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La letteratura religiosa, La poesia lirica dai Provenzali ai Siculo-toscani, Il "Dolce stil novo"

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La letteratura religiosa


Il poemetto narrativo e didattico: questo componimento è in volgare e si lega allo sviluppo dei Comuni dell'area lobardo-veneta. Può contenere delle "dispute" o discussioni sul modello di quelle delle filosofia scolastica (es. fra l'anima e il corpo); oppure visioni dell'oltretomba che devono terrorizzare i peccatori e incoraggiare i credenti sulla via del bene. Il pubblico del poemetto è quello urbano del Comune, con particolare riferimento ai ceti mercantili e artigianali. I suoi maggiori esponenti sono: Giacomino da Verona(frate francescano)e Bonvesin  da la Riva.

La Lauda: prende il nome dalla parola latina laus, cioè "lode": si tratta infatti di lodi alla Madonna, a  Cristo e ai Santi. All'inizio le laudi erano litanie o lamentazioni cantate dai contadini durante le processioni di quell'anno ( di questo tipo è il cantico delle creature di San Francesco, del 1226 circa), poi si assiste all'evoluzione verso la struttura della canzone a ballo (o ballata).La lauda raggiunse il massimo della sua diffusione orale nell'anno 1260, dopo quest'anno tende a fissarsi nella forma scritta e nella struttura della ballata; fino a trasformarsi in una struttura drammatica, che sfocerà nel dramma sacro e poi, nel quattrocento, nella rappresentazione vera e propria. Il pubblico della lauda, un genere che presuppone la partecipazione collettiva, è un pubblico più popolare e di massa, che si estende anche alle camne e al mondo contadino. Principale esponente di questo genere fu Francesco d'Assisi e Jacopone da Todi.




La poesia lirica dai Provenzali ai Siculo-toscani


Nascita della lirica. Una poesia di corte: l'eredità provenzale. La vita letteraria provenzale fiorisce a cavallo fra XI e XII secolo in Francia, nazione che politicamente era molto unita ma linguisticamente era divisa in lingua d'oil, (nel Nord della Francia, dove si coltivò soprattutto l'epica e la narrativa) e in lingua d'oc, (nel Sud della Francia, in particolare in Provenza, dove fiorì appunto la lirica).Centro della letteratura provenzale è la corte, un'istituzione politica e sociale feudale. In essa ha sede il signore, che ha giurato fedeltà come vassallo al suo re; con lui sono i suoi cavalieri, le donne di palazzo, alcuni religiosi e altri sottoposti. La letteratura delle corti è una letteratura non solo laica, cioè staccata dal controllo della Chiesa, ma apertamente profana. Al suo centro c'è l'amore, inteso come espressione e fonte di cortesia. E' in particolare Andrea Cappellano a fissarne i tratti principali nel De Amore dove il rapporto fra l'innamorato e la donna ricalca quello fra il vassallo e il suo signore e l'amore è un espressione di gentilezza. La lirica provenzale è infatti prodotta non tanto dai grandi feudatari e signori,  quanto dalla piccola nobiltà dei cavalieri poveri o addirittura dai menestrelli. Il poeta provenzale è il *trovatore, cioè colui che inventa dei tropi o melodie. Per questo la lirica è detta trobadorica, in cui la *canzone è la sua forma principale. Si affermano però anche altri generi: per esempio la *pastorella, in cui il poeta-cavaliere incontra una donna del popolo e il *sirventese, di argomento politico. Per quanto riguarda lo stile, si afferma una doppia strada: da una parte sta il trobar clus, cioè il poetare chiuso o difficile, arricchito da un virtuosismo tecnico che sarà ammirato da Dante e da Petrarca; dall'altra parte il trobar leu o poetare lieve, più semplice e disteso. Fra i numerosissimi trovatori il primo fu Guglielmo D'Aquitania.

La Scuola Siciliana: il tempo, i luoghi, le ure sociali. E' naturale che la poesia lirica nascesse in Italia alla corte di Federico II da Svevia. Egli infatti favorì lo sviluppo di forme liriche in volgare ispirate alla tradizione dei trovatori provenzali. Proprio in Sicilia sotto la corte di Federico nacque la Scuola siciliana, ovvero quel gruppo di circa 25 poeti attivi per circa un ventennio. Rispetto al modello provenzale, cambia anzitutto la ura del poeta. Questi non è più un professionista (es. cavaliere povero, piccola nobiltà) ma, quasi sempre, un borghese che esercita funzioni giuridiche e amministrative a corte (spesso un giudice, un notaio), che si dedica alla poesia solo per diletto. Forse per questa ragione il poeta siciliano non è anche musicista, a differenza di quello provenzale; dunque le poesie non sono accomnate dalla musica né destinate alla recitazione e al canto, bensì solo alla lettura. La poesia siciliana dal punto di vista tematico è assai più astratta e rarefatta di quella provenzale. La ura della donna è meno delineata, mentre spesso il centro lirico è costituito da una riflessione sulla natura e sugli effetti dell'amore.

