letteratura |
Appena ho letto per la prima
volta che uno dei libri che Roberto Cotroneo avrebbe
preso in esame nella sua lunga lettera era 'L'isola del tesoro' di Stevenson, mi sono ricordato di quando l'avevo letto, tanto
tempo fa, in terza o quarta elementare. E mano mano
che procedevo con la lettura, confrontavo la sua esperienza di bambino di otto
anni che leggeva un romanzo d'avventura di uno dei più importanti
esponenti del Romanticismo inglese con la mia esperienza di bambino di otto-nove anni che leggeva un romanzo di avventura di uno
dei più importanti esponenti del Romanticismo inglese. Avendo affrontato
il secondo modulo della lettera di Cotroneo con
quest'ottica, ora cercherò di ripercorrerlo e di commentare la mia
esperienza qui, in queste ine.
La terribile ballata del pirata, che tanto aveva impressionato Roberto, a me
non era sembrata che una semplice filastrocca di un libro per ragazzi. Ma forse
la vedevo in quest'ottica perché ero stato costretto a leggerlo. Non mi
attirava molto. Però, superato le prime ine, qualcosa cominciò
ad attirarmi. Forse l'immagine di quel pirata, e di come il solo pensiero della
macchia nera lo uccise. All'epoca mi ricordai di una storia degli Aristogatti dove anche 'Romeo er
mejo der Colosseo' veniva, in un sogno, marchiato con la
macchia nera. La macchia nera, poi, mi fece ricordare un altro Macchia Nera,
che conoscevo molto meglio, uno dei principali avversari di Topolino. E
così cominciai a leggere il romanzo con più interesse. Non mi
sconvolse tanto la ura di John Silver, e me la
ricordo poco anche adesso che ne ho letto la trama sul libro di Cotroneo. La parte che mi catturò di più
(lessi quel pezzo addirittura di notte, nelle ore che riservavo esclusivamente
al sonno, anche se da quel momento divennero le ore di lettura) fu quando Jim minacciava appollaiato su un albero della nave un
pirata; quest'ultimo gli lanciò un coltello ferendolo di striscio ad una
spalla, il ragazzo cadde e lo uccise. Almeno questo è la versione dei
fatti che ricordo a sette anni di distanza dal momento in cui lessi quel
romanzo. Ma il libro di Cotroneo ha risvegliato la
mia curiosità e adesso, in questo momento, mi sto alzando, sto andando
in camera mia e sto cercando 'L'isola del Tesoro'. Mi ricordo di
averla. Per me era un libro lungo e corpulento, ma non saprei dire se fosse
l'edizione integrale o quella ridotta. Ma dove sarà Ah, eccolo.
L'apro alla prima ina e leggo 'modulo primo. Il vecchio lupo di mare
all'«Ammiraglio Benbow»'. Benbow? Mi sforzo e non ricordo cosa sia, ma non mi
è nuovo. Questo nome ha risvegliato chissà quali remoti
meccanismi della mia mente per cui ricordo di averlo sentito tante volte ma non
ricordo il suo significato. È buffo riprendere un libro in mano dopo
tanto tempo. Era più grosso, prima. Non l'avevo più ripreso in
mano da quando lo lessi quella volta. Non l'ho nemmeno riletto tante volte come
Cotroneo, e, confrontando il suo commento con i miei
ricordi credo che, raccontando la trama di questo libro, abbia un po' calcato
la mano. Però sono quasi sicuro che, se non avessi letto l'Isola del
Tesoro, questo libro mi avrebbe incuriosito ed invogliato a leggerlo.
Ho provato una sensazione
analoga leggendo il modulo sulla tenerezza. Il protagonista è un
giovane ragazzo di circa diciassette anni, Holden. Holden è incompreso, Holden
viene cacciato dalla sua scuola e non ritorna a casa, ma fugge. Fugge dalla
rabbia dei genitori, ma fugge anche dalla responsabilità di diventare
grande. Holden non accetta il mondo in cui vive,
perché lui è diverso. A lui non interessa ciò che interessa alla
gente comune, ed ha un modo tutto particolare di guardare le cose. Mi ha molto
interessato il dialogo con il tassista: «- Be', sa le
anitre che ci nuotano dentro? In primavera eccetera eccetera?
