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Le ragioni del posizionamento
Lo studio e l'applicazione del concetto di posizionamento, lungi dal costituire e delineare un modello definitivo di comportamento per le imprese, rappresentano in realtà, almeno in prima battuta, un approccio mentale al problema della loro collocazione nel mercato, ma soprattutto nella mente dei consumatori.
In altre parole, il posizionamento è, prima di tutto, posizionamento nella mente dei clienti e, più in generale, delle persone. Occorre lasciare un'impronta (quella voluta) non solamente sugli acquirenti, ma anche sugli altri pubblici aziendali. Così, diventa senz'altro utile e prioritario generare e proiettare un'adeguata immagine di sé sui concorrenti, sui fornitori, e sugli altri pubblici aziendali (sindacati, mondo politico, media . ). Come vedremo questa immagine è l'espressione dell'identità dell'impresa, e appare fondamentale, ai fini di un suo rafforzamento attraverso la leva della credibilità, riuscire a mantenere una certa coerenza di fondo, anche nell'evolversi e dispiegarsi nel tempo delle particolari strategie adottate.
Nondimeno, risulta molto importante creare un'immagine ed un'identità forti e nitide all'interno dell'impresa e provvedere alla loro implementazione nell'organizzazione e in chi al suo interno opera. Ciò consente di avere una linea direttrice chiara e definita verso cui far convergere gli sforzi aziendali, un importante punto di riferimento che contribuisce a consolidare la stessa proiezione all'esterno della visione desiderata.
Non si tratta, questa, di una rappresentazione mentale destinata ad un'applicazione limitata alla realtà d'impresa. La sua valenza è assai più estesa, venendo a toccare ogni situazione nella quale sia presente un soggetto che emana segnali e un altro che tali segnali riceve e interpreta. Poco importa che i messaggi siano o meno il frutto di una volontarietà da parte di chi li pone in essere: ognuno emette continuamente segnali, anche inavvertitamente, e di questo occorre tenere conto. Così, è possibile procedere al posizionamento non solo di un'impresa, di un prodotto o servizio, ma anche di un politico, uno spettacolo, una particolare decisione presa, ecc. . Con riferimento alle situazioni più svariate sorge, infatti, la necessità di portare l'attenzione su un aspetto o su un altro e fare in modo che si formi e si mantenga nell'interlocutore un'immagine ad esso coerente.
1.1.1 - Il rapporto strategico impresa-mercato tra presente e visione: una prospettiva.
L'azione portata avanti dalle imprese operanti nel mercato è andata affrontando nel tempo situazioni ambientali che, lungi dal farsi riconoscere in stereotipi assimilabili attraverso lo studio e l'analisi di fatti esperenziali e funzioni e modelli incontrovertibili, sono diventate sempre più complesse e sfuggenti a qualsiasi tentativo di ricavarne, sia da parte del mondo accademico che di quello imprenditoriale ad esso parallelo, una sistemazione paradigmatica e finalmente definitiva. L'affidamento troppo speranzoso di chi, negli anni Sessanta, vedeva nella pianificazione strategica la chiave che avrebbe portato le imprese nel cuore della competizione si è successivamente sfaldato fino ad infrangersi contro le turbolenze di un ambiente competitivo diventato sempre più caotico ed imprevedibile, ostile e refrattario ad ogni tentativo di inquadramento attraverso la lente della razionalità estrapolativa.
Quello che è seguito è stato un tentativo di reazione al mutamento attraverso una logica che, portata ad un'estrema sintesi, si è presentata come affatto differente rispetto alla precedente: l'impresa, sostenuta da un attento monitoraggio delle variabili in gioco, avrebbe dovuto essere stata in grado di agire in anticipo rispetto al cambiamento, agendo essa stessa sull'ambiente esterno in modo da determinarne, in maniera per essa favorevole, la direzione di movimento. Tale nuova impostazione del rapporto impresa/ambiente concorrenziale appare quindi solamente come una diversa forma di quella stessa velleità di controllo del mercato che avrebbe inteso eliminare. In effetti, le singole imprese, specialmente nel lungo periodo, non possono incidere nel mercato se non in maniera marginale ed in ogni caso comunque discutibile, dal momento che è molto difficile stabilire se l'azione delle imprese sia stata la causa o l'effetto di un determinato movimento di mercato.
