letteratura |
La quiete dopo la tempesta
Composta nel settembre del 1829, descrive, con un'attenzione tenera e affettuosa, il ritornare della pace e dell'attività a Recanati dopo un temporale che aveva interrotto la trama regolare e provocato angoscia e terrore. Da questo susseguirsi Leopardi trae spunto non per celebrare il piacere, ma per mettere in evidenza la malignità della natura, che ci concede brevi piaceri che interrompono per poco un dolore.
Il canto, iniziato con una lieta apertura sulle camne rasserenate e sui cuori umani che tornano ad essere fiduciosi, finisce con pensieri tristi sul destino umano, che raggiunge la vera felicità solo nella morte.
Lessicale-tematico: la prima parte, che coincide con la prima strofa (1-24), è descrittiva; la seconda, che occupa le altre due strofe (25-54), è meditativa.
Il Leopardi introduce la ripresa delle attività giornaliere dopo una tempesta estiva. La prima rima interna ("festa-tempesta") sottolinea il contrasto fra quella tempesta passata e questa gioia presente. I due verbi seguenti ("rompe; sgombrarsi") indicano una liberazione.
Ode gli uccelli far festa, e la gallina, dopo essere ritornata sulla strada, ripete la sua voce. Il passaggio dagli animali alla natura è immediato: il sereno erompe con forza, come vincendo le nubi che lo nascondevano dal lato della montagna.
Dopo gli animali e la natura, gli uomini. Si risentono suoni di vita e di letizia, e il ritorno alle umili fatiche quotidiane diventa simbolo di una gioia di vivere, che si manifesta ovunque: nel ritmo lieto, nelle rime facili; l'artigiano che si affaccia con l'oggetto al quale sta lavorando in mano; la femminetta a raccogliere l'acqua per prova; l'erbaiolo che rinnova il suo grido. Il Sole ritorna e la servitù apre i balconi e terrazzi. Dalla via maestra si ascolta da lontano il viaggio ripreso, con i suoi suoni giocondi e operosi, chiude, coronandolo, il quadro. Riprende, con altro ritmo e altro accento, e dà inizio a una meditazione in cui il poeta spiega quella letizia e ne studia le cause.
Anche chi temeva e odiava la vita, messo a rischio si perderla, si scuote e ne avverte per un momento il fascino. Perciò gli uomini nello scatenarsi del temporale, vedendo fulmini, venti, pioggia congiurati a minacciarli e danneggiarli ("mossi alle nostre offese"), e costretti a sopportare queste minacce ("un lungo tormento"), sudano, palpitano, trepidano e poi, svanito il pericolo, riscossisi, provano finalmente piacere e riassaporano la gioia della vita.
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