Che per caso sa dove vanno d'inverno?». È una domanda quasi fuori luogo
all'interno del taxi dove si trova Holden. L'autista
crede di aver capito male: «Dove vanno chi?» e quel corsivo è azzeccatissimo, perché l'autista non può nemmeno
concepire che a qualcuno interessino le anitre. Perché mai? Forse lo staranno
prendendo in giro, ma: «Le anitre. Lei lo sa, per caso? Voglio dire, le vanno a
prendere o vattelapesca e le portano via, oppure
volano via da sole, verso sud o vattelapesca?», aveva
capito proprio bene. Ma è futile, fuori luogo, irritante, e risponde
bruscamente: «Come diavolo faccio a sapere una stupidaggine
così?». Quella stupidaggine, secondo me, non è affatto stupida,
ma è solo insolita per la gente ma semplicissima per Holden.
Ma tutto ciò che non rientra negli schemi non ha senso di essere
nominato, perché i gusti della massa sono gli unici gusti possibili. Cosa fanno
le anitre? Ma a chi importa delle anitre, questa è una domanda che non
interessa e perciò stupida. Ciò lascia sbigottito Holden e perplesso me. Soprattutto l'ultima risposta del
tassista: «- Stia a sentire. Se lei fosse un pesce, Madre Natura penserebbe a lei,
no? Giusto? Non crederà che i pesci muoiano quando viene
l'inverno, no?
- No, ma
- E l'ha proprio azzeccata, che non muoiono, - disse Horowitz
[l'autista] e partì sparato come un razzo».
Se questo dialogo fosse stato un fumetto, immagino le parole del tassista
scritte in grassetto a caratteri cubitali, mentre le parole del povero Holden scritte piccole piccole in
una nuvoletta che si fa spazio a fatica tra le parole dell'altro.
Campa. Non perché o come. Campa, il resto non t'interessa. Questo mi è
sembrato il pensiero del tassista. Non sono rimasto sconvolto come il giovane Holde, ma lo sono rimasto abbastanza nel mio piccolo.
Appena ho finito questo modulo, ho chiuso il libro e ho un po' riflettuto. Ho
anche deciso che, appena avrò un po' di tempo libero, comprerò
questo libro e lo leggerò. Mi ha incuriosito la condizione di ragazzo di
Holden. Disadattato, che cerca di farsi strada in un
mondo che non gli appartiene, dove nessuno lo capisce. O almeno, quasi nessuno.
La stessa condizione che, nel proprio piccolo, ogni ragazzo della mia e della
sua età ha. Chi più, chi meno.
Una vita. Una vita fatta di
tanti giorni grigi, scialbi, uguali. Una vita misurata con cucchiaini di
caffè. E, quando basterebbe un minuscolo gesto per uscire dalla
monotonia, si ha paura: un terrore invade le ossa al sol pensiero di uscire
dall'odiata routine, e non si osa, si rimane in bilico. E d'un tratto si
capisce che si invecchia, che i giorni, grigi, scialbi, uguali, pesantemente si
posano l'uno sull'altro, fino a diventare mesi, anni.
Questo è Prufrock, o almeno è un
riassunto del riassunto della ura di Prufrock. Lui
non può, perché il suo piccolo gesto sconvolgerebbe l'universo, il suo
universo quotidiano. Prufrock è un uomo
qualunque, anzi l'uomo qualunque. Prufrock fa
parte di quella massa di persone che procedono insieme in una vita monotona, e,
pur capendo la propria condizione di plagiato da quest'insieme di persone,
quando sa che ne può uscire fuori, si congela: la paura gli scorre lungo
la spina dorsale, e lui non può osare né in un verso, né nell'altro, e
rimane in uno sconvolgente bilico. «Posso osare?», «Oserò / turbare
l'universo?»
No.
Non si può tentare di rimanere nella massa e pensare di uscire fuori
anche lontanamente dalla routine quotidiana. È una contraddizione in
termini. Prufrock è la massa.
Cambiamo discorso. C'è una bellissima canzone di Guccini,
la 'Canzone dei dodici mesi', che quando parla del mese di Aprile
dice:
Con giorni lunghi al
sonno dedicati
il dolce Aprile viene
quali segreti scoprì in te il poeta
che ti chiamò crudele,
che ti chiamò crudele?
