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TRECENTO-QUATTROCENTO PREUMANESIMO ED UMANESIMO
TRECENTO-QUATTROCENTO PREUMANESIMO ED
UMANESIMO
Il trecento
è il secolo di Petrarca e di Boccaccio, che per un verso rappresenta il
culmine dell'età medievale, ma da un altro anticipano la civiltà
dell'umanesimo (Boccaccio: ancora preumanista, passaggio da preumanesimo ad
umanesimo avviene probabilmente con Petrarca ma forse anche oltre). Con il
termine "Autunno del medioevo", s'intende il momento di un grande riepilogo e,
nello stesso tempo, di tramonto della civiltà medievale. Invece col
termine tardogotico, si intende una ripresa dei termini tipici gotici nel
secolo XIV; insomma questi due termini sottolineano insieme la
continuità della civiltà medievale ma anche il su tramonto. L'arte
Gotica, nata in Francia, si afferma tra il XIII e il XV secolo, ed è
caratterizzata dallo slancio verticale delle linee architettoniche, dal
naturalismo e dall'eleganza stilizzata delle forme. Il termine gotico per gli
umanisti viene usato in senso dispregiativo, in quanto lontano dalla maniera
classica dell'arte medievale. La rivalutazione di quest'arte avvenne nella fine
770-inizio 800. Con il termine tardogotico si intende la fase finale dello
sviluppo gotico (XIV e XV sec.). Questo stile si afferma nelle grandi corte
europee e si diffonde presto anche nelle signorie italiane. A favorirne lo
sviluppo fu la ricca classe borghese esistente al tempo: infatti essa determina
lo sviluppo di un'arte profana rivolta alle decorazioni di castelli ed edifici
pubblici, che attinge a temi cavallereschi e cortesi. Lo stile oscilla fra il
realismo e il gusto del dettaglio e l'evocazione di atmosfere fiabesche. Nella
Religione si affermano nuovi temi, rivelanti la crisi: dalla passione alla
morte. In letteratura il termine tardogotico sta ad indicare la ripresa della
cultura cortese, impreziosita dall'eleganza e abbondanza di particolari. In
generale si può dire che nello stile tardogotico la forma prevale sull'idea
e tutte le linee sono invase dall'ornamentazione, forse caratteristiche di un
periodo che si avvicina alla fine. Con il termine preumanesimo si vuole invece
suggerire l'urgenza di un rinnovamento, di un nuovo modo di pensare e di vivere
ispirato agli antichi e al mondo classico e anche ad una rivalutazione della
vita sotto gli aspetti concreti e materiali; in Italia la cultura preumanistica
ha diffusione maggiore, infatti nel Trecento il nostro paese viene ad assumere
una funzione di guida nella letteratura e nelle arti in tutta Europa. Con
Umanesimo invece intendiamo il termine storiografico (storiografia: anche
interpretazione di un fatto) che indica una civiltà che si è
sviluppata dal XIV secolo fino ad oltre il XV ed ha avuto il suo scopo
culturale nel recupero filologico (studio effettivo, ricerche, . ) dei classici
latini e greci e nell'affermazione dei valori terreni dell'individuo esaltati
proprio da quei classici. Il vocabolo umanesimo deriva dal termine humanista,
che era l'insegnante di humanae litterae (dottrine che riguardano l'uomo),
quelle discipline che in epoca classica erano definite "studi dell'umanità",
e cioè grammatica, retorica, poesia, storia e filosofia. Oggi il termine
umanista indica il cultore di studi classici, il filologo appassionato: ura
che ha in Petrarca il suo primo esempio. Nel periodo che va dal trecento al
quattrocento in Europa si affermano gli stati nazionali e regionali. Fu un
periodo di crisi in un po' tutta Europa, anche se in Italia ci fu una grande
fioritura artistica determinata dal fatto che i grandi signori, avendo
difficoltà ad investire il denaro, o lo impiegavano nella rendita
