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TEMA: "FRA' CRISTOFORO, DON ABBONDIO E GERTRUDE: ANALOGIE E DIFFERENZE"

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TEMA: "FRA' CRISTOFORO, DON ABBONDIO E GERTRUDE: ANALOGIE E DIFFERENZE".


Il Manzoni dedica ampio spazio alla caratterizzazione dei tre personaggi visti sotto una molteplicità di punti di vista: sociale, fisico, caratteriale .

Dalla ampia e minuziosa descrizione, si intuiscono le macroscopiche differenze che vi sono tra i personaggi, ma si notano anche le minuscole, talvolta casuali e prive di valore, analogie.

Per meglio comprendere le differenze e le analogie dei personaggi, bisogna riportare una breve narrazione della vita dei tre personaggi, incominciando da Don Abbondio, in quanto uno dei personaggi citato all'inizio della "storia milanese del secolo XVII":  Don Abbondio, curato di una delle terre circostanti Lecco, ha l'illusione di poter vivere in uno stato di neutralità disarmata, in quanto egli non si mette in contrasto con i più potenti e soprattutto non è disponibile verso i deboli, motivo per cui decise di prendere i voti. Per questa sua convinzione, come da citazione Dantesca, che colloca gli ignavi nell'antinferno, luogo situato tra la porta dell'inferno e il fiume Acheronte, lo porta a sua volta a sfogarsi sui più deboli. Don Abbondio è un ignavo perché egli vive "senza" infamia e senza lodo; si sfoga sui più deboli perché egli è più potente rispetto a loro e soprattutto per non mettersi in contrasto con i signorotti di allora, proprio come la situazione del matrimonio di Renzo e della contrarietà di Don Rodrigo che vede Don Abbondi obbligato, con un inganno, a non celebrare l'imminente matrimonio. Una delle frasi più ricordate e che esprimono al meglio la personalità di Don Abbondio è presente nelle prime ine dei Promessi Sposi e riportata qui di seguito: "Il nostro Don Abbondio, non nobile, non ricco, coraggioso ancor meno, s'era dunque accorto, prima quasi di toccar gli anni della discrezione, d'essere, in quella società, come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiare in comnia di molti vasi di ferro. Aveva quindi, assai di buon grado, ubbidito ai parenti, che lo vollero prete."



Gertrude ebbe invece una storia segnata da sofferenza e da una decisione di prendere i voti imposta da un padre che, indipendentemente dalle volontà della lia, è rigido nelle decisioni.

La descrizione della storia della monaca di Monza è costituita da piccole sequenze, riportate per intero dal testo del Manzoni.

Era l'ultima lia del principe ***, gran gentiluomo milanese, che poteva contarsi tra i più doviziosi della città.

La nostra infelice era ancor nascosta nel ventre della madre, che la sua condizione era già irrevocabilmente stabilita. Rimaneva soltanto da decidere se sarebbe un monaco o una monaca; decisione per la quale faceva bisogno, non il suo consenso, ma la sua presenza. Quando venne alla luce, il principe suo padre, le diede un nome che fosse stato portato da una santa d'alti natali, la chiamo Gertrude. Bambole vestite da monaca furono i primi balocchi che le si diedero in mano; poi santini che rappresentavan monache; e que' regali eran sempre accomnati con gran raccomandazioni di tenerli ben di conto, come cosa preziosa, e con quell'interrogare affermativo: "bello eh?".

Tutti i discorsi e le parole di questo genere stampavano nel cervello della fanciullina l'idea che già lei doveva esser monaca.

Il contegno del principe era abitualmente quello d'un padrone austero; ma quando si trattava dello stato futuro de' suoi li, dal suo volto e da ogni parola traspirava un'immobilità di risoluzione, una ombrosa gelosia di comando, che imprimeva il sentimento d'una necessità fatale.

A sei anni, Gertrude fu collocata, per educazione nel monastero dove tuttora è la "Signora".

Comunque, vi godeva d'una grandissima autorità; e pensò che lì, meglio che altrove, la sua lia sarebbe trattata con quelle distinzioni e con quelle finezze che potesser più allettarla a scegliere quel monastero per sua perpetua dimora.

