VITA E OPERE SI SENECA
Vita: Filosofo e scrittore latino (Cordova ca. 4 a. C.-Roma
65 d. C.). Secondo lio di Seneca il Vecchio e di Elvia, studiò a
Roma, manifestando subito interesse per la poesia e l'eloquenza come per la
filosofia e le scienze. Ebbe a maestri gli stoici Attalo e Sozione e si diede
anche a vita ascetica. Compì un viaggio in Egitto prima del 20 e
tornò a Roma nel 31. Iniziò quindi la carriera politica, fu
questore, entrò in Senato. Ma incorse nell'odio di Caligola e poi
nell'ostilità di Claudio, allorché su istigazione della moglie di
questi, Messalina, fu coinvolto in un processo di adulterio contro Giulia
Livilla, sorella di Caligola, e relegato in Corsica. S. mal sopportò
l'esilio, che durò dal 41 al 49. Aveva già perso un lioletto
appena nato e la prima moglie. Si diede così a scritti filosofici,
riprendendo la forma della consolatio che aveva impiegato qualche anno prima
rivolgendosi a Marcia lia di Cremuzio Cordo, cui era morto un lio.
Indirizzò una Consolatio ad Helviam matrem, scrisse alcuni trattati e
brevi poesie e la Consolatio ad Polybium, potente liberto di Claudio, per la
perdita del fratello ma anche per chiedere la sua intercessione presso
l'imperatore. Il ritorno a Roma avvenne nel 49, ssa ormai Messalina, e
per intervento di Agrippina Minore, seconda moglie di Claudio, che si
appoggiò a S. per favorire la successione al trono del proprio lio
Nerone, a danno del lio di Claudio e Messalina, Britannico. Nerone,
dodicenne, fu affidato alle cure del filosofo; quando, nel 54, Claudio fu
soppresso, S. si trovò a essere il consigliere del giovane sovrano,
insieme ad Afranio Burro, altro insigne personaggio. In quegli anni
indirizzò a Nerone alcuni dei suoi maggiori trattati, propugnando una
monarchia illuminata e conciliatrice dei vari organi e ceti dello Stato; altri
ne scrisse su diversi temi etici. Ma ben presto la situazione si
aggravò. Nerone compì una serie di delitti, fra cui l'uccisione
di Britannico e della madre, che coinvolsero in vario modo anche Seneca.
Più tardi avvenne il ripudio e poi l'uccisione di Ottavia. S. fu messo
in cattiva luce presso l'imperatore; fu accusato di ammassare ricchezze e la
sua influenza diminuì rapidamente, anche in seguito alla ssa di
Burro, sostituito con Tigellino. All'incirca in quell'anno (62) il filosofo si
ritirò a vita privata e attese ad altri suoi scritti. Nel 65, sospettato
di avere preso parte alla congiura antineroniana dei Pisoni, venne accomunato
nella loro condanna e ricevette l'ingiunzione di uccidersi: cosa che fece
fermamente, dando ordine che gli venissero recise le vene e bevendo infine la
cicuta; anche la seconda moglie, Pompea Paolina, cercò di imitarlo ma fu
salvata. § Il giudizio sul personaggio di S. non è facile. Si riscontra
da un lato l'entusiastica ammirazione per le sue qualità intellettuali,
per la vasta umanità, per il suo atteggiamento verso la vita e l'uomo;
d'altra parte si sottolinea la sua condotta tollerante, quando non addirittura
ossequiente verso un tiranno sanguinario, l'avidità di ricchezze e di
onori e insomma una discordanza profonda tra la sua predicazione morale e la
sua condotta. Certo S. è tra le ure più interessanti
dell'antichità. Appartenente alla "nuova stoà", di cui era stato
fondatore Panezio, S. ha portato nella speculazione stoica il segno distintivo
del suo carattere, sempre ondeggiante fra un pessimismo radicale e l'esigenza
(mai realizzata) di mettersi - come autentico saggio stoico - al di sopra di
ottimismo e pessimismo per dominare gli eventi: di qui l'inconciliabilità
fra due tendenze opposte, l'una che lo vorrebbe portare all'umanitarismo e
l'altra che lo farebbe volgere all'aristocraticismo. Della stessa natura fu in
lui l'incertezza fra un razionalismo, che chiudeva all'uomo ogni via mistica, e
un irrazionalismo, che all'ascetismo tendeva con tormentato slancio. Le sue
dure parole contro il corpo e la vita corporea come "peso e condanna
dell'animo" sono una prova dell'ascetismo presente in lui come aspirazione e