fondiaria, oppure nella committenza di opere d'arte e
nell'attività di mecenati. A riguardo di quest'ultimo termine, Mecenate
era il collaboratore di Augusto che protesse letterati ed artisti e
sviluppò un'attività culturale a sostegno del principato augusteo. Da mecenate deriva mecenatismo, che indica tutte
le azioni rivolte a favorire gli studi e a finanziare le arti. Il mecenate
è una ura importante nell'arte, non solo perché la rende possibile ma
anche perché ne condiziona i contenuti e lo stile: infatti i committenti
tendono a limitare l'autonomia degli artisti, dando loro varie indicazioni su
come deve essere fatta l'opera. Nel medioevo, rispetto all'antichità, il
mecenate non si identifica solamente nel potere pubblico, ma anche nel papato. Con
i comuni invece nasce un altro mecenatismo: quello laico e borghese. Sono le
varie corporazioni a fungere da committenti, e dato che il comune, a differenza
dell'impero, manca di una vera cultura accentrata, gli artisti si ritrovano con
molta più libertà che in precedenza. Nel trecento si afferma un mecenatismo
cortigiano legato alle signorie: i maggiori mecenati del tempo sono: gli
Scaligeri a Verona, i Visconti a Milano e Roberto d'Angiò a Napoli. A
Firenze invece si instaura una committenza privata
dei ricchi cittadini che rimane fino a Lorenzo dei Medici. Le opere d'arte
iniziano ad essere per abbellimento degli edifici privati del committente, e a
volte lo rafurano addirittura. Con Lorenzo il mecenatismo si concentra quasi
esclusivamente a corte, che diventa uno dei più grandi centri di
diffusione della cultura rinascimentale. Il mecenatismo poi cambia aspetto e
diventa promozione di una politica culturale precisa e comporta una maggiore
subordinazione dell'artista alle esigenze della vita di corte. Per quanto
riguarda la crisi, ci furono conflitti per l'affermazione dei vari stati
nazionali, e il più sanguinoso fu quello fra Francia ed Inghilterra
nella "Guerra dei cent'anni". Inoltre le guerre comportavano crisi economica:
infatti i raccolti venivano saccheggiati o distrutti, e , dato che comportavano
spese enormi perché le truppe erano mercenarie, poteva succedere che i sovrani
non assero i debiti con i grandi banchieri, costringendoli a fallimento che
coinvolgevano anche mercanti e altri risparmiatori. Inoltre all'inizio del 1300
appare definitiva la crisi dell'universalismo medievale e dei suoi massimi
esponenti, il Papato e l'Impero. Inoltre la sede pontificia è stata
spostata ad Avignone (1309) ed il papato è
molto meno influente nel nostro paese. L'impero non è più in
grado di esercitare il potere nel nostro territorio, e falliscono anche gli
ultimi tentativi di imperatori tedeschi. Finisce la generazione di Petrarca e
Boccaccio, morti rispettivamente nel 1374 e 1375. Nel 1377 il papa torna a Roma
e un anno dopo comincia lo scisma d'occidente fra quello residente a Roma e
quello residente ad Avignone, appoggiato dal re di
Francia. Inoltre il 1378 è l'anno del tumulto dei Ciompi. In agricoltura
la crisi entra in azione man mano che ci si inoltra nel trecento: infatti con
la peste c'è un netto calo demografico, e questo calo provocò la
diminuzione dei prezzi dei cereali, rendendo più difficile la vita a chi
traeva il proprio sostentamento dal lavoro nei campi. Quindi ci fu anche un
estensione delle terre incolte e l'abbandono dei villaggi contadini. Nello
stesso tempo, nelle città le ricchezze si erano concentrate nelle mani
di pochi, e ciò contribuì al frenare i commerci e i traffici. Ci
fu anche una diminuzione di operai e della produzione di materassi.
Diminuì insomma la mano d'opera, il che significava maggior potere dei
lavoratori che poteva dare atto a conflitti sociali (tumulto dei Ciompi).
