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Per quale cagione li principi d'Italia hanno perso li stati loro
Gli ultimi tre moduli del Principe rivelano la genesi ideale dell'opera; ne sono, al tempo stesso, il punto di partenza e la conclusione. Il Machiavelli non concepì il suo trattato come una disinteressata ricerca filosofica, ma come una meditazione tecipe della crisi italiana, volta a ricercare la possibilità di un'"azione estraordinaria" che consentisse di superarla mediante la costituzione di uno stato forte in Italia. Nei moduli precedenti ha accennato agli sconvolgimenti intervenuti nella comine politica italiana, che aveva mutato il vecchio equilibrio e distrutto un mondo che appariva un tempo perfetto.
Ora compie l'ultimo sforzo per far scaturire una società di cui vede chiaramente l'attuale disgregazione, una forza eccezionale capace di operare il miracolo della sua resurrezione. Egli è ben consapevole dell'estrema difficoltà dell'impresa; non s'illude sulla sua riuscita, ma esorta a compiere un ultimo tentativo per infrangere con una vigorosa "virtù" una situazione storica ormai irrimediabilmente compromessa. L'esortazione finale è svolta in tre momenti: nel modulo XXIV il Machiavelli intende sgombrare il campo dal pretesto con il quale i principi italiani cercavano una giustificazione alla loro ignavia e inefficienza. Egli afferma che i mali italiani non nascono da un avverso destino, ma derivano necessariamente dagli errori commessi da loro.
Nel XXV affronta il tema del rapporto tra "fortuna e virtù", affermando che questa può riuscire a vincere la fortuna, ed esortando comunque all'azione decisa e forte. L'ultimo modulo è un'appassionata invocazione ad un principe italiano affinché voglia liberare l'Italia dai barbari. Sono tre moduli strettamente concatenati e pervasi di una speranza magnanima.
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