Verso la fine degli anni Settanta, i sistemi di posizionamento anticipatorio hanno iniziato a mettere in mostra tutti i propri limiti nell'affrontare le crescenti turbolenze di un ambiente caratterizzato dal succedersi di eventi sempre più imprevedibili nel sorgere e nello svilupparsi. Le risposte non potevano più essere tempestive e incidevano perciò sulla realtà in maniera tardiva e inefficace. Il tempo ha così reso giustizia ad un mercato che, esso sì, è sovrano, pur nelle sue numerosissime e all'apparenza inspiegabili contraddizioni. Se contraddizioni vi sono, infatti, ciò non può essere che all'apparenza, posto che non si voglia ritenere invalido il principio di causalità intercorrente tra qualsivoglia date situazioni. Probabile appare, semmai, l'individuazione a posteriori di un errore di valutazione o di interpretazione di fenomeni peraltro niente affatto facili - ma non per questo impossibili - da comprendere già nelle loro linee essenziali. Quella che invece è possibile riconoscere e senz'altro va riconosciuta alle imprese è l'appartenenza a un ecosistema relazionale di cui esse stesse sono elementi vitali e del quale, però, non è ammissibile violare le norme di funzionamento, esistenza ed evoluzione. In tale sistema di relazioni - per sua natura aperto - gli organismi-impresa nascono, si sviluppano, muoiono e operano ciascuno portando il suo particolare contributo di conoscenza e di azione che va a modificare lo status quo del sistema stesso. Ma un'analisi che si basi esclusivamente sull'osservazione di variabili ritenute oggettive, per quanto numerose e definite con precisione nel loro dettaglio, poco ha da offrire alla comprensione dei complessi e sfuggenti fenomeni che caratterizzano quel magma di sommovimenti che è il mercato.
Nasce da qui l'esigenza di un ripensamento con una prospettiva e visione potremmo dire dal dentro e dal basso del rapporto tra l'impresa e il suo ambiente di riferimento, alla quale se ne dovrebbe affiancare una dall'esterno e dall'alto il più possibile autonoma, disincantata e obiettivamente critica verso il variegato e pluridimensionale oggetto del proprio giudizio.
Il primo modo di guardare alla dinamica dei rapporti di mercato esprime tutta la rilevanza della partecipazione sistemica e organica da parte dell'impresa: solo chi è completamente immerso in una situazione può comprenderne appieno significati, evoluzione nei comportamenti e risvolti[1]. Il mercato deve permeare di sé l'impresa. Il contatto diretto e ravvicinato con la realtà non deve essere perciò quello di un corpo estraneo: dobbiamo fonderci il più possibile sia idealmente che materialmente con il vissuto, il vivendo ed il vivente in una simbiosi talmente spinta da giungere idealmente in una situazione di aspazialità e atemporalità nella quale non abbiamo bisogno alcuno di sforzarci per comprendere i cambiamenti che avvengono in un ambiente che ormai non è più esterno, dal momento che quegli stessi cambiamenti avvengono in noi. In questo modo è certo che ci stiamo muovendo nella direzione del mercato. Spostarsi con il mercato significa essere in grado di distinguerne ogni singolo movimento scorgendo fino le più minute onde e increspature all'interno della corrente poiché siamo parte integrante di essa. Quella che in questo modo abbiamo raggiunto non è una rappresentazione in scala del mercato, bensì l'essenza stessa di esso: dobbiamo essere noi stessi il mercato. Quest'impostazione presenta poi il notevole pregio di permettere e agevolare, all'occorrenza, un rapido riposizionamento, mettendo in evidenza quella qualità principe dell'evoluzionismo che è la reattività, intesa come la capacità di un adattamento rapido ed efficace alle mutate condizioni ambientali.
Non è più reale la questione se sia il consumatore a ruotare attorno alle imprese o semmai queste ad orbitargli intorno nel continuo cercare di coglierne la luce oscurando quella ricevuta emanata dalle altre. La questione si pone invece nella logica di un continuo avvicinamento da perseguire fino a che le due identità diventino una sola e unica, termine ultimo di un vicendevole implementarsi che, solo, può portare ad un vantaggio competitivo duraturo, valido sino a quando non avvenga un rigetto o prevalga una diversa forza attrattiva (la cui capacità di inserimento dipende dalle possibilità offerte dalla nostra incapacità di vivere e gestire tale connubio).