Inoltre la fine della pax mongolica aveva costretto
le grandi città a cercare nuove rotte commerciali per l'oriente, ando
le spedizioni alla ricerca di nuove vie. Ci fu così un processo di rifeudalizzazione con il passaggio dal comune alla
signoria. Tutte queste sventure portarono anche ad una decadenza morale, dando
origine a fenomeni di misticismo diffuso, forme di lusso sfrenato, corruzione,
avidità e esecuzione dei peccati tanto duramente puniti da Dio. Nell'arte
subentrano elementi più inquieti della serenità e dell'equilibrio
precedenti: si punta infatti alla ricerca dell'effetto, a colpire la
sensibilità ed il motivi più adatto e anche più usato
è quello macabro. Questo motivo si diffonde tra il XIV e il XV secolo
con il tema della "danza macabra", cioè di una danza allegorica dove la
morte, dove essa, rappresentata da cavalieri, megere, oppure scheletri con una
falce in mano (dal XVI sec in poi), balla con persone
comuni; questi dipinti volevano fare intendere due cose: una di ricordare che
dobbiamo morire, e l'altra che davanti alla morte siamo tutti uguali. La voce
italiana macabro deriva dal francese macabre, che ha un'etimologia assai
incerta: molto probabilmente era un nome proprio che poi si è tramutato
in un aggettivo. Per quanto riguarda la cultura dotta, nell'alto medioevo era
limitata solamente ai monasteri. Ma a partire dal XII secolo diventa patrimonio
delle università, mentre nei comuni se ne distingue una pratica, basata
sul diritto e sulla retorica. Dalla seconda metà del trecento, causa
anche un aumento dell'alfabetizzazione, si assiste ad una maggiore diffusione
della cultura, che si sviluppa anche fuori dalle scuole. Questa crescita non
è dovuta solamente alle corti che proteggono gli artisti e li
finanziano, ma anche ad una maggiore autonomia degli intellettuali che non sono
più legati al comune. I centri di elaborazione culturale si sviluppano
intorno a tre tipi di istituzioni: le università, le corti e i cenacoli.
Le università crebbero anche grazie anche agli stati, dato che per le
burocrazie serviva un personale specializzato. Bisogna anche però
registrare una progressiva chiusura delle università: infatti erano
ancora legate sull'impianto della scolastica che stava entrando in crisi,
iniziavano a legarsi al territorio statale e i docenti andavano sempre
più verso la trasformazione in un ceto chiuso. Quanto alle corti, esse
erano sedi di committenza
di opere d'arte e, a volte,
di biblioteche mentre i signori offrivano la loro protezione a scrittori ed
artisti. Un fenomeno nuovo invece si riscontrò nella nascita dei
cenacoli, cioè forme di auto-organizzazione
culturale degli intellettuali, che vi si riunivano per discutere e studiare
insieme i classici. Il rapporto con la realtà della Commedia, non
è più proponibile per gli autori della generazione successiva:
infatti Dante sosteneva le grandi istituzioni universalistiche
del medioevo, il Papato e l'Impero, ed il suo progetto era unitario e complessivo,
dove politica, letteratura e religione erano strettamente unite (esempio del
suo sincretismo). Il segno di questa frattura e quindi anche della separazione
tra intellettuali e realtà sociale e politica è il distacco tra
studi giuridici e studi letterari. Infatti gli intellettuali tendono a compiere
la loro attività al di fuori di ogni impegno d'ordine pratico; nasce
quindi un nuovo intellettuale per il quale la cultura non era strettamente connessa
ad un impegno civile. La cultura umanistica in cambio del proprio servizio
richiede solamente il riconoscimento della sua alta dignità. Gli
intellettuali sono distinguibili in cinque categorie: notai/giuristi,
mercanti/banchieri, insegnanti, cortigiani (ora veri e propri letterati di
professione che non si dedicano alla letteratura solo per diletto) e chierici (tra
questi ultimi possiamo distinguere quelli che seguono la carriera ecclesiastica
(- intellettuali) e quelli che si limitano ad abbracciarla solo come carriera
di appoggio (come Petrarca, questi + intellettuali). La circolazione degli
intellettuali scrittori risulta però limitata ad alcune zone d'Italia.
