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Nasce nel 342-341 a.c. Ad atene. Apparteneva ad una famiglia ricca e nobile. Ciò è significativo per la sua produzione in quanto era in rapporto con un rappresentante della commedia di mezzo di nome alessi. Non si sa se fosse solo suo discepolo o anche suo parente. Ricevette un'educazione raffinata, sappiamo che fu educato in ambiente peripatetico: aristide teofrasto fu suo maestro e di lui fu successore. L'insegnamento di teofrasto è molto palese in un particolare: tra le sue opere teofrasto ne scrisse una in cui analizza i particolari di alcuni tipi umani e dei loro caratteri. Fra le commedie di menandro alcune sono indicate per il carattere del protagonista: questo coincide con un carattere descritto da teofrasto, ad esempio nell'adulatore.
I caratteri sono un esempio di analisi psicologica e anche in menandro essa è approfondita. Il rapporto con il mondo della filosofia per lui rimane stretto; è amico di epicuro, di cui è stato comno di efebia (servizio militare). Un altro suo grande amico è stato un filosofo peripatetico, demetrio falereo. Oltre che filosofo, quest'ultimo era anche politico, e dopo la morte di alessandro magno fra il 317 e il 307 governava atene sotto il protettorato della macedonia.
Menandro, molto giovane, sotto il governo di demetrio falereo inizia la carriera comica. La sua prima rappresentazione è del 322 (quando aveva circa 19-20 anni). La sua prima vittoria la ottiene nel 317-316 a.c. Con il dyscolos e si afferma come poeta comico; non ebbe molta fortuna in quanto raggiunse solo otto vittorie. Lo scarso successo è spiegato da due fatti: gli antichi dicevano che gareggiando contro filemone, quest'ultimo imbrogliava corrompendo i giudici; i moderni dicono che lo scarso successo era dovuto al contenuto delle sue commedie.
Le tematiche sociali non suscitavano la simpatia del pubblico come, ad esempio, la rappresentazione amichevole dell'etera o degli schiavi non era ben vista. Nel 307 demetrio falereo smette di governare e atene passa nelle mani di demetrio poliorcete, re macedone. Quando questi diventa re di atene, menandro corre il rischio di un processo, ma si salva perché interviene in suo aiuto un parente di poliorcete. Continua così la sua attività.
Nelle sue commedie dimostra di non partecipare alla vita pubblica, non ci sono cenni alla vita contemporanea, oppure sono rarissimi e poco chiari. I suoi unici interessi sono il teatro e le donne. Sappiamo di un amore durante tutta la vita per un'etera chiamata glicera.
Era così attaccato alla sua città che quando tolomeo i, re d'egitto, lo chiama ad alessandria rifiuta e preferisce rimanere ad atene, dove morirà nel 291, annegato mentre nuotava nel pireo.
Secondo ciò che ci tramanda l'antichità menandro avrebbe scritto oltre cento commedie. La situazione attuale è critica in quanto è rimasto molto poco: il patrimonio restante è notevolmente aumentato nel corso di questo secolo, grazie ai ritrovamenti dei papiri egiziani che ci hanno tramandato dei frammenti estesi e un'intera commedia, il dyscolos.
Abbiamo 931 frammenti, cioè sentenze in un solo verso, versi sentenziosi tolti dalle commedie di menandro, che altri antichi hanno ripreso.
Abbiamo 20 commedie quasi intere di cui il dyscolos è appunto l'unica intera. Esaminiamo le commedie meglio organizzate:
Epitrepontes, i litiganti
Perikeiromene, la donna tosata
Samia, la donna di samo
Dyscolos, il bisbetico
Stabilirne la cronologia è molto difficile e a parte che per il dyscolos, datato nel 317-316, abbiamo molte difficoltà per le altre tre. Abbiamo dei dati interni, ma discutibili.
Si ricorre al criterio dell'analisi letteraria. Menandro tende ad usare solo il trimetro giambico e ad eliminare sia il linguaggio oscuro sia le scene farsesche.
Un altro elemento da analizzare è la maniera con cui costruisce la trama. In un primo tempo fa risolvere le complicatissime vicende da eventi casuali; in seguito, per quanto intricate le situazioni vengono risolte dai protagonisti.