Le strutture metriche e la lingua; come si forma il canone lirico. Le strutture metriche della lirica italiana vengono ridotte a tre principali: la *canzone, la *canzonetta e il *sonetto, che è una vera e propria invenzione siciliana. Dalla canso provenzale deriva la canzone, che diventa la forma più elevata e illustre di poesia lirica. Questa è formata da un numero variabile di stanze (in genere tra 5 e 7) uguali tra loro per numero di versi, per disposizione dei tipi di verso (endecasillabi alternati spesso a settenari) e per schema di rime. Le stanze sono formate dalla fronte (che può essere divisa o meno in piedi) e dalla sirma, collegate tra loro dalla chiave. La canzone si conclude di solito con un congedo. La canzonetta ha una struttura narrativa e dialogica e dunque si presta ad argomenti meno nobili e elevati. Ha un andamento ritmico più semplice e spontaneo. Il sonetto è stato usato per la prima volta da caposcuola dei Siciliani, Giacomo Lentini. Questo è composto da 14 endecasillabi divisi in 4 strofe, 2 quartine e 2 terzine; e tratta argomenti diversi, prevalentemente, presso i Siciliani, discorsivi, teorici, filosofici e morali.

I rimatori Siculo-toscani e Guittone d'Arezzo un esempio di poesia civile. I rapporti culturali e politici fra i funzionari di Federico II e i Comuni dell'Italia centrosettentrionale fanno sì, che la poesia siciliana, si diffonde in Toscana. La denominazione di Siculo-toscani vuole indicare sia la dipendenza dei rimatori toscani dalla Scuola Siciliana, sia l'apporto nuovo, "toscano", che essi introducono nel genere lirico. I nuovi rimatori riprendono sì la canzone e il sonetto elaborati dai Siciliani e la loro tematica amorosa, ma sperimentano anche altre forme metriche, come la ballata, e danno ampio spazio alla canzone politica, sul modello del sirventese provenzale, che era sempre rimasta estranea all'esperienza poetica della corte di Federico II. La nuova poesia riflette infatti il clima civile delle lotte politiche fra le varie città e fra i vari partiti della società comunale: gli autori non sono più funzionari, ma cittadini, quasi sempre di estrazione borghese, che partecipano in prima persona all'attività politica e cercano di influenzarla anche con i loro componimenti poetici. Anche la lingua non è più il volgare siciliano ma il toscano. Tra i rimatori siculo-toscani, un ruolo di primo piano spetta a Bonagiunta Orbicciani da Lucca e soprattutto da Guittone d'Arezzo.


Il "Dolce stil novo"


Il "Dolce stil novo": le ragioni di questa denominazione e la poetica; i luoghi, il tempo, gli autori. "Dolce stil novo" è la denominazione con cui Dante nella Commedia definisce una nuova poetica letteraria che si affermò a Firenze nel periodo 1280-l310. I suoi maggiori rappresentanti furono Guido Cavalcanti, Dante stesso e altri poeti fiorentini. Ne fu precursore e iniziatore, però, un bolognese, Guido Guinizzelli. La nuova tendenza si è imposta a Firenze che comincia ad affermare la propria egemonia su tutta la Toscana, divenendo poi, all'inizio del nuovo secolo, una delle città più popolose e più ricche d'Europa. Sul piano tematico del "dolce stil novo" va sottolineata l'assoluta fedeltà all'ispirazione d'Amore. La nuova poetica si distingue per due questioni diverse: la prima implica una problematica teorica e filosofica (che cosa è l'amore), la seconda una scientifica e psicologica (come si manifesta l'amore). Per gli stilnovisti l'amore non è più un semplice corteggiamento, ma diventa elevazione spirituale, adorazione di una donna che può assumere i tratti di un angelo, e cioè di una creatura intermediaria fra terra e cielo, fra il mondo profano e quello divino. La ura della donna-angelo cessa di essere una semplice metafora, come era presso i Provenzali e i Siciliani, e tende a divenire una possibilità effettiva di mediazione fra il poeta e Dio e dunque di salvezza spirituale. L'amore innalza e nobilita l'uomo e quindi lo avvicina al divino. In pratica, poi, ciò significa che non si fa più distinzione fra amore, poesia ed elevazione spirituale e religiosa: si tratta di 3 aspetti fortemente intrecciati di un unico valore, considerato assoluto e supremo. Essere "gentili" di cuore (come scrive Guinizzelli) comporta una tendenza all'elevazione spirituale che si realizza contemporaneamente nella poesia, nell'amore, nella spiritualità religiosa. La città, insomma, diventa il nuovo scenario di un corteggiamento il cui fine non è più l'elevazione sociale, come era per i poeti provenzali, ma una elevazione spirituale e religiosa.






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