Gli intellettuali cosiddetti separati, hanno mutato il proprio comportamento:
innanzitutto offrono il lustro ed il prestigio in cambio dell'ospitalità
dei signori, mirano a creare di se stessi un'immagine perfetta, rivolgendosi ai
posteri più che ai contemporanei ed all'umanità in generale
più che in particolare. Tutti tengono uno dei due comportamenti che
seguono: dato che la virtù è identificata con la cultura, o si
candidano ad una funzione egemonica, o assumono un atteggiamento distaccato
dalla vita attiva, per ricercare in solitudine la propria perfezione. Infine
comincia a svilupparsi una letterature a circuito interno: scritta da umanisti
solamente per altri umanisti. Per quanto riguarda la lettura, nasce un nuovo
tipo di produzione libraria destinata al consumo e all'intrattenimento,
favorita con lo svilupparsi dell'uso della carta, che la rende meno costosa. Un
secondo tipo di produzione, elegante e precisa, destinata ai signori e ai
dotti. C'è anche una diversificazione della scrittura: infatti i libri
destinati alle università, alle scuole ed alla Chiesa sono scritti in
Gotica (scrittura assai rigida e complessa), mentre quelli rivolti al consumo
da parte dei mercanti sono scritti in Mercantesca (più rapida e agile,
meno complessa). Infine, per iniziativa di Petrarca, fra il pubblico di dotti preumanisti e poi umanisti si diffonde un altro tipo di
scrittura chiamata semigotica o gotica semplificata.
Cresce anche l'attenzione sia per le qualità estetiche, ma soprattutto
per la correttezza ortografica del testo; da qui la tendenza a scriversi da
soli i testi oppure ad affidarli a sopecialisti,
spesso amici o allievi. Qui i testi vengono copiati di persona e poi i gruppi
di studiosi li mettono in circolazione. Quanto al pubblico, da una parte si
allarga, cioè nel settore dell'intrattenimento, che conosce un grande
sviluppo anche a causa dell'affermazione della novella; dall'altra parte,
quando si entra nel campo della cultura umanistica e di quella letteratura a
circuito interno il pubblico si restringe. Ci sono inoltre quattro tipi di
biblioteche: degli ecclesiastici, dei mercanti, delle grandi famiglie signorili
e delle istituzioni pubbliche e quelle degli intellettuali. Negli ultimi tre
tipi c'è un cambiamento dovuto al fatto che decadono le biblioteche
medie, mentre si affermano sempre più le piccole (cinque, dieci libri) e
le grandi (più di cinquanta libri). Un'altra novità fondamentale
è che queste biblioteche sono laiche. Il modello tipico della biblioteca
degli intellettuali preumanisti è quella di
Petrarca (più di duecento volumi). Per quanto riguarda la lingua invece
c'è la vittoria del toscano, sancita dal grande successo della Commedia.
Questa affermazione fu favorita anche dal fatto che Firenze era il maggior
centro di produzione libraria del tempo e che molti poeti toscani costretti all'esilio
erano presenti al nord. Quindi nel trecento si gettano le basi per una lingua
nazionale, anche se questa affermazione del toscano è più in
poesia che in prosa. Nel corso del trecento vengono fatti anche dei
volgarizzamenti (anche da parte di scrittori famosi) verso i classici antichi,
che stava a significare il crescente interesse per latino e letteratura
classica da parte di borghesi e mercanti. Ciò favorisce un adeguamento
della prosa in volgare agli schemi del latino, anche se inizia a manifestarsi un'esigenza
di rispetto del testo e precisione nella traduzione. Mano a mano che il latino
classico veniva posto al centro degli interessi, i volgarizzamenti iniziavano
ad essere sgraditi. Infatti dalla fine del trecento, l'uso del latino come
lingua letteraria si amplia notevolmente e porta a volte persino a disprezzare
il volgare. Quindi il latino è di nuovo la lingua principale, con una
differenza rispetto al passato: è molto più raffinato, modellato
su lessico e sintassi dei grandi autori della classicità. La tendenza preumanistica in letteratura ha la corrispondenza, in campo
