letteratura |
ORATORIA
Nel momento in cui l'oratoria perde peso si formano due scuole:
I nomi derivano da due grandi retori greci, Apollodoro e Teodoro (uno era maestro di Tiberio e l'altro di Augusto), sono i capiscuola di due modi di intendere la struttura del discorso e di insegnare l'arte oratoria.
û TEODOREI → Sono asiani: per loro l'oratoria è τεχνη = ARTE (parola-fregatura tremenda), è qualcosa di non insegnabile. La natura prevale sull'insegnamento; si basa sulle qualità naturali, è un'arte che può essere migliorata, ma non è trasmissibile.
û APOLLODOREI → Sono atticisti: secondo loro l'oratoria è ειστημη = SAPERE, è qualcosa di trasmissibile. La scuola è più importante delle doti naturali. Questa scuola si preoccupa di strutturare l'orazione in sé, dividendola in:
u Προιμιον → proemio: introduzione dell'argomento
u Διηγεσις → narrazione: è il racconto con l'esposizione dei fatti
u Αποδεξις→ dimostrazione razionale: si dimostra una certa teoria, per giungere ad una tesi
Il fatto che secondo questo tipo di scuola (apollodoreo) l'oratoria è una tecnica, ha portato a questa divisione rigida, mentre i teodorei non se ne sono preoccupati perchè secondo loro si può rendere migliore l'arte oratoria, ma sono più importanti la spontaneità naturale e la foga, è un'oratoria che ricerca il pathos. Ognuno sceglieva la scuola in base a ciò per cui era portato.
I vari maestri o teorici di queste tendenze scrivono vari trattati sull'argomento, per dimostrare le proprie teorie, probabilmente erano anche retori.
L'ANONIMO DEL SUBLIME
Di questi autori abbiamo solo alcuni nomi, per esempio il nome Cecilio di Calacte, e l'opera "περί υξιους" = Sul sublime: noi li abbiamo sovrapposti, dicendo che Cecilio di Calacte è l'autore del "περί υξιους", ma è sbagliato. L'autore di quest'opera resta anonimo. Non possono essere la stessa persona perché Cecilio di Calacte è atticista, mentre il "περί υξιους" è asiano, tende al pathos. In più nell'introduzione dell'opera, che si rivolge ad uno pseudo-alunno, c'è una critica a Cecilio, quindi non può averla scritta lui!! Probabilmente anche Cecilio di Calacte ha scritto un'opera con questo titolo, quindi si sono sovrapposte.
Si è cercato di trovare l'autore: per anni è prevalsa l'ipotesi di Rostagni, che attribuiva a Longino la paternità dell'opera, ma ora quest'ipotesi è crollata; si crede che l'opera sia dello pseudo-Longino.
E' un'opera molto interessante, sia per le fonti del sublime, sia per la definizione che dà del sublime, sia perché è l'ultima opera che affronta il problema della decadenza dell'oratoria, problema diffuso a Roma e in Grecia.
Il destinatario dell'opera è fittizio, lo chiama solo "carissimo"; è un'opera di proanda per la scuola.
Definisce il sublime "Il culmine e l'apice dell'arte e della parola", poi spiega perché deve essere raggiunto.
E' un'opera fondamentale per noi perché:
1) ci dà vari esempi di sublime, quindi possiamo confrontare il nostro giudizio con quello degli antichi;
2) è l'unica fonte che ci fa arrivare il "φαινεται μοι" di Saffo, citato come esempio.
Altro punto rivoluzionario: è la prima opera, per quanto ne sappiamo, che rivaluti il comico, condannato da Aristotele perché non produceva catarsi. Qui si dice che anche il riso è pathos, ma di gioia, può coinvolgere anche questo, anche se in modo opposto rispetto al tragico. Aristotele vedeva l'arte come strumento per l'educazione, ora invece è solo più "arte per l'arte": può essere anche comica!
SUBLIME = " Tutto ciò che è straordinario guida lo spettatore non alla persuasione, ma all'estasi", questo è il contrario degli atticisti e quindi di Cecilio, che era atticista, non può certo aver scritto quest'opera! Dice anche che il sublime "è un fulmine che trapassa tutto, al momento giusto".
E' interessante perchè, fra le fonti del sublime, l'autore cita
Fonti del sublime
Con un procedimento di ysteron proteron, prima di parlare delle fonti dice che cos'è il sublime, e poi da dove emerge.
Le fonti principali sono cinque:
attitudine alle grandi concezioni → grandezza d'animo: è la più importante, consiste nell'uomo che concepisce grandi idee (infatti il sublime è l'eco di un animo grande);
passione profonda e ispirata → pathos, capacità di lasciarsi coinvolgere, commuovere e sconvolgere dal sublime che c'è già in noi;
speciale foggia delle ure: saper usare le ure retoriche e di pensiero (metafora);
nobiltà di espressione → scelta delle parole e del modo di esprimersi. Locuzione traslata ed elaborata: Il modo di esporre non deve essere colloquiale, ma aulico e all'altezza del suo contenuto; è uno lo stile baroccheggiante, con una grande capacità di coinvolgimento.
collocazione delle parole → le parole devono produrre un suono nobile (questa fonte racchiude in sé tutte quelle che la precedono)
Le prime 2 sono doti naturali che una persona che vuole arrivare al sublime deve già possedere, le ultime 3 sono elementi tecnici che vengono insegnati (se no che scuola sarebbe?!).
