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La mandgragola
Niccolo' machiavelli
La Mandragola è la più straordinaria commedia nel Rinascimento, scritta intorno al 1518. Si tratta dell'opera di maggior spicco del teatro comico cinquecentesco. Machiavelli utilizza sia la prosa sia la poesia, in quanto i dialoghi fra i vari personaggi si sviluppano in cinque canzoni. Il linguaggio che utilizza è quotidiano-medio, ed è comprensibile ad un pubblico contemporaneo medio-colto; questo si può capire se si analizza "la questione della lingua", sviluppatasi nei primi decenni del cinquecento. Abbiamo tre posizioni fondamentali: quella di Bembo, che nelle "prose della volgar lingua" propone una lingua basata sul modello petrarchesco nella poesia e su quello boccacciano nella prosa; quella dei fautori di una lingua comune o "cortigiana" che prenda a modello la lingua in uso nelle corti italiane, cioè una lingua "mista" anche se su una base di toscano: questa è la tesi di Baldassar Castiglione; quella di Niccolò Machiavelli ("discorso sulla lingua", 1515) e di altri intellettuali fiorentini che propongono l'uso del volgare fiorentino contemporaneo. Ed è proprio grazie a questa ultima tesi che si può affermare che il linguaggio usato nella mandragola è comprensibile a un pubblico contemporaneo medio-colto. Si può notare anche la presenza di frasi in latino, utilizzate da Callimaco e da Nicia, e di proverbi e modi di dire del fiorentino, usati però solamente da Nicia.
Nell'opera prevalgono gli spazi interni su quelli esterni, la parte della città che è privilegiata è il centro, e ci sono spazi dotati di valore simbolico, come il bagno, l'esterno in generale e le case; questo accade perché sono tutti luoghi dove si prepara o dove avviene l'inganno. Per stabilire se è rispettata l'unità di luogo aristotelico, bisogna prendere in considerazione il luogo inteso come tutta la città e il luogo inteso come case dove si svolgono le vicende: nel primo caso l'unità di luogo è rispettata, in quanto la città non cambia; nel secondo caso l'unità non è rispettata, in quanto sono diverse le case in cui si sviluppa l'azione.
Tutta la vicenda dura un giorno, quindi l'unità di tempo aristotelica è rispettata. Prevalgono le azione di giorno, dove i personaggi progettano l'inganno; però sono presenti alcune azione notturne, nelle quali l'inganno stesso si attua. Per questo le vicende assumono significati diversi a seconda del momento in cui si svolgono.
In questa commedia, i personaggi giocano un ruolo molto importante per lo sviluppo delle vicende. L'unico personaggio di cui si ha una descrizione fisica è Callimaco; al contrario, le caratteristiche della condizione psicologica e della posizione sociale ed economica sono note di tutti i personaggi. I protagonisti di questa commedia sono:
- Callimaco: Machiavelli lo presenta nel prologo come un "amante meschino".
Poi già nella I scena è lui che si presenta. è nato a Firenze, ma essendo morti i genitori, viene mandato a Parigi dai tutori a dieci anni ("avevo dieci anni quando da e mia tutori, sendo mio padre e mia madre morti, io fui mandato a Parigi, dove io sono stato venti anni"). Vi resta per vent'anni, non solo perché vi vive con una "felicità grandissima", ma anche per motivi di sicurezza. Infatti in quel periodo "cominciorno . le guerre d'Italia" e Callimaco giudica di "potere in quel luogo vivere più sicuro che qui" (Firenze). A Parigi si dedica "alli studii, parte a' piaceri e parte alle faccende" e vivendo "quietissimamente" gli pare "d'essere grato a' borghesi, a' gentiluomini, al forestiro, al terrazzano, al povero, al ricco" (riflette la condizione di Machiavelli: è gradito a tutti). Si innamora per sentito dire di Lucrezia e decide di tornare in Italia. Qui si rivolge ad un parassita affinché questi lo aiuti a realizzare il suo desiderio.
È preda della sua passione, ma è anche intelligente e dunque conosce il suo stato ("Meglio morire che vivere così. Se io potessi dormire la notte, se io potessi conversare . "). Ha timore che Ligurio lo inganni, o che non riesca ad aiutarlo. Anche perché è convinto di avere ben poche possibilità e soltanto "la voglia e il desiderio che l'uomo ha di condurre la cosa" lo fa ancora sperare. Ma anche durante l'attuazione dell'inganno ha sempre paura che qualcosa possa andare storto (atto IV "in quanta angustia sono io stato e sto!"). E quando alla fine è quasi certo che tutto vada a buon fine quasi non ci crede, si ritiene indegno di così tanta fortuna ("per quali meriti io debba avere così tanti beni?"). è preda di una passione che non riesce a governare e che lo travolge moralmente ("se io potessi conversare . ") e fisicamente ("le viscere si commuovono . "). È continuamente in preda a sentimenti contrapposti come la speranza e il timore, la felicità e la disperazione .