Non avevo capito cosa intendeva Guccini con questo 'che ti chiamò crudele' fino a quando non ho letto l'incipit della 'Terra desolata'.
Aprile è il mese
più crudele, genera
Lillà dalla terra morta, mescola
Ricordo e desiderio, eccita
Spente radici con pioggia di primavera.
L'estate ci tenne caldi, coprendo
La terra di neve smemorata, nutrendo
Una piccola vita con tuberi secchi.
So che bestemmio se dico 'esagerato!', ma sarebbe tra le mie intenzioni. Pessimismo distillato che imbeve ogni parola. Non c'è un rigo dove una parola non ricorda questa tristezza: crudele, morta, spente, tenne, smemorata, secchi. Non serve andare avanti. Sarà senza dubbio tutta così triste. Ed è inutile commentare adesso un commento su una complicatissima poesia che non ho mai letto. Per me Aprile non è il mese più crudele. Sarà una mia visione particolare dei fatti (anche se ne dubito), ma per me
nei tuoi giorni è
bello addormentarsi
dopo fatto l'amore
come la terra dorme nella notte
dopo un giorno di sole,
dopo un giorno d sole.
F. Guccini
La rovina del giocatore era
un noto e discusso fenomeno statistico che aveva avuto una forte influenza
sull'analisi sia dei processi evolutivi sia degli eventi della vita quotidiana.
«Diciamo che stai giocando a testa o croce. Ogni volta che ti viene testa vinci
un dollaro. Ogni volta che ti viene croce, perdi un dollaro».
«Va bene».
«E cosa succede con l'andare del tempo?»
La Harding si strinse nelle spalle. «Le
probabilità che venga testa o croce sono pari. Per cui magari vinci,
magari perdi. Ma alla fine ti trovi in pari».
«Purtroppo no», disse Malcolm. «Se insisti nel gioco
perderai sempre: il giocatore è sempre rovinato. Per questo i casinò
non falliscono mai. Il punto è: che succede con l'andar del tempo? Che
succede nel periodo che precede la rovina ultima del giocatore?».
«Che succede?».
«Se fai un diagramma dell'andamento del gioco, scopri che per un certo periodo
il giocatore vince oppure perde. In altre parole, tutto procede per fasi.
È un fenomeno che si può osservare ovunque: nel clima, nelle
inondazioni, nel baseball, nel ritmo cardiaco, in borsa. Una volta che le cose
vanno male, tendono a proseguire su quella linea. Come il vecchio detto per cui
non c'è il due senza il tre. La teoria della complessità ci dice
che la saggezza popolare ha ragione. Le cose negative si accumulano. Le cose
precipitano tutte insieme. Questo è il mondo reale».
M. Crichton
Questo brano l'ho preso da 'Il mondo perduto'. La stessa cosa vale anche per Wertheimer, il soccombente. Il grande talento è il massimo a cui può aspirare un artista. Finché non si incontra colui che non ha talento, ma è puro genio. Allora in un lampo si capisce che mai e poi mai si riuscirà ad arrivare ai suoi livelli. Comincia la rovina del giocatore. Wertheimer non può comprendere l'essenza del genio e allora, in quel preciso istante inizia il declino: dallo sforzo di capire deriva la follia, che si annida sempre di più nella mente del giovane pianista. Quando il genio, Glenn Gould, muore, Wertheimer non è più quello che era prima di conoscerlo. All'interno della sua mente malata, non può sapere perché il genio Gould sia morto mentre lui sia ancora in vita. Non può, e si toglie la vita. La catastrofe finale della rovina del giocatore. Quasi come un grafico ideale. La linea di Wertheimer procede ad altissimi livelli, ma quando conosce Gould si confronta con l'infinito, e capisce che più cercherà di avvicinarcisi, più il traguardo sarà lontano. E nel tentativo di comprendere quest'infinito, impazzisce, e innesca la rovina del giocatore, che dopo la morte del Genio, porterà la sua curva discendente a valore zero e alla fine.
Privacy
|
© ePerTutti.com : tutti i diritti riservati
:::::
Condizioni Generali - Invia - Contatta