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L'Illuminismo è un movimento politico-culturale che si sviluppa nel XVIII secolo nei maggiori paesi d'Europa. Con esso ci troviamo di fronte ad una svolta intellettuale destinata a caratterizzare in profondità la storia moderna dell'Occidente.
L'Illuminismo consiste innanzitutto in uno specifico modo di rapportarsi alla ragione, impegnandosi ad avvalersi di essa in modo "libero" e "pubblico" ai fini di un miglioramento effettivo del vivere. Gli illuministi ritengono infatti che l'uomo, pur avendo per natura quel bene prezioso che è l'intelletto, non ne abbia fatto, in passato, il dovuto impiego rimanendo in una specie di "minorità"che lo ha reso preda di forze irrazionali, da cui ha il dovere di emanciparsi: sapere aude! Osa sapere!, traducendo letteralmente una famosa espressione di Kant che divenne poi il motto di tutto l'Illuminismo. Usa liberamente e pubblicamente la tua ragione, bisogna necessariamente utilizzare il proprio spirito di critica e di analisi nei confronti di tutte le tesi precostituite. Da ciò la battaglia contro il pregiudizio, il mito, la superstizione e contro tutte quelle forze che hanno ostacolato il libero e critico uso dell'intelletto.
Il movimento è caratterizzato da alcune idee-forza: prima di tutto, la fiducia nella ragione che deve essere un organo di verità e strumento di progresso, ossia, un "lume" rischiaratore delle "tenebre" dell'ignoranza e della barbarie. Essa è lo strumento più adeguato per la ricerca della verità, è proprio per mezzo di essa che l'uomo può, per esempio, giudicare valido un sistema politico o il fondamento dei valori etici.
Poi doveva esserci anche la fiducia nel progresso, infatti, ciò che rendeva gli uomini illuministi era proprio la speranza, la persuasione di poter edificare, sulle rovine del passato e tramite la ragione, un mondo nuovo e a misura d'uomo. L'avanzamento storico appare condizionato dalle conquiste della ragione e dal complesso delle scienze e delle arti cui essa mette capo.
Nasce in questo contesto la tendenza degli uomini colti a diventare autonomi intellettuali che si organizzavano in gruppi di lavoro e di discussione che si riunivano in salotti o in case private: essi presero il nome di philosophes (filosofi).
La natura costituisce un altro concetto fondamentale per gli illuministi, infatti ritorna l'idea di una rivendicazione dell'uguaglianza propria del diritto naturale. "Naturale" è sempre sinonimo di "bene": buona è la natura umana e riferirsi ad essa significa riaffermare la razionalità del soggetto e la sua libertà, in una prospettiva ugualitaria e cosmopolita.
La storia, in questo modo, si conurò come il passaggio dallo stato selvaggio alla barbarie e dalla barbarie alla civiltà. Il rapporto tra l'Illuminismo e la storia rappresenta uno degli argomenti più importanti e più discussi fra gli studiosi. Secondo gli Illuministi la storia, nel passato, è stata vissuta per lo più in condizioni negative, essendo una specie di "teatro" di ignoranze e superstizioni. Per questo, vedendo in essa "la mano segreta di Dio", l'Illuminismo contrappose una visuale critico-polemica che si concretizza in un vero e proprio processo alla storia, proteso a liberarsi dalla "ruggine dei secoli". Di conseguenza, per un certo verso, l'Illuminismo rappresenta una forma di pessimismo storico in quanto nella storia vede solo la sede di un processo di alienazione o di smarrimento, da parte dell'uomo, della sua essenza naturale e razionale.
L'Illuminismo appare molto polemico nei confronti delle tre grandi fedi storiche dell'umanità occidentale: ebraismo, cristianesimo ed islamismo. Tant'è vero che in Francia Mosè, Cristo e Maometto vengono designati come les trois imposteurs ("i tre impostori"). L'ostilità dell'Illuminismo nei confronti di queste religioni deriva in primo luogo da una mentalità razionalistica che non riconosce il concetto di "rivelazione", pensando che i vari dogmi siano solo delle credenze anti-razionali. Gli Illuministi, inoltre, ritengono che le varie religioni della storia abbiano contribuito a tenere i popoli nell'ignoranza e nella servitù, ostacolando il progresso scientifico. Quindi, nell'ambito della critica illuministica della religione, si profilano due principali filoni: uno più moderato di orientamento deista e uno più estremistico e di tendenza atea. Il deismo crede in una religiosità naturale e immutabile, fondata su una verità comune a tutti gli uomini, ad esempio l'esistenza di Dio e i precetti morali riguardanti l'amore e il rispetto dei nostri simili. La religiosità laica e razionalistica del deismo tende a concretizzarsi in un'etica universale che accomuna tutti gli uomini. Per gli Illuministi, questa forma di religione risulta la sola capace di garantire, al tempo stesso, l'autonomia dell'uomo e la realtà di una Mente superiore. Al contrario, l'ateismo, che trova i suoi maggior rappresentanti in Jean Meslier e d'Holbach, ritiene che la religione sia, di per sé, un fenomeno patologico ed irrazionale che sgorga solo da fattori come l'interesse e la paura.