tale d'attribuire parvenza di vero alla favola della sua conversione al
cristianesimo e addirittura a un suo sectiuneggio con l'apostolo Paolo. Questo
è almeno inverosimile perché la morale cristiana cerca la salvezza
dell'anima, mentre quella stoica vuole raggiungere la serenità dello
spirito. È però vero che nella ricerca etica di S. esiste un
elemento nuovo, sconosciuto allo stoicismo anteriore: una religiosità
che vorrebbe permeare di sé il razionalismo e che non potendo trovare un comune
ubi consistam, s'avvolge in contraddizioni tipiche a ogni filosofia in crisi. E
in crisi era infatti non solo S., ma tutto lo stoicismo romano. S. fu certo uno
dei testimoni del turbamento delle coscienze e dell'evoluzione interiore della
società nel periodo cruciale della crisi neroniana e uno degli anticipatori
più precoci della grande crisi politica e morale che investì a
poco a poco, a partire dal secolo seguente, tutto il mondo antico. Il suo stile
è pure una novità nell'ampio e armonioso periodare latino:
secondo un nuovo tipo di retorica e seguendo i diversi moti dell'animo, il suo
discorso si svolge mobile, rapido, a brevi frasi illuminanti con frequenti
sentenze e varietà di costrutti.
Opere:
Le sue opere giunte a noi (parecchie andarono perdute) sono: il gruppo dei
cosiddetti Dialoghi, che comprende le tre Consolazioni e i seguenti trattati
filosofici e morali: De providentia, dedicato a Lucilio, col concetto che la
sofferenza del giusto è provvidenziale e solo apparente; De constantia
sapientis, riguardante l'impassibilità di chi aderisce alla saggezza stoica;
De ira, dedicato al fratello Novato, sulla natura, vanità e cura
dell'ira; De vita beata, esposizione della teoria stoica della felicità,
anch'essa dedicata al fratello; De otio, che spiega e giustifica il ritiro
dello stoico dalla vita pubblica; De tranquillitate animi, che disputa sulle
inquietudini dell'uomo in preda al vizio; De brevitate vitae, invito a
impiegare intensamente il tempo della vita, che così sarà
abbastanza lunga per ognuno di noi. Al di fuori dei Dialoghi stanno il De
clementia, diretto probabilmente a Nerone all'inizio del suo regno,
sull'opportunità per il governante di essere misericordioso; il De
beneficiis, discorso non sistematico sulla generosità e sul bene da fare
agli altri; le Naturales quaestiones, grosso trattato in 7 libri, scritto negli
ultimi anni e dedicato a Lucilio, sulla geografia, astronomia e meteorologia;
infine 124 lettere (Epistulae morales ad Lucilium), opera anch'essa tarda in
cui S. indirizza all'amico Lucilio svariati consigli di vita pratica e di
atteggiamenti interiori, come un direttore di coscienza che si rivolge al
proprio discepolo: sono lo scritto più vivo e interessante di S., sia
per la varietà dei temi sia per l'immediatezza del discorso. Vivace la
sua produzione poetica: oltre agli epigrammi, un Ludus de morte Claudii, o
Apocolocynthosis*, satira dell'imperatore scritta dopo la sua morte in versi e
prosa, che narra parodisticamente la "zucchificazione" (apocolocynthósis)
anziché la divinizzazione (apotheósis) del defunto imperatore; e 9 tragedie: Hercules
furens, Thyestes, Phoenissae, Phaedra, Oedipus, Troades, Medea, Agamennon,
Hercules Oetaeus. Queste ultime sono le uniche tragedie di tutta la letteratura
latina a noi giunte per intero e vennero scritte soprattutto nella seconda
metà della vita del loro autore. Trattano di preferenza i miti
più foschi e cruenti del teatro greco, cui si ispirano, accentuandone
ancora gli aspetti orridi, per cui andarono famose e vennero recitate o solo
lette. È attribuita a S. anche una decima tragedia, Octavia, di incerto
autore, che narra la fine della moglie di Nerone e presenta in scena, come
personaggio, lo stesso Seneca. L'importanza di S. nella letteratura latina
imperiale è enorme, per il nuovo indirizzo stilistico, per l'ampliamento
delle indagini psicologiche da lui operato, e per l'apertura sociale. La sua
fama fu ancora più grande nel Medioevo, ma soprattutto il barocco lo
ammirò come maestro di stile.