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RIASSUNTO DEI PROMESSI SPOSI CAPITOLI 25-30
modulo 25. Don Rodrigo
pensa bene di lasciare il paese e tornarsene a Milano, prima d'essere costretto
a incontrare il cardinale. Il prelato viene accolto da don Abbondio al quale
chiede informazioni su Renzo. Lucia viene ospitata da una ricca signora, donna
Prassede, col beneplacito del cardinale, il quale finalmente chiede a don
Abbondio perché non abbia celebrato le nozze dei due giovani.
modulo 26. Celebre dialogo tra Federigo e don Abbondio, che sembra
ravvedersi, anche se non nasconde le sue buone ragioni. L'Innominato regala a
Lucia una dote di cento scudi d'oro; ma ad Agnese che porta alla lia la
buona notizia, Lucia rivela il voto fatto la notte del rapimento. Decidono
così di mandare metà della somma a Renzo e di pregarlo di non
pensar più al matrimonio. Ma non riescono a mettersi in comunicazione
con lui: il giovane ha mutato il proprio nome in quello di Antonio Rivolta e ha
cambiato filanda.
modulo 27. La guerra per la successione del ducato di Mantova, che
aveva visto di giorno in giorno l'Italia settentrionale coinvolta nella guerra
europea che prende il nome di guerra dei trent'anni,
impegnava del tutto l'attenzione del governatore don Gonzalo.
Temeva questi che anche Venezia volesse scendere in campo contro la Sna:
bisognava cercare di distoglierla facendo la voce forte contro la Repubblica
veneta. E l'occasione fu fornita a don Gonzalo dalla
notizia che Renzo si era rifugiato nel territorio bergamasco.
Di qui la finzione delle ricerche condotte per accertare se Renzo era veramente
a Bergamo. Era una formalità: Renzo diventò una pratica
burocratica. Il potere, di lui non s'accorse, perché era sola un pretesto. Ma
Renzo, pur cambiando residenza e nome, continuava a nascondersi: sapeva per
esperienza che del potere politico non ci si poteva fidare. Una sola cosa lo
tormenta: quella di mettersi in contatto con Agnese e Lucia. Riesce a trovare
una fidata trafila e un giorno riceve insieme con una lettera di Agnese
cinquanta scudi: Lucia, era detto nella lettera, non poteva sposarlo più
perché aveva fatto voto di castità. Si mettesse il cuore in pace e
attendesse agli affari suoi. Cosa che Renzo si dichiarò non disposto a
fare. Il suo unico proposito ora sarebbe stato di indurre Lucia al matrimonio.
Lucia, intanto, aveva trovato ospitalità in casa di donna Prassede, una
donna che poco poteva sul marito, don Ferrante, un intellettuale che da lei si
difendeva chiudendosi tra i suoi libri. Così donna Prassede sfogava la
sua volontà di strafare e la sua voglia di fare del bene ad ogni costo
(ma il bene coincideva stranamente col suo concetto piuttosto storto di bene)
alle persone come Lucia che si erano lasciate traviare. Non altrimenti si
poteva e doveva spiegare l'innamoramento della giovane per uno come Renzo che
per poco era sfuggito alla forca e che sicuramente doveva essere un poco di
buono, se era ricercato dalla polizia. Pensiero dominante di donna Prassede era
di liberare la mente di Lucia dall'immagine di Renzo e perciò a lei parlava
spesso e in termini duri ed ingiusti: Lucia per forza di cose doveva difenderlo
da tanta aggressività e così il suo Renzo se lo confermava sempre
più dentro. E sempre più intensamente l'immagine di lui
l'assediava, sempre come risultato dei metodi educativi di donna Prassede.
Nulla c'era da temere dal marito di lei, don Ferrante, un letterato di grande
classe: aveva tanti libri e la sua attenzione si fermava su scienze come
l'astrologia e la duellistica, dove era diventato
un'autorità. Era il tipo di letterato astratto, inutile, formalistica,
che non sa legare scienza e realtà, cultura e società.
modulo 28.
Questo è un modulo, in cui il Manzoni
abbandona di nuovo i suoi personaggi, per tracciare un quadro storico degli
avvenimenti successivi alla sedizione di San Martino, che ebbe come conseguenza
un ribasso del prezzo del pane; un ribasso che risultò fatale, in quanto
la plebe, affamata, si abbandonò ad uno sfrenato consumo, e troppo tardi
se ne avvide delle conseguenze disastrose, perché così facendo, non solo
rendeva impossibile una lunga durata ' a goder del buon mercato
presente', ma addirittura ne impediva 'una continuazione momentanea.
'. Anche i contadini abbandonavano la camna e si riversavano in
città; la situazione era destinata a precipitare; i tentativi di porvi
rimedio non ottenevano alcun risultato efficace. Consumate le scorte, la fame
divenne un male disastroso, pericoloso e inevitabile.
In città, chiusi negozi e fabbriche, la disoccupazione
imperversa e la miseria si spande a macchia d'olio. Accattoni di mestiere e
mendicanti formano una lugubre e grossa schiera. Il cardinale Federigo in
questa circostanza organizza i suoi soccorsi; forma tre coppie di preti che,
seguiti da facchini carichi di cibi e di vesti, girano per la città, per
ristorare chi è più bisognevole. Ma l'interessamento caritatevole
del cardinale, unito alla generosità dei privati e ai provvedimenti
dell'autorità della città, si dimostra inadeguato rispetto alla
vastità del male.
