letteratura |
di Italo Svevo
La coscienza di Zeno, terzo romanzo di Italo Svevo (pseudonimo di Ettore Schmitz) venne pubblicato nel 1923, dopo venticinque anni di silenzio letterario, perlomeno pubblico, dell'autore.
Quest'opera, composta fra il '19 e il '22, appare molto diversa nella struttura rispetto ai romanzi precedenti (Una vita, 1892 e Senilità, 1898): gli anni trascorsi infatti furono cruciali per quanto riguarda l'evoluzione interiore dell'autore, che rimase profondamente influenzato dalla conoscenza della psicanalisi freudiana e che visse le radicali trasformazioni nell'assetto della società europea provocate dalla Prima Guerra mondiale.
Questo libro si profila come un memoriale, o una confessione autobiografica, che il protagonista Zeno Cosini scrive su invito del suo psicanalista, il dottor S., a scopo terapeutico, come preludio alla cura effettiva che si svolgerà in un secondo tempo. Secondo la finzione letteraria, è lo stesso dottor S. che fa pubblicare l'autobiografia di Zeno, per vendicarsi di quest'ultimo, che si è sottratto prematuramente alla cura. Al manoscritto si aggiunge un ultimo modulo, una sorta di diario, in cui Zeno spiega il suo abbandono della terapia e si dichiara sicuro della propria guarigione, avvenuta in coincidenza con dei successi commerciali.
È il protagonista stesso a narrare la propria vicenda, ma il racconto, nonostante quest'impostazione autobiografica, si conura più come una libera associazione di ricordi, piuttosto che presentare gli eventi nella loro successione cronologica. Ne risulta quindi una struttura temporale disordinata: gli episodi sono inseriti in un tempo soggettivo, in cui il passato riaffiora continuamente e si intreccia col presente, come avviene nelmemoria - I processi di memorizzazione dall'acquisizione al richiamo - Studi comparati" class="text">la memoria dell'individuo. Nel "preambolo" Zeno confessa la propria incapacità di abbandonarsi passivamente al flusso di ricordi, come dovrebbe secondo il suo medico, e dichiara il proprio tentativo di organizzarli, scrivendo "secondo coscienza". La scrittura diviene così cura in sé stessa, tramite per cui decifrare la sua vita e la sua malattia, per approdare all'autoconsapevolezza. Per questo egli ricostruisce il suo passato in modo da farlo convergere attorno ad alcuni nuclei tematici, inerenti a episodi che lo hanno segnato nel profondo. A ciascuno di questi temi fondamentali viene dedicato un modulo: il vizio del fumo e i vani sforzi per liberarsene, la morte del padre che scatena in Zeno gravi rimorsi, la storia del suo matrimonio, il rapporto con la moglie e la giovane amante, la storia dell'associazione commerciale fondata con il cognato Guido Speier ed infine le sue riflessioni sulla "psico-analisi", della quale Zeno afferma l'inutilità. Si tratta sempre di argomenti che presuppongono un malato ed un medico, un nevrotico ed uno psicanalista: il romanzo procede attraverso l'analisi dei meccanismi psicologici del protagonista, e mette sistematicamente a nudo la dissociazione tra comportamenti e intenzioni e gli autoinganni della coscienza.
L'opera si apre con la "prefazione" del dottor S., subito seguita dal "preambolo" di Zeno Cosini, che si presenta sin dall'inizio come un "inetto", incapace di ricordare la propria infanzia.
Nel primo modulo descrive gli anni della gioventù, durante i quali conduce una vita oziosa e scioperata, passando da una facoltà universitaria all'altra. Proprio a quest'età Zeno si abitua al vizio del fumo, a cui associa intollerabili sensi di colpa. L'aver iniziato a fumare rivela l'inconscia ostilità di Zeno nei confronti del padre, facoltoso commerciante, e il desiderio di sottrargli le sue prerogative virili per farle proprie. Zeno percepisce l'ossessivo bisogno di abbandonare questo vizio durante tutto il corso della sua vita; periodicamente infatti si propone di smettere di fumare, finchè non scopre che la sua malattia risiede non tanto nel vizio del fumo in sé, quanto nel piacere provocato dal proposito di smettere: l'ultima sigaretta è il vizio supremo al quale non sa rinunciare.
