The Great Gatsby
Il ricorso al contesto sociale
come elemento necessario per spiegare l'opera di uno scrittore si dimostra
particolarmente evidente nel caso di Fitzgerald. Fitzgerald è stato
infatti definito lo scrittore, il cantore dell'età del jazz, vale a dire
di quegli anni Venti che ne presero il nome proprio dal titolo di una sua
raccolta di racconti del 1922, Tales of the Jazz Age. Così, il tempo di
Fitzgerald fu 'il decennio che va dall'armistizio alla grande 'crisi'; il
decennio del dopoguerra col proibizionismo e il suffragio femminile, col
dilagare dell'automobile e della radio, con la 'grande paura rossa' e il boom
capitalistico, con l'americanismo a oltranza e il ripudio delle tradizioni
letterarie: il decennio di tutte le proteste e di tutte le rivolte, delle
utopie più ottimistiche e delle delusioni più
spietate.'.'Il successo economico, la ricchezza, erano ormai metri di
giudizio. Non c'era posto per i poveri, non c'era posto per i deboli, non c'era
posto per i falliti nell'America di Ford. Poeti e scrittori, critici e
romanzieri, giornalisti e produttori, valevano soltanto se guadagnavano
quattrini. Peggio per loro se non ce la facevano: voleva dire che erano cattivi
scrittori, cattivi artisti. Chi non aveva quattrini non aveva credito, e chi
non aveva credito non aveva quattrini. Era un circolo vizioso e peggio per chi
ci restava intanagliato dentro.'.'E' incredibile come tutti facessero
quattrini in quegli anni in America, e come tutti si divertissero e fossero
contenti. Dopo l'isterismo anti-rosso, l'isterismo del sesso e via via tutti
gli altri, l'America era invasa dall'isterismo dei quattrini. Il rialzo della
General Motors, il 4 marzo 1928, fu festeggiato come portatore di nuove gioie.
In realtà fu l'inizio dello sfacelo che travolse l'America l'anno
successivo. L'utopia del benessere per tutti era crollata. L'età del
jazz era finita.' [Ibidem, p. 320]. Fitzgerald è stato sicuramente
lo scrittore dell'età del jazz, ha sicuramente raccontato nei suoi libri
quel periodo e quell'atmosfera, e su tutto Fernanda Pivano sottolinea proprio
l'isterismo dei soldi, che torna in quasi tutti i suoi romanzi, ma anche
l'isterismo del sesso, ad esempio in This Side of Paradise, con la voglia di
liberarsi dal conformismo e dall'ipocrisia vittoriani. Non si trattava di
mettere in discussione questo. Quello che per lei era da contestare era
l'opinione che Fitzgerald fosse solo questo, che Fitzgerald fosse solo uno
scrittore di costume. Ad alimentare quest'idea, del resto, era stata la stessa
vita che Fitzgerald aveva condotto con la moglie Zelda, la loro leggendaria
vita di lusso che aveva dettato la moda specialmente in quei primi anni Venti.