Infatti le quattro commedie sono disposte secondo la cronologia: dyscolos, perikeiromene, samia, epitrepontes.
Per gli epitrepontes il carattere dei personaggi determina tutta la vicenda. Menandro adopera tipi fissi che cambiano da commedia a commedia.
Il poeta ancora molto giovane non è riuscito a fondere in maniera perfetta la riflessione seria e gli elementi comici: la conseguenza più evidente è il fatto che il significato morale del ravvedimento di cnemone sembra sminuito dalla casualità dell'incidente che lo determina e dalle beffe alle quali il personaggio viene sottoposto nella scena finale. A parte questo difetto, la commedia è ricca di brio e di movimento. Non mancano divertenti scene farsesche: ricche di una comicità molto spigliata costituiscono un'autentica sorpresa in menandro, che in seguito, affinando la sua arte, sopprimerà questi elementi.
Con molta efficacia vengono descritti l'arrivo di una chiassosa comitiva che vuole offrire un sacrificio a pan, il sole che splende sui campi, il fresco antro del dio.
Anche la rappresentazione dei personaggi principali e secondari rivela un accurato studio dei caratteri. Spiccano fra gli altri sostrato che soffre a causa del suo amore e cnemone che, disgustato dall'egoismo e dall'avidità della gente, si ostina a vivere lontano da tutti, ma poi ammette con mestizia i propri errori.
In questo personaggio il poeta rappresenta il drammatico isolamento dell'individuo che a causa delle circostanze si chiude in se stesso e rifiuta il dialogo con gli altri, ma i casi della vita lo costringono a capire che la solitudine è un errore e un male e che si può trovare la salvezza soltanto nel comprendersi reciprocamente, nell'aprirsi fiduciosamente agli altri, che possono aiutarci e nel medesimo tempo hanno bisogno di essere aiutati.
Questo messaggio di umana solidarietà è valido anche e soprattutto sul piano sociale perché in questo campo le differenze sono determinate dal capriccio della sorte e ciò che rimane veramente in nostro potere è fare del bene.
In questa commedia la trama si fa più coerente e compatta e appare compiutamente realizzato lo stretto rapporto fra i caratteri dei personaggi e lo svolgimento dell'azione. Tutti gli equivoci nascono infatti in uguale misura dall'insicurezza di moschione e dall'impulsività di demea.
Moschione è combattuto fra la passione per la sua donna e lo scrupolo di dare una delusione al padre, che ama teneramente e dal quale si sente amato come se fosse un lio autentico e non adottivo.
Egli è profondamente offeso dagli ingiusti sospetti del padre e, sdegnato, vorrebbe andare in asia per fare il soldato mercenario, ma l'amore per la sua donna lo convince a fingere la partenza per mettere alla prova l'affetto paterno. Demea, come ha deciso improvvisamente di dare una moglie al lio senza neppure consultarlo, è altrettanto precipitoso nelle conclusioni. Quando crede che moschione l'abbia tradito con criside non si cura di approfondire la veridicità del suo sospetto. Non sa tuttavia convincersi che il giovane, che egli ha sempre conosciuto rispettoso e morigerato, possa essersi macchiato di una simile colpa verso di lui: fa ricadere qualsiasi responsabilità sulla sua concubina; cerca per il lio tutte le attenuanti e si dimostra indulgente con lui tacendogli ogni cosa. Ma la forza dei sentimenti profondi prevale sulle reazioni istintive, ed entrambi sanno ravvedersi e ammettere cordialmente i propri errori. Criside è la donna di nobili sentimenti, che conserva dignità e lealtà anche quando i casi della vita l'hanno ridotta in una condizione che non si merita e tutto sopporta con bontà e con pazienza. Il dialogo è vivace e spiritoso e quando la situazione lo richiede anche appassionato ed emozionante. Molto coinvolgente risulta la scena in cui tutta l'intricata situazione viene chiarita.