Il secondo modulo tratta il difficile rapporto tra il protagonista e suo padre, il quale non nutre per lui la benché minima stima, come rivelerà il testamento, poiché affiderà la tutela del lio all'amministratore Olivi, sancendone così l'irrimediabile immaturità e la sua irresponsabilità infantile. Questa situazione si complicherà quando egli, sul letto di morte, lascerà cadere un forte schiaffo sul viso del lio, gettandolo così nel dubbio e portandosi nella bara la spiegazione di quel gesto; gesto forse prodotto dall'incoscienza dell'agonia, o forse ultimo atto volontario, scaturito da una deliberata intenzione punitiva. Privato della ura del padre, Zeno sente il bisogno di trovare una ura sostitutiva, e comincia così a frequentare Giovanni Malfenti, ricco uomo d'affari che incarna l'immagine del perfetto borghese, abile e sicuro nella vita pratica, dalle poche ed incrollabili certezze.
Per farsi adottare come lio, Zeno progetta il proprio matrimonio con una delle lie di Malfenti: i nomi di queste iniziano tutti per la lettera "a", e ciò, considerato che il proprio comincia con la lettera "z", gli sembra un segno del destino.
Quella che lo affascina di più è Ada, la primogenita, e l'unica che gli è avversa per il suo comportamento goffo e stravagante. Respinto da lei, fa la propria proposta alla sorella minore Alberta, e poiché anche costei lo rifiuta, rivolge le proprie attenzioni ad Augusta, la meno avvenente. In realtà essa si rivelerà la moglie più adatta a lui; sollecita ed affettuosa infatti gli offre sicurezze e disponibilità. Nel frattempo Ada sposa un avvenente ed elegante corteggiatore, Guido Speier.
Augusta ha, come il padre, un solido sistema di certezze: è un perfetto campione di "sanità" borghese. Ella è l'antitesi di Zeno, che è invece irrimediabilmente diverso, incapace di integrarsi in quel sistema di vita, anche se vi aspira con tutte le forze, in un disperato desiderio di normalità. Zeno, incapace di adeguarsi alla sua infelice condizione, sviluppa una nevrosi che lo rende "malato immaginario", mentre egli non desidera altro che la salute. Egli infatti si presenta come un uomo malato e bisognoso di cure, anche se la sua è una malattia senza nome: in realtà ha una salute di ferro, i suoi disturbi sono di origine psico-somatica, in quanto sopraggiungono in condizioni di disagio e di frustrazione.
Zeno pone al fianco della moglie Carla, una giovane amante, con la quale assume un ruolo paterno. Questa relazione, descritta nel quarto modulo, gli provoca continui sensi di colpa, che lo spingono a incrinare a tal punto il rapporto con la ragazza, che questa lo lascia per un uomo più giovane. Conclusasi questa avventura, che stava turbando profondamente la sua vita, il protagonista spera di riuscire finalmente ad accostarsi alla normalità borghese, divenendo un buon padre di famiglia ed un accorto uomo d'affari.
Come spiega nel modulo successivo, fonda assieme al cognato Guido un'associazione commerciale, quindi ostenta per costui amicizia e affetto fraterno, che mascherano un odio profondo, originatosi da un complesso di inferiorità. Questo sentimento si tradirà poi al funerale di Guido, morto suicida a causa dell'ennesimo dissesto finanziario, quando Zeno, nella fretta, sbaglierà corteo funebre.
