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Punti di contatto tra il pensiero antropologico e il pensiero teatrale
È sempre più noto che tra le materie antropologiche e i fenomeni e gli atti rituali ci siano non solo semplici punti di contatto ma piuttosto un legame profondo che lega le due materie in maniera inscindibile. Il concetto teatrale di "analogia drammaturgica", sviluppato in ambito antropologico da Geertz e soprattutto da Turner, dimostra quanto i conflitti all'interno della società sembrano esser composti da strutture al cui interno si muovono personaggi che divengono, con i loro atteggiamenti, attori sociali e performer. Entrando in contatto con il pubblico e tramite l'atto teatrale, essi subiscono un mutamento temporaneo della loro identità, così la gente che prende parte ad un rituale mostra una metamorfosi che viene definita "coscienza performativa" che permette di relazionare il mondo fisico con quello trascendentale. Gli studi fatti da Grotowski sugli attori ci dimostrano che i cambiamenti di coscienza possono essere anche permanenti in quanto scuotono l'intimità di ognuno e non restano legati semplicemente all'atto teatrale. Un tipo di recitazione così intensa, detta anche "flusso", permette di avere una performance talmente forte e passionale, da riuscire a smuovere la coscienza del pubblico e a divenire un tutt'uno con esso, proprio come dovrebbe accadere in un rituale.
È di fondamentale importanza l'assetto strutturale della performance teatrale per collocare dei nessi tra teatro e antropologia. Infatti l'intera sequenza performativa teatrale comprende, oltre allo spettacolo che ne è il fine, anche altre fasi ugualmente importanti: addestramento, laboratorio, prove, riscaldamento, performance, raffreddamento e seguiti. Questo ci rimanda ai riti di iniziazione che comprendono una separazione, una transizione e una riaggregazione.
Il "testo performativo" è tutto ciò che accade durante una performance, sia in scena che fuori, pubblico compreso. La trasmissione del sapere performativo è ciò che permette molteplici scambi tra la gente di teatro e gli antropologi. Ai primi tocca conoscere ed insegnare l'addestramento, agli altri toccherà essere addestrati ad osservare ed identificare dei tratti caratteristici di una determinata cultura o anche di una performance. Gli antropologi tentano di far comprendere , alla gente di teatro, una determinata performance all'interno di determinati sistemi sociali.
Sulla convergenza dei metodi antropologici e teatrali sono stati fatti diversi studi argomentati con varie problematiche. Un caso specifico è quello di Brook che dal 1970 dirige il Centro Internazionale di Ricerca Teatrale a Parigi. La sua comnia era composta da performer provenienti da nazionalità diverse, spesso impegnata in alcuni viaggi per fare ricerca direttamente sul campo e osservare performance in determinate realtà sociali. Specialmente agli inizi, fu aspramente criticata per un atteggiamento quasi imperialistico nei confronti della gente del posto. Da ciò ne consegue la perplessità e i dubbi su quanto sia concreto lo scambio interculturale, che è alla base di tali ricerche.
È Turner ad analizzare questo punto, parlando, infatti, di "mettere in scena l'etnografia", proprio perché si rese conto che la messa in scena dei rituali sarebbe stata impossibile da realizzarsi, in quanto questi si realizzano e hanno modo di esistere solo in virtù di determinati contesti e dal flusso continuo della vita sociale che ne consegue.
Il futuro del rituale
Anche in questo saggio Schechner parte dalla consapevolezza di come le azioni rituali, sia umane che animali ricordino le pratiche teatrali sia dal punto di vista strutturale che da quello emotivo. Entrambe le performance, rituali e teatrali, mostrano una fusione tra l'elemento narrativo e quello affettivo ed è proprio da questa unione che si sviluppa l'esperienza della ritualizzazione.
Gli studi condotti da Grotowski e da Turner vertono sul potere creativo del rituale in quanto questo ha la capacità di evolversi continuamente e di dar vita a nuove immagini, idee e pratiche. Soprattutto Turner arriva ad affermare che le attività artistiche presenti nei paesi industrializzati siano similari ai riti delle società tradizionali. Quello che accomuna queste attività che Turner definisce "liminoidi" è ciò che scaturisce da atti volontari e non obbligatori.
Nel saggio, viene presa inoltre in considerazione l'etologia per spiegare come, determinati comportamenti degli animali, diventano e siano quasi analoghi a pratiche e comportamenti tipicamente teatrali.