Gli sviluppi comici della situazione restano marginali e il tema centrale della commedia viene trattato con raffinata penetrazione psicologica. Anche in glicera, come in criside nella samia, vediamo una donna che la sorte costringe a vivere come non merita; però mentre criside alla fine ritorna ad essere una concubina, in questa commedia la protagonista alla fine può sposare l'uomo che ama grazie al riconoscimento della sua vera origine, secondo quella giustizia poetica con la quale menandro, senza tenere conto dell'amara realtà di tutti i giorni, ama compensare le sofferenze e premiare il comportamento dei suoi personaggi. Glicera, crudelmente oltraggiata da polemone, rifiuta dignitosamente le sue proposte di riconciliazione, ma in cuor suo continua ad amarlo, e quando ha ritrovato suo padre ed avrebbe il diritto ad essere più esigente e più fiera generosamente gli perdona e va lei stessa con il padre a fare pace.
A glicera si contrappone polemone, il soldato innamorato, altra ura cara a menandro. Ma polemone non è il miles gloriosus, fanfarone e vile tipico della commedia di mezzo: al di là degli aspetti comici della maschera fissa il poeta vuole scoprire l'interiore sostanza umana del personaggio, e così il rozzo e brutale polemone viene nobilitato dal suo amore sincero per glicera e per mezzo di esso si innalza all'umanità e alla gentilezza. I due protagonisti soffrono per amore e gelosia, fierezza offesa e disperato pentimento, ma il dolore li porta ad una superiore comprensione di sé stessi e degli altri. Da questi fatti menandro ricava un consolante insegnamento: l'uomo è in balia del caso e spesso sbaglia perché ignora l'esatta realtà di una situazione, gliene deriva il dolore che tuttavia lo fa maturare e lo rende capace di trovare la forza morale per giungere alla verità. Lo aiuta sempre il caso che però è un semplice accessorio.
Gli epitrepontes
La commedia rappresenta in maniera perfetta un piccolo mondo che rispecchia l'infinita varietà delle vicende umane, nelle quali riso e pianto si alternano e si fondono. L'attenta partecipazione sentimentale del poeta alle vicende che mette in scena è tanto più efficace quanto meno evidente. Il motivo del riconoscimento provocato da coincidenze fortuite, anche se presente, appare del tutto superato: la soluzione autentica delle vicende si ha quando carisio comprende la statura morale della moglie prima ancora che gli sia noto il felice intrigo del caso. Gli avvenimenti dunque dipendono fondamentalmente dal carattere dei personaggi che, attraverso le prove cui vengono sottoposti, ritrovano se stessi. Carisio all'inizio appare un giovane superbo della sua virtù e unicamente preoccupato dell'opinione altrui. Egli crede panfila colpevole e, tanto duramente offeso nel suo onore di uomo, abbandona immediatamente la moglie e va a convivere con l'etera abrotono, cercando di scordare l'affronto subito con una vita dissoluta. Ma qualcosa in lui si ribella: non riesce a trovare conforto nei banchetti e negli amori volgari, detesta onesimo, lo schiavo che gli ha denunciato la colpa della moglie e, intimamente innamorato di lei, non si decide a divorziare e si rimprovera di averla perduta per sempre con la sua folle condotta. Quando non può più avere dubbi sull'amore e sulla fedeltà di panfila, si rende conto di non essere affatto migliore di lei e comprende che non le ha voluto concedere un perdono e una giustificazione di cui lui ha ancora più bisogno perché ha commesso una colpa simile. E così in preda al rimorso e al pentimento si riconcilia con panfila e grazie all'amore diventa un uomo di elevati sentimenti che cerca soltanto nell'intimo del suo animo le norme per la sua vita. Panfila, innocente vittima di una violenza, è profondamente affezionata al marito e, sebbene lui la offenda apertamente andandosene di casa e dedicandosi ai bagordi, comprende e perdona l'errore del suo sposo e non vuole separarsi da lui: per ben due volte rifiuta con ostinazione di cedere alle insistenti pressioni del padre che tenta di persuaderla al divorzio perché sa bene che non può e non deve abbandonare il suo amato carisio. Con la ura di questi due sposi menandro ci insegna che solamente con la comprensione e il perdono si possono rendere meno difficili il peso della vita e il rapporto coniugale, ed è possibile raggiungere quella dignità che ci rende veramente uomini. Anche gli schiavi sono tutti bravissime persone che non sanno ingannare; semplici e ingenui sbagliano solo per eccesso di zelo, ed il temperato ridicolo che avvolge le loro ure fa meglio spiccare la loro grande umanità.