A questo punto, ormai anziano, il signor Cosini intraprende la cura psicanalitica, e comincia la stesura del manoscritto; l'analisi ha per oggetto l'inconscio di Zeno e tutto il mondo è rappresentato attraverso la lente deformante delle sue opposte pulsioni. Nell'importanza data ai meccanismi inconsci, la dottrina freudiana è sicuramente presente, ma nonostante questo evidente riferimento ad essa, non c'è nel romanzo un'adesione alla teoria della psicanalisi: lo psicanalista è messo in ridicolo sin dall'inizio, e Zeno, insoddisfatto della diagnosi, che individua in lui il classico complesso di Edipo, interrompe la terapia proclamandosi guarito grazie al commercio: si tratta di una vera e propria liquidazione della teoria di Freud.
Proprio nelle ine finali l'autore sottolinea come sia in fondo molto sottile il confine che separa la malattia dalla salute: il rapporto tra queste due condizioni è forse da considerarsi come il tema centrale dell'intera narrazione. Infatti Zeno ha sempre vissuto nella convinzione di essere malato, mai dubitando che la sua malattia fosse qualcosa di diverso da una sventura temporanea; ciò che lo ha sempre interessato profondamente era la diagnosi, più che la cura che avrebbe potuto condurlo all'ipotetico raggiungimento dello stato di salute.
Concludendo il suo libro, in chiave apocalittica, con una riflessione sull'uomo costruttore di ordigni, che finiranno per condurlo all'autodistruzione, Svevo si rivela straordinariamente attento alle ragioni che rendono impossibile la "salute" nella società borghese. Il protagonista esprime in modo esemplare, secondo la visione dell'autore, la crisi di valori che in quegli anni stava colpendo la classe borghese. In effetti egli si riterrà guarito solo nel momento in cui prenderà coscienza che il confine fra salute e malattia è quasi inesistente, che la nevrosi che lo affligge ha fondate radici storiche, ed è un male che infierisce sull'intera società cui egli appartiene; ne deriva quindi la diagnosi di una malattia universale, di cui l'uomo stesso è l'unico responsabile.
La stessa incapacità di Zeno di restituire la realtà se non per frammenti, la sua coscienza corrosiva di sé e delle cose, la percezione della propria e altrui malattia, risultano in ultima analisi sintomo della frantumazione di un preciso assetto sociale, della mancanza di un sistema di valori e di sicurezze da contrapporre a quello ormai logorato e corrotto di una borghesia in piena crisi. Solo adesso che ha compreso l'oscuro meccanismo di cui era caduto vittima, come d'altronde gran parte dell'umanità, può dichiararsi finalmente guarito: sano. Per Zeno la vita è un appassionante, ma anche terribile enigma, il cui mistero lo inquieta, e alla fine riuscirà a svelarlo proprio grazie alla sua malattia, che lo isola nella condizione di "diverso", spostandolo in una dimensione di estraneità rispetto alla realtà che lo circonda, come se divenisse così un osservatore fuori campo. Il suo stesso nome, Zeno, derivante dal greco " " ("xenos"), straniero, sembra avallare questa tesi. La malattia e la diversità che ne consegue fungono da strumento estraniante nei confronti di coloro che sono "sani", normali, cioè di tutti gli altri personaggi della narrazione, simbolo della società borghese cui appartengono. Zeno Cosini, che riveste il duplice ruolo di protagonista e narratore, non è dunque solo soggetto di critica, ma anche oggetto. Quindi, per potersi distaccare dalla propria ura di personaggio utilizza la tecnica dell'ironia, che consiste nello smascherare attraverso l'innegabile evidenza la falsa prospettiva assunta dal personaggio, nel disperato tentativo di autogiustificare ogni sua possibile colpa od errore. Ma non si tratta di menzogne intenzionali, solo di autoinganni determinati da processi profondi ed inconsci, come dimostrano tutte le sue azioni: esse rivelano un complesso di motivazioni ambigue, quasi sempre in contrasto con quelle dichiarate consapevolmente. In quanto "inetto" ed imperfetto, dunque pronto a qualunque tipo di trasformazione, disposto verso qualsiasi esperienza, si contrappone duramente alle posizioni indiscusse e rigide dei cosiddetti "sani", cristallizzati nella loro