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Ludovico Ariosto: la vita
Nato a Reggio Emilia nel 1474 da Daria Malaguzzi e da Nicolò, capitano della fortezza di Reggio, Ludovico Ariosto, a seguito dei trasferimenti del padre, alto funzionario dei duchi d'Este, trascorse la giovinezza a Ferrara tra gli studi umanistico-letterari sotto la guida di Gregorio da Spoleto. Intraprese gli studi giuridici, a lui poco congeniali, che abbandonò nel 1500 quando morì il padre.
In quell'occasione, Ariosto si preoccupò di definire le questioni economiche relative ai beni familiari e cercò di trovare un'adeguata e dignitosa sistemazione ai suoi fratelli. Nel 1503, presi gli ordini minori che gli consentirono di accedere a piccoli benefici ecclesiastici, tra gli affari di famiglia e gli impegni letterari assunse diversi incarichi presso il fratello minore del duca Alfonso d'Este, il cardinale Ippolito. Le mansioni del poeta andarono assai al di là delle prestazioni di cortigiano letterato, responsabile dell'attività culturale della corte, e diventarono umilianti quando fu utilizzato come accomnatore, messaggero e a volte cameriere del suo signore.
Ariosto dovette spesso compiere missioni delicate e pericolose che lo portarono a Roma presso il papa Giulio II per giustificare gli atti del cardinale Ippolito e la politica filofrancese degli Este.
In una delle missioni diplomatiche fu costretto a fuggire dalla città insieme al duca Alfonso perché inseguito dalle guardie pontificie. I precari mezzi di sussistenza e la prepotente vocazione letteraria lo spinsero a ricercare impieghi più adatti alla sua indole sedentaria, soprattutto dopo l'unione con Alessandra Benucci, comna fedele, che sposò in segreto intorno al 1516.
Così nel 1517, quando il cardinale Ippolito, nominato vescovo di Agria in Ungheria, volle condurlo con sé, il poeta rifiutò fermamente. Il nuovo incarico alle dirette dipendenze del duca Alfonso non risolse la grave situazione economica ereditata dal padre e, nel 1522, Ariosto finì per accettare l'incarico economicamente più vantaggioso di governatore della Garfagnana. In quella regione rimase tre anni, utilizzando le sue doti di energia e di prudenza per scoraggiare i briganti che la infestavano. Nel 1525 Ariosto tornò a Ferrara e, acquistata una casa modesta, si ritirò nella contrada di Mirasole dove trascorse gli ultimi anni della sua vita tra incarichi onorevoli e poco fastidiosi, confortato dagli onori tributatigli da tutta l'Italia. Morì a Ferrara nel 1533.
Le liriche latine
Spinto dall'amicizia stretta con i letterati più famosi dell'epoca, come Bembo, e conformandosi al gusto umanistico della società letteraria ferrarese, tra il 1494 e il 1503 Ariosto compone le sue prime prove poetiche scrivendo in latino i Carmina sul modello degli antichi lirici ed elegiaci Tibullo, Orazio, Catullo, Ovidio, Properzio. In esse il poeta riversa le esperienze della vita giovanile, i primi amori, gli affettuosi rapporti con maestri e amici, le occasioni mondane della corte estense. Per esempio nell'ode A Filiroe, composta alla vigilia della discesa di Carlo VIII in Italia, esprime la condanna dell'impegno politico e militare, al quale Ariosto contrappone la realtà amorosa. Così in un'elegia diretta al Bembo, che gli aveva consigliato indulgenza per le mancanze dell'amata, il poeta proclama il rifiuto di sopportare alcun tradimento della propria donna, ribadendo il carattere irrazionale dell'amore. Durante questo periodo non manca di scrivere componimenti in volgare, poi perduti, che sulla scorta di scritti goliardici celebrano scherzosamente incidenti e avvenimenti della vita studentesca e cittadina. L'esercizio stilistico si perfeziona nelle liriche in volgare, denominate Rime, scritte sull'onda del petrarchismo a sfondo platonico di Bembo, e della tradizione poetica ferrarese, fondendo il gusto per l'indagine psicologica caro a Boiardo con quello più musicale e concettoso della lirica di Tebaldeo.