Ma sopra tutti è splendidamente resa la ura dell'etera abrotono, forse la più riuscita creatura di menandro. La tipica etera della commedia nuova è avida e corrotta; abrotono invece si rivela persona di squisita sensibilità. Sfrontata e pudica, assennata e incauta, fanciullesca e teneramente materna, si comporta spesso come le donne del suo genere, ma la corruzione della sua vita non ha cancellato in lei la più alta femminilità, che si manifesta attraverso una profonda gentilezza d'animo. Offesa perché trascurata da carisio si lamenta delle umiliazioni ricevute, ma nel medesimo tempo compiange anche colui che gliele ha inflitte, perché ha speso inutilmente tanto denaro. Si commuove al pianto del bambino esposto, pensa di fingersene la madre per ottenere la libertà, ma non rinuncia a cercarne la vera madre. Quando però poi è certa che il piccolo, come aveva già intuito, è lio di panfila, prevale in lei la pietà per il dolore di una madre, e la sua pensosa sensibilità di donna le consente di rinunciare al progetto vagheggiato senza rimpianti per la gioia di compiere il bene. In questa maniera e contro i suoi stessi interessi salva un matrimonio che sta per naufragare.
Ciò che in particolare sorprende in questa commedia è l'insensibilità di menandro riguardo all'esposizione dei bambini. Ma questo problema riguarda tutta la società antica, la quale, come dimostra perfino aristotele, in certi casi riteneva legittima una pratica che tanto ripugna la coscienza moderna.
L'esperienza di tutti i giorni ci dimostra che molte volte la realtà supera di gran lunga la fantasia, ma tuttavia quando leggiamo le commedie di menandro è difficile credere alle inverosimiglianze che vi sono contenute. Parti clandestini, bambini esposti, riconoscimenti inaspettati, coincidenze fortuite sono gli elementi fissi ripetuti con leggere variazioni in tutte le commedie.
Il poeta combina questi elementi in trame stereotipate che si possono ridurre a due tipi fondamentali, entrambi secondo il ritmo ternario tipico del genere comico (situazione iniziale, complicazione e risoluzione). In alcune commedie la situazione iniziale tende ad evolversi verso un esito che coincide con il desiderio di uno o più personaggi, ma l'intervento di un caso imprevisto (un errore, un equivoco, la volontà contraria di un altro personaggio) impedisce questo sviluppo naturale fino a quando l'ostacolo viene superato e si realizza la conclusione prevista. In altre, per esempio gli epitrepontes, la situazione iniziale dovrebbe essere definitiva, ma un equivoco la porta quasi alla rottura totale, finché tutto viene chiarito e si ripristina la situazione di partenza. All'epoca di menandro il pubblico accettava senza problemi gli schemi fissi e le poco verosimiglianze, poiché vedeva nello spettacolo teatrale un'occasione di svago tanto più gradita quanto minore era lo sforzo richiesto per comprendere ciò che avveniva sulla scena.
I raffinati dettagli della sceneggiatura e dello stile e la tranquillizzante certezza di un lieto fine bastavano per gratificare gli spettatori. Anche la crisi che costituisce il nucleo della vicenda può essere di due tipi: interna ai personaggi, cioè psicologica quando nasce da un sospetto che però si rivela falso, oppure esterna, motivata da impedimenti obiettivi che però vengono superati. In entrambi i casi comunque la crisi deriva da un errore di conoscenza e si risolve quando questo errore viene chiarito. La soluzione della crisi risponde in maniera soddisfacente all'ansia di una società che, travolta da una profonda insicurezza, per superare questo disagio respinge i problemi che si presentano nella realtà quotidiana e afferma come assoluti i valori individuali che per l'appunto possono trovare opposizione soltanto in un equivoco. Menandro accetta tutte queste convenzioni, ma le supera. Nelle sue commedie gli intrecci sono convenzionali, ma c'è una profonda coerenza tra gli avvenimenti e i fattori umani che vediamo interagire in essi, quindi la trama presenta una sua razionalità interna e l'azione scenica raggiunge la massima intensità drammatica grazie alla verità psicologica delle cause che la determinano. I personaggi sono i tipi fissi della commedia nuova (padre, lio, schiavo, soldato, etera, cuoco, parassita) ma l'autore, seguendo le tendenze individualistiche dei suoi tempi, attribuisce a ciascuno di loro un carattere ed un comportamento ben precisi ed inconfondibile è la soluzione dell'intrigo anche se affidata al caso sembra tuttavia il meritato esito delle azioni umane.