"Il sublime è l'eco di un animo grande": riprende la prima fonte, che è la più importante: anche senza la parola, a volte si ammira il pensiero nudo. Per esempio: il silenzio di Aiace negli Inferi, mentre Odisseo gli parla, non ha bisogno di parole, ma indica l'animo grande, sia di Aiace, perchè riesce ad esprimersi anche nel silenzio, sia di Omero, il quale ha pensato a rendere in questo modo (con il silenzio) l'animo.
Le prime duo condizioni possono sussistere da sole; però non si può fare un'opera di soli silenzi: la scuola ha il compito di educare un animo grande perché questo può essere svilito se non viene usato ed adeguatamente educato con pensieri grandi. → giustifica la scuola che mette in luce e potenzia la grandezza d'animo naturale.
Il sublime è perfetto?
No! E' la mediocrità ad essere perfetta, dato che chi non sale mai nelle "alte vette" non rischia mai la caduta, si mantiene uguale a sé stesso. C'è un principio nell'opera che noi non condividiamo: l'autore rivaluta Omero a svantaggio di Apollonio Rodio → non sopporta la grandezza tecnica non supportata dalla grandezza d'animo. Apollonio Rodio è definito "il perfetto mediocre", mentre Omero "il sublime" per eccellenza (che comunque non può rimanere sempre tale). La critica moderna ha demolito quest'idea su Apollonio Rodio sostenendo che non c'è una mediocrità costante, ci sono pezzi in cui c'è più o meno poesia; evidentemente l'autore del "Sublime" ha confuso la perfezione tecnica, che è costante, con la mediocrità. C'è una differenza basilare fra il sublime e la mediocrità: il primo, a differenza della seconda che è perfetta, non può mantenersi costante. Tecnicamente Apollonio è perfetto, mancano i punti peggiori di altri, ma di conseguenza mancano anche i punti migliori! Omero invece ha delle vette. Nelle vette si notano maggiormente gli errori, che vanno comunque apprezzati per la grandezza.
L'autore esamina poi il sublime anche dalla parte dell'ascoltatore (è una novità!) → solitamente il sublime, per essere percepito, ha bisogno di un grande, ma anche se non siamo grandi scrittori, questo deve lasciare qualcosa in noi. Il sublime non deve dare un coinvolgimento solo momentaneo, ma duraturo nel tempo, perchè deve suscitare un'eco nell'ascoltatore, che poi andrà a fondo nella questione.
Effetto del sublime
Quando un passo non dispone l'animo alla grandezza, non si tratta di sublime, perché dura solo finché lo si ascolta: il sublime produce un'aspirazione alla grandezza e fa sì che chi ascolta lo voglia oltrepassare, lascia delle sensazioni durature e in grado di suggerire aspirazioni ulteriori.
Per un uomo saggio (per natura disposto alla grandezza) e critico di letteratura (colto) la grandezza naturale è solidificata da sublime che ascolta. Ciò che non è sublime cessa il suo effetto e si limita a produrre un effetto superficiale finché dura la lettura.
Dopo i tentativi dei korizontes di separare le due opere, è rimasta la visione di accettare che Iliade e Odissea siano entrambe state scritte da Omero. L'anonimo si inserisce nella questione omerica, sostenendo che l'Iliade, che è sublime, è il prodotto della giovinezza di Omero, mentre l'Odissea è meno sublime perchè prodotto di meditazione
Decadenza dell'oratoria
E' l'ultimo che ne parla. Come Velleio Partercolo parla di decadenza della letteratura essendo esperto di oratoria, si riferisce all'oratoria. Introduce un filosofo di cui non specifica il nome: probabilmente non si riferisce ad uno in particolare, come fa per il destinatario dell'opera. Per sostenere la causa tradizionale che la decadenza della retorica è dovuta alla mancanza di libertà, fa riferimento al nano: è qualcosa di mirabilis, Jαυμαστος, cioè che esce dalla norma, quindi è interessante. L'attenzione ai nani continua fino al '600 quando alle corti si tenevano dei nani: tenevano le coppie, come per allevarli, anche se poi non funzionava perchè non è genetico. Nel '600 era indice di ricchezza; nell'antichità i nani erano chiamati pigmei e si diceva che venissero costruiti; probabilmente erano commerciati, non erano schiavi, ma chi procurava i nani era un mercante e per aumentare il prezzo parlava di un prodotto creato artificiosamente mettendolo in una gabbia. L'Anonimo dice che se è vero che queste gabbie, come impedivano la crescita, impedivano anche lo sviluppo della parola (il nano per loro era anche muto: probabilmente non sapeva il greco e quindi non parlava, il greco non si preoccupa di instaurare una conversazione con esseri usati per esibirli) così ogni schiavitù legittima (riferimento all'impero) è un impedimento all'oratoria → non c'è oratoria perché non c'è libertà. Lui invece obietta la causa morale: la pace del mondo (sa di Tacito, non perchè l'abbia letto, ma probabilmente è un'idea che si è fatta strada nel mondo antico). Attribuisce ad una corruzione morale lo spegnersi del sublime, che è grandezza d'animo: se si svilisce la grandezza d'animo, non c'è più sublime. E'' un'affermazione logica.
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