La definizione di Fitzgerald scrittore dell'età del jazz era legata al
fatto che lui dell'età del jazz nella vita, nello stile di vita, era
stato il re e l'eroe. Il contesto sociale era allora necessario per capire,
seppur a grandi linee, in che cosa fosse consistita quest'età del jazz
che tanta importanza aveva avuto nella sua vita e nei suoi libri. Ma poi si trattava
di vedere come lui fosse andato a inserirsi in questo contesto, come lo avesse
vissuto. Fitzgerald è stato esemplare anche in questo, nell'analisi
costante che fece della sua vita e delle cose che avevano avuto importanza per
lui, di quelle che lo avevano segnato, del suo modo di guardare alle cose e di
comportarsi. Per Fernanda Pivano si trattava di seguirlo, non tanto di
interpretare da dati 'oggettivi' ma piuttosto di presentare gli
avvenimenti della sua vita per come lui li aveva vissuti, ripercorrerli accanto
a lui, vedere la grandezza delle cose al di là delle proporzioni
esteriori. Il contesto sociale, quella parte del contesto sociale pertinente a
un autore e ai suoi libri, è la messa a fuoco di un grandangolo. Ma
quando l'inquadratura è così ampia, pur essendo tutto a fuoco,
rischia comunque di essere tutto sfuocato, a fissare lo sguardo su un punto non
si riescono a vedere i particolari, è solo una forma ancora imprecisa,
indefinita. Bisogna avvicinarsi, zoomare su qualche elemento per trovare
qualcosa che possa dare maggior senso ad una panoramica generale, qualcosa che
caratterizzi in modo più dettagliato. Per fare questo bisognava inserire
la ura di Fitzgerald, bisognava scegliere le situazioni in cui era presente
e zoomare su di esse. Il primo punto importante, che Fitzgerald ribadì
spesso sin da giovane, fu quello della sua origine, il suo essere nato da una
madre irlandese abbastanza ricca ma non aristocratica, e da un padre gentiluomo
del Sud ma non di famiglia abbastanza illustre: 'Fu in quell'atmosfera di
disgusto per la volgarità borghese della pseudo-ricchezza da un lato e
per l'incapacità e la debolezza della pseudo-aristocrazia dall'altro che
Scott crebbe, a disprezzare e insieme invidiare i ricchi e gli aristocratici;
di fronte agli aristocratici provando insieme invidia per le nobili origini e
disprezzo per l'inefficienza, e di fronte ai ricchi provando insieme disprezzo
per la volgarità e invidia per l'efficienza e l'energia.' [Ibidem,
p. 322]. E' una prima traccia che si allunga per tutta la sua vita e che si
insinua nei suoi libri. Intanto seguendo questa traccia Fernanda Pivano
è arrivata a vedere, per esempio, come quello della ricchezza fosse un
tema che tornava nelle sue storie sentimentali. Anche di questo Fitzgerald fu
pienamente consapevole, se disse che la storia raccontata in The Great Gatsby
era una storia che conosceva bene avendola vissuta personalmente. La prima
volta che la visse fu nel 1914, quando aveva diciotto anni, dopo aver
conosciuto Ginevra King, una sedicenne molto ricca con cui ebbe una breve
relazione tormentata dalla differenza di condizione sociale. Poi nel luglio del
1918 conobbe Zelda Sayre: 'Zelda era la ragazza che 'vuole tutto quello
che vuole quando lo vuole' e alla quale piacciono 'il sole e le cose carine e
l'allegria' che non vuole 'pensare alle pentole, alla cucina e alle scope' ma
preoccuparsi soltanto di avere 'le gambe liscie e abbronzate per nuotare
d'estate'.' [Ibidem, p. 328]. Si fidanzarono: ma a Fitzgerald rifiutarono
tutti i racconti che spedì alle riviste, e gli rifiutarono anche il
manoscritto di The Romantic Egotist (che poi confluì in parte in This
Side of Paradise), ed era praticamente senza soldi. Così Zelda ruppe il
fidanzamento. Fitzgerald si ubriacò e rimase ubriaco tre settimane fino
a che venne a salvarlo il proibizionismo: 'I giorni seguiti alla sbornia
rivelatrice videro nascere il problema sociale nel giovane Scott solo, senza
speranze, deluso nella professione, nell'amore e nella vita. Per la prima volta