Professione cartografo
Nel saggio a cura di Valentina Valentini, saggio che ha una direzione pluralista in quanto vengono presentate varie culture, viene presa in considerazione l'idea del viaggiare come possibile metafora delle pratiche teatrali. Il viaggio infatti, cosi come il teatro, rappresenta la spazio in cui il viaggiatore, ma anche il performer, mette in pratica le sue conoscenze e si appresta ad acquisirne delle altre, sospendendo temporaneamente la sua incredulità verso ciò che ancora non conosce. Si tratta però di un viaggio per poter uscire dai proprio confini, una momentanea mancanza di un luogo stabile che porta a liberarsi della normalità per raggiungere nuove mete e conoscenze. Tale atteggiamento definito anche "impersonificazione completa" che indica proprio un "non uscire" completamente, porta ad una forte crisi d'identità in quanto il soggetto è portato a non riconoscersi più e a non avere più certezze.
In realtà quest'atteggiamento risulta essere quasi spesso una chimera perché solitamente il personaggio che esce dai propri confini lo fa inizialmente soprattutto per curiosità, riuscendo comunque a mantenere al tempo stesso la consapevolezza del sé. La metafora del viaggio però, diviene ancor più calzante nel momento in cui ci si avvicina agli studi di Richard Schechner che,messe in crisi le teorie partecipatorie di una possibilità di vivere immediatamente l'esperienza estatica, si ritrova a dover rifondare una teoria e una pratica della performance, con un atteggiamento simile al cartografo.
Gli Essays on performance theory di Schechner si presentano infatti come il racconto di un viaggio d'esplorazione dove egli, negando apertamente l'estetica dell'esperienza della performance, non solo scruta ciò che avviene ma, diventa anche testimone di eventi che si realizzano sia nel workshop, durante le prove, che durante cerimonie e riti nei luoghi da lui visitati. Schechner individua inoltre nelle prove, l'evento attraverso il quale il performer sviluppa nuovi comportamenti recuperando quelli primari secondo un processo che non è affatto spontaneo ma che si situa al limite tra la finzione e la realtà. Schecner sostiene che le performance siano di doppia natura in quanto eventi unici, irripetibili e codificati. L'accumulo e l'analisi dei dati da lui tratti servono al fine di capire: quali siano i meccanismi della trance e che cosa succede ad attori e spettatori durante le performance. L'unico problema che si pone per Schechner consiste nella veridicità di ciò che si sta osservando, se sia autentico o meno,se tali eventi esistono perché artificiali o al contrario vivono in quanto verità. Un ruolo importante è rivestito, nelle parole di Schechner, dai media e dalle modificazioni che questi apportano nel contesto che osservano. Non trovando una logica spiegazione ai suoi dubbi Schechner non cercherà più l'autentico ma inizierà a parlare dell'importanza della fase di restore, intesa come un ripristino di ciò che gia esisteva precedentemente. È questa una fase generata dalle tecnologie sempre più avanzate che hanno trasformato eventi unici ed irripetibili in qualcosa di riproducibile e industriale al fine di conservare la memoria sociale attraverso la cattura di reperti, documenti ed immagini. In questo senso diventa ancor più importante il ruolo dello spettatore che dovrà far rivivere e ricostruire la realtà passata. Un tipo di spettatore questo che è fondamentale soprattutto nello spettacolo teatrale dove la messa in scena si crea proprio a partire dal rapporto tra actor/spectator . Tale complesso fenomeno, che trova larga diffusione a partire dagli anni Settanta, diventa il centro di un vasto movimento di ricerche sperimentali volto a stabilire un contatto immediato tra l'interprete-autore ed il pubblico, il quale è sottoposto alla simultanea fruizione di diversi codici espressivi, spinto ad assumere una posizione fisica, psicologica, quindi partecipativa rispetto all'evento che, infatti, mira a 'produrre sensibilità, umori, inquietudini, e non oggetti". Il contatto tra actor e spectator (che per Schechner significa trasformazione, perché "ogni osservazione è partecipazione e ogni partecipazione è creazione" ) avviene in uno spazio neutro, liminale, una zona di collegamento tra esterno ed interno (realtà e finzione) in cui l'operatore e lo spettatore rivestono compiti di "reciproca attività spettatoriale" . Dunque, nel corso dell'evento teatrale, o meglio, semplicemente dell'evento, il pubblico è definito alla pari degli attori, in quanto è dall'unificazione delle due funzioni - in sé limitate- dell'operatore e dello spettatore che è generato quello spazio integrato in cui entrambi rivestono la propria attività creativa. Lo spettatore infatti ricostruisce l'oggetto rinnovandolo; mentre, con il termine di PERFORMER, potremmo indicare proprio l'esito dell'unificazione dei ruoli e delle competenze, ovvero l'integrazione di visioni e visuali nel "piano finzionale" . Le dinamiche di inserimento dello spettatore nell'azione in questo caso ne danno anche una definizione, dunque, per il fatto di essere, come in un rito di passaggio, pienamente coinvolto nell'azione, l'osservatore deve necessariamente trasformarsi in partecipante.
