letteratura |
QUESTIONE DELLA LINGUA
La dominazione di Napoleone in Italia, pur favorendo, da una parte, l'unificazione della lingua del nord d'Italia, dall'altra, aveva portato molti francesismi che si temeva minassero la tradizione linguistica nazionale.
Per conservare l'integrità, furono avanzate proposte da parte di molti letterati e dello stesso Napoleone, che affidò all'Accademia della Crusca l'aggiornamento del vocabolario. Lo scopo comune era quello di risolvere la questione della lingua : Antonio Cesari, purista, curatore della riedizione del vocabolario della Crusca, riteneva che il fiorentino trecentesco dovesse diventare la lingua comune dei letterati italiani. Egli si rivolgeva, però, solamente alla lingua letteraria, trascurando globalmente la lingua parlata e del popolo, e inoltre, rinnegava l'evoluzione linguistica, culturale e letteraria dei quattro secoli successivi al trecento. Un po' meno rigido, ma anche egli sostenitore di una tesi arcaizzante, perché pura, era Basilio Puoti. Alle tesi dei puristi, si affiancava quella dei classicisti, che però, pur rimanendo in campo unicamente letterario, ritenevano necessaria la considerazione dell'evoluzione della lingua nei secoli Quattrocento, Cinquecento etc. fino ad arrivare ai contemporanei. Tra i sostenitori di questa tesi vi erano Vincenzo Monti e Piero Giordani. Quest'ultimo, a differenza del primo considerava il letterato come guida del popolo : visione, questa, progressista, ma non tanto da allargare la soluzione anche alla lingua del volgo. Furono i romantici, invece, ad avere un ruolo chiave nella svolta linguistica italiana ; infatti per primi ritennero opportuna una soluzione che coinvolgesse l'intera popolazione senza differenze di classe e di cultura. Tuttavia, anche tra gli stessi romantici non vi era un'unità di pensiero nonostante lottassero tutti contro una tradizione linguistica aulica, elitaria ed accademica. A questa opponevano un rinnovamento, di origine illuministica, consapevole delle esigenze del presente del quale rappresentasse i problemi in modo accessibile a tutti : una letteratura quindi in funzione civile, sociale e nazionale.
Il problema della lingua, aggravato dalla frammentazione dell'Italia in regioni, era stato fino allora affrontato unicamente solo in forma teorica. Bisognava quindi stabilire, innanzi tutto, quale fosse la soluzione migliore da mettere in pratica. Alessandro Manzoni esaminando la situazione della lingua italiana si rese conto che solo una lingua radicata nel tempo, presente e viva in un luogo, sarebbe potuta divenire la lingua comune a tutti gli italiani.
La sua proposta non era però nuova : la novità però consisteva nella prospettiva non più unicamente letteraria, ma soprattutto politica-culturale. I motivi che portarono il Manzoni a considerare la lingua di Firenze come la più adatta a diventare quella comune, vengono espressi nella lettera al Carena del 1851, nella quale, rivolgendosi ai letterati che condannavano i dialetti e consideravano "lingua comune" la lingua letteraria, dichiarava che ogni dialetto è una lingua perché "istumento sociale" e permette al popolo di comunicare in modo completo. Quindi bisognava trovare un dialetto da rendere comune a tutti : questo era il fiorentino vivo che è l'unico ad avere già influenzato, con alcuni vocaboli, la maggior parte dei dialetti italiani ; essi sono vivi, a differenza della lingua letteraria che non si regge su alcuna tradizione che non abbia funzione sociale. Diffondere il fiorentino vivo in tutte le regione d'Italia era un'impresa decisamente ardua che Manzoni cercava di superare (lo leggiamo nella sua relazione per il ministro della pubblica istruzione Broglio) per mezzo della scuola e con la pubblicazione di un vocabolario.
Il Manzoni con questa proposta conquistò numerosi consensi, ma non mancarono le contestazioni. Tra i maggiori oppositori fu Isaia Ascoli che ammetteva l'impossibilità di imporre ad un napoletano o a un milanese, una lingua che avesse una storia completamente differente dalla propria. Infatti il fiorentino si poteva considerare dopo Petrarca, Boccaccio e Dante, un dialetto come gli altri. Bisognava quindi, tenere conto dell'evoluzione della lingua italiana non solo a Firenze, ma anche in tutte le regioni, per porre le basi a una lingua comune anche al popolo che avrebbe così avuto la possibilità di prendere parte attivamente alla vita culturale della nazione. Ascoli aveva risolto sul piano teorico la questione della lingua che si risolverà, sul piano pratico solamente nel XX sec. Con l'avvento della televisione e dei grandi strumenti di informazione di massa.
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