Da una parte ha paura che ottenuto ciò che desidera, ciò si riveli deludente rispetto al desiderio ("non sai tu quanto poco bene si trova nelle cose che l'uomo desidera, rispetto a quelle che l'uomo ha presupposto trovarvi"), dall'altra l'ottenerlo lo considera una fortuna troppo grande per lui. È un personaggio che porta pregio e onor di gentilezza, ed è un amante meschino (Prologo). È molto astuto (Lucrezia, ma non è molto obiettiva, in quanto non sa che dietro l'inganno c'è Ligurio).
Nicia: Machiavelli lo presenta nel prologo come "un dottore poco astuto". Nella I scena ci viene descritto da Callimaco, ma è solo nella II scena che e di persona. È "ricchissimo", "non è giovane . ma non al tutto vecchio" e si lascia governare dalla moglie (Lucrezia), molto bella e savia. Ma nonostante tutto a un certo punto, ripensando al fatto di non avere avuto li, quasi rimpiange d'averla sposata ("s'io credevo non avere liuoli, io arei preso più tosto per moglie una contadina"). Vuole far sembrare ciò che non è (è molto sicuro di sé e alla sola insinuazione che sia lui impotente subito si definisce: "el più ferrigno e il più rubizzo uomo in Firenze"):
Fa il dottore, ma nonostante "'mparò in sul Boezio legge assai", "è el più semplice e el più sciocco omo di Firenze" (quando gli viene presentato Callimaco nelle vesti di dottore gli parla in latino per testare la sua scienza "Bona dies, domine magister". Anche se poi di fronte alla superiore sapienza di questi lui stesso si considera inferiore "ho cacato le curatelle per imparare due hac").
Utilizza un linguaggio che vuole apparire sofisticato, ma in realtà riprende proverbi e modi
di dire del fiorentino ("non sanno quello
che si pescono").
Non si allontana volentieri da Firenze ("non ci vo' di buone gambe"), ma si vanta di aver viaggiato moltissimo da giovane ("quando io era più giovane io son stato molto randagio"), anche se in realtà i luoghi che nomina sono tutti all'interno della Toscana.
Alla fine risulta essere l'unica vittima della beffa. E non ne ha nessun sospetto, anzi è talmente grato a Callimaco che lo invita a pranzo e ingenuamente gli offre pure la chiave della propria casa.
Cerca di apparire quello che non è, anche perché è convinto di esserlo. È talmente ingenuo che di fronte alla resistenza della moglie si secca, ("Io vorrei ben vedere le donne schizzinose, ma non tanto; chè ci ha tolta la testa, cervello di gatta!"), mentre di fronte al cambiamento del comportamento della stessa, non più remissiva, si mostra compiaciuto. È dunque l'unica vittima della beffa, e non lo intuisce nemmeno lontanamente. Il suo linguaggio è volgare e basso, tenta di ornarlo e renderlo più elegante nel tentativo di adeguarsi ad una condizione sociale di cui non è un degno esponente: manca delle qualità intellettive e morali necessarie a integrarlo nella classe del potere. Nicia è un personaggio poco astuto (Prologo). Non c'è uomo più sciocco di costui (Ligurio-Timoteo-Lucrezia), è un pazzo (Ligurio), ha poca prudenza, ancor meno animo (Ligurio) ed è semplice (Callimaco).
- Ligurio: Machiavelli lo presenta nel prologo come "un parassita di malizia el cucco". Nella I scena ci viene descritto da Callimaco ("fu già sensale di matrimoni, dipoi s'è dato a mendicare cene e desinari . piacevole uomo . "), ma è solo nella II scena che e di persona. È un parassita, molto astuto, che utilizza questa qualità per guadagnarsi da vivere, che parla con linguaggio del ragionamento, dell'ironia e del doppio senso. Ma è anche senza scrupoli (infatti non si fa problemi a tradire Nicia, con il quale "aveva una certa dimestichezza", per aiutare Callimaco sotto amento). Rappresenta l'astuzia distinta dalla passione (Callimaco), e in grado dunque di osservarla e giudicarla con distacco. Callimaco invece la governa dall'esterno. Lo aiuta non solo per motivi economici, ma anche perché in fondo si sente affine al giovane ("'l tuo sangue si affà al mio").