Scott si trovò a contatto con la miseria; una miseria spietata contro la
quale non poteva nulla il fascino dei suoi occhi verdi, né la grazia delle sue
maniere, né la raffinatezza della sua sensibilità. Per la prima volta si
trovò a contatto con la 'gente'; la gente volgare dalla quale l'avevano
fino allora difeso il nome del padre e i quattrini della madre. La gente
riempiva strade che ora Scott non vedeva più dalle finestre dei locali
di lusso ma dall'imperiale degli autobus; o ancora più da vicino,
camminando lentamente a piedi quando non aveva più denaro neanche per
l'autobus.' [Ibidem, p. 329]. Il fatto qui è una presa di
coscienza, di contro al disinteresse in cui era vissuto fino ad allora, che
fornisce un modo diverso di guardare alle cose, a quelle già passate e a
quelle che ancora dovevano arrivare. Entro breve, con This Side of Paradise,
sarebbe arrivata la ricchezza: quello che per Fernanda Pivano era qui
importante far vedere era che la ricchezza di Fitzgerald fu sempre una
ricchezza faticosa, mai spensierata. Per la ricchezza, Fitzgerald sprecò
spesso il suo talento, piegandosi a scrivere molti racconti in fretta solo per
poter mantenere il suo tenore di vita da favola, e poi negli anni Trenta per
far fronte alle spese di cura della moglie malata e a quelle per le scuole
della lia. Prendendo in considerazione tutti questi elementi, seguendoli uno
alla volta, Fernanda Pivano ha cercato di mostrare come fosse sbagliata l'idea
comune che voleva Fitzgerald uno scrittore assolutamente disimpegnato, lo
'scrittore divenuto simbolo della frivolezza mondana, della
facilità economica e dell'assenteismo sociale.' [F. Pivano, Mostri
degli Anni Venti, Milano, La Tartaruga, 1994, pp. 208-209 (prima edizione
Milano, Il Formichiere, 1976)]. I personaggi principali dei suoi romanzi erano
personaggi che avevano raggiunto o che avevano fatto di tutto per raggiungere
la ricchezza, e che da quella stessa ricchezza o dal loro desiderio erano stati
distrutti. La sua non era certo una letteratura di protesta come quella
proletaria, non aveva i caratteri del radicalismo che avrebbe avuto negli anni
a venire, e forse per questo non era stata riconosciuta come tale. Ma Fernanda
Pivano ha messo in risalto come anche Fitzgerald denunciasse qualcosa: la sua
era un'accusa contro il veleno del denaro, un veleno che veniva visto come
mortale e per cui non sembravano esistere antidoti, 'la sua incessante
denuncia della manipolazione esercitata mediante quel denaro su coloro che non
lo posseggono, spesso fino alla loro rovina psichica e disintegrazione
morale' [Ibidem, p. 209]: 'Il suo Amory Blaine (This Side of
Paradise) disintegrato dalla necessità e comunque dal desiderio di
guadagnare soldi, decaduto dallo stato di raffinato aristocratico a quello di
aspirante arrivista per l'ansia di far 'carriera' e riabilitato finalmente
dalla scoperta della realtà sociale che lo circonda; il suo Anthony
Patch (The Beautiful and Damned) viziato dal possesso e dal miraggio del denaro
fino a intentare un processo moralmente illegale per impadronirsi di una cifra
in realtà non più sua e disintegrato in questo procedimento non
solo psichicamente ma anche fisicamente, fino a ridursi su una sedia a rotelle;
il suo Jay Gatz-Gatsby (The Great Gatsby) che pur di conquistare la ragazza
amata che lo aveva respinto per la sua povertà diventa un gangster e
finisce assassinato in una torbida storia nella quale nessuno ha voglia di
immischiarsi o fare luce; il suo Dick Diver (Tender is the Night) che da
splendida promessa della psichiatria finisce inetto medicone in villaggi sperduti
del continente d'America per essersi lasciato corrompere dal miraggio di una
vita facile e ricca, tutti questi personaggi ripropongono un'identica denuncia,
che è poi la denuncia espressa da Fitzgerald stesso con la sua vita, di
