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Seneca (appunti)
Fu precettore di Nerone nel quinquennio felice del governo neroniano; viene coinvolto e condannato a morte nella congiura di Pisone, contro il governo illuminato.
Scrive di tutto, da opere filosofiche a trattati (sul suo impegno nella vita politica, dedicati al giovane Nerone, clemente e illuminato), da dialoghi (DIALOGI dal greco dialogos) a tragedie o satire ( Apocolokyntosis: zucchificazione dell'imperatore).
Si può definire un sincretista perché raccoglie spunti da varie filosofie: è uno stoico non uniformato alla stoa( portico sotto il quali gli stoici di Atene dialogavano). Egli crede nel panteismo immanentistico: ogni cosa ha un anima divina al suo interno; Dio è l'anima dell'universo e nella materia c'è l'intelligente e l'intelligibile che si manifestano nella natura e nell'uomo; dalla materia inerte si crea la realtà naturale. L'anima nella materia è in gabbia perché vuole riunirsi a Dio (concetto gia sviluppato dai pitagorici e da Platone, che lo fa dire dagli interlocutori di Socrate); questa è divisa in due parti: una razionale, che tende verso il bene sommo, Dio; l'altra irrazionale, che abbassa lo spirito, la corruzione dei vizi umani. L'anima è inoltre individuale fino alla Conflaglazione Universale: l'Universo ha un ciclo di vita, si sviluppa e infine muore in un fuoco meccanico dal quale nascerà un nuovo Universo; questo ha una struttura finalistica crescente, cioè sempre verso il meglio.
L'etica di Seneca concilia la concezione stoica di onnipotenza divina con le esigenza di libertà umana.
Secondo gli Stoici l'Universo è Deterministico: decade ogni colpa o merito, c'è una moralità completa, decade il dolo. Mentre secondo Seneca l'anima diviene veramente libera quando conoscerà le regole dell'Universo, quindi afferma che chi sbaglia lo fa per ignoranza.
La virtù è deliberata per se stessa e l'uomo deve tendere all'attimo anche se la parte irrazionale dell'anima lo distoglierà dal bene sommo.
Lo stile
Infatti gli atticisti avevano un periodare semplice, lineare, coerente e regolare con prevalenza di paratassi; mentre gli asiani avevano un periodare più ampio e complesso, con strutture sintattiche e lessicali varie e articolate, con prevalenza di ipotassi.
Seneca è sicuramente asiano, nonostante alcune inevitabili differenze, per quanto riguarda l'aggettivazione, la scelta lessicale ricca e abbondante, ma la sintassi è piuttosto frammentaria e c'è mancanza di nessi tra le varie frasi, per questo la struttura non è omogenea. Non c'è un'interpretazione della realtà, perché non è più sicuro di poter organizzare il reale in strutture logiche precise, come non è più sicuro della coerenza della realtà storica che si trova a vivere: periodo di crisi.
E' presente in alcune scene ingegnosità e spettacolarità. Il conflitto di forze contrarie dell'animo dell'uomo, è visibile in tutta la sua opera (mens bona e furor, ragione e passione, e così via); c'è un collegamento di fondo a temi filosofici, infatti le tragedie vengono interpretati come exempla della dottrina stoica, nonostante il contrasto con gli stoici stessi per i quali il mondo è sconfitto dal male e dalle passioni.
La realtà, secondo l'autore, è cupa e atroce perché c'è una continua lotta delle forze maligne nell'uomo e nel mondo; il tiranno è sanguinario, infatti è presente un dibattito sul potere tramite il rapporto con i modelli dell'autonomia, della libera emulazione, della mediazione del gusto e della tradizione latina. Ha come base la poesia augustea, nonostante siano presenti alcune tracce del teatro latino arcaico : pathos esasperato, ricerca di sententiae isolate, frammentazione dei dialoghi (brevitas asiana , meno tensione, sfoggio di erudizione e tinte macabre), lunghe digressioni (che rallentano il ritmo e sembrano quasi isolare le scene), lunghi monologhi (usati per l'interpretazione interiore dei personaggi).
I Dialoghi non sono come quelli di Platone (soprattutto domande) né come quelli di Cicerone (soprattutto risposte, con impianto drammatico, descrizione di tempo e luogo in cui si svolge l'azione); manca del tutto la parte descrittiva, i dialoghi sono fittizi e in prima persona e l'interlocutore è il dedicatario stesso, spesso un personaggio reale o storico. La struttura è costante e tripartita: prologo iniziale, in cui viene enunciato l'argomento del dialogo, quindi la tesi da sostenere, un corpo centrale, dove avviene la discussione della tesi, infine l'epilogo. Ripresi dai dialoghi con diatriba di ambiente stoico-cinico del IV sec di derivazione socratica, nei quali l'insegnamento morale veniva espresso in forma divulgativa per facilitarne la lettura.
Tre tipi di consolationes: introduzione ( con il chiarimento della natura del male che ha bisogno di consolazione), consolazione, conclusione. Nella prima parte fa esempi greci e ciceroniani, considerando la morte non come un male, ma un passaggio a un'altra vita; nella seconda parte c'è un elogio dell'otium letterario; infine nella terza è presente una richiesta di intercessione per tornare dall'esilio.
De Ira: tratta la genesi dei diversi tipi di ira; secondo Aristotele un certo tipo di ira poteva essere positivo,mentre per Seneca l'ira equivale all'annullamento della ragione, per questo è sempre negativa.
