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PAVESE

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PAVESE

Ogni guerra è una guerra civile

'Ma ho visto i morti sconosciuti . sono questi che mi hanno svegliato. Se un ignoto, un nemico, diventa morendo una cosa simile, se ci si arresta e si ha paura di scavalcarlo, vuol dire che anche vinto il nemico è qualcuno, che dopo averne sparso il sangue bisogna placarlo, dare una voce a questo sangue, giustificare chi l'ha sparso. Guardare certi morti è umiliante. Non sono più faccende altrui; non ci si sente capitati sul posto per caso. Si ha l'impressione che lo stesso destino che ha messo a terra quei corpi, tenga noi altri inchiodati a vederli, a riempircene gli occhi. Non è paura, non è la solita viltà. Ci si sente umiliati perché si capisce, si tocca con gli occhi, che al posto del morto, potremmo esserci noi: non ci sarebbe differenza se viviamo lo dobbiamo a un cadavere imbrattato. Per questo ogni guerra è una guerra civile, ogni caduto somiglia a chi resta e gliene chiede ragione . ora che ho visto cos'è guerra, cos'è guerra civile, so che tutti, se un giorno finisse, dovrebbero chiedersi: e dei caduti che ne facciamo? Perché sono morti? Io non saprei cosa rispondere. Non adesso almeno. Né mi pare che gli altri lo sappiano. Forse lo sanno unicamente i morti e soltanto per loro la guerra è finita davvero.' C.Pavese: La casa in collina.





La tragedia di morte e di sangue, che Corrado nella' Casa in collina' incontra durante il ritorno al paese natale, rappresenta una grande lezione di vita. Egli comprende che tutti i morti, nostri e nemici, devono chiedere una giustificazione ai vivi, non per essere vendicati, ma perché la loro morte abbia un senso, che dovrà consistere nella costruzione di una società più giusta ed umana. La guerra per Pavese e per Primo Levi viene considerata non tanto nel suo significato di lotta vittoriosa contro l'oppressione, ma per la tragedia che essa ha comportato e, in particolare, per la lacerazione interiore dell'animo umano. Per Pavese l'ideologia non basta a giustificare

i nemici uccisi e neppure le ragioni storiche e la religione aiutano a trovare una spiegazione di tanto orrore. Parlare di guerra significa parlare di morte, però in questo caso la morte non è un evento naturale, non è la fine, ma piuttosto è lo spezzare della vita, è un evento che l'uomo ha creato direttamente, frutto dei suoi pensieri più atroci.

Ma non ci sarebbe stata alcuna differenza se al posto di quei corpi avrebbe potuto esserci qualcun altro. La guerra non fa distinzione per i suoi morti e allora ogni guerra è una guerra civile, una lotta fra uomini in cui non c'entra più l'anima o la politica, ma solo la vita umana calpestata e sacrificata per nulla. Alla fine i più derelitti sono quelli che restano, eredi e colpevoli di quelle atrocità. I morti fanno paura, ed è giusto che sia così, ma non è una paura irrazionale, come quella che ci coglie quando siamo di fronte ad una situazione pericolosa, ma è razionale perché noi sappiamo cosa vogliono dire quei corpi stesi li per terra, immobili e muti, che chiedono proprio a noi il perché del loro stato. Essi ci svegliano, perché gridano la loro presenza scomoda e sono conseguenza della guerra che non ha giustificazioni.

Infatti le guerre sono un tragico gioco, di cui gli uomini, spesso inconsapevoli formano le pedine  e sono pronti a morire per un ideale artificioso, mentre diverso è l'interesse di chi all'alto dirige il gioco senza sensi di colpa. Pavese richiama a non dimenticare lo spettacolo di quei corpi, che spargono sangue inutilmente e ci invita a sentirci in colpa per non aver gridato a tempo opportuno l'assurdità della guerra sorretta da giustificazioni effimere. La morte, la vita spenta in guerra ci può riempire gli occhi di compassione, di tecipazione e forse di umana fierezza per averla scampata.




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