Per quanto riguarda le dottrine politiche, la cultura dei Lumi è apparsa agli storici ma anche ai contemporanei una specie di "fiaccola" che ha illuminato il cammino per il passaggio dal feudalesimo al capitalismo.
Sono due le principali posizioni nelle quali si preura il quadro teorico della politica: quella di Montesquieu, "patriarca del liberalismo", e quella di Russeau, "patriarca della democrazia".
Charles Luis de Secondat, barone di Montesquieu, nella sua opera maggiore, L'esprit des lois, ispirandosi al modello della costituzione inglese teorizzò un sistema di governo caratterizzato dalla separazione dei tre poteri dello stato (legislativo, esecutivo e giudiziario) e sul loro reciproco controllo. L'obiettivo fondamentale era quello di garantire la libertà dell'individuo, di difendere la sfera della sua autonomia e della sua privacy dagli interventi dello stato; vi si preuravano inoltre le istituzioni che avrebbero reso possibile la partecipazione dei cittadini alla direzione della cosa pubblica. L'opera ebbe una grande risonanza ed ispirò tutte le Costituzioni liberali dell'Ottocento.
Nel Discorso sull'origine e i fondamenti dell'ineguaglianza tra gli uomini (1755) Jean Jacques Russeau attribuì tutti i mali del mondo all'ineguaglianza introdotta dall'istituto della proprietà privata. È l'ineguaglianza che ha consacrato, a suo dire, lo sfruttamento dei poveri da parte dei ricchi e dei potenti. Nato libero e buono, l'uomo si è corrotto col passaggio dallo stato di natura allo stato di civiltà, divenendo cupido e malvagio. Per ricostruire una società giusta si doveva creare una nuova forma di associazione politica; Russeau ne tracciò l'impianto nel Contratto sociale, un'opera che si distacca profondamente dalle posizioni di Montesquieu. Russeau non suggerisce agli uomini di difendersi dallo stato, al contrario propone loro di "diventare stato", di organizzare una comunità a misura di loro stessi.
Il primo passo che si deve compiere per uscire dalla condizione di disaggregazione propria dello stato di natura consiste in un atto di rinuncia che Russeau chiama "aliénation totale". Solo quando si saranno liberati dagli interessi individuali gli uomini potranno ascoltare nel profondo della coscienza il comando della "volonté générale", la voce, cioè, che propone gli interessi reali, costanti della comunità.
Nel progetto del nuovo stato Russeau s'ispirava alla lezione della democrazia classica; i governanti erano solo "funzionari" posti dai cittadini al servizio della "volonté générale".
La posizione di Russeau fu aspramente criticata da Voltaire, che lo criticava di "scrivere solo per scrivere". Invece, Francois-Marie Arouet, più noto con lo pseudonimo di Voltaire, si battè con tutte le sue forze per una società nella quale fossero garantite le libertà individuali ed economiche, il pluralismo ideale e confessionale; per uno Stato tollerante ma sufficientemente forte per imporre il rispetto della legge, giacchè appunto in questo consiste la libertà. E tutto ciò implicava una battaglia contro i privilegi: contro quelli della nobiltà, che ancora non riusciva ad imporre l'assurdo principio in base al quale era l'appartenenza ad un ordine e non l'entità del reddito a determinare il carico fiscale; contro i diritti feudali, in generale contro ogni potere diretto o personale di un uomo su un altro uomo. Questa battaglia andava combattuta con la forza della ragione, attraverso una sollevazione dell'opinione pubblica e doveva condurre ad un'affermazione di monarchia non imbrigliata da poteri particolaristici e quindi in grado di promuovere un miglioramento della società: al sovrano, dunque, spettava un potere assoluto che egli avrebbe dovuto esercitare coi lumi della ragione, secondo i dettami di quello che veniva definito dispotismo illuminato.
