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Uno, Nessuno e Centomila

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Uno, Nessuno e Centomila



Il protagonista di Uno nessuno e centomila, Vitangelo Moscarda, si trova impegnato in un disperato esperimento, cioe' quello di ricostruirsi un'esistenza svincolata dai condizionamenti imposti dalla natura e dalle convenzioni, e di afferrare la propria personalita' autentica mediante un atto di libera scelta. Per Moscarda, l'inizio dell'avventura e' dato dal proprio naso. Questo naso pende verso destra. Moscarda lo apprende un bel giorno dalla moglie. La frase, buttata li' per caso, banalmente, sara' come un cerino acceso caduto in un deposito di esplosivo. L'esistenza di Vitangelo ne sara' sconvolta; vita familiare, interessi, posizione sociale, rapporti di amicizia, tutta la realta' in mezzo a cui egli per ventotto anni era comodamente vissuto senza urti e senza sorprese, si dissolve come per sortilegio, ed egli si riduce alla condizione di alienato. Chi e' in realta' Vitangelo Moscarda che la moglie dice di conoscere e di amare, chiamandolo Genge'? Cosi' per gli amici e per tutti gli altri. Ci sono tanti Moscarda quanti sono quelli che lo vedono, quante sono le possibilita' di conoscere, le relazioni, i casi e le circostanze, i momenti psicologici, le realta' mentali di ciascuno. Moscarda tenta l'allucinante ricerca di questo se stesso, per coglierlo nella sua spontaneita', nella sua espressione prima e genuina. Impresa disperata. E' come volere scavalcare la propria ombra. Per se', Vitangelo Moscarda e' nessuno. L'io e' infatti essenzialmente un 'essere per l'altro'. Ma, per realizzarsi, questa coscienza nella quale si afferma la singolarita' deve essere consapevole in tutti; questo senso dell'alterita', questo sentimento della finitudine di ciascuno, del limite individuale e del rapporto vicendevole, in cui si effettua il rispetto del singolo, e quindi la sua valorizzazione, deve essere pienamente consapevole. Invece tra gli uomini avviene esattamente il contrario e questo e' il dramma dell'essere in cui l'identita' dell'io finisce con l'affogare. Moscarda si propone di distruggere il vecchio se stesso, quello condizionato dalla nascita, dall'educazione, dall'ambiente. Per questo dovra' cancellare l'immagine che gli altri hanno di lui, a cominciare dalla moglie. Egli deve cassare l'immagine di usuraio che ha ereditato dal padre insieme con la banca da cui trae i mezzi per la sua esistenza di borghese benestante. Si da' quindi a compiere atti di liberalita' che appaiono in contrasto coi criteri di una sana amministrazione e gli procurano un'attestato di pazzia da parte della moglie, dei soci d'affari e anche dalle stesse persone da lui beneficiate. Interdetto dai familiari, abbandonato dalla moglie, finisce in un ricovero per vecchi da lui stesso fondato con le splendide elargizioni. Uno nessuno e centomila e' il romanzo della solitudine dell'uomo. La personalita' del protagonista si afferma senza equivoci nel proposito di rinnovamento e nell'azione di liberazione risolutamente perseguita, qualunque possa essere stato lo spunto iniziale. La convinzione dell'inevitabile soggettivita' del nostro giudizio a cui Moscarda perviene, lungi dall'implicare la bancarotta della persona, ne e' una coraggiosa affermazione. Moscarda acquista consapevolezza che niente e' fermo e definito nell'essere come nel conoscere, che l'uomo si costruisce con le proprie azioni. Ma appunto la consapevolezza della parzialita' dei giudizi del singolo ('ciascuno a modo suo') e' la via per superare la chiusura della soggettivita'. Chi invece attribuisce al proprio particolare punto di vista il carattere di una verita' assoluta ed irreformabile, si chiude effettivamente nel cerchio della propria limitatezza precludendosi ogni vera conoscenza. L'io consapevole non e' dunque soccombente, ma all'esterno e' come se lo fosse. Mancandogli il contatto vivificante della convivenza, deve ripiegare su se stesso, accettando cosi' la propria solitudine. Questa sofferta solitudine e' il segno della coscienza desta. Essa infatti non e' una sanzione, ma l'effetto di una libera scelta in cui affiora il richiamo di una superiore etica, espressa anche nel sentimento di un Dio eterno, come voce immanente alla coscienza. Il sentimento di una presenza superiore, tipico di questo romanzo, e' avvertibile pure nel respiro della natura in cui si annega e si confonde, con quotidiana partecipazione, la personalita' di Vitangelo Moscarda, ridotto a concludere la sua vita nell'ospizio dei vecchi, in una condizione di lucida demenza. Pirandello, superando l'estrema posizione del romanticismo e la gratuita affermazione del sentimento che le e' propria, compie il salvataggio del sentimento facendolo uscire dall'immediatezza ingenua e dandogli una coscienza riflessa di se'. Nella rappresentazione pirandelliana del sentimento sul punto di dissolversi a causa della sua contradditorieta', in quanto forza esclusiva e, insieme, limitata al singolo, acquista coscienza di se', si chiede le proprie ragioni, si fa un problema del proprio essere. In questo modo indiretto, ma ancor piu' perentorio, riesce a vivere oggettivandosi in una rappresentazione motivata. Pirandello esprime molti concetti nel romanzo facendo spesso ricorso alla filosofia o alla psicoanalisi. Uno dei principali temi trattati nel romanzo e' quello della solitudine. Considera la solitudine in maniera molto particolare, ma non per questo confusa o astrusa. Infatti afferma che non e' possibile essere soli se ci si trova in un ambiente in cui non vi sono presenti altre persone o cose con cui si ha qualche rapporto.
