letteratura |
|
|||||
La peste: quella di Boccaccio e quella di Manzoni
'Erano già gli anni dalla fruttifera incarnazione del liolo di Dio al
numero pervenuti di 1348, quando, nell'egregia città di Firenze pervenne la
mortifera pestilenza la quale o per operazione dei corpi superiori, o per le
nostre inique opere, da giusta ira di Dio mandata d'un luogo in un altro
continuandosi, verso l'occidente s'era ampliata". Così il Boccaccio introduce
la peste del Decameron.
La vicenda infatti prende spunto dalla peste che nel 1348 colpisce Firenze come il resto dell'Europa. In questa atmosfera di devastazione materiale e di dissoluzione morale, una brigata di dieci giovani, sette donne e tre uomini, decide di recarsi fuori città e di passare il tempo raccontando novelle per esorcizzare l'orrore della morte. Il Decameron, dedicato poi in gran parte al racconto dell'amore per la vita nei suoi vari aspetti, si apre dunque con la rappresentazione terrificante della morte. Il tono usato da Boccaccio nella narrazione è solenne, lo stile è quello che veniva definito tragico, in corrispondenza alla serietà della materia. La descrizione del fenomeno è lucida, distaccata, quasi scientifica, tanto che potrebbe apparire fredda, se qualche inciso o qualche tensione stilistica non rivelasse l'orrore e il giudizio morale dello scrittore. Il fatto è che Boccaccio vuole affidare l'orrore e il giudizio alle cose stesse, evitando ogni intervento soggettivo. Il suo atteggiamento distaccato è appunto l'arma per suscitare l'orrore e la reazione morale di chi legge. Si motiva così la minuta descrizione, in primo luogo, della corruzione fisica (i bubboni, le macchie) con la agghiacciante constatazione finale ('certissimo indizio di futura morte'), in secondo luogo degli effetti del contagio, in terzo luogo dei vari rimedi da ciascuno escogitati e la loro sostanziale inutilità ('non perciò tutti campavano'), e infine della disgregazione morale e sociale. Le terribili condizioni della peste provocarono la perdita della morale comune; testimoniano il rapporto crudele e innaturale che si era instaurato tra i cittadini frasi come ' l'un fratello l'altro abbandonava e il zio il nipote e la sorella il fratello e spesse volte la donna il suo marito e - che maggior cosa è quasi non credibile - li padri e le madri i lioli, quasi loro non fossero, di visitare e di servire schifavano'.
Nella descrizione cupa, lucida e distaccata della peste - vista come un fenomeno non solo di corruzione fisica ma di disgregazione morale e sociale - e nell'evasione dei dieci giovani, che lasciano alle spalle le 'mura vote' di Firenze, nelle loro feste, nei loro giochi, nei loro passatempi, può forse trovarsi il senso dell'arte del Boccaccio: l'affermazione della vita sulla morte.
L'opera del Manzoni, I Promessi Sposi, è un romanzo storico in cui l'autore costruisce la vicenda del suo romanzo all'interno di un preciso contesto storico, ricostruito sulla base di una serie di riferimenti che contribuiscono a rendere più "reali' gli eventi. La peste ci è presentata come una perversa e progressiva follia che travolge tutti. Nel romanzo la morte si presenta con una compostezza ineffabile. Essa sveglia una penosa gravità di riflessioni ma non ha nulla di orrido, di spasmodico o di terrificante. I morti di pestilenza quando non sono segno di un'estrema pietà e quando sono segno di un disfacimento drammatico hanno sempre qualcosa di composto che muove il sospiro e la pietà e non spinge alla ripugnanza fisica. Nei moduli dedicati alla peste tornano i grandi contrasti fra istintualità e ragione, fra ignoranza e cultura illuminata, fra apparenza e realtà, tra potere e servizio, fra parola intesa come strumento di menzogna o come veicolo di verità e, soprattutto, fra malvagità e amore nel misterioso guazzabuglio del cuore dell'uomo. Quindi , nonostante l'interruzione del filo narrativo in alcune parti del romanzo, al centro è sempre l'accorata ricerca della dignità umana.
Dal XXXI modulo inizia la descrizione della peste. A Milano giungono le notizie dei primi morti ma le autorità ed in particolare il governatore rimangono piuttosto indifferenti al problema; anche la popolazione rifiuta l'idea del contagio. L'epidemia si diffonde, ma in modo non rapido: la gente rimane scettica e si scaglia contro i medici che mettono in guardia contro la peste. Invece di dichiararne la presenza, si parla di febbre pestilenziale
Lentamente la diffusione del temibile morbo diventa sempre più ampio; la popolazione è in preda ad un delirio a una moria collettiva. Il tentativo di spiegare il diffondersi della peste crea il mito degli untori. Si sospetta di tutti e vengono inventate storie diaboliche e fantasiose cui anche i medici sembrano dar credito. I monatti dettano legge tra il popolo, lasciandosi andare ad atti di sciacallaggio e saccheggio. Solamente i frati Cappuccini riescono a portare aiuto concreto sacrificandosi eroicamente.
La peste viene interpretata come castigo e misericordia divina, i rapporti tra i vari personaggi del romanzo si modificano così come il carattere di alcuni di loro.
Privacy
|
© ePerTutti.com : tutti i diritti riservati
:::::
Condizioni Generali - Invia - Contatta