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mito, leggènda, fàvola

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mito


Lessico

sm. [sec. XIX; dal gr. mıthos, parola, discorso, narrazione]. 1) Narrazione favolosa intorno agli dei, agli eroi o alle origini, alle tradizioni, alle gesta di un popolo: il m. di Ercole; il m. di Romolo e Remo. In partic., personaggio o fatto mitico: Icaro è un mito. Per estens., elaborazione fantastica di un personaggio o di un avvenimento storico divenuto leggendario: il m. di Cristoforo Colombo; le vicende di Garibaldi sono diventate un mito. 2) Ideologia che si fonda più sulla fantasia e sulla speranza che sulla realtà; sogno irrealizzabile, utopia: il m. di una società senza classi. Per estens., qualunque convinzione che non trovi piena rispondenza nella realtà; anche scherz.: la sua intelligenza superiore è soltanto un mito. In partic., il motivo fondamentale che ricorre nell'opera di un autore, di una scuola, di un'epoca: il m. della realtà nei pittori naturalisti.






leggènda


sf. [sec. XIV; dal lat. legenda (cose da leggere), gerundivo neutro pl. di legere, leggere]. 1) Racconto della vita o delle gesta di un santo (un tempo letto nel giorno della sua festa), in cui la verità storica si fonde con l'elemento fantastico. 2) Analoga narrazione di argomento religioso o eroico che aggiunge particolari immaginari al primitivo nucleo storico: l. greche, romane; l. cavalleresche. Per estens., impresa storica che assume valore leggendario: la l. napoleonica. ., fatto inventato, fandonia: non crederci, è una leggenda. 3) Iscrizione o didascalia di testi, di illustrazioni, di opere d'arte, ecc. In partic.: A) Tabella con abbreviazioni e spiegazione dei simboli convenzionali posta in atlanti, sectiune geografiche, grafici e sim. B) In numismatica, iscrizione che corre lungo il bordo di una o entrambe le facce di una moneta o medaglia; comprende il nome dell'autorità emettente la moneta o del titolare della medaglia, la data e il luogo di emissione, oppure motti, invocazioni, ecc. Il processo di trasformazione della l. incominciò molto presto: nel caso delle vite dei martiri, è raro che il racconto si limiti al semplice resoconto del processo e del martirio, e più frequente è l'aggiunta di particolari romanzeschi che mettano in evidenza l'eroica forza di sopportazione mostrata dal martire durante il supplizio. Tra le raccolte di l. agiografiche, le più vaste e autorevoli sono gli Acta Martyrum et Sanctorum, i Dialoghi di San Gregorio Magno, gli scritti di Gregorio di Tours, mentre il leggendario più diffuso è la Leggenda aurea di Iacopo da Varazze. Nell'accezione moderna, la l. è la narrazione di fatti storici deformati mediante l'intrusione di elementi fantastici e meravigliosi. Per la presenza di un addentellato storico, la l. si distingue dalla favola e dalla fiaba, i cui personaggi o avvenimenti sono immersi in una sfera esclusivamente fantastica. Non altrettanto netta è la differenziazione della l. dal mito, dal momento che componenti mitiche sono spesso presenti nell'articolazione di alcune l. e comune è l'origine di miti e l. dalla tradizione orale; mentre tuttavia la l. presuppone necessariamente l'esistenza di fatti storici da trasformare in una dimensione fantastica, non altrettanto si può dire del mito. Alla raccolta e classificazione delle l. si applicano i criteri della geografia linguistica, che consentono, mediante lo studio delle varianti, di individuarne i maggiori centri di diffusione. 4) L. metropolitane. Gli analisti del costume e gli studiosi della comunicazione hanno osservato come nelle società tecnologicamente sviluppate vengano riportati e diffusi con sempre maggiore frequenza, tramite i mezzi di comunicazione di massa (radio, televisione, ma soprattutto stampa), racconti di eventi fantastici, terrificanti e apparentemente incredibili. Nella grande maggioranza dei casi, si tratta di storie prive di qualsiasi fondamento reale, che trovano credibilità proprio per il fatto di essere in qualche modo avallate dalla fonte d'informazione. Il fatto che simili narrazioni siano prevalentemente ambientate in contesti urbani, demograficamente densi ed economicamente sviluppati, ha fatto parlare di l. metropolitane come di una nuova produzione di mito che ha soppiantato nell'immaginario collettivo l'antico repertorio di fiabe, saghe e leggende, conservando, però, un significato comune a quello che gli analisti del folclore e gli stessi psicologi sociali attribuiscono alla tradizionale produzione favolistica. Infatti, la narrazione