giovane respinto dalla fidanzata per mancanza di soldi con una ferita che non
si sarebbe rimarginata mai più, e di marito che per guadagnare quei
soldi sprecò, spesso consapevolmente, il suo talento scrivendo racconti
da poco.' [Ibidem, p. 211]. Si trattava di seguire Fitzgerald non per
limitarsi a ripercorrere le tappe per cui era passato o per ripetere le parole
che aveva detto, ma, attraverso quelle tappe e quelle parole, per arrivare a
fare luce su alcuni punti ben precisi, per arrivare a fare una critica che
avesse come base tutti gli elementi presenti e che da questi elementi tirasse
le somme. Così, da un lato c'era la presenza nei libri di Fitzgerald del
tema della ricchezza come qualcosa che conduceva in modo diverso i vari
protagonisti verso una fine tragica, da un altro c'era la vicenda personale di
Fitzgerald stesso alle prese con la ricchezza, da un altro ancora c'era il
contesto sociale del tempo con l'isterismo per il denaro. E' stato collegando
tra loro tutti questi elementi che Fernanda Pivano ha potuto vedere come il
denaro avesse rappresentato un problema per Fitzgerald uomo, e come poi questo
problema fosse stato trasportato nei suoi libri diventando in pratica una
denuncia alla società neo materialistica di quegli anni. Ma l'intervento
critico su Fitzgerald non serve solo a mettere in evidenza la
'necessità' del ricorso al contesto sociale: emerge anche con
chiarezza l'impossibilità per Fernanda Pivano di affrontare un discorso
su Fitzgerald senza ricorrere alla sua biografia. Fitzgerald è stato uno
scrittore fortemente autobiografico, che ha continuamente riversato nei libri
sia le sue esperienze sia talvolta i fatti di cronaca di quei giorni, fino ad
annotarsi i dialoghi delle persone che facevano da modello ai suoi personaggi e
ad usare, per sua stessa ammissione, ine del diario della moglie. I suoi
personaggi principali sono stati tutti personaggi in cui ha ritratto anche un
po' di se stesso. E' curioso che a guardarli attraverso la prospettiva del
tempo, Fernanda Pivano abbia notato come non solo in quei personaggi ci fosse
sin dall'inizio un po' di Fitzgerald, ma anche come la sua presenza sarebbe
andata aumentando via via, perché 'sarebbe diventato Anthony nella vita
come sarebbe diventato Dick nel fallimento e Gatsby nella morte.' [F.
Pivano, La balena bianca e altri miti, cit., p. 342]. Ma riportare la biografia
di Fitzgerald non era solo un modo per far capire meglio certi temi trattati
nei libri o per gettare su alcuni di essi una luce diversa. Era anche
importante per far vedere come poi quegli eventi reali fossero stati
trasformati dall'intervento dello scrittore. Quello che a Fernanda Pivano
importava far capire era che dire che Fitzgerald è stato uno scrittore
autobiografico non significava assolutamente dire che ha riportato la sua vita
reale pari pari sulla ina, in un esercizio di sola scrittura. Gli eventi
reali hanno offerto uno spunto, un appiglio, una forma d'appoggio su cui si
è basata inizialmente la fantasia dello scrittore, ma solo per arrivare
poi a plasmarla fino a ricavarne una forma diversa, fino anche a fonderla
insieme ad altre forme. Il personaggio di Gatsby, ad esempio, 'è
modellato su un personaggio vero, ricalcato come sembra sul 'caso' Fuller-McGee
di cui parlarono ripetutamente i giornali nel 1922; ma in realtà in
questo personaggio Fitzgerald volle ritrarre anche se stesso e la sua posizione
verso i ricchi: una razza a parte, staccata da lui, barricata dietro la sua
fortuna, troppo intensa e squisita per badare alla morale dei comuni
mortali.' [F. Pivano, Mostri degli Anni Venti, cit., pp. 191-l92]. E'
anche significativa la tecnica di Fitzgerald riguardo alla costruzione dei
personaggi che erano sì modellati su persone reali, ma sempre presentati
in modo un po' vago, 'evocati da accenni parchi abbastanza da permettere
alla fantasia del lettore di svilupparli a volontà con la propria
