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G I O V A N N I P A S C O L I ( 1855 - 1912 )
Nacque a San Mauro Romagna. L'evento fondamentale della sua vita fu l'assassinio del padre, l'anno seguente morì una sorella, quindi la madre e due fratelli. Questa esperienza di morte fu un trauma per il poeta che si venne risolvendo in un senso di sgomento per l'inesplicabilità del destino umano. Aderì al partito socialista e prese parte ai primi moti socialisti (aderì al socialismo anarchico di Bakunin). Dopo aver subito alcuni mesi dei carcere preventivo decise di non impegnarsi nella politica attiva e riprese gli studi all'università dove si laureò ed iniziò la carriera dell'insegnamento. Dopo aver passato i suoi anni nelle varie scuole d'Italia, fu successore del Carducci all'Università di Bologna. Morì nel 1912 e fu sepolto a Castelvecchio di Barga.
Elementi decadenti in Pascoli:
il senso smarrito del mistero e dell'infinito e la sensibilità a percepire le voci provenienti dagli abissi
concezione della poesia come rivelazione dell'ignoto
simbolismo
fiacchezza di temperamento
"Il fanciullino" (1897) apparso nella rivista "Il Marzocco": è una dichiarazione di poetica dove P. afferma di aver preso spunto dal "Fedone" di Platone. Dice che dentro di noi c'è un bambino che vive in noi anche da adulti Ciò esprime una concezione di realtà spontanea, che riesce ad andare al di là delle apparenze. E' Adamo che chiama col giusto nome le cose e riesce a capire il mistero della realtà. Mano a mano che si cresce però la voce del bambino l'ascolta solo il poeta. Da questa dichiarazione ci sono delle conseguenze:
P. dice implicitamente che la poesia è estranea alla razionalità, è irrazionale e intuitiva, una forma di conoscenza profonda della realtà.
La poesia non è privilegio di pochi, ma un dono concesso a tutti, sfruttato solo dai poeti
Una poesia non deve trattare solo temi importanti ( civili o politici ) ma si fa su tutto perché ciò che è importante è quello che il poeta percepisce dietro le apparenze. Si fa su piccole cose, dove il poeta intuisce la realtà più profonda.
Per P. la poesia è pura. In realtà nelle sue poesie c'è ansia, angoscia, paura di vivere, legata alla sua vita triste (lutti in famiglia): è la paura di P. borghese di fronte ai cambiamenti sociali.
"MYRICAE" (tamerici, arbusti bassi): è una raccolta di poesie che ha avuto 9 edizioni dal 1880 al 1900 circa:. P. scriveva poesie e poi le raccoglieva a caso. Il titolo è ripreso dal poeta latino Virgilio che aveva scritto "Non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici". P. vuole anche alludere alla semplicità, alla modestia dei temi delle poesie, che superficialmente trattano di camna, di paesaggi, di lavori domestici. In realtà la camna è lo sfondo su cui proietta inquietudini, angoscia e perplessità. Gli oggetti diventano emblemi di particolari stati d'animo ( ad es. un aratro abbandonato rappresenta la solitudine).
Si parla di correlativo oggettivo: l'oggetto concretizza gli stati d'animo del poeta, hanno un valore simbolico.
I simboli del Pascoli sono:
1. NIDO , ha queste valenze:
Spazi geometrici chiusi: muri, siepi, recinti e la nebbia ; tutto ciò che determina e ipotizza la famiglia d'origine, quindi protezione, rifugio. Ciò che è fuori fa paura.
Nido vuoto: ossessione dei morti. La sua famiglia si è svuotata a causa dei lutti. P. non riesce a dimenticare i suoi morti.
Dimensione nazionale, diventa simbolo dell'Italia, in cui c'era una forte emigrazione e l'Italia, il nido, doveva richiamare i suoi li.
CAMPANE, ha due diverse valenze, una positiva e una negativa:
ottica positiva: il suono della campana ha una funzione consolatoria, gli permette di dimenticare la realtà
ottica negativa: funzione inquietante, è il suono del funerale, della morte.
UCCELLI: le rondini accomnano il nido: In generale sono abitanti di mondi superiori dal quale inviano messaggi in una lingua non comprensibile, una lingua onomatopeica. Gli uccelli portano inquietudine e angoscia.
FIORI chiamati col loro nome, sono ambivalenti: rappresentano sia la vita (eros), sia la morte (thanatos). Portano gioia, vita, sessualità ("Gelsomino notturno") ma comunicano morte e solitudine. Ornano le tombe o simboleggiano la paura per la vita sessuale.