fantastica tradizionale rielaborava paure e angosce collettive, fissandole in personaggi e racconti che ne rappresentavano allegoricamente il sostrato culturale, spesso ricavandone una morale a uso di edificazione. Analogamente, le nuove l. metropolitane propongono tutto il repertorio di ansia e di frustrazione di società allevate nel culto dell'onnipotenza scientifica e tecnologica e chiamate improvvisamente a fare i conti con irruzioni nella vita quotidiana di minacce impreviste e inquietanti. La notizia, riportata con grande evidenza dalla stampa americana, di un topo di dimensioni mostruose che si aggira nel sottosuolo di una metropoli industriale (per non parlare delle centinaia di coccodrilli che popolerebbero, secondo i rotocalchi della città, le fognature di New York), simboleggia i pericoli nascosti di cui la stessa complessa conurazione della città è fonte, dando metaforicamente corpo a paure (letteralmente) sotterranee e prive di una plausibile identificabilità. Ogni l. metropolitana, in un certo senso, esattamente come la vecchia produzione favolistica, codifica messaggi latenti nella cultura popolare. A suo modo, produce persino delle informazioni che, sebbene distorte e quasi sempre inesatte, contengono embrioni di verità rielaborate dalla paura. Esemplari, in questo senso, le diverse versioni circolate un po' in tutto il mondo circa l'origine del contagio da A.I.D.S. Invariabilmente, la l. metropolitana tende ad associare il principio della vicenda malefica con il comportamento trasgressivo e la volontà intenzionale e perversa di qualche ura simbolo, si tratti di uno scienziato nichilista che libera il virus da qualche laboratorio segreto o di uno steward eroinomane deciso a vendicarsi della propria disgrazia contagiando centinaia di vittime inconsapevoli, oppure ancora di una coppia di prostitute d'alto bordo che si sarebbero date - come gli untori nelle epoche della peste - alla missione diabolica di diffondere la malattia in disprezzo dei propri facoltosi clienti. Come si può constatare, i protagonisti della vicenda sono sempre personaggi oggetto di una condanna o di un pregiudizio morale, l'evento clinico (il contagio, in questo caso) appare sistematicamente il frutto di una precisa intenzione, anche se è individuata correttamente la forma biologica della trasmissione del male, mentre la reale identità dei personaggi rimane altrettanto sistematicamente nebulosa. Nelle varie l. metropolitane cambiano i simboli e le metafore, mai la struttura e il significato latente. Essi rinviano sempre a paure diffuse che si cerca di esorcizzare individuando capri espiatori in ure negative. Ricorrente appare perciò anche il senso morale - o propriamente moralistico - del racconto, che rinforza il rifiuto delle diversità e tende a riprodurre stereotipi etnici e culturali. All'origine dell'evento straordinario, quasi sempre malefico, e infatti spesso un soggetto altro, estraneo alla comunità, così come nell'antichità le epidemie o le carestie venivano attribuite agli effetti di divinità nemiche o di invasioni di popolazioni ostili. Alcuni studiosi hanno notato come, ando le l. metropolitane raccolte un po' ovunque, si possa cogliere una grande somiglianza nel racconto degli eventi. Questi riconducono a un'unica matrice narrativa (il contagio, l'animale straordinario, la sa degli extraterrestri, ecc.) e sembrano variazioni di uno stesso tema, anche qui in analogia con i repertori tradizionali delle fiabe e delle leggende classiche. Questo fenomeno risulta potenziato dal ruolo dei mezzi di comunicazione di massa, dalla loro velocità informativa, che rasenta la simultaneità fra realtà e immagine, alimentando così incroci, contaminazioni, sovrapposizioni di linguaggi e di racconti. Il fatto che racconti simili, aventi un unico tema narrativo e contenenti un'unica morale, rimbalzino da un capo all'altro del pianeta produce l'effetto di accreditarne la paradossale veridicità, alimentando processi di suggestione collettiva e rinforzando il circuito dell'ansia. Spesso notizie prive di qualsiasi attendibilità vengono veicolate senza controllo per evitare che una concorrenza priva di scrupoli anticipi l'evento a lettori o ascoltatori. Altrettanto spesso, invece, un fatto singolare, ma non straordinario - come la fuga di una pantera da uno zoo cittadino - viene enfatizzato e rielaborato in chiave di simbolismo politico, attivando autentiche strategie di marketing pubblicitario: la pantera inafferrabile diviene l'emblema della contestazione universitaria romana alla fine degli anni Ottanta.