In ambito filosofico troviamo alcuni personaggi come Voltaire, convinto che il male del mondo non è una realtà non meno che il bene, che è una realtà impossibile a spiegarsi coi lumi della ragione umana. Ma dall'altro lato, è stato sempre convinto che l'uomo deve riconoscere la sua condizione nel mondo così come essa è, non per lamentarsene e negare il mondo stesso, ma per dedurne una serena accettazione della realtà. È inutile disperarsi che l'uomo conosca poco e niente, sarebbe come disperarsi di non avere quattro piedi e due ali.
Voltaire ritiene, con Locke, un altro grande filosofo del secolo, che la conoscenza inizi dalle sensazioni e che si svolga con la loro conservazione e composizione.
Locke, inoltre, ci introduce il concetto di empirismo, che risulta caratterizzato dalla teoria della ragione come un insieme di poteri limitati dall'esperienza intesa come fonte ed origine del processo conoscitivo o come criterio di verità, che risultano valide solo se suscettibili di controllo empirico. Per Locke, che si ispira a Hobbes, la ragione non possiede nessuno di quei caratteri che sectiunesio le aveva attribuito. Non è uguale per tutti gli uomini perché essi ne partecipano in maniera diversa. Non è infallibile perché spesso le idee di cui dispone sono in numero troppo limitato; inoltre la ragione non può ricavare da sé idee e principi: deve ricavarli dall'esperienza che ha sempre limiti e condizioni. Locke scrisse il Saggio sull'intelletto umano, in cui prese in un primo momento un indirizzo critico: era infatti necessario esaminare le capacità proprie dell'uomo e vedere quali oggetti il suo intelletto fosse o non fosse in grado di considerare, doveva nascere una specie di indagine per stabilire le effettive possibilità umane con il riconoscimento dei limiti che sono propri dell'uomo, quindi della sua ragione. Ma sono propri della sua ragione perché essa deve fare i conti con l'esperienza. È l'esperienza infatti che fornisce alla ragione il materiale che essa adopera. Le idee semplici sono gli elementi di ogni sapere umano.
In tutto il XVIII secolo prevaleva la tesi mercantilistica che, ispirata ad una concezione pessimistica della natura umana e delle forze economiche, teorizzava la necessità dell'intervento regolatore dello stato e l'antitesi fisiocratica per la quale il mondo creato da una divinità benefica era retto da leggi naturali che dovevano produrre "armonia" e "felicità". Mentre il mercantilismo ebbe la sua piena affermazione al tempo dell'assolutismo monarchico, la fisiocrazia si sviluppò, invece, soprattutto nell'età dei principi riformatori. Fisiocrazia significa "dominio della natura" e i "filosofi economisti", detti poi fisiocratici, sostenevano che le forze produttrici di dovessero lasciare libere nel loro svolgimento: perciò condannavano qualsiasi ostacolo imposto alla libera proprietà ed all'iniziativa dei privati, in particolare rifiutavano la regolamentazione del commercio. La loro parola d'ordine era "laissez faire, laissez passer"; solo il libero scambio e la libera contrattazione potevano assicurare la prosperità delle nazioni.
Il maggior rappresentante delle dottrine fisiocratiche fu Francois Quesnay, autore del Tableau économigue (1758), un'opera che indicava nella terra liberata dai vincoli feudali ed opportunamente lavorata, la vera fonte della ricchezza. Anche quella dei fisiocratici è dunque una dottrina che s'inquadra nella lotta contro le sopravvivenze feudali considerate ormai anche dagli economisti come l'ostacolo principale allo sviluppo moderno della nazione.