Per far sì che questo modo di vivere il rapporto impresa-ambiente sia effettivamente realizzato, l'intera organizzazione deve possedere determinati attributi ed essere pervasa da una mentalità in sintonia con l'ideale di fusione sopra delineato. Ogni sua parte costituente deve riuscire ad intuire - e, ancor meglio, a comprendere - quale sia la direzione intrapresa e per quali motivi la si è intrapresa. L'assenza di chiarezza in proposito inevitabilmente porta a problemi di messa a fuoco di ruolo e missione nella e dell'impresa con inevitabili conseguenze negative nel portare avanti l'azione strategica. Occorre, in particolar modo da parte di chi detiene la leadership decisionale, una spiccata propensione alla flessibilità soprattutto mentale consentendo il divenire viva creta nelle mani di eventi che siamo in grado di avvertire già e in parte di indirizzare. Sebbene la diffusione iniziale di un tale nuovo, coinvolgente modo di intendere il reale debba inizialmente seguire un andamento top-down, in seguito, l'organizzazione tutta, come fosse un organismo segnato in ogni sua parte da una medesima impronta genetica, deve rendersi capace di respirare in un moto unico e nutrirsi di valori condivisi in modo da potersi inserire senza alcuna remora nelle turbolenti correnti del mercato.
Riuscire a vivere emotivamente la frammentarietà e la precarietà dei diversi moti del mercato come un progresso desiderato costituisce la chiave per la soluzione di ogni problema di posizionamento. Possiamo dire con Gerken che «Solo mediante la pratica della partecipazione è possibile fluire con gli avvenimenti e accordarsi con le discontinuità dell'ambiente»[3]. Ed è sempre la partecipazione a sottrarre l'impresa dall'anonimato, conferendole quella credibilità che è tipica di chi è tecipe di un evento o processo e si pone a fianco di chi - come il consumatore - è coinvolto in prima persona nell'affrontare il cambiamento. Quest'ultimo aspetto risulta decisivo nel conquistare la fiducia del mercato che, alla lunga, sempre premia chi mostra la capacità di mettersi in discussione insieme alle posizioni acquisite nel tentativo costante di raggiungere qualcosa di superiore. «Tramite l'apertura e la disponibilità ad identificarsi con gli scenari, i temi e le opinioni e la disponibilità a integrare la propria personalità nel flusso dei mutamenti e a lasciarsi formare - prosegue Gerken - si ha che tutti apprendono da tutti». In assenza di ciò vengono a determinarsi situazioni di dissonanza e contrasto col mercato che, oltre a non arrecare alcun vantaggio in termini di competitività, rischiano di minare il futuro dell'impresa aggredendone la struttura strategica.
Ai fini di un reale apprendimento occorre, a tutti i livelli, la mobilitazione dell'intelligenza dell'impresa, insieme al mantenimento dell'armonia tra cultura e strategia. L'idea che il campo di applicazione della strategia sia anche e in primis l'interno dell'azienda non deve rimanere un enunciato fine a se stesso: apertura e mobilitazione devono essere le parole d'ordine, fondamenta sulle quali costruire la competitività d'impresa. La capacità di azione deve divenire il più immediata possibile riducendo al minimo il rischio di paralisi derivante da una troppo lunga fase di analisi preliminare che spesso produce solo un ulteriore incremento del carico informativo. L'impresa sa già, nell'ottica della fusione, quello che deve fare: la volizione è già in itinere, deve solo esplicitarsi. L'intera organizzazione deve essere votata all'azione e a un sentire diffuso (dove per sentire va intesa l'accezione più incline alla percezione, alla sensibilità partecipe).
Tale visione, tuttavia, pure se vissuta e portata fino ai suoi termini estremi, non può essere sufficiente in quanto persiste, dal dentro, un angolo cieco. Se, nel contempo, riuscissimo ad avere una visione dall'esterno e dall'alto della situazione nella