Riassunto XXX° modulo de "I Promessi
Sposi"
I
tre fuggiaschi si dirigono, come altri che incontrano per la strada, al
castello dell'Innominato: le due donne, al sentir le notizie di chi era fuggito
dai paesi invasi, si sentono rassicurate dalla scelta fatta, mentre don
Abbondio continua a vedere ovunque minacce alla propria salvezza: un luogo
così fortificato può attirare i soldati, per i quali dare un
assalto è come andare a nozze; dunque non cessa di brontolare e di
raccomandare alle due donne il silenzio, suscitando la reazione spazientita di
Perpetua. Quei luoghi risvegliano nel curato il ricordo delle angosce provate
la prima volta che li aveva attraversati e in Agnese destano un sentimento di
crudeli memorie e rinnovano una più forte nostalgia di Lucia.
L'Innominato riconosce don Abbondio e scende incontro al terzetto: rivolge ad
Agnese parole commosse, assicura di aver provveduto a fortificare il castello e
guida gli ospiti nei quartieri loro destinati. Per ventitré o ventiquattro
giorni i tre soggiornano al castello: qui giungono notizie dei saccheggi della
valle, si organizzano spedizioni di difesa, fervono i lavori necessari ad
ospitare tanta gente. Due sono gli atteggiamenti dominanti in quella
moltitudine: quello di chi non vuole darsi pensiero del pericolo del momento e
quello di chi è preoccupato per le proprie case abbandonate.
L'Innominato sovrintende a tutto, perlustra i dintorni comandando, disarmato, i
suoi uomini ed è benedetto come un salvatore dalla gente; Agnese e Perpetua
collaborano come possono agli impegni di vita comune; don Abbondio si tiene
invece appartato, parla pochissimo e fa qualche passeggiata solo per
identificare qualche via di scampo in caso di assedio. Intanto sul ponte di
Lecco passano, uno dopo l'altro, i reggimenti dei Lanzichenecchi e, dopo aver
saccheggiato i paesi, si allontanano. Passato il pericolo la gente lascia a
poco a poco il castello; fra gli ultimi anche Perpetua, Agnese e don Abbondio,
che aveva ancora paura di qualche soldato rimasto in giro. Agnese riceve in
dono dall'Innominato un corredo di biancheria e un po' di denaro per riparare i
danni che troverà certamente una volta tornata a casa. Durante il
ritorno la sosta alla casa del sarto è brevissima; il viaggio continua e
ben presto davanti agli occhi dei poveri fuggiaschi appare lo spettacolo
desolante dei campi e delle case devastate dalle truppe e i segni della
miseria. Giunti al paese vedono che anche le loro case hanno subito il
saccheggio: Agnese per prima riassetta come può la sua, e potrà
presto, grazie al denaro ricevuto in dono, permettersi l'aiuto di un falegname
e di un fabbro che la riparino. Intanto il curato e la sua governante entrano
in canonica, vincendo l'orrore per il terribile puzzo che vi regna: tutto
l'arredamento è distrutto ed i muri sono imbrattati da caricature di
preti molto offensive; nell'orto la buca, in cui era stato nascosto il
gruzzolo, è aperta e vuota. Fra Perpetua e don Abbondio scoppia
l'ennesimo battibecco e la pace fra i due non torna neppure nei giorni successivi,
perché Perpetua, avendo capito che qualcuno dei paesani ha rubato in casa,
rimprovera il padrone di non aver neppure il coraggio di recuperare il
maltolto. Poi il narratore avverte che fatti ben più gravi costringono
ad abbandonare il racconto delle apprensioni private del povero curato.