All'interno del saggio la discussione tra i termini, opposti, "actual" e "restauration" portata avanti dalla Valentini è fatta per segnare e definire quello che è stato lo stesso percorso di Schecner che individua la specificità dell'evento teatrale, in molte delle funzioni proprie del rito, ponendolo dunque come quasi una rappresentazione delle società post-industriali. I due termini esprimono dunque in quest'ottica la possibilità di riconnettere il passato col presente, il tempo e lo spazio, il performer e lo spettatore, la soggettività e la socialità.
LO "SPETTRO AMPIO" DELLE ATTIVITA' PERFORMATIVE
L'autore del saggio introduttivo dell'opera magnitudini della performance, raccolta di saggi scritti da Richard Schechner, si trova a dover ripercorrere la storia degli scritti del regista e teorico americano per poterne individuare le finalità, i modi d'indagine e trarre delle conclusioni dall'imponente studio operato dallo stesso sul teatro e più in generale sulle attività performative. Deriu divide la sua introduzione in tre parti dove analizza i modi in cui Schechner ha indagato quello che viene definito "lo spettro ampio" delle attività performative
Teoria della performance e considerazione estetica del teatro
In questa prima parte, Deriu pone le basi dello studio di Schechner, ovvero cerca di definire la differenza che si ha quando si parla di "teatro" e "performance". Si parte dall'assunto che teatro e performance non siano affatto due sinonimi. Infatti il teatro viene definito come solo uno dei nodi di un continuum costituito da un insieme di attività, quali gioco, sport o danza, che vanno a comporre le "attività performative". Tutte queste attività, infatti, condividono alcune caratteristiche speciali tra loro e con il teatro. L'approccio a spettro ampio ("board spectrum approach") infatti vuole delineare proprio questa peculiarità dell'indagine. La teoria delle performance appare non facilmente conciliabile con posizioni culturali ben più solidamente affermate nella tradizione umanistica italiana. In questa prima parte dell'introduzione, ci viene presentata la rinuncia ad inseguire, con Schechner, il carattere estetico del teatro per coglierne la complessità in termini meno idealistici e fenomeno logicamente più articolati, dunque il regista cerca di cogliere studiando il teatro non quelle che sono le sue fondamenta estetiche, bensì cerca di astrarre le sue caratteristiche in quanto forma d'arte per poter arrivare a delineare le linea guida di tutte le attività performative.