immutabilità. Zeno, che vede il proprio mondo mobile ed in divenire, volge il suo atteggiamento critico verso quel mondo fatto di certezze incrollabili, che a tutti gli altri sembrano impossibili da mettere in dubbio. Paradossalmente però Zeno fa parte di quella stessa realtà che sottopone a critica e di cui presenta i limiti. Gli strumenti che adopera per ottenere il distacco ironico da questa realtà, che in fondo coincide col suo passato, sono svariati. In primo luogo l'ironia si riversa sul suo psicanalista, il dottor S., il quale si ostina a considerarlo un paziente da guarire, analizzando scientificamente ciò che, secondo l'autore, non è frutto dei problemi di un singolo individuo, ma di un'intera classe sociale, ormai sprofondata nell'inconsapevolezza e nella troppa concretezza, priva di fondamenti ideologici. L'ironia infine colpisce lo stesso io-narrante, sicché diventa difficile accettarla come operante solo in un senso unico, ovvero dal narratore verso il suo primo destinatario, dal paziente che non vuole accettare di essere tale al suo medico. Attraverso questo procedimento Svevo riesce ad acquistarsi uno spazio narrativo, pur utilizzando la prima persona come voce narrante, e a crearsi così un piano di giudizio per cui è possibile un rapporto fra autore e personaggio. Un espediente adoperato largamente è l'uso del condizionale, che non solo prospetta la possibilità di un diverso andamento dei fatti, ma sottolinea anche il distacco del narratore da essi. Inoltre sovente Svevo inserisce l'esclamazione a commento della narrazione, ottenendo così un effetto analogo, che palesa l'universalità del racconto, quindi rende Zeno portavoce di Italo Svevo. Quest'ultimo infatti guarda il presunto "alter ego" muoversi erratamente nella vita. L'ironia talvolta si rivolge contro la categoria delle più impegnate affermazioni di sapienza comportamentale. Un altro segno grammaticale che e spesso è il punto interrogativo: esso determina una pausa nel racconto, che ottiene l'effetto di arrestare l'attenzione del lettore su una fase di intervento dell'autore ancora in corso di elaborazione, probabile ma non definitiva.
La narrazione si frantuma continuamente seguendo la coscienza del protagonista, la cui prospettiva irregolare e soggettiva viene sottolineata dal frequente uso del monologo interiore. I tempi dei verbi, che variano dal passato remoto, al trapassato prossimo, riflettono il sovrapporsi continuo, nella storia, di passato e presente. Lo stile di Svevo è caratterizzato da una sintassi semplice, al limite della paratassi, e il linguaggio costantemente oscilla da un repertorio lessicale ricercato e libresco, spesso improntato a forme arcaiche, ad un altro mutuato invece direttamente dal parlato, in cui si avverte la massiccia presenza di germanismi, di dialettalismi, di termini tratti dai più vari linguaggi settoriali (quello medico-scientifico, quello tecnico-bancario, quello burocratico-commerciale . ). Così anche sul piano grammaticale e sintattico, Svevo alterna costruzioni in qualche modo "ipercorrette", che rimandano a paradigmi toscaneggianti, a costruzioni che sembrano tradotte dal tedesco o che paiono trasferite in italiano da un'originaria espressione dialettale. La lingua di Svevo, varia ed ambigua come la verità e gli inganni che comunica, è utilizzata come strumento di analisi interiore e del mondo.
In questo romanzo l'autore rappresenta ed analizza la società del suo tempo, cui Zeno in fondo sembra non appartenere; proprio perché ne resta irrimediabilmente al di fuori, risulta capace di metterne in luce gli aspetti negativi, che, secondo Svevo, condurranno l'uomo all'autodistruzione. L'opera appare dunque come una sapiente e precisa, seppur implicita, critica alla società contemporanea, in particolar modo alla borghesia, alle sue regole insensate, che reprimono gli individui critici e creativi, che si discostano da esse, e favoriscono invece il successo di coloro che, nonostante siano persone mediocri ed insignificanti, si adeguano a tali convenzioni e vi adattano la propria vita, basculandola su poche ed incrollabili certezze, accettate in modo passivo.
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