Il modello letterario di Petrarca è ripreso e interpretato originalmente anche nella scelta della struttura metrica: le terzine del modulo, più rispondente alle esigenze narrative di Ariosto di quanto non fosse la rigida struttura della canzone petrarchesca.
Le commedie
L'impegno artistico del poeta aumenta grazie all'attività teatrale alla quale si dedica per lungo tempo. Adolescente, compone la tragedia Tisbe, perduta, e si esercita come autore di rimaneggiamenti e volgarizzamenti di commedie di Plauto e Terenzio. In seguito si impegna come autore, regista, organizzatore di spettacoli teatrali per la corte estense.
Da questi interessi nascono cinque commedie: la Cassaria (1508) e i Suppositi (1509), sorta di commedie dotte che Ariosto riprende dai modelli dei comici antichi, imitandoli originalmente trasferendo sulla scena personaggi, luoghi e situazioni contemporanee. Nel Negromante, composto tra il 1509 e il 1520, il poeta abbandona la prosa delle precedenti opere privilegiando l'endecasillabo sdrucciolo. Le comiche vicende del protagonista, il negromante Jachelino che si avvale delle magia per attuare truffe e imbrogli, sono animate da un gusto per il quotidiano e da un senso di umanità, caratteristica fondamentale della poesia ariostesca. L'amore per il realismo, presente anche ne Gli studenti, commedia iniziata nel 1518 e rimasta incompiuta (il fratello Gabriele e il lio Virginio la completarono dandole il titolo di Scolastica), domina la Lena (1528). In essa, al di là dell'aspetto comico, prevale il tono pessimistico del poeta, che riflette sulla condizione umana evidenziandone gli aspetti moralmente più bassi. L'originalità del teatro di Ariosto consiste nell'adozione di alcuni elementi innovativi: una lingua che mescola parole del dialetto padano, del fiorentino letterario con espressioni classicheggianti; l'impiego dell'ironia, espressione di uno spirito moderno che molti spettatori condividevano; l'attiva partecipazione del pubblico cortigiano, assicurata dai costanti riferimenti e allusioni a fatti o personaggi della corte.
L'Epistolario
Testimonianza della vita interiore di Ariosto è il suo Epistolario, opera che trova spunto nelle vicende autobiografiche del poeta. Dalla lettura delle lettere (su duecentoquattordici totali, centocinquantasei appartengono al periodo del commissariato in Garfagnana) emergono le qualità umane dell'autore: capacità decisionali, abilità politica e un forte senso di umanità dei quali conobbe la povertà e le offese subite dai signori prepotenti e dalle bande di briganti. Non essendo destinate alla stampa, le lettere hanno carattere occasionale (relazioni di incarichi, richieste, lettere di cortesia) e sono scritte in uno stile semplice e piano che contribuisce alla conoscenza dell'uomo Ariosto, fornendone un'immagine ricca di sfaccettature.
Le Satire
Ancora una volta l'elemento biografico, dal quale nascono le sette Satire, vale come punto di partenza di un discorso che si allarga a considerazioni morali più vaste. Scritte in terzine tra il 1517 e il 1525, si collocano nel periodo della piena maturità artistica e umana del poeta. La prima espone le ragioni del rifiuto di seguire il cardinale Ippolito a Buda, insistendo sul problema dell'intellettuale cortigiano, del quale Ariosto rivendica la dignità e l'indipendenza, e dei suoi rapporti con il signore.
La seconda satira tratta di un futuro viaggio del poeta a Roma e traccia un quadro della corruzione della curia romana. La terza racconta il passaggio al servizio del duca Alfonso. Affiora l'amore per un'esistenza tranquilla e domestica, contrapposta alle vane ambizioni umane. La quarta satira informa sulle difficoltà della sua attività in Garfagnana ed esprime la nostalgia per la donna amata. La quinta prende spunto dalle nozze di un cugino per svolgere alcune considerazioni sulla vita coniugale. La sesta satira è rivolta al Bembo perché gli indichi un insegnante per il lio, ed è nel contempo un attacco alla vanità degli umanisti. Nell'ultima satira Ariosto giustifica il rifiuto di andare a Roma come ambasciatore degli Este presso il papa, ribadendo il piacere di una vita tranquilla nell'amata Ferrara.