immaginazione, un po' come negli album da disegno che usavano chissà
quanti anni fa, dov'era segnato soltanto il contorno e poi ciascuno doveva
riempire il contorno con colori di sua scelta.' [Ibidem, p. 226]. Ma la
vita è rimasta sempre per Fernanda Pivano l'elemento base, quello da cui
Fitzgerald partiva per scrivere i suoi libri e quello da cui si doveva
ripartire nel tentativo di capirne i risultati. La vita non era solo l'elemento
da cui si doveva partire per capire i risultati di Fitzgerald in senso
tematico, ma era anche un punto che non si poteva ignorare nel prendere in
considerazione i suoi risultati in senso stilistico. E' stato tenendo presente
sia la sua biografia che i suoi libri, che Fernanda Pivano ha individuato il
centro della sua poetica, vale a dire la fragilità della vita, della
felicità, della gioia, la loro inafferrabilità. E' stato, del
resto, sempre tenendo presenti la sua biografia e i suoi libri, che ha respinto
l'accusa che lo voleva, oltre che semplice scrittore di costume, anche
decadente, e l'equivoco che c'era dietro: 'E' facile passare per decadente
quando si scelga per mondo dei propri romanzi un'èra passata alla storia
come decadente e quando di quell'èra si tocchino gli ambienti che ne
sono proprio i più decadenti; ed è ancora più facile
passare per scrittore di costume quando si lega la propria vita e la propria
poesia all'èra di cui si parla. Certo lo stile di Fitzgerald, con quel
suo particolare modo di condurre la ina in un continuo movimento, di
agitarla in una continua variazione delle prospettive, di sfumarla in cenni
evanescenti sempre trascinati in un'aria di melanconia e di disfacimento,
può parere al lettore superficiale per lo meno vicino al mondo dei decadenti.
Ma questa mobilità, questa evanescenza, non sono il risultato di una
fuga dalla realtà del mondo: anzi nascono dall'amore di Fitzgerald per
la realtà del mondo, dal senso della preziosità delle cose, dalla
certezza che le cose sono fragili e vive, ricche di una realtà
misteriosa che non si lascia afferrare.' [F. Pivano, La balena bianca e
altri miti, cit., pp. 351-352]. Era da questo che secondo Fernanda Pivano si
poteva capire come le parole di Fitzgerald non fossero mai semplicemente
descrittive ma, al contrario, soprattutto evocative ed era sempre da questo, e
allo stesso tempo nonostante questo, che si poteva capire come le sue fossero
comunque descrizioni precise. Fitzgerald, convinto che ogni cosa fosse
inafferrabile, cercava di cogliere quello che poteva esserne il nucleo, gli
elementi che, sotto aspetti diversi, la caratterizzavano. Le sue descrizioni,
con una tecnica che è sua tipica e che rappresenta la sua grande
scoperta, sono una raccolta di sensazioni appartenenti a diversi campi sensoriali.
Fitzgerald aveva rincorso la gioia con fiducia e vitalità, ma aveva
sempre dovuto accorgersi che ogni conquista non era che momentanea: 'era
perfettamente conscio di quella piega che lo costringeva a perdere di continuo
qualcosa; ma proprio questo conferma che Fitzgerald non è un decadente.
Chi perde qualcosa è qualcuno che ha qualcosa da perdere. Quella piega
inevitabile della realtà di Fitzgerald ha un significato dinamico: una
dinamica in senso negativo, ma sempre una dinamica che si svolge nello spazio e
nel tempo. Il decadentismo è un lamento statico, una negazione di vita e
di gioia, una ricerca di simboli di quella negazione; ma la ina di
Fitzgerald non è mai un lamento o di essere tale, e se cerca
qualcosa, cerca proprio angoli di gioia a cui aggrapparsi, cieli sereni,
giardini luminosi, ragazze sorridenti, uomini al culmine del successo [] Che
le ragazze impazziscano a forza di sorridere e gli uomini non riescano a
reggere a successi troppo chiassosi, appartiene alla tragedia di Fitzgerald
stesso. Fitzgerald non parte da questo: a questo arriva, con disperazione,
inesorabilmente; e contro la sua volontà.' [Ibidem, pp. 355-356].