filosofico, alla crisi della scolastica e del tomismo (pensiero aristotelico di
S.Tommaso) e nell'affermazione dei valori di
concretezza, evidenza immediata ed empirica, conoscenza sensoriale, con anche
la conseguente laicizzazione del pensiero. Si fa strada un atteggiamento volto
a rifiutare conoscenze che si pongono al di la del mondo naturale e che non
sono verificabili in modo sperimentale. C'è una separazione tra fede e
ragione, viste in contraddizione. Ne risultano valorizzati sia l'individualità
empirica del soggetto, sia l'oggetto empirico conosciuto. A questo riguardo in
campo filosofico esistono due metodi di conoscenza contrapposti: la metafisica,
che studia i primi principi della realtà proponendosi come scienza della
realtà assoluta, e l'empirismo, che nega qualsiasi forma di assolutezza,
proponendo l'esperienza concreta come unico metodo di conoscenza. Secondo
Aristotele, la metafisica è la scienza che studia l'essere in quanto
tale, ed i tre rami di questa scienza sono la teologia (scienza di Dio e delle
cose divine) l'ontologia (scienza dell'essere) e la gnoseologia (scienza della
conoscenza). Secondo l'empirismo invece si conosce la realtà attraverso
i sensi, negando ogni principio come valido in assoluto. A porre in crisi la
scolastica furono due pensatori inglesi: Giovanni Duns
Scoto che in opposizione alla scolastica accentua l'importanza
del soggetto concreto, e definisce l'uomo unione di materialità e
spiritualità, di corpo e anima; ma soprattutto Guglielmo d'Ockham. Infatti il suo pensiero si fonda sulla frattura tra
fede e ragione: la ragione, per conoscere, può basarsi soltanto sull'esperienza
sensibile; e dato che in questo modo non si può conoscere Dio, la sua
esistenza e i suoi valori sono solamente oggetto di fede. Quindi rende libera
la ragione dai vincoli della fede permettendole di studiare i vari fenomeni naturali:
è un atteggiamento sperimentale, in quanto ad Ockham
interessa solo l'analisi particolare dei fenomeni. Il cosiddetto rasoio di Ockham che tira via ogni vincolo tra la fede e la ragione.
Questo atteggiamento avrà una notevole influenza nel campo delle scienze
naturali, della logica e della fisica e presenta notevoli punti di convergenza
con la ricerca preumanistica. L'occaismo
distrugge la visione unitaria del mondo: le conoscenze e i progetti entrano in
crisi perché appunto la conoscenza si ottiene in base alla conoscenza diretta.
In campo filosofico questo comporta un crollo dell'universalismo e una
liberazione delle forze individuali come nell'umanesimo. La Chiesa
condannò l'occaismo, anche se non seppe
mettergli contro nient'altro che la santificazione di S. Tommaso; in
realtà la teologia risultava ridimensionata e perdeva il suo primato filosofico.
Per quanto riguarda il pubblico fra mercanti, artigiani e popolo minuto era
trasmessa anche oralmente la Commedia, anche se con inesattezze. Circolava
anche il Decameron, in mercantesca, destinato ad
alleviare la noia delle donne che non potevano dilettarsi in politica come gli
uomini. Questo individuava ancora una volta il nuovo spazio della narrativa
destinato al consumo e al puro diletto. Si diffonde anche il cantare, genere
cantato nelle piazze popolari. Di solito sono anonimi ma possono essere anche d'autore
(Boccaccio): sono in genere di argomento epico-romanzesco,
e di solito narravano le opere dei paladini o alla cronaca politica e,
più raramente, a scopi religiosi. In poesia risultano tendenze
popolaresche anche nella narrativa romanzesca in prosa e nelle rime per musica
e per danza, vera e propria novità in Italia. Come nella letteratura
umanistica, anche la poesia lirica in volgare mantiene caratteri chiusi per il
pubblico: infatti il modello petrarchesco, inteso a
creare una lingua separata ed autosufficiente, si rivolge ad un pubblico
ristretto, sancendo una chiusura per molto tempo al mondo della cronaca e al
linguaggio di tutti i giorni.
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