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L'osteria e la strada ne I Promessi Sposi
Un luogo tipico della narrativa sette-ottocentesca è "l'osteria" o locanda. Nel settimo modulo l'osteria diventa il punto di convergenza di due progetti opposti: quello dei bravi e quello di Renzo e Tonio. Nel nono modulo ritroviamo ancora l'osteria anche se solo citata come punto di ristoro. Nel quattordicesimo modulo Renzo si trova all'osteria della "Luna piena" e nel sedicesimo modulo all'osteria di Gorgonzola.
Dalla lettura di questi moduli si capisce che l'osteria è un luogo di perdizione, dal quale Renzo deve cercare di stare lontano. Infatti, nel settimo modulo la breve descrizione dell'osteria non è altro che un'anticipazione di ciò che il Manzoni dirà, anzi farà dire a Renzo, riguardo alla pericolosità degli osti e dell'osteria stessa.
Gli osti manzoniani sono tutti come li definisce Renzo uno peggiore dell'altro. Il quadro entro il quale sono dipinti da quello di Olate, a quello di Milano e quello di Gorgonzola, è sempre lo stesso, comicamente identico per gli uni e per gli altri.
Ciascuno di essi è rappresentato, nella sua osteria, in atto di accudire apparentemente alle sue sole faccende, a badare soltanto ai suoi particolari impegni. In sostanza ciascuno di essi è intrigante, menzognero, birbone e malizioso. Hanno una condotta ambigua, doppia; pensano una cosa e ne dicono un'altra, palesano un'idea e n'effettuano un'opposta.
Le esperienze negative accadutegli nell'osteria della "Luna piena" spingono Renzo ad evitare la comnia di estranei e gli "sfaccendati" dell'osteria di Gorgonzola. Il Renzo di quest'osteria è diverso da quello della "Luna piena".
Renzo è, infatti, segnato profondamente da quell'esperienza tanto da evitare le domande in maniera abile senza dare ai propri interlocutori la possibilità di instaurare un dialogo. Quell'esperienza negativa conclusasi con l'arresto diventa positiva nella formazione di Renzo perché gli insegna a non fidarsi troppo né degli osti né tantomeno degli sfaccendati che popolavano le osterie
Nei moduli riguardanti il tumulto di San Martino, quindi dall'undicesimo al quattordicesimo, un altro luogo importante è la strada, ma non bisogna dimenticare che in tutto il corso del romanzo la strada è sempre citata, il romanzo si apre proprio con don Abbondio di ritorno dalla consueta passeggiata su di una strada di ciottoli[1].
Renzo, infatti, sulle strade di Milano conosce un'altra ura negativa, il falso spadaio, il quale dopo aver ottenuto il nome di Renzo ingannandolo lo lascerà nell'osteria con
una scusa. Renzo è scambiato nelle strade prima per una spia, poi all'osteria per un capo dei rivoltosi. L'esperienza del falso spadaio spingerà Renzo a non fidarsi di nessuno e per chiedere informazioni farà giudizi fisionomici per decidere a chi chiedere le informazioni.
Tutto ciò servirà alla formazione di Renzo, che si completerà con una ura completamente nuova, infatti, Renzo arriverà a Bergamo con la mentalità da uomo; egli fa quindi tesoro delle esperienze passate per il presente, regolando su di esse la sua nuova condotta.
I ciottoli che vengono scalciati da don Abbondio sono importantissimi ci offrono, infatti, una prima informazione del carattere del curato. Infatti, i ciottoli poiché inanimati, non possono reagire, ma hanno un senso metaforico cioè i ciottoli sono i più deboli di cui don Abbondio non ha paura, anzi in con molta facilità può allontanarli, come farà con Renzo recatosi alla casa del curato il giorno del matrimonio per sistemare le ultime cose, dicendogli bugie e utilizzando il latino che Renzo non capisce.
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