E' questo il centro della questione, perché è proprio 'questo che
rende Fitzgerald qualcosa che va molto al di là del semplice scrittore
di costume o cronista di un'epoca. La concezione di una felicità
così fuggevole è una concezione eterna, sempre esistita tra gli
uomini e i poeti; e soltanto un poeta poteva percepirla in un momento in cui
tutto pareva fatto di felicità: anzi, soltanto un grande poeta poteva
percepire come, in questo momento più che in qualsiasi altro della
storia, la felicità era instabile, appunto perché era ormai isterica. Il
mondo, l'ambiente, il costume per Fitzgerald valgono soltanto a scoprire e a
far vibrare la più antica e latente condizione umana: la paura del
tempo' [Ibidem, p. 359]. Ma questo non vuol dire negare l'importanza che
ebbe Fitzgerald nel ritrarre la generazione del suo tempo. Fernanda Pivano ha
sempre mostrato come i suoi libri avessero rappresentato tutti la sua
generazione: This Side of Paradise con i giovani impegnati a cercare di
superare il moralismo vittoriano dei loro genitori, fino a contenere un vero e
proprio 'ritratto del costume del momento nel modulo intitolato Spires
and Gargoyles, in un brano famoso che inizia: 'Nessuna madre vittoriana aveva
idea di come le loro lie fossero abituate a farsi baciare senza dare
importanza alla cosa'' [F. Pivano, Mostri degli Anni Venti, cit., p. 182],
scandalizzando i genitori e venendo acclamato dai giovani; The Beautiful and
Damned con la descrizione della vita 'sofisticata e dissipata' di
quei giorni [Ibidem, p. 194], The Great Gatsby in cui 'l'illusione del
gangster è l'illusione di quel decennio' [Ibidem, p. 192], e Tender
is the Night 'con la malattia di Zelda/Nicole a rappresentare il collasso
psichico di una vittima di uno Stile di Vita e il fallimento di Dick Diver a
rappresentare il collasso morale di un uomo integro irretito e corrotto dal
denaro' [F. Pivano, Introduzione, in F.S. Fitzgerald, Tenera è la
notte, Torino, Einaudi, 1990, p. VI (prima edizione 1973)]. Quello che per
Fernanda Pivano è stato importante è consistito nel non
dimenticare, però, che non era possibile limitarsi a questo nel
considerare Fitzgerald. I suoi libri, come già detto, non sono stati
semplicemente i documenti di un costume; lo sono stati anche, perché Fitzgerald
ha vissuto intensamente il suo tempo e nei libri ha riversato la sua vita, la
vita come lui la conosceva, in una continua correlazione, con continui rimandi,
dove i libri sono addirittura arrivati a preurare quella che sarebbe
diventata la vita. La sua esperienza non solo tornava nelle storie raccontate
ma anche nel suo stile di scrittura, che derivava e rispecchiava anch'esso la
sua concezione della vita come qualcosa che non si fa in tempo a tentare di
afferrare e già è scappata via: 'Fu dalla vita che
Fitzgerald apprese tutto quello che sapeva; fu la vita che lo maturò
come scrittore mentre lo maturava come uomo: Fitzgerald imparò da sé,
soltanto vivendo a migliorare giorno per giorno la sua tecnica di scrittore. E
fu l'intensità di vita riversata nelle ine a farle balzare dal piano
a volte 'farraginoso' rimproveratogli da certi suoi critici a un piano animato
e ricco di interessi umani.' [F. Pivano, La balena bianca e altri miti,
cit., p. 339]. Ma molta dell'importanza che ebbe per Fernanda Pivano Fitzgerald
sta nella frase con cui si chiude l'ultimo suo libro, rimasto incompiuto, The
Last Tycoon: 'IL PERSONAGGIO E' AZIONE.' [F. S. Fitzgerald, Gli
ultimi fuochi, Milano, Mondadori, 1974, p. 284]. Trattandosi di una frase
tratta dagli appunti di Fitzgerald, serve prima di tutto a capire alcune sue
scelte e soluzioni. Serve, ad esempio, a capire il suo modo di presentare i
personaggi, basato sull'aver 'sempre respinto l'idea delle descrizioni
morali o psicologiche, convinto che solo il dialogo può descrivere un
personaggio perché un personaggio esiste solamente attraverso le sue
azioni.' [F. Pivano, Mostri degli Anni Venti, cit., p. 226]. Ma 'il
personaggio è azione' è una frase che poi in qualche modo si
espande, che va ben oltre Fitzgerald e si spinge fino ad abbracciare tutto un
filone della letteratura del '900, che offre a Fernanda Pivano una sistematizzazione
di un'idea presente nella sua poetica sin dall'inizio e che riguarda sia un
criterio di valutazione sia il modo di condurre l'intervento critico. 'Il
personaggio è azione, l'azione è personaggio: è la chiave
di tutto, è veramente una chiave di volta. E' il pragmatismo.' [V.
