maschere nude è il titolo che Pirandello attribuì alla raccolta delle sue opere teatrali: un titolo che vuol ricordare come l'uomo sia costretto ad indossare una "maschera"che lo immobilizza in un ruolo, in una parte, e che proprio mentre sembra garantire uno spessore oggettivo all'esistenza, la rende invece falsa e fittizia. L'uomo però, a prezzo di un'acuta sofferenza, riesce talvolta a strapparsi la "maschera" facendo emergere la sua nudità, e scatenando la tragedia dell'alienazione, dell'incomunicabilità e della solitudine, che caratterizzano la condizione umana. Vediamo più approfonditamente uno dei suoi capolavori teatrali, facenti parte della linea del "teatro nel teatro"
Sei personaggi in cerca d'autore
Il dramma, in tre atti, fu rappresentato la prima volta nel 1921 al "Teatro Valle" di Roma: al calare della tela il tumulto del pubblico, costante durante tutta la rappresentazione, divenne ira, tanto che l'autore dovette essere scortato. Pochi mesi dopo, invece, ottenne un clamoroso successo al "Teatro Manzoni" di Milano.
Una comnia teatrale sta provando Il giuoco delle parti di Pirandello quando sul palcoscenico si presentano sei "personaggi": il Padre, la Madre, il lio, la liastra, il Giovinetto e la Bambina. Essi dichiarano che l'autore, dopo averli creati nella sua fantasia, non ha voluto o potuto stendere il testo in cui avrebbe dovuto farli agire. Pure, essi si sentono vivi, e perciò chiedono al capocomico di mettere in scena la loro storia, che essi raccontano in modo disorganico, interrompendosi continuamente a vicenda.
Il Padre, che ha avuto il lio dalla Madre, ha lasciato che questa, innamoratasi del suo segretario, andasse a vivere con lui, avendone altri tre li: la liastra, il Giovinetto e la Bambina. Dopo molti anni, il Padre per caso ha incontrato la liastra in una casa d'appuntamenti, dove è costretta a prostituirsi da quando le è morto il padre naturale, e solo l'intervento della Madre ha evitato che si consumasse un rapporto dalle connotazioni incestuose. Il Padre, pentito e addolorato, ha accolto in casa propria la Moglie e i li non suoi, creando una situazione difficilissima: il lio si è chiuso in se stesso, mentre la liastra gli continua a dimostrare un'aperta ostilità. Il capocomico, colpito dalla vicenda, accetta di metterla in scena, a patto che siano i suoi attori a recitare. Iniziano dunque le prove, ma vengono di continuo interrotte dalle obiezioni e proteste dei "personaggi", che non si riconoscono nell'interpretazione degli attori, ed insistono perché siano essi stessi a recitare, in quanto il dramma, anziché "rappresentato", sarebbe "vissuto" direttamente: solo loro possono vivere la propria vita. Alla fine il capocomico si lascia convincere, e durante una ennesima lite tra il Padre, la Madre, il lio e la liastra, la Bambina cade in una vasca da giardino e muore. Il Giovinetto, che non si è mosso per salvarla, si uccide con una pistola. Né il capocomico né gli attori sanno più se quanto è accaduto sia realtà o finzione. Oppresso come da un incubo, il capocomico fa accendere le luci in sala, e finalmente la tensione si scioglie. Restano sulla scena le ombre del lio, della Madre e del Padre, mentre risuona la stridula risata della liastra.
Molta della produzione di Pirandello potrebbe essere definita "metaletteraria", poiché si risolve in una continua riflessione su se stessa e sui meccanismi della letteratura in generale. L'apice di tale riflessione, tuttavia, è rappresentato proprio da questo dramma, con cui Pirandello dà inizio al suo progetto di "teatro nel teatro", che costituisce una delle maggiori novità del suo modo di intendere questo genere letterario. Infatti egli distrugge la costruzione scenica tradizionale, abolisce la suddivisione in atti e scene, e trasforma lo spazio teatrale in un luogo di confronto tra varie interpretazioni della realtà. Per questo egli colloca la vicenda dei suoi "personaggi" all'interno di una prova teatrale, e rappresenta non un'azione già scritta, ma una storia che si costruisce a poco a poco. I protagonisti sono da un lato coloro che dovrebbero dare concretezza ai "personaggi": gli attori; dall'altro i "personaggi", che proprio perché tali possono vivere nell'eternità dell'arte, ma l'autore ha rifiutato di fissare sulle ine la loro storia.
L'opera porta alle conseguenze più radicali le concezioni di Pirandello intorno all'idea che l'arte non può interpretare la vita, e che esiste una scissione tra la vita e la forma, tra l'autenticità della persona e la "maschera" che la società le impone. D'altro canto, nei Sei personaggi in cerca d'autore il drammaturgo siciliano sviluppa anche la sua idea dissacrante dell'arte, applicando con il massimo rigore la poetica dell'umorismo, che scompone la personalità umana e le toglie la maschera, mettendo a nudo la fragilità che essa nasconde.
Il teatro nel teatro
Si chiama teatro nel teatro una particolare tecnica teatrale usata da Pirandello in tre sue opere (sei personaggi in cerca d'autore, ciascuno a suo modo, stasera si recita a soggetto) in cui durante la recita si mette in scena un'altra recita; gli attori si trasformano in spettatori e diventa molto difficile distinguere la finzione dalla realtà: spesso infatti i personaggi che incarneranno la seconda messa in scena, sono finti spettatori seduti in pletea, platea che si alzano ad un certo punto della recita facendo irruzione sul palcoscenico; l'effetto è, oltre naturalmente a quello di stupore da parte del pubblico, quello di avvicinare finzione e realtà.
Questa doppia rappresentazione, rivela in Pirandello la compresenza di teatro (finzione scenica) e metateatro (discussione su tale finzione) nelle sue rappresentazioni.
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