letteratura |
La lirica che ci apprestiamo a commentare, è tratta dalla raccolta i fiori del male intitolata spleen e scritta da Charles Baudelaire.
Si raggiunge in questa lirica la massima angoscia in Baudelaire, segnalata dal modo in cui è scritta, molto forte, molto espressivo, con la cupa disperazione dei temi, in sintonia con il "sublime fosco " dello stile. Forte il significato della lirica che porta avanti la perdita di dignità da parte dell'individuo, segnata con ure cupe angosciose e hallowiniane, quali i ragni nel cervello, le campane che balzano e gemono, e soprattutto il cranio inclinato dell'uomo vinto dalla paura segno di timorosa ma decisa rassegnazione rispetto a qualcosa che non teme confronti. Il tutto creato con forme tragicamente elevate e nel contempo cariche di atroce concretezza nel senso che sono cose confrontabili nella realtà per ognuno di noi. Insomma lo spleen è quel senso di angoscia che sovente coglie anche noi creandoci quel senso di timore di paura, che non può essere superata perché si ha paura di affrontarla o non ci è possibile. Chiniamo quindi il capo è aspettiamo che la paura ci ricopra completamente.
Ritornando alla lirica, non possiamo non notare (e effettivamente qualcuno lo ha fatto e precisamente il critico Auerbach), l'anafora quando presente all'inizio delle prime tre strofe, quasi a voler dare delle precise condizioni che al verificarsi contemporaneo, porta al verificarsi dello spleen a cui non è possibile sfuggire. Noto quindi in questo caso, che nella sua generalità, in quella di Baudelaire insomma, tende a mettere delle condizioni per cui si verifica lo spleen generali ma nello stesso tempo autonome: mette infatti come prima condizione il momento in cui il cielo pesa grave e basso sull'anima gemente, il caso cioè in cui il cielo è nuvoloso e anche noi sentiamo un senso di pesantezza di timore reverenziale verso qualcosa nettamente predominante e incontrollabile. Continua a dare le sue condizioni il poeta, descrivendo il momento in cui versa su di noi, nel senso che sentiamo particolarmente questa situazione, e il nostro animo si colora di nero, più nero della notte, e la terra si muta in una cella umida, quando cioè gli schizzi di pioggia, ci danno la sensazione di sbarre che ci opprimono e ci limitano, e dove la speranza, l'unica cosa che potrebbe sorreggerci, va a sbattare sui muri, cioè ci scappa dalla mani e ci rende ancora più angosciati e timorosi, e quando un popolo silenti di infami ragni tende le sue reti in fondo al nostro cervello, quando cioè la nostra mente si svuota completamente dinanzi alla paura, in questo momento, le campane, originariamente dal suono dolce e armonioso, ispiranti nel poeta in senso ancora più angoscioso, emanano un urlo atroce, quasi come degli spiriti erranti che generalmente vediamo nei film di fantascienza o di orrore, senza patria che si mettono a gemere ostinati. Scene da film horror, che rendono in pieno la sensazione di timore e di paura. E queste situazioni, concludono creando nell'animo umano un lungo funerale, in cui la speranza lascia posto all'angoscia. Non a caso l'angoscia (cfr. verso 24), viene segnalata con lettera maiuscola, quasi a voler dare il senso di qualcosa di incredibilmente forte e a cui onorificenze devono essere deposte.
Importanti quindi la serie impressionante di metafore di cui Baudelaire fa uso, come importante risulta l'anafora quando che crea una sensazione temporale di aspettativa angosciosa, come importante risulta il potente movimento sintattico e ritmico, come il lessico classicheggiante in disarmonia con quello comune ma in sintonia con il sublime fosco dello stile.
Ci troviamo quindi per concludere, al culmine dell'angoscia targata Baudelaire, in cui si nota come l'uomo sia impotente rispetto alla paura e soprattutto all'angoscia che sale. Non possiamo non notare come in fondo tale situazione sia davvero reale, concreta insomma, in quanto è una situazione che ognuno di noi almeno una volta abbiamo provato.
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