Il percorso teorico di Schechner
In seconda istanza, Deriu, cerca di riordinare le idee in un mare di scritti e saggi del teorico e ripercorre in modo sintetico le tappe principali del suo lavoro. Nel prezioso saggio introduttivo a La teoria della performance 1970-l983 la curatrice della raccolta di saggi tiene a specificare che l'obiettivo perseguito da Schechner non era di ordine documentario bensì essenzialmente si centrava l'attenzione sul "teorico della performance" disegnando un'ideale parabola che muoveva dalla nozione di actual a quella di restoration of behaviour. L'ipotesi di fondo consiste nel ritenere che la performance sia una specie di comportamento comunicativo che fa parte o è contigua con altre specie di comportamenti comunicativi come cerimonie rituali e altre. Per Schechner questo tema si lega al bisogno di andare oltre i limiti di quello che storicamente è ed è stato il teatro dell'Occidente. Qualche anno dopo Schechner raccoglie con il titolo di Essays on performance theory un gruppo di saggi nematicamente orientati in una direzione assai precisa: dimostrare che la performance appartiene a una tradizione interculturale e che il proggetto di una teoria della performance consiste nel disegnare la mappa del territorio che essa occupa ovvero individuare le specifiche forme in cui si manifesta per sottolineare i tratti comuni che le performance di popoli e culture di ogni luogo e di ogni tempo presentano. La ricerca di Schechner smette di essere un viaggio in senso solo metaforico per divenire invece prassi effettiva. Questa è un impulso che il teorico condivide con molti altri protagonisti del teatro di ricerca degli anni 60-70 quali Barba, Brook o Grotowski. Restoration è non soltanto il temporaneo punto d'arrivo della ricerca, ma si rivela oggi anche come il nodo principale della stessa. Di fronte al quadro radicalmente mutato la complessa nozione di restoration assume allora anche il carattere di ipotesi di risposte alle domande che sorgono dal nuovo contesto e dalla nuova situazione. Rivolgendo l'attenzione sulla propria società a distanza di circa dieci anni (1984) e in piena rivoluzione "tecnotronica" provoca però una sorta di shock. Nel campo di percezione di Schechner irrompe l'insieme eterogeneo ed invadente dei fenomeni di intrattenimento e di svago caratteristici della cultura di massa euro-americana. Questo provoca un ribaltamento dell'osservazione indirizzata ora sui fenomeni spettacolari e d'intrattenimento della società post industriale dominante ed ecco che appare, trasformato, il teatro che in precedenza aveva considerato sso: lo ritrova recuperato nei suoi meccanismi di base in altre forme di comportamento in altri tipi di performance. L'osservazione è decisiva, bisogna infatti partire dall'ipotesi che il teatro e i suoi meccanismi di base siano due cose diverse. Il teatro sarebbe soltanto una delle modalità in cui i meccanismi di base della performance prendono forma e sostanza , probabilmente una delle più importanti ma certamente non un universale della cultura. Schecner dunque sostiene che la caratteristica essenziale delle performance consiste nel generare una tensione non tanto tra "rituale" e "teatro" quanto tra due polarità che meglio sono espresse dai termini "efficacia" e "intrattenimento". Vengono qui menzionate delle caratteristiche del rituale e del teatro. Al primo vengono ascritti: risultati, legame con un Altro assente, tempo simbolico, performer posseduti, pubblico partecipativo, pubblico credente, critica scoraggiata e creatività collettviva. Per il teatro invece vengono delineate: divertimento, solo per i presenti, enfasi sull'hic et nunc, performer coscienti, pubblico che osserva, pubblico che giudica, critica caldeggiata e creatività individuale. Il rituale viene disegnato sotto l'efficacia mentre al teatro spetta l'intrattenimento. La tensione tra le due è riportata in un esempio su un musical a Broadway. Questo è intrattenimento per il pubblico, ma se si allarga la prospettiva e si considera il complesso sistema artistico-economico-sociale che sta dietro appare chiaro che la medesima performance è molto più che puro intrattenimento. Dunque, conclude Schechner nel saggio, che l'intera storia del teatro occidentale può essere rappresentata come un intreccio instabile di efficacia e intrattenimento nel quale ciascun periodo è caratterizzato dal dominio di una polarità rispetto all'altra. Nella fase attuale intrattenimento ed efficacia stanno tornando a separarsi ma forse in modo molto più netto che in passato a causa della rivoluzione apportata dalle tecnologie di riproduzione audiovisiva che soddisfa il bisogno di divertimento ma esigono una fruizione anonima impersonale e massificata. La teoria della performance diventa una scienza sociale e non estetica
Riproducibilità/irriproducibilità/recupero