Chizzini, Intervista a Fernanda Pivano del 1° dicembre 1996. Inedita]. 'Il
personaggio è azione' è la traduzione del pragmatismo in
letteratura. E' l'espressione di un elemento fondamentale della poetica di
Fernanda Pivano, che è stato fondamentale sin dall'inizio, ancor prima
che Fitzgerald e William James (filosofo del pragmatismo e autore dell'omonimo
libro) le dessero le parole per razionalizzarlo. L'Antologia di Spoon River di
Edgar Lee Masters, il primo libro americano di cui Fernanda Pivano si occupò,
era già letteratura pragmatista. Le vite dei personaggi di Spoon River
erano raccontate, sintetizzate, emblematizzate attraverso una loro azione,
attraverso un fatto che li aveva visti protagonisti, attraverso una scelta o un
destino che non erano considerati come qualcosa di astratto ma, al contrario,
come qualcosa di fortemente concreto, legato alla vita, alla vita quotidiana.
Quello che con tanta forza aveva colpito Fernanda Pivano nelle prime letture di
libri americani alla fine degli anni Trenta, risiedeva nel fatto che erano
'libri di vita', libri che parlavano dell'esistenza semplice
dell'uomo, senza falsi eroismi e grandiosità, con un linguaggio piano e
quotidiano. Libri in cui gli autori non si mettevano a far conto con tradizioni
consolidate, con la cultura, con l'ansia di scrivere qualcosa che fosse
'letteratura', ma solo vita, esperienza, qualcosa che riguardasse
l'uomo in quanto tale. Un libro è un 'libro di vita'
attraverso il pragmatismo, ecco quello che le fu chiaro dopo Fitzgerald e William
James. Il pragmatismo è la vita considerata in quanto vissuta, in quanto
cose fatte, in quanto cose dette, in altre parole in quanto cose avvenute,
reali, concrete. Parlando degli scrittori suoi amici, Fernanda Pivano spiega
che 'i loro personaggi sono lì, soffrono, ridono, piangono, e
quando loro raccontano le storie dei loro libri le raccontano sempre nei
termini di come si muovono questi fantasmi che sono i loro personaggi. E' molto
bello sentirli parlare dei loro libri. Per esempio, ho parlato con McInerney
del nuovo libro che sta scrivendo e aveva proprio gli occhi trasognati mentre
vedeva muoversi i suoi personaggi, e questo è molto bello. Nel modo
ottocentesco gli scrittori vedevano muoversi i personaggi in un mondo di
pensieri, in un mondo di introversione, mentre adesso, per esempio nel caso di
McInerney, quando lui mi parlava di questi personaggi li vedeva sempre
aggirarsi tra le azioni che compivano, ecco il pragmatismo, la differenza con
l'ottocento è che adesso c'è il pragmatismo. Si torna sempre
lì, è straordinario come questo libretto grosso così ha
potuto non trasformare ma spiegare, dare una traccia. Partendo dal principio,
perché parte da Mark Twain, l'inizio della letteratura americana è
lì, quando c'è stato il divario tra Mark Twain e Henry James,
allora Henry James è diventato inglese e lì tutti contenti perché
capivano tutto, perché era un modo europeo di scrivere e Mark Twain invece ha
cominciato a mettere il ragazzo sul battello, non l'ha messo nel salotto a
parlare con la mamma. L'importanza dell'azione E questo è il
pragmatismo.' [Ibidem]. La presenza della vita nei libri come condizione
per lei indispensabile non può esserci senza il pragmatismo, perché non
può che realizzarsi attraverso il pragmatismo. C'è
un'affermazione di Fernanda Pivano, che toglie ogni dubbio a proposito del
fatto che per lei la presenza della vita sia davvero una condizione
indispensabile e che questa presenza sia legata in modo necessario al
pragmatismo: 'il pensiero, per essere vivo, deve essere azione, perché
solo questo è il modo di far capire che si sta scrivendo di cose
conosciute, esperite. In assenza di ciò, non vi è nulla di
interessante.' [In M. N. Rotelli, Fernanda Pivano, in
'Intervista', n. 1, Ottobre 1996]. E' un'affermazione molto forte e
importante, dentro c'è davvero una parte fondamentale della sua poetica.