Infatti dice che la solitudine non e' con l'uomo, ma e' senza l'uomo ed inoltre non e' possibile essere soli tranne nel caso in cui ci si trova in presenza di cose o persone che ci ignorino completamente. Quindi una persona, se si trova in un ambiente a lei familiare, anche se privo di alcuna presenza umana, non si puo' considerare tormentata dalla solitudine. Poi tratta il rapporto che c'e' tra l'aspetto fisico e la personalita', nonche' il carattere. Secondo lui le persone non sono sempre come appaiono e tantomeno non sono le stesse per tutte le persone che le circondano. Infatti la personalita' di ognuno di noi ha molteplici sfumature che variano da persona a persona e addirittura in relazione allo stato d'animo e all'ambiente che ci circonda. Anche a noi stessi presentiamo personalita' differenti che rimangono celate o riemergono a seconda delle situazioni in cui ci troviamo coinvolti. Si puo' dunque ipotizzare che ognuno di noi indossa una maschera non presentando cosi' mai il suo vero 'volto'. Si puo' percio' pensare che gli altri ci vedano in maniera differente l'uno dall'altro e da noi stessi. In effetti il comportamento delle persone e' in stretto rapporto con l'aspetto fisico anche se questo non e' determinante perche', ad esempio, se una persona ha un aspetto fisico sgradevole si comporta come tale perche' riconosce di essere tale. Pertanto non si possono analizzare le due caratteristiche separatamente, ma una in relazione all'altra. Poi si puo' giungere al tema centrale del romanzo che e' quello che gli da' il titolo. Una persona puo' essere per se stesso nessuno, per una persona in particolare uno, ma per la gente puo' essere centomila, cioe' per ogni persona che conosce e' una persona diversa e ben distinta. Per questo una persona, come ad esempio e' capitato a Moscarda, rischia di non essere piu' se stesso, ma solamente la somma delle opinioni altrui o addirittura un personaggio modellato e costruito da altri e, allo stesso tempo, manovrato come pare e piace. Pirandello esprime anche molte considerazioni sulla natura. Parla degli uccelli e li invidia perche' possono volare naturalmente, senza bisogno di artifici o di 'apparecchi', come invece e' costretto a fare l'uomo, anche se alla fine non concepisce l'essenza del volo perche' non risulta una cosa spontanea ed inoltre perche' e' solo un sogno ambito per vanita' e per umana presunzione. Mostra anche il suo disappunto nei confronti del fenomeno del disboscamento e critica il fatto che si fa delle piante ed in generale della natura cio' che si vuole per le comodita' degli esseri umani senza curarsi che anche le piante, pur non essendo esseri animati e quindi pensanti, hanno lo stesso diritto di vivere in pace come gli uomini. Quindi il rapporto uomo-natura e' solo a vantaggio del primo e quindi si puo' pensare che non esista realmente un rapporto del genere perche' privo di comunicazione e di rispetto da parte di uno nei confronti dell'altra. In seguito l'autore espone il suo concetto di Divino e di spirito religioso. Ritiene che esistano due tipi di divinita', sempre restando nell'ambito della religione cattolica. Il primo e' il classico Dio di cui si parla in chiesa e di cui si legge nella Bibbia e nei Vangeli, mentre l'altro e' una sorta di spirito divino che e' allocato in ognuno di noi e che, di conseguenza, ognuno di noi considera a modo suo. Effettivamente questo spirito potrebbe far parte della nostra coscienza perche', secondo Pirandello, ognuno di noi ha un suo Dio personale che si tiene dentro, quasi gelosamente, e che raramente manifesta agli altri poiche', se si trovasse in disaccordo con il sentimento religioso piu' comune, potrebbe rischiare di essere preso per pazzo. Infatti il Dio del clero non e' solamente un essere superiore da adorare e venerare, ma e' anche un insieme di interessi economici e politici che stanno a cuore di molti. La gente inoltre non e' capace di tenere dentro di se' i propri sentimenti, ma deve costruirvi delle 'case' (in questo caso le chiese), il piu' possibile maestose ed imponenti, in cui alloggiarli e tenerli custoditi oltre che metterli in mostra. Pero' queste non potranno mai essere le case dei nostri sentimenti, ma quelle dei sentimenti di tutti e percio' non avrebbe piu' valore la nostra coscienza perche' sarebbe sempre piu' estranea a noi. Le ultime considerazioni fondamentali che Pirandello fa sono quelle sul tempo e sulla vanita' della vita. Secondo lui non possiamo mai prendere in considerazione un attimo della nostra vita, come non possiamo fermare una nostra immagine allo specchio, perche' per fare cio' dovremmo fermare la nostra esistenza, uscire dal nostro corpo ed analizzare. Questo non e' dunque possibile e tantomeno possiamo considerare una nostra foto viva perche' nell'istante in cui e' stata scatta e' come se il tempo fosse stato fermato e quindi in un certo senso la nostra stessa vita e' stata fermata perche' la fotografia non continua a vivere, cioe' a rappresentare il soggetto mentre invecchia, ma lo mostra sempre nelle stesse condizioni fisiche in cui si trovava al momento in cui e' stata impressionata la pellicola. Percio' la vita si muove in continuazione e non puo' mai veramente vedere se stessa.









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