Infine, Deriu, avvicina le conclusioni degli studi fatti da Schechner a quelli di Benjamin. Dopo il 1984 il regista si orienta per grandi linee in tre direzioni principale. 1 l'approfondimento di uno studio più che decennale su alcune performance cerimoniali rituali spettacolari dell'india che culminerà in un libro monografico. 2 la revisione del percorso teorico e dell'architettura concettuale della teoria della performance 3 l'esplorazione delle estremità dello "spettro ampio" ovvero di alcuni fenomeni sociali e attività non strettamente artistici ne precisamente teatrali nei quali è presente però una netta e forte componente di performatività. Al centro della teoria della performance c'è non tanto il teatro ma le trasformazioni del teatro. Ciò che nelle trasformazioni resta costante: cioè i meccanismi di base comuni alle varie specie di performance e di attività performative. Il fondamentale "meccanismo di base" è il restored behaviour, il "comportamento recuperato" una speciale modalità di azione individuale e sociale che costituisce il nucleo e la caratteristica essenziale di tutte le specie di performance dalle più semplici alle più complesse. Recuperare un comportamento significa trattare una parte di vissuto come un regista tratta la sequenza di un film. Queste sequenze di comportamento infatti si rimontano e ricostruiscono in modo indipendente dai rapporti di causa effetto che le hanno prodotte hanno una vita propria tant'è che si potrebbe perfino ignorare o contraddire la motivazione originaria di quel dato comportamento il recupero di un comportamento si trova in tutti i tipi di performance. È certamente possibile affermare che la dove nelle azioni umani rintracciamo in qualche misura "comportamento" recuperato allora siamo in presenza di performance e viceversa c'è performance in quelle azioni in cui siamo in grado di cogliere l'attivazione di dinamiche di "recupero di comportamenti" il dilemma circa la differenza tra teatro e vita quotidiana e quello strettamente associato dei livelli o dei gradi di non spontaneità della vita quotidiana. La performance dunque si estende su tutta la gamma dell'azione umana ma certe attività sono aree particolarmente calde e intense dell'interazione umana in cui si fa più intensamente percepibile quello che nel saggio "dramma, script . " Schechner vagheggiava come il valore fino ad oggi sopravvissuto della performance.
L'inesistenza con cui Schechner ci segnala l'importanza della dimensione dal vivo senza rinunciare però a discuterla in rapporto on le forme le dinamiche e il senso delle performance tecnologicamente riprodotte non può non scortare la nostra attenzione fin verso Benjamin e la sua riflessione sull'opera d'arte nell'epoca della riproducibilità tecnica avvicinandola in 4 punti
1 l'inarrestabile diffusione nel nostro secolo dei procedimenti artistici che trovano la loro stessa possibilità di esistenza negli strumenti della riproducibilità tecnica determina infatti una frattura netta nell'universo fino ad allora composito ma sostanzialmente omogeneo delle espressioni artistiche. Schechner infatti fonda la sua teoria della performance come scienza dello spettacolo dal vivo. Il valore sopravvissuto della performance sta in primo luogo nell'offrire all'espressione umana a fronte dello sviluppo di linguaggi e di sistemi di comunicazione più sofisticati ed efficaci una dimensione per sua natura non riproducibile.
2 quello che Benjamin chiama il valore culturale e il valore espositivo di un opera d'arte coincide con quello che Schechner definisce efficacia e intrattenimento
3 secondo Schecner il sapere si divide in incorporato, ciò che è dentro di noi e si collega al corpo vivente del performer e ciò che ha bisogno di un luogo fisico fuori di noi per essere memorizzato
4 per entrambi con la riproducibilità di un opera si ha una perdita di aura. L'aura è un singolare intrecci di spazio e di tempo l'apparizione unica di una lontananza.
Dramma, script, teatro e performance
Osservando i segni sulle pareti delle grotte paleolitiche, Schechner ha individuato connessioni fra quei segni e i riti propiziatori connessi alla caccia e alla fertilità che dovevano avere luogo in quelle culture primitive. I segni sulle pareti di roccia costituivano una traccia di quei comportamenti simbolici che venivano attuati, traccia che non restituiva l'evento nella sua completezza ma che faceva da guida all'esecuzione corretta del rito. Tale traccia viene denominata da Schechner script, e
aveva a che fare con azioni codificate perfettamente conosciute da chi le eseguiva, al punto da poterle insegnare e tramandare di generazione in generazione nel tempo.
Molto dopo la scrittura, nacque il dramma, una forma specializzata di script, che descriveva in forma scritta le azioni simboliche a cui quest'ultimo rimandava. In Occidente, il testo scritto, in quanto forma comunicativa, è arrivato a superare come importanza la manifestazione intera, e solo le avanguardie, spesso riferendosi a culture differenti come quella Orientale, tentano una rivalutazione dello script come fondante della pratica teatrale.