fàvola


sf. [sec. XIII; dal lat. fabula, dal tema di fari, parlare]. 1) Breve racconto, in prosa o in versi, di cui sono protagonisti animali parlanti (o, meno sovente, esseri inanimati o cose) e che racchiude un insegnamento morale o didascalico: le f. di Fedro; anche il genere letterario che ne deriva. Nella loc. la morale della f., l'insegnamento che se ne ricava e per estens. il vero significato, la sostanza di un fatto. Anche, ma impr., racconto di natura popolare e di argomento fantastico, fiaba, novella: le f. di Andersen. Per estens., leggenda, mito. 2) Commedia, dramma: f. pastorale. 3) Chiacchiera, cosa non vera, menzogna, bugia, diceria su una persona o un avvenimento; anche l'oggetto di tali chiacchiere: essere la f. del paese. 4) Poet., il corso della vita umana: "La f. breve è finita" (Carducci). Per il suo contenuto gnomico, la f. si distingue dalla fiaba, che, dotata di una più ampia libertà strutturale, si avvale di elementi più liberamente fantastici, assumendo come protagonista l'uomo e subordinando l'intenzione didascalica (che è invece primaria nella f.) a uno scopo ricreativo e poetico. Mentre la fiaba si colloca oltre le leggi della natura, di esse tenta un'interpretazione il mito, dal quale si sviluppa la leggenda, che rispecchia l'antagonismo tra l'uomo e la natura, tendendo verso la storia; la f., infine, conclude il ciclo, rappresentando il momento di maggiore sviluppo di una civiltà e interpretando in senso didascalico-morale i rapporti sociali. Come genere letterario, la f. fiorì nell'Oriente, dando vita a due opere monumentali in sanscrito: il Pançatantra (I cinque Libri) e il Hitopadesa (I buoni suggerimenti). Presente nella letteratura greca fin dalle origini (Esiodo, Archiloco, Erodoto, ecc.), la f. acquista i suoi caratteri tipici con Esopo. A Roma la f., presente inizialmente sotto forma di apologo (celebre quello di Menenio Agrippa) o di componimento drammatico (fabula palliata, cothurnata, praetextata, tabernaria, atellana), acquista dignità d'arte con Orazio (si veda il racconto del topo di camna e del topo di città, Satire, II, 6). Chi però ha il merito di aver fissato i caratteri del genere favolistico creato da Esopo è Fedro, che rispecchia nella f. la condizione delle classi subalterne, oppresse dai potenti. Il Medioevo conosce solo indirettamente Esopo e Fedro. Intorno al Mille fioriscono numerosi bestiari e raccolte dette in Francia ysopets (da Esopo): celebre quella in versi di Marie de France (fine sec. XII). Nel basso Medioevo si afferma, nell'ambito della f., un genere letterario autonomo, l'epopea animalistica, che, probabilmente sotto l'influsso del Pançatantra, compendiato da Giovanni da Capua nella raccolta Directorium humanae vitae (1262-78), si sviluppò nella Francia sett., incentrandosi su due animali protagonisti: la volpe (ted., Reinhart; fr., renard) e il lupo (ted., Isengrin): al testo più cospicuo di questa epopea, il Roman de Renard, attinse anche Goethe, con il suo Reinecke Fuchs (1794; La volpe Reinecke). Poco apprezzata dal Quattrocento umanistico, la f. piacque, invece, nel Cinquecento, sia agli scrittori del Rinascimento italiano (dall'Ariosto, che introdusse nelle sue Satire f. argute e scherzose, ad A. Firenzuola e ad A. F. Doni, che si rifecero al Pançatantra) sia agli scrittori della Riforma protestante (H. Sachs, E. Alberus, B. Waldis) che nella f., apprezzata anche da Lutero e Melantone, videro una forma efficace di polemica anticattolica. In epoca barocca la f. non ebbe cultori in Italia, mentre in Francia J. de La Fontaine scrisse con le sue Fables un autentico capolavoro. Il Settecento illuministico riscoprì la razionalità nascosta sotto il camuffamento zoomorfo della f. e la portò al massimo splendore. Mentre in Germania G. E. Lessing, con il suo Trattato sopra la favola (1759), rifiutava La Fontaine e tornava alla limpidezza stilistica di Esopo, il modello lafontainiano fu ripreso in Francia da J.-P. Claris de Florian; in Inghilterra da J. Gay; in Sna da T. de Iriarte; in Russia da I. I. Dmitriev e, più tardi, da I. A. Krylov, considerato il più grande favolista della letteratura russa; in Italia, infine, da T. Crudeli, G. Roberti, L. Pignotti, L. Fiacchi, A. Bertola, G. B. Casti. Il secolo romantico respinse l'intellettualismo e il didascalismo della f., coltivando di preferenza la fiaba, che offriva maggiore libertà fantastica, mentre un ritorno alla tradizione favolistica è segnato, nel nostro secolo, specialmente da Trilussa, autore fecondo di scettici apologhi in dialetto romanesco, e da P. Pancrazi, autore di una garbata trascrizione esopiana (Esopo moderno, 1930).





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