Richiamandosi al modello oraziano dei Sermones, Ariosto mescola i toni medi usati nella narrazione delle favole con gli accenti polemici delle riflessioni contro la Chiesa e gli umanisti. Lo stile piano e discorsivo, quasi colloquiale, consente all'autore di manifestare la sua interiorità tra ironia e saggezza, sfogo umorale e bonarietà, per realizzare quella ricerca quel sereno equilibrio che caratterizzerà anche l'opera maggiore.
L'Orlando furioso: la stesura
Tra il 1500 e il 1504 Ariosto aveva pensato di comporre un poema epico, del quale ci rimangono alcune terzine, in onore di Obizzo d'Este, antenato dei suoi signori. Ma il progetto fu ben presto abbandonato a favore di un genere a lui più congeniale. L'Orlando furioso, poema cavalleresco in ottave, fu ideato attorno al 1507 e la sua stesura in quaranta canti era già terminata nel 1509. Fu perfezionato e pubblicato nel 1516 e poi ancora nel 1521. L'aggiunta di altri sei canti portò alla redazione definitiva del 1532, caratterizzata da una revisione linguistica che aderiva ai precetti delle Prose della volgar lingua di Bembo.
La consapevolezza di aver scritto un'opera destinata a un pubblico italiano e non solo ferrarese portò Ariosto a eliminare tutti i latinismi e le forme dialettali emiliane, conferendo alla lingua uno stile più armonico e musicale. L'edizione in quarantasei canti comprese l'inserimento (la storia di Olimpia, quella di Ruggero e Leone) e la soppressione di alcuni episodi che tuttavia non intaccarono l'unità di ispirazione del poema. Lo stesso vale per le ottave che ricordano grandi scrittori e pittori del tempo (Bembo, Castiglione, Michelangelo). Testimonianza del continuo lavoro del poeta attorno alla sua opera furono anche i Cinque Canti, composti tra il 1518 e il 1523 con l'intento di ampliare la materia del racconto.
In questi canti sovrastava il personaggio del traditore Gano, ura che era rimasta ai margini del Furioso. L'atmosfera pessimista che si respira in questa aggiunta, turbata dalle disillusioni politiche di Ariosto, spettatore del declino italiano, lo spinse a rinunciare all'idea di inserirla nell'edizione definitiva del 1532 per non alterare la coerenza dei toni usati nel Furioso.
Il recupero della tradizione cavalleresca
Con la composizione del poema Ariosto contribuì al processo di 'rifeudalizzazione' della vita civile iniziatosi nel Quattrocento con il rinnovarsi di costumi e di atteggiamenti tipici del mondo cavalleresco come le giostre, le cacce, il rispetto delle gerarchie, alimentando un clima che esaltava i valori aristocratici della società feudale rispetto a quelli della civiltà cittadina e comunale. La cultura si venne concentrando attorno ai centri del potere principesco e relegò a fenomeno municipale ogni altra espressione letteraria che esulasse dall'ambiente cortigiano. È chiaro che il recupero della tradizione cavalleresca avvenne attraverso la consapevolezza della diversità dei valori passati rispetto a quelli proposti dalla civiltà presente. Nel riproporli Ariosto agì in maniera distaccata, conscio del gioco intellettuale che una simile operazione di fantasia comportava.
La descrizione di quel mondo, che veniva analizzato con l'ironia e il sorriso bonario che aveva contraddistinto lo stile delle Satire, presupponeva la presenza di un uditorio di dame e di cavalieri, principali destinatari del poema e abili interpreti dei riferimenti alla vita e ai personaggi della corte estense ai quali si alludeva nella narrazione.