Il suo linguaggio è ponderato, accuratamente calcolato, ricco di allusioni anche sarcastiche, mirato e diversificato per forgiare il pensiero e la volontà degli interlocutori. È Malizioso (Prologo); è un piacevole uomo, perchè prende in giro Nicia (Callimaco); è pazzo, triste e diavolo (Timoteo).
Lucrezia: Machiavelli la presenta nel prologo come "una giovane molto accorta". Callimaco la definisce subito come una donna bellissima (aspetto fisico), ma anche "onestissima e al tutto aliena dalle cose d'amore" e con una grande influenza sul marito (carattere), nonostante tutto ciò si basi sulla fama della donna. Per Ligurio infine è "bella donna, savia, costumata e atta a governare un regno". È in grado nel corso della commedia di adattarsi alle circostanze e di mutare con esse. Prima restia, per onestà e rettezza morale, a compiere l'adulterio impostole dalla madre, dal marito e dal Frate, ("Padre, no. Questa mi pare la cosa più strana che udissi"), una volta che vi è stata costretta, prende per mano la situazione e relega per sempre il marito in quella parte che si era scelta per una notte ("quello che 'l mio marito ha voluto per una sera, voglio ch'egli abbia per sempre"). Molti critici hanno notato in lei qualcosa del principe dello stesso Machiavelli, soprattutto nella sua capacità di respingere le ipocrisie e le mezze misure (o si è del tutto buoni, come lei cerca di esserlo all'inizio, o si è del tutto e "onorevolmente" cattivi, come finisce con l'essere alla fine) e di adattarsi alle circostanze, mutando con esse. La sua decisione finale si può spiegare attraverso la sua capacità di adeguarsi alle circostanze diverse, imposte dalla fortuna. Un altro elemento che chiarifica l'affinità col principe machiavelliano. È Accorta e costumata (Prologo); savia atta a governare un mondo prudente (Ligurio); è dolce e facile (Nicia); buona (Timoteo) e prudente e dura (Callimaco).
Frate Timoteo: è un prete corrotto, pronto a mentire e a ingannare sotto compenso, anche se poi cerca di convincere l'ascoltatore, ma infondo anche se stesso, che agisce così per fare del bene ("ditemi el munistero, la pozione e , se vi pare, codesti danari, da potere cominciare a fare qualche bene"). Pur di convincere Lucrezia mente, spiegando che l'adulterio non è tale se non se ne ha l'intenzione cattiva, e che ciò è ribadito pure dalla Bibbia ("quanto all'atto che sia peccato, questa è una favola . "). È avido, ma possiede comunque un po' di coscienza, che però non gli impedisce di fare ciò che sente ("Dio sa che io non pensavo ad iniuriare persona . "). Agisce spinto dal desiderio di ricevere un compenso, ma non è totalmente libero dall'idea che in quanto uomo di Chiesa non dovrebbe peccare. Ed è come se volesse convincere di questo gli altri, ma anche se stesso, affermando che ha acconsentito in quanto tentato da una prima novella, ma che se gli fosse stata presentata subito la vera ragione della richiesta di aiuto non avrebbe mai acconsentito. La scelta del nome Timoteo da parte di Machiavelli non è casuale. Le considerazioni fatte dal frate nel suo monologo rivelano le sue capacità di ragionare freddamente in termini di solo calcolo economico. Le stesse qualità morali di Lucrezia saranno utilizzate a fini morali. Si assiste qui al rovesciamento già implicito nel contrasto fra il nome del frate e il suo comportamento pratico: Timoteo significa infatti "colui che onora Dio". In effetti Timoteo ha un solo Dio, i soldi, e a questa divinità piega anche la religione. Ciò risulta chiaramente anche quando si serve di argomenti religiosi per raggiungere obiettivi che non hanno niente a che fare con la religione. La religione è ridotta unicamente a ipocrisia: serve a Timoteo come cinico paravento dietro cui ripararsi per badare meglio ai propri affari. È Trincato, astuto (Ligurio); tristo (Lucrezia) e un frate malvissuto (Prologo).
- Sostrata: è la madre di Lucrezia e aiuta il frate a convincere la lia, un po' perché non è a conoscenza dell'inganno e un po' forse anche per turpe compiacenza. Ha paura che la lia una volta morto il marito molto più vecchio di lei, se senza li, possa rimanere "abandonata da ognuno". Le parla dunque anche in veste di madre preoccupata, ma anche ritenendo un gran fortuna poter tradire il proprio marito con il suo consenso ("C'è 50 donne in questa terra che ne alzerebbono le mani al cielo!").
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