De Vita Beata: parla delle difficoltà effettive nell'esercizio della virtù, praticamente irraggiungibile, ma l'importante è tentare costantemente; viene poi contrapposta al potere e al piacere, che non sono fonti di felicità. E' divisa in due parti: teoretica (la felicità come frutto di una vita secondo natura, dottrina morale stoica) e polemica personale (dove si difende dalle accuse di incoerenza). Il dedicatario è l'unico interlocutore, ma non interviene mai nel discorso.
De Constantia Sapienti: tratta il concetto di imperturbabilità del saggio, virtù che non deriva da fatti contingenti esterni al saggio, ma da un completo dominio di se stesso.
De Tranquillitate Animi: vero colloquio tra Seneca e Sereno, a cui l'autore da consigli pratici per una vita tranquilla grazie alla filosofia usata quotidianamente.
De Otio: evidenzia l'importanza degli studi letterari non inferiore alla pratica della politica.
De Brevitate Vitae: parla del concetto di tempo e del suo rapporto con il saggio; ha un intento protreptico in quanto vuole incitare alla pratica della filosofia e alla comprensione del significato di tempo; egli sostiene che non bisogna farsi coinvolgere dagli eventi esterni. Nei moduli I e III viene introdotto il concetto con esempi di uomini famosi; dal modulo VII al XIII c'è una rassegna degli uomini occupai da fatti esterni, cioè quelli che "sprecano" il tempo. Il tempo viene interiorizzato: dobbiamo farlo fruttare asseconda di ciò che dobbiamo fare.
Consolatio ad Helviam Matrem: vengono usati molti topoi letterari per ribadire concetti filosofici.
Epistola 1: viene spiegato l'impiego del tempo, per questo e legata al De Brevitate Vitae; la morte è vista come un evento giusto e naturale, mentre la virtù è un mezzo per uniformarsi ai piani prestabiliti dalla natura.
Epistola 10: viene analizzato il tema della solitudine che diventa favorevole se utilizzata come momento di meditazione.
Secondo Seneca l'uomo ha un duplice scopo: l'azione e la contemplazione; questa concezione della doppia anima è presente anche nello stoicismo romano nell'unione di filosofia e biografia, ovvero la fusione di otium letterario, vita contemplativa e azione. Il concetto di otium viene analizzato da Epicuro come unica strada da percorrere, mentre per lo stoicismo deve essere unito con l'azione politica.
Il male e le infamie vengono viste esterne al saggio che vive in uno stato di tranquillità interiore.
Le Naturales Quaestiones composte tra il63 e il 64 d.C., trattano la ricerca del conforto negli studi e nell'applicazione scientifica. L'intento morale e filosofico mira a una conoscenza scientifica fine a se stessa, cercando di collegare le varie interpretazioni per tentare di scoprire la migliore. La conoscenza della natura ci permette di raggiungere la metafisica e quindi ci garantisce l'ascesa verso la perfezione morale. Sono dedicati a Lucilio e hanno uno scopo comune con il pensiero di Lucrezio: evitare la superstizione religiosa, infatti lo scopo principale, è liberare l'uomo dalle paure dell'ignoto.
L'opera si svolge secondo questo schema: definizione del fatto, rassegna delle opinioni maggiormente accreditate, infine, espressione di un giudizio, dove la scelta può dipendere sia da una tesi già considerata, oppure da una completamente nuova.
L'opera, acefala (manca l'insieme dei moduli iniziali e del titolo), è composta da 7 libri con struttura tripartita: un prologo, o proemio, una sezione centrale molto ampia a carattere scientifico, un epilogo a carattere morale.
Il I Libro parla dei "fuochi celesti", ovvero delle stelle (con la prefazione che tratta l'utilità dello studio scientifico); il II Libro dei tuoni, fulmini e lampi; il III Libro delle acque celesti; il IV Libro è diviso in due sezioni e parla, nella prima delle piene del Nilo, e nella seconda delle nubi; il V Libro dei venti; il VI Libro dei terremoti; infine il VII Libro delle comete.
I diversi prologhi si rifanno agli elogi di Epicuro e ai proemi di Lucrezio, soprattutto per quanto riguarda l'esaltazione della cono scienza della natura, come appunto Lucrezio esaltava il "maestro" Epicuro.
L'Apokolokyntosis, ovvero "divinizzazione di una zucca" o "zucchificazione", o "Ludus de morte Claudii", o Divi Claudii apotheosis per saturem, inizia con l'elogio del predecessore, l'anticipazione di un'età di splendore poi c'è la condanna agli inferi per legge di contrappasso.
E' una satira menippea in prosa con toni pacati, parodicamente solenni, versi di vario tipo, coloriti da un vivace linguaggio con spunti a volte volgari e con un contro canto farsesco con antiche citazioni greche.
Gli epigrammi, sono solo alcune decine in distici elegiaci; il livello è decoroso piuttosto che brillante. Ci sono allusioni al suo esilio in Corsica.
La fortuna
Ebbe un successo immediato con Quintiliano per il movimento arcaicizzante, nella tarda antichità nella poesia cristiana con il falso sectiuneggio di San Paolo, nel Medioevo, nella cultura gesuitica e protestante.
Dal XVI sec. vennero riscoperte le sue tragedie: nel teatro rinascimentale italiano, nel barocco inglese con Shakespeare, nel classicismo francese con Racine e Voltaire, e nel romanticismo tedesco. Anche Alfieri con la sua polemica anti-tirannica ebbe una tensione fortemente tragica.
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