Per tutto il giorno nelle strade si ode ' un ronzio confuso di
voci supplichevoli, la notte, un sussurro di gemiti,' ma non si ode '
mai un grido di sommossa. '. Eppure, osserva il Manzoni,
tra coloro che soffrivano ' c'era un buon numero di uomini educati a tutt'altro che a tollerare, ' per cui conclude che
spesso ' ci rivoltiamo sdegnati e furiosi contro i mali mezzani, e ci
curviamo in silenzio sotto gli estremi'. Se qualcuno era in grado di fare
qualche elemosina, la scelta era ardua; all' avvicinarsi di una mano pietosa,
all'intorno era una gara d'infelici, che stendevano la loro mano. Poiché le
strade diventano ogni giorno di più un ammasso di cadaveri, trascorso
l'inverno e la primavera, il tribunale di provvisione decide ' di radunare
tutti gli accattoni, sani ed infermi, in un sol luogo, nel lazzaretto, '
dove potranno essere aiutati a spese del pubblico. In pochi giorni gli infelici
ospitati divengono tremila; ma i più, o per godere l'elemosine della
città o per la ripugnanza di star chiusi nel lazzaretto, restano fuori.
Per cacciare dunque gli accattoni al lazzaretto, si deve ricorrere alla forza,
e così, in pochi giorni, il numero dei ricoverati sale a circa
diecimila.
Ma tale iniziativa, sia pur lodevole nelle intenzioni, per l'ammassarsi
di tanti infelici in un sol luogo, per l'organizzazione carente e per
l'inadeguatezza dei mezzi, è insufficiente. La gente dorme per terra o
su lia putrida; il pane è alterato ' con sostanze pesanti e non
nutrienti'; manca persino l'acqua potabile; perciò la mortalità
cresce a tal punto che si comincia a parlare di pestilenza. Per porre rimedio a
questa grave e pericolosa situazione, si mandano via dal lazzaretto tutti i
poveri non ammalati, mentre gli infermi vengono ricoverati nell'ospizio dei
poveri di Santa Maria della Stella. Finalmente, con
il nuovo raccolto il popolo ha di che sfamarsi, ma la mortalità, per
epidemia o contagio, anche se con minore intensità, si protrae fino
all'autunno, quand'ecco, implacabile, un nuovo flagello si abbatte sulla
popolazione: la guerra. Infatti il cardinale Richelieu
con il re, alla testa di un esercito, scende in Italia e occupa Casale, tenuto
prima da don Gonzalo. Nel frattempo si dispone '
a calar nel milanese' anche l'esercito di Ferdinando, nel quale pare che
covasse la peste, tanto che si fa divieto a chiunque, quando l'esercito muove
all'assalto di Mantova, ' di comprar roba di nessuna sorte dai
soldati'. Ma tale divieto non è preso in alcuna considerazione.
L'esercito di Ferdinando, era per lo più composto da bande mercenarie
che mettevano a soqquadro tutti i paesi, asportando dalle case tutti gli
oggetti di valore.
modulo 29. Nel paese di Lucia, per sfuggire ai saccheggi, don
Abbondio, Perpetua e Agnese pensano di rifugiarsi nel castello dell'Innominato,
dove confluisce, ben protetta, la gente della zona.
modulo 30.
La peste la prende anche don Rodrigo: se la scopre addosso una sera
tornando da un festino dove aveva celebrato ironicamente il morto conte
Attilio. Chiede aiuto al Griso perché chiami un
medico: il Griso chiama invece i monatti. Che lo
portano al lazza retto. Ma prima del padrone muore
fulminato dalla peste anche il Griso. Di peste
s'ammala anche Renzo, ma la forte, contadinesca fibra lo salva: superata la
convalescenza decide di far ritorno al suo paese in cerca di Lucia. Nessuno in
tanta confusione si curerà di lui e dei suoi conti con la Giustizia.
Salutato il cugino Bortolo, riattraversa l'Adda e si affaccia al suo paese.
Dovunque imperano i segni della morte, dell'abbandono, della sofferenza.
Incontra Tonio in camicia che dice cose senza senso: la malattia lo aveva reso
idiota e fatto somigliare stranamente al fratello folle. Da una cantonata vede
avanzare una cosa nera; è don Abbondio che ha perduto Perpetua: è
mal messo ma si preoccupa della presenza di Renzo. per lui sorgente di guai. Di
Agnese sa che si rifugiata a Pasturo, di Lucia dice che è a Milano in
casa di don Ferrante. Altro non sa; una sola cosa vorrebbe: che Renzo torni al
più presto dond'è venuto. Renzo passa
anche accanto alla sua vigna: ormai ridotta a una marmaglia di piante, di vilupponi arrampicati, di rovi, di un guazzabuglio di
steli. Pare anch'essa investita e disgregata dalla peste. A sera trova rifugio
in casa di un amico. L'indomani decide di recarsi a Milano in cerca di Lucia.
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