L'atteggiamento dei personaggi è sempre, comunque, laico: le mille storie raccontate dal poeta hanno esito felice o infelice, ma nessuno dei protagonisti ne cerca la soluzione in una presenza superumana o ultramondana. Piuttosto, lo sguardo dell'autore sa scendere profondamente nell'animo umano e scrutarne le complesse reazioni e i contrastanti sentimenti. Abbiamo così storie che svolgono i temi dell'amicizia, della fedeltà, della lealtà, della prodezza e altre, al contrario, che svolgono quelli della infedeltà, dell'inganno, del tradimento, della violenza; sotto il velo della favola fantasiosa palpita dovunque la vita, colta e rappresentata nella sua inesauribile complessità. Legato alle forme tipiche della tradizione dei cantari, il Furioso sviluppa una trama assai complessa, arricchita di infiniti episodi minori che denunciano la volontà del poeta di creare un movimento aperto e libero al ritmo della narrazione, mai costretta in rigidi schemi ma sempre fluida e armonica.
La trama del poema
Ariosto dichiara di voler proseguire l'opera di Boiardo, l'Orlando innamorato, lasciato incompiuto per la discesa in Italia di Carlo VIII, ma prosegue la materia del suo predecessore con un registro poetico nuovo. Il racconto riprende dalla descrizione degli eserciti attestati alle porte di Parigi pronti alla battaglia tra cristiani e saraceni. La trama del poema si articola in tre filoni principali che si intrecciano dando vita a situazioni varie e bizzarre, arricchite dall'aggiunta di episodi autonomi, quasi vere e proprie novelle, apparentemente lontane dal tema trattato al quale alla fine si ricongiungono. Il primo filone tratta dell'amore di Orlando per Angelica, promessa da Carlo Magno in premio al paladino più valoroso, e della sua pazzia, che esplode quando comprende l'impossibilità di realizzare le sue speranze a causa del matrimonio della donna amata con Medoro. Il secondo filone, che si ambienta principalmente a Parigi, è quello della guerra tra cristiani e musulmani. Il terzo filone - legato al motivo encomiastico che celebra la famiglia degli Estensi, l'origine dei quali risale alle nozze tra Bradamante e Ruggero, discendente di Ettore - sviluppa le vicende amorose tra la guerriera, sorella di Rinaldo, e il saraceno, convertitosi poi al cristianesimo.
L'organizzazione della materia
La materia del poema è sottoposta alla sapiente regia del poeta che utilizzò infiniti accorgimenti per creare un ritmo narrativo armonico. Si deve sottolineare l'uso originale del metro dell'ottava che Ariosto strutturò in maniera duttile e musicale; in secondo luogo, la tecnica della sospensione che arresta un episodio sul punto di maggior interesse per passare a un nuovo argomento, sollecitando l'attenzione del lettore, in una continua alternanza di sentimenti ed emozioni. Alla realizzazione di questo ritmo di inesauribile inventiva contribuì la fusione tra naturale e meraviglioso, tra reale e fantastico (si pensi all'Ippogrifo, cavallo e uccello insieme, o al palazzo incantato del mago Atlante).
Altrettanto accade per le descrizioni spaziali o temporali che si allargano o si accorciano a seconda della necessità narrativa, con velocissimi passaggi in paesi tra loro lontanissimi, descritti con paesaggi vari e fantastici. Ma, al di là dell'ironia e dell'intelligenza poetica con la quale Ariosto domina la sua materia, vi sono moltissimi sentimenti vivamente condivisi dall'autore.
In particolar modo si segnala la delicatezza con la quale vengono affrontati i temi dell'amore e dell'amicizia, analizzati con una varietà di toni che spaziano dall'elegiaco al drammatico, in una costante tensione spirituale. Gli ideali del mondo cavalleresco servono, dunque, ad Ariosto per costruire una finzione letteraria alla quale affidare i propri sogni e valori di uomo del Rinascimento. L'opera non è un libro di evasione dalla realtà, anzi ne rappresenta concretamente tutti gli elementi e le situazioni, sebbene inserite nella trama di un racconto fantastico. Ariosto è uno scrittore realista che, con nell'Orlando Furioso compie un'inchiesta sull'uomo contemporaneo, trasponendone sul piano letterario la psicologia.
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