Gli orizzonti della fisiocrazia furono sostanzialmente ampliati da Adam Smith (1723-l790), che con il suo Saggio sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni (1776) svincolò i concetti economici di "valore" e di "ricchezza" dal ristretto ambito agricolo e li collocò nell'intero contesto commerciale e industriale, affermando che la ricchezza è il risultato del lavoro umano. In tal modo A. Smith, fondatore della scuola dell'economia classica, si faceva interprete dei nuovi indirizzi assunti dalla produzione nella sua Inghilterra ormai avviata verso la rivoluzione industriale. Smith inoltre formula una giustificazione storica nei confronti della libertà d'impresa e del sistema di libera concorrenza. Si tratta delle teorie che saranno dette del liberismo economico. La giustificazione della libertà d'iniziativa degli operatori economici, sia nell'interno dello Stato sia tra gli Stati nazionali nel mercato mondiale, nasceva in Smith dal convincimento che l'egoismo non fosse un elemento disgregatore: l'economista asseriva che l'interesse individuale può diventare elemento di ordine e di sviluppo a patto che non vi siano prevaricazioni, a patto che "nessuno, perseguendo il proprio utile, impedisca agli altri di perseguire il loro". Da questa premessa scaturiva la fede nell'autoregolamentazione delle forze economiche ed insieme il convincimento che lo sviluppo illimitato dell'iniziativa privata non avrebbe alterato il quadro della coesistenza degli Stati nazionali nel mercato mondiale. Spetterà alla storia dell'Ottocento sottopone a severa verifica le speranze del liberismo smithiano.
Ambito scientifico
Il protagonista della rivoluzione scientifica del Settecento fu Isaac Newton.
Egli visse però in un periodo in cui non vi era ancora una netta separazione tra cultura scientifica e cultura umanistica; gli scienziati, infatti, venivano chiamati filosofi naturali e le scoperte della chimica e della fisica entravano presto a far parte del patrimonio intellettuale delle persone colte, mescolandosi alle questioni filosofiche, teologiche,politiche. Per questo il newtonianismo ebbe una grandissima importanza sull'intera cultura del Settecento: nessuna teoria o scoperta scientifica, attualmente, potrebbe avere lo stesso impatto sociale e con la stessa velocità.
Newton nel 1661 fu accolto nel famoso Trinity College di Cambridge dove, sotto la guida di Isaac Barrow, si dedicò alla matematica, alla geometria, all'astronomia, alla meccanica, all'ottica e alla chimica, ottenendo risultati che lo segnalarono come uno dei più brillanti scienziati del momento. Tra le sue scoperte ricordiamo la legge di gravitazione universale, i principi della rifrazione, il progetto del telescopio a riflessione e anche nuovi elementi sul calcolo differenziale. Egli pubblicò nel 1672 il suo primo fondamentale trattato, i Philosophiae Naturalis Principia Matematica (Principi matematici della filosofia naturale). I tre libri dei Principia contengono l'enunciazione della legge di gravitazione universale che, con la dimostrazione del fatto che i pianeti si muovono intorno al Sole su orbite ellittiche costituiva il superamento definitivo della fisica aristotelica.
Le teorie scientifiche di Newton si diffusero assai rapidamente in Europa, l'"evidenza" e la "verità" della fisica newtoniana si imposero velocemente in tutta Europa ed ebbero divulgatori entusiasti ed importanti, come Voltaire in Francia, che pubblicò nel 1736 Eléments de la philosophie di Newton, e, in Italia, Francesco Algarotti con il suo Newtonianismo per le dame il cui titolo indica l'impegno divulgativo di quel compendio delle teorie di Newton. Bisogna però precisare che nei primi decenni del Settecento il Newtonianismo fu accolto e interpretato con una quantità incredibile di sfaccettature e di personali aggiustamenti. Per esempio, lo Scolio generale aggiunto alla seconda edizione dei Principia nel quale Newton affronta il problema religioso. Da alcuni esso fu considerato un'aggiunta irrilevante, messa lì per non sollevare polemiche, mentre tutto il trattato poteva essere letto come la spiegazione di un universo-macchina in cui il moto, determinato secondo la legge della gravitazione, sostituiva ogni forza soprannaturale, tanto da fornire un'ottima base per una visione materialistica e atea. Al contrario negli ambienti religiosi, lo Scolio fu visto come la chiave di volta di tutta la trattazione scientifica, quella che permetteva di conciliare perfettamente la fisica newtoniana con le istanze religiose, senza creare i conflitti fra scienza e fede che si erano manifestati ai tempi di Galileo.
Ø Abbagnano - Foriero, Protagonisti e testi della filosofia, vol. II, Paravia, Torino 1996
Ø Desideri - Themelly, Storia e storiografia, vol II, G.D'Anna Casa editrice 1997
Ø Gentile - Ronga - Salassa, Nuove prospettive storiche, vol II, Editrice La Scuola 1997
Ø AA.VV. La scrittura e l'interpretazione, vol. II dal Barocco al Romanticismo, Palumbo editore 2000 Firenze
Ø Bellini - Mazzoni, Manuale di letteratura italiana, vol. II,Laterza 1995
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