Gertrude, appena entrata nel monastero, fu chiamata per antonomasia la signorina; posto distinto a tavola, nel dormitorio; dolciumi e carezze senza fine, particolarità da parte di tutte le suore. Però non che tutte le monache fossero congiurate a tirar la poverina nel laccio: ce n'eran molte delle semplici e lontane da ogni intrigo, alle quali il pensiero di sacrificare una lia a mire interessate avrebbe fatto ribrezzo.

Tra le sue comne d'educazione, ce n'erano alcune che sapevano d'esser destinate al matrimoni. Gertrude, nudrita nelle idee della sua superiorità, parlava magnificamente de' suoi destini futuri di badessa, di principessa del monastero, voleva a ogni costo esser per le altre un soggetto d'invidia; e vedeva con maraviglia e con dispetto, che alcune di quelle non erano affatto invidiose di lei.

In seguito, Gertrude si paragonava allora con le comne, ch'erano ben altrimenti sicure, e provava per esse dolorosamente l'invidia che, da principio, aveva creduto di far loro provare. Invidiandole, le odiava: talvolta l'odio s'esalava in dispetti, in isgarbatezze, in motti pungenti; talvolta l'uniformità dell'inclinazioni e delle speranze lo sopiva, e faceva nascere un'intrinsichezza apparente e passeggera. Essa si sentiva superiore alle altre, ma non potendo tollerare la solitudine, andava, tutta buona, in cerca di quelle, quasi ad implorar benevolenza, consigli, coraggio.

S'era fatto, nella parte più riposta della mente, come uno splendido ritiro; ivi si rifugiava. Però, di quando in quando, i pensieri della religione venivano a disturbare quelle feste brillanti e faticose.

Insomma, essa era per così dire rinchiusa, in tutto e per tutto, nel monastero.

Venne finalmente il giorno tanto temuto e bramato. Quantunque Gertrude sapesse che andava a un combattimento, pure l'uscir di monastero, il lasciar quelle mura nelle quali era stata ott'anni rinchiusa, lo scorrere in carrozza per l'aperta camna, il riveder la città, la casa, furon sensazioni piene di una gioia tumultuosa.

Ella mise in atto un piano: esser umile, rispettosa, dura . nell'isperanza di un ripensamento da parte del principe suo padre.

Ciò non andò a buon fine e così, di rado, e solo a certe ore stabilite, era ammessa alla comnia de' parenti e del primogenito.

Le furon tenuti gli occhi addosso più che mai: che è che non è, una mattina, fu sorpresa da una di quelle cameriere, mentre stava piegando alla sfuggita una carta, sulla quale avrebbe fatto meglio a non iscriver nulla al "suo" gio. Dopo un breve tira tira, la carta rimase nelle mani della cameriera, e da queste passò in quelle del principe. Ora, per certo, le aspettavano, pesanti punizioni.

Quella che pareva più probabile, era di venir ricondotta al monastero di Monza, di riirvi, non più come la signorina, ma in forma di colpevole, e di starvi rinchiusa, chi sa fino a quando! Chi sa con quali trattamenti!

Vi fu un periodo di "isolamento" e un giorno, sentì un bisogno prepotente di vedere altri visi, di sentire altre parole, d'esser trattata diversamente. Ma le venne in mente che dipendeva da lei di trovare in loro degli amici; e provò una gioia improvvisa.

Di seguito, alla sua richiesta di perdono esposta al padre, il principe risponde con severità usando la sua "colpa" come arma di riscatto e dimostrandole di essere inadatta alla vita del secolo.

In seguito, Gertrude "affronta" i parenti e le altre del monastero di Monza, il giorno in cui si presenta la sua domanda alla badessa del convento che, per regola, pone delle domande a cui Gertrude risponde ingannando anche se stessa.

Il periodo che precede l'ingresso in convento e il noviziato è denso di dolori e fluttuazioni.

Una volta monaca, non accetta la sua condizione, si tormenta e insegue sogni impossibili. È inquieta e bisbetica, finché risponde alle profferte di Egidio, uno scellerato di professione. Una conversa, accortasi della relazione, minaccia di rivelarla e se misteriosamente. Gertrude è poi però perseguitata dal suo fantasma.