Il pragmatismo
rappresenta un criterio di valutazione, e lo rappresenta sotto due aspetti.
Sotto il piano contenutistico, è chiaro che Fernanda Pivano ha scelto di
occuparsi di un libro quando questo libro parlava di vita concreta, quando era
un libro fondato su fatti e azioni, su un 'modo generale di considerare la
vita, e invece di considerarla come una spedizione in Etiopia per 'faccetta
nera', considerarla il desiderio di vedere come un uomo si trova di fronte al
dramma dell'esistenza.' [V. Chizzini, Intervista a Fernanda Pivano, cit.].
Ma il pragmatismo riguarda poi anche il linguaggio, il modo di scrivere, perché
da questo punto di vista 'ci sono quali parametri? Sempre lo stesso, il
parametro dal punto di vista letterario della naturalezza, dello scrivere
direttamente come se dalle proprie viscere uscissero questi pensieri, uscissero
questi sentimenti.' [Ibidem]. Il pragmatismo sintetizzato da Fitzgerald
rappresenta anche il discorso della libertà dell'atto creativo, come poi
si approfondirà con l'esperienza degli anni Sessanta: ''Il
personaggio è azione, l'azione è il personaggio': questa è
una frase di Francis Scott Fitzgerald, che esprime un concetto fondamentale per
una certa idea dell'arte che non accetta un ruolo subalterno o funzionale al
potere.' [In M. N. Rotelli, Fernanda Pivano, cit.]. Per Fernanda Pivano
non è mai stato possibile prescindere da quest'idea dell'arte come di
qualcosa di non sottomesso al potere: non le è stato possibile sin
dall'inizio della sua attività, nei primi anni Quaranta, quando
l'interesse per la letteratura americana era anche un modo di vivere e
manifestare il proprio irriducibile antifascismo. Il pragmatismo ha
rappresentato anche il suo modo di condurre l'intervento critico. Nel tentativo
di capire e di spiegare un libro, Fernanda Pivano si è rivolta ai fatti,
agli avvenimenti concreti, al percorso compiuto dallo scrittore, al contesto
sociale e politico, alla ina lì presente, non a delle astrazioni o a
un sistema di pensiero con cui vedere a priori nell'arte una ben determinata
cosa. Certo quello del pragmatismo è stato per lei un criterio di
valutazione molto forte, assolutamente ineliminabile, perché solo all'interno
di questo criterio le è stato possibile sentire la sincerità, la
verità delle cose raccontate in quanto conosciute personalmente. Tramite
l'intervento critico, si trattava proprio di tornare a quella che si potrebbe
chiamare la concretezza dei libri, e di cercare di restituirla il più
pienamente possibile, dove la concretezza nei libri veniva raggiunta attraverso
il legame con la vita dell'autore e si esplicava nel loro sembrare vivi, fatti
di persone, di cose, di azioni 'reali'.