Per Schechener i fondamenti dell'attività drammatica sono quattro, rappresentabili con cerchi concentrici:
1. al più interno abbiamo il dramma, un testo narrativo legato alla ura di un autore;
2. subito dopo c'è lo script, che viene trasmesso nel tempo e nello spazio grazie alla ura di un istruttore;
3. nel terzo spazio c'è il teatro, l'evento rappresentato dagli attori in risposta al dramma e allo script;
4. infine abbiamo la performance, l'evento nella sua totalità, inclusi gli spettatori.
Le quattro basi dell'evento teatrale si possono collegare fra loro per coppie: da una parte abbiamo dramma/script (soprattutto in Occidente), dall'altra teatro/performance (specie in Oriente). Così come il dramma è un tipo particolare di script, anche il teatro è un tipo di performance, però quest'ultima, molto spesso, non è facilmente separabile dalla vita quotidiana, e i confini sono talvolta travalicati nell'una o nell'altra direzione.
Negli spettacoli del The Performing Group, ad esempio, lo spazio scenico è frammentato, cosicché lo spettatore era costretto a muoversi nel corso dell'evento e a riconoscere da sé dove finiva lo spazio scenico, dove finiva, in pratica, la performance e dove cominciava la vita vera.
L'attività di Schechener puntava a mettere in tensione le quattro basi della pratica teatrale, e a far provare tale tensione allo spettatore. Per lui, nel caso di una messa in scena di un'opera scritta da altri, diventava impossibile restituire la visione dell'autore, o perché non la si conosce o perché estranea alla propria cultura. Di fatto, a teatro, si può essere fedeli solo a sé stessi e alle proprie visioni, perché il contesto culturale di un'opera è in continua evoluzione, e l'opera continuamente deve cambiare per tenersi al passo. In pratica, l'unica cosa che si può trasmettere così come è stata
prevista dall'autore è il solo dramma.
A Bali o in India, i drammi danzati sono i più diffusi. L'esecuzione ha caratteri fissi (gesti, movenze, espressioni) che sono codificati e ben conosciuti, ma la performance in sé può variare di volta in volta. Musicisti e danzatori non sono gli autori delle pratiche che eseguono, ma contribuiscono con la propria creatività alla buona uscita dell'evento, mai uguale a sé stesso. Tale fenomeno, nel teatro occidentale, permette, in qualche modo, ai performer di fungere da drammaturghi, affermando la propria capacità creativa.
A Kurumugl, in Nuova Guinea, nel rito delle invasioni del centro abitato da parte di gruppi isolati di persone, non c'è dramma ma performance pura, alla quale tutti partecipano, con uno script che resta vago in sottofondo. La danza e la gestualità, in questo caso, simulano lo scontro bellico e la vita sociale, rappresentando, per dirla con Goffman, la visione della realtà tipica di quel popolo.
Più in generale, nei riti e nei rituali sono presenti forti elementi teatrali, ma il dramma è spesso assente, mentre lo script è per lo più variabile a seconda dei presenti: anche a Ceylon, durante il Thovil, il rito si adatta a chi lo osserva, e la gente prova piacere nello stare insieme in un'atmosfera comunque festosa.
Il culmine del Thovil è la danza in trance, appresa dal danzatore dal proprio maestro, quindi secondo i modelli tipici dello script, seppure la danza in sé, si può dire, è puro teatro, al quale gli spettatori non partecipano, limitandosi ad osservare dall'esterno. La danza avviene in uno spazio ovale ben definito, e si svolge dopo una lunga preparazione del danzatore, che, quando comincia il suono dei tamburi, balza al centro dell'ovale e si dimena, in seguito anche con delle torce accese in mano, fra lo stupore ammirato dei presenti.
Il Thovil è diviso in cinque sezioni fra loro piuttosto slegate, tenute insieme da intermezzi nei quali il tempo torna a scorrere fluidamente, momenti di pausa nei quali persino i musicisti interrompono la propria attività per dedicarsi ad altro.
La seconda parte del saggio parla dell'identificazione negli animali dei culti animisti e totemici e dell'importanza del gioco come base per il rituale e per campi dell'esistenza molto seri, legati al potere nel gruppo sociale, alla fertilità e alla attività venatoria.
I disegni sulle pareti delle grotte lasciano supporre che fossero stati creati dei veri e propri costumi che combinassero attributi fisici umani e animali per l'esecuzione delle danze propiziatorie.