Questa è, brevemente, la storia di Gertrude o, meglio ancora, la monaca di Monza, nome sotto il quale noi l'abbiamo conosciuta.

Per quanto riguarda invece Fra' Cristoforo, egli ha un passato caratterizzato da un'incomprensione nei confronti della nobiltà, in una incomprensione più mentale che sociale.

Fra' Cristoforo si chiamava prima Lodovico, ed era un ricco signore. Un giorno, in una strada angusta venuto a duello con un signorotto prepotente che pretendeva la destra, lo uccise; pentitosi, per riscattarsi, donò i suoi averi ai parenti del suo fedele servitore Cristoforo, caduto quel giorno per difenderlo, chiese perdono alla famiglia del signore ucciso, e, vestito il saio e preso il nome del suo fedele servo, divenne il consolatore dei disperati.In veste di Padre Cristoforo pratica un cristianesimo attivo e battagliero, tanto ispirato alla fede nella Provvidenza quanto alieno da abbandoni mistici. Presente nei primi moduli, quando tenta di difendere Lucia e Renzo contro don Rodrigo, egli riappare sulla fine del romanzo, nel lazzaretto tra gli appestati che è accorso a curare e dai quali gli è stato contagiato il male che lo porterà alla morte. È probabile che da un cappuccino, Cristoforo Picenardi da Cremona, morto nel giugno 1630 a Milano mentre si prodigava a curare i malati di peste, il Manzoni prendesse qualche spunto per l'invenzione del suo personaggio.

Avendo compreso e soprattutto appreso i caratteri "portanti" dei personaggi, si possono ora confrontare ed individuare le principali differenze tra i personaggi:

Innanzitutto, Don Abbondio ha scelto la vita ecclesiastica per evitare lo scontro con il mondo, per conquistare una neutralità disarmata e per evitare qualsiasi battaglia, indipendentemente dall'avversario che gli si opponeva.

Fra' Cristoforo ha intrapreso la vita ecclesiastica per impegnarsi in una battaglia continua contro le ingiustizie, soprattutto nei confronti dei poveri, della società.

Gertrude, invece, a "differenza" delle 2 ure maschili, ha preso i voti in quanto obbligata dal padre.

Per quanto riguarda il rapporto/contatto col mondo esterno, Fra' Cristoforo si dimostra forte e coraggioso e, soprattutto dopo aver preso i voti, traspare maggiormente l'istinto di ostilità verso la classe nobile e ancor più verso il pensiero nobile. Gertrude invece, nonostante presi i voti, da segni di trasgressione (evidenziata anche nel modo di vestire) e, in quanto lia di nobili illustrissimi e riveritissimi gode di un'ottima reputazione e in segno di rispetto, le viene conferito l'appellativo di "La Signora".

Per quanto riguarda la realtà degli eventi, Don Abbondio si dimostra schivo davanti alla realtà degli eventi, talvolta penalizzando i più deboli.

Invece Fra' Cristoforo si dimostra "leale" e deciso davanti agli eventi che hanno caratterizzato la sua vita. Non accetta i soprusi e le ingiustizie nei confronti delle classi sociali meno potenti e, per questo, aiuta Lucia e Renzo.

Gertrude si dimostra impotente e priva di voce in modulo, nel periodo antecedente alla presa dei voti, mentre, in seguito, si dimostra più sicura di se stessa ed, essendo di nobili origini, acquista voce in modulo all'interno del monastero.

La analogie che vi sono tra i personaggi sono per lo più banali e di poca importanza, se prese singolarmente:

Esempio Fra' Cristoforo e La monaca Monza, hanno, chi più (Gertrude) e chi meno (Fra' Cristoforo) origini nobili; invece a Don Abbondio sarebbe piaciuto appartenere alla nobiltà, al fine di avere più potere (motivo per cui prende i voti).

Infine, chi per un motivo, chi per l'altro, chi per un altro ancora, i tre hanno preso i voti e, per quanto le loro possibilità e volontà gli hanno permesso, si sono impegnati a non danneggiare nessuno, talvolta aiutando anche i più bisognosi.




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