NOVITÀ' STRUTTURALI
Il Pascoli, pur rimanendo nell'ambito delle misure metriche tradizionali ( terzine, quartine, sestine ecc., ed endecasillabi, settenari, novenari, ecc.) rinnova il verso perché lo spezza continuamente tramite la punteggiatura e i frequentissimi enjambement, nascondendo, per così dire, la rima ( verso franto, ossia spezzato).
La LINGUA: P. ha un rapporto difficile con la realtà e non si limita ad usare un linguaggio grammaticale (il linguaggio della comunicazione) e pre-grammaticale, basato su suono e onomatopee e anche post-grammaticale, cioè un linguaggio tecnico, preso da varie discipline come la botanica, la biologia ecc.
LA METRICA: P. usa la metrica tradizionale ma cambia musicalità, usando marcature, assonanze, consonanze, cesure (pause in mezzo ai versi )
"CANTI DI CASTELVECCHIO": seconda raccolta di poesie di Pascoli, non hanno una successione, ma un'evoluzione poetica. Sono poesie con temi simili a quelli di Myricae, dove varia di poco anche la struttura. La prima edizione è del 1903. Le poesie vengono disposte secondo un ordine difficile, che il poeta stesso deve spiegare, e cioè P. segue l'anno agricolo, cioè da un autunno a quello successivo. Il luogo dove sono ambientate è quello di Castelvecchio di Barga e la Garfagnana, mentre quelle di Myricae erano ambientate per lo più in Romagna. P. riprende il titolo "Canti" da Leopardi, però li vuole ambientare in una realtà geografica ben precisa, la Garfagnana. I temi sono quelli già proposti in Myricae e cioè
il tema del nido,
la natura che vuole nascondere significati più profondi,
la perplessità di fronte alla vita, con un aumento del suo pessimismo.
La struttura è nuova perché più lunga e narrativa. P. fonde qui i tre tipi di linguaggio, pre, post e grammaticale e fonde molti termini tecnici dialettali della Garfagnana.
LA POETICA DEL FANCIULLINO
La Poetica del Pascoli è legata alla sua concezione del mistero come realtà che ci avvolge. Ad esplorare questo mistero si sono rivelate impotenti la filosofia e la scienza perché una non ha saputo dare una spiegazione sicura del mondo, l'altra non ha saputo assicurare la felicità promessa e il dominio sulla natura. Ci può riuscire il poeta che può scoprire il segreto della vita universale e le corrispondenze nascoste tra le creature e le cose.
Per questo elabora una particolare poetica, detta poetica de "Il fanciullino", dal titolo di un suo saggio, in cui sviluppa il concetto prerazionale e intuitivo della poesia.
Per Platone ( "Fedone") il fanciullino era il simbolo delle superstizioni, de terrore della morte e dell'oltretomba, da cui siamo turbati fin dalla fanciullezza e che sopravvivono in noi anche quando siamo adulti
Pascoli si impadronisce di questa immagine, ma fa del fanciullino il simbolo del modo tutto particolare, ingenuo ed incantato, di vedere e di sentire da parte del poeta.
Questo fanciullino, egli dice, è in tutti gli uomini, i quali perciò sono tutti più o meno poeti, ma nella maggior parte di essi, distratti e presi dalle loro attività pratiche, il fanciullino tace; in altri, più sensibili (i poeti veri ), il fanciullino fa sentire continuamente la sua voce di stupore davanti alla bellezza e al fascino del mistero.
DA "IL FANCIULLINO" : IL FANCIULLINO MUSICO
In questo passo il poeta coincide con l'eterno fanciullo che è in noi : " E' dentro di noi una fanciullino . . ..Quando la nostra età è tuttavia tenera, egli confonde la sua voce con la nostra, e dei due fanciulli, . . si sente un palpito solo . .."
La poesia riflette lo stupore col quale guardiamo per la prima volta le cose. Questo atteggiamento, spontaneo nell'infanzia, è una riconquista difficile in età matura. Occorre ritrovarlo al di là della cultura, della razionalità.
Il poeta non deve proporre contenuti morali, civili, religiosi, ma solo essere capace di una rinnovata visione della realtà e comunicare agli uomini questa suggestione, ridestando il fanciullo che è in loro.
La poesia ha bisogno di una lingua precisa, che chiami le cose col loro nome, per possederle nella loro realtà esterna: " . . Il poeta è colui che esprime la parola che tutti avevano sulle labbra e nessuno avrebbe detta . . . Egli non trascina, ma è trascinato; non persuade, ma è persuaso . .. "
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