Allo stesso modo, anche in campo animale, è possibile riscontrare comportamenti ritualizzati, simili a quelli umani: spesso si tratta di eventi regolati dall'istinto, che vengono avvolti dalla dimensione simbolica del rito per evitare lo scontro diretto fra due esseri della stessa specie. La differenza, per l'uomo, è la coscienza di tali comportamenti, che negli animali vengono invece dettati dall'istinto.
Un animale che si esibisce per affermare la propria forza, il proprio potere sui suoi simili, se viene attaccato, può continuare ad esibirsi, ma dimostrando sottomissione, può fuggire oppure scegliere di combattere, cosa che la ritualizzazione tenta di evitare.
Altro elemento d'interesse sia per l'uomo che per gli animali è il gioco. Ma se, ad esempio, nello scimpanzè il gioco e il rituale si mischiano e si confondono, nell'uomo interviene la coscienza a separare i due campi. A definire il gioco è stato, fra i primi, l'olandese Johan Huizinga, col quale Schechner concorda nel considerarlo un fondamento dell'essere umano, essenziale per il suo sviluppo come individuo e come parte di una comunità, ma dal quale si distacca per il fatto di aver tralasciato un'analisi funzionale del fenomeno che, per Schechner, avrebbe contribuito ad una
maggiore comprensione della sua struttura di base, in relazione soprattutto a una più ampia sfera delle performance umane.
Nelle scimmie, il gioco serve a trovare un proprio posto all'interno del gruppo, stabilendo una scala gerarchica grazie all'agonismo dei giochi, e a sviluppare i caratteri sessuali nei giovani individui, caratteri che poi verranno indirizzati verso la riproduzione.
Schechner afferma che, nelle società umane, quelle che tendono alla collettività, al gruppo, si indirizzano verso una rappresentazione fondata su teatro e performance, mentre, dall'altra parte, la spinta verso l'individualità e l'affermazione personale sugli altri porta ad uno sviluppo maggiore del dramma rispetto agli altri elementi base del teatro.
Il gioco, nell'ambito delle performance, è utile a renderle organizzate e comprensibili: partendo da questo assunto, Schecher lo riconduce alla necessità primordiale, nelle specie onnivore e carnivore, di sviluppare creatività e capacità d'improvvisazione nell'ambito degli schemi di caccia sia singoli che di gruppo, prevedendo le mosse della prede e gli eventuali sviluppi delle possibili situazioni, cosa che permette di riconoscere nella caccia un vero script in cui si susseguono azioni individuali e collettive, culminanti, spesso, nella festa e nella suddivisione delle prede, prima di
rilasciare la tensione nel riposo successivo.
Il gioco, così ricontestualizzato, diventa un allenamento capace di assicurare un'economia energetica a chi lo pratica, perché il potenziale cinetico delle azioni simboleggiate nel gioco viene sublimato nel gioco stesso grazie al fare "come se", cosa che garantisce di valutare le possibili conseguenze di quel comportamento nella realtà, risparmiando le energie per la sua concreta attuazione.
1. la successione dei gesti può essere riordinata (problematizzata);
2. i gesti vengono esagerati;
3. è possibile ripetere più volte determinati movimenti;
4. la successione dei gesti può essere interrotta e poi ripresa (frammentazione);
5. alcuni movimenti possono essere allo stesso tempo esagerati e ripetuti;
6. dei singoli movimenti possono non trovare conclusione (per esempio due animali che fingono di mordersi non serrano per davvero le mascelle).
Nell'uomo questi sei modi sono tutti presenti, e fanno sì che il gioco diventi, a volte, la più seria delle occupazioni, discreditando Huizinga quando parla di deterioramento del gioco proprio a causa della sua commistione con attività non prettamente ludiche e fini a sé stesse.
Inoltre, non è del tutto vero che il gioco sia un'attività libera, per via del fatto che esistono delle regole che limitano tale libertà, e che permettono di dare ordine al caos del gioco, facendo da script per l'attività ludica.
La tesi di Schecher, in fondo, è che, nelle culture con un'attività di caccia intensa, il gioco sia condizionato proprio dall'attività venatoria, che a sua volta è influenzata dal gioco; la tensione esistente fra la crisi della violenza e del combattimento della caccia e la loro imitazione ludica trova espressione, prima o poi, nei riti e nei drammi, che costituiscono la rappresentazione del mondo e del modo di essere tipici di tali culture.
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