Il finale immancabilmente lieto, in quanto scioglimento di uno stato di ignoranza, afferma la superiore validità della conoscenza e rappresenta l'acquisizione consapevole di valori morali.
Questi consistono in una fondamentale solidarietà, umana rivendicata dal poeta come l'unico aiuto concreto per affrontare e superare con sereno coraggio le difficoltà della vita.
Lingua e stile
Aristofane e menandro sono due commediografi profondamente diversi. Il primo basa le sue trame sulla realtà e nel medesimo tempo sulla fantasia e rappresenta i problemi della polis e del cittadino; porta sulla scena personaggi reali, ma ne fa la caricatura e li ritrae in situazioni grottesche oppure irreali. Menandro invece rappresenta l'individuo e i suoi rapporti privati; si tratta di una commedia realistica che vede l'uomo in una dimensione che esula da stretti limiti di spazio e di tempo e descrive vicende proprie di personaggi che si potevano incontrare nella vita di tutti i giorni. Partendo da questa caratteristica fondamentale i critici antichi, condizionati dal pregiudizio, che l'arte fosse imitazione, anzi riproduzione della realtà, di menandro lodavano soprattutto la capacità di rappresentare la vita con aderenza perfetta. Aristofane di bisanzio si chiedeva con entusiasmo: "o menandro, o vita, chi di voi due ha imitato l'altro?". Attualmente questa concezione dell'arte è del tutto superata, ma noi moderni ammiriamo menandro perché sa descrivere con molta fedeltà e in tutti i suoi aspetti la società borghese dell'atene dei suoi tempi. Alla completa riuscita di questa operazione, contribuiscono anche la lingua e lo stile. Menandro riduce in maniera drastica le caratteristiche attiche della sua lingua perché ormai atene aveva rapporti con tutto il mondo che parlava il greco. Egli adotta inoltre uno stile dimesso e scorrevole che si accosta al tono colloquiale usato dalla borghesia dell'epoca. Questi strumenti, attraverso la rappresentazione dei pensieri e dei sentimenti che si agitano nell'animo di un uomo e che determinano lo svolgimento dell'azione drammatica, consentono al poeta di descrivere in maniera puntuale e articolata l'intera esistenza umana.
Alcuni critici hanno visto nel teatro di menandro un manifesto della filosofia peripatetica, ma i riferimenti contenuti effettivamente nei testi che possediamo non bastano a convalidare queste ipotesi. In realtà menandro vuole divertire il suo pubblico, non indottrinarlo, perciò i temi filosofici dibattuti ai suoi tempi devono essere considerati solo una componente di quell'ambiente del quale il poeta intende fornire un'immagine più completa possibile.
Menandro tuttavia, come ogni grande poeta, ci offre una sua interpretazione dell'esistenza che trova il suo centro problematico nel rapporto dell'uomo singolo con gli altri uomini. La civiltà greca, dopo una crisi lunga e travagliata, si stava profondamente rinnovando in campo culturale, economico, politico e sociale. Menandro riflette la difficoltà di vivere dei suoi contemporanei in un sostanziale pessimismo: il dolore è nato con la vita e perciò è impossibile evitarlo, molte sono le forze che impediscono all'uomo di realizzare i suoi desideri, soprattutto le conquiste del bene e della felicità; le bestie sono tutte più ragionevoli e più felici degli uomini perché soltanto gli uomini ai mali inevitabili causati dalla natura, ne aggiungono altri con la loro stoltezza. Queste dolorose certezze, unite all'impossibilità di trovarne una spiegazione, rendono molti personaggi di menandro, per esempio cnemone, incapaci di agire ed isolati in una drammatica incomunicabilità. Di conseguenza nei frammenti del poeta abbondano le sentenze pessimistiche. Una è particolarmente famosa perché piacque moltissimo a giacomo leopardi: "colui che gli dei amano muore giovane, muor giovane colui ch'al cielo è caro".
Menandro però è convinto che il bene e il male, al di fuori dell'esperienza del singolo individuo, siano concetti privi di significato; pertanto se vogliamo sanare e annullare le contraddizioni e i mali che ci affliggono, dobbiamo conoscere a fondo quella natura umana che ci accomuna tutti senza distinzione di età, sesso, popolo, razza; se ogni evento dell'esistenza si adeguasse alla legge di questa natura, le cose andrebbero per il meglio. Menandro quindi contempla la realtà che lo circonda con occhi malinconici e disincantati, ma nutre una profonda ed invincibile fiducia nella generosità e nella bontà che l'uomo deve all'uomo nell'infinita indulgenza per le passioni e le debolezze umane che dobbiamo essere sempre disposti a comprendere e a perdonare. Egli pertanto non si lascia andare ai feroci attacchi personali tipici di aristofane: non fustiga i vizi di singoli individui, ma cerca bonariamente di correggere i difetti comuni a tutti gli uomini. Ancora una volta dunque la commedia si rivela un'utopia: il poeta fornisce del mondo una valutazione sostanzialmente ambigua perché, mentre critica il presente, sa bene che non è possibile trasformarlo dall'interno.
Si direbbe quasi che menandro il male non soltanto non lo sapesse rappresentare, ma neppure concepire: tutti i suoi personaggi non hanno vizi, ma soltanto difetti; sono tutti, perfino gli schiavi e le etere, buoni e generosi in vario grado. Eppure questi personaggi non sono generici tipi convenzionali, ma creature piene di vita perché parlano meno che possono, ma agiscono con semplicità e naturalezza. Il poeta infatti non conosce il sentimentalismo, la retorica della bontà. La sua commedia raramente fa ridere: non troviamo in lui la comicità irresistibile, ma talora sboccata e triviale, di aristofane, più spesso il brio e l'arguzia di qualche scena fanno sorridere. Questo sorriso serve al poeta per nascondere la più sicura e delicata commozione, perché egli come i suoi personaggi ha pudore dei propri sentimenti, non vuole intenerirsi troppo quando rappresenta in maniera seria e pensosa la realtà. La bontà e la gentilezza si manifestano anche e soprattutto attraverso l'amore. In questo sentimento giustamente ovidio ha individuato il motivo fondamentale del teatro di menandro. L'amore unisce genitori e li, ma in particolare lega uomini e donne. In quest'ultimo caso esso viene descritto in varie forme: pura attrazione fisica, folle gelosia, affetto profondo e tenace, romantica e tenera contemplazione. Per la prima volta l'amore non è una passione tragica ed eroica, ma diventa un sentimento umanissimo, e tuttavia sincero e appassionato, capace di trasformare un uomo in maniera radicale. E dell'amore il poeta, con profonda finezza e sincera commozione, sa rappresentare tutti quegli ondeggiamenti che in un animo non volgare si accomnano ad esso e ne costituiscono tutto il fascio. Il mondo poetico di menandro è dominato dal caso e dall'amore: il primo determina gli intrecci e gli scioglimenti, ma il secondo riempie di vita i personaggi e non senza ragione tutte le commedie si concludono sempre con il suo trionfo sulle convenzioni, sugli interessi, sui pregiudizi. Questo trionfo non è puramente convenzionale: in un mondo governato dal caso, dove tutto è incoerente, contraddittorio, vano, l'amore è l'unica cosa seria che abbia veramente un significato ed un valore. Perciò nella vita la sua è la vittoria dell'elemento essenziale su quanto ha un'importanza infinitamente minore.
In conclusione possiamo dire che nulla caratterizza menandro più e meglio del verso che terenzio, spirito a lui profondamente congeniale, ha tradotto in latino rendendolo romano e universale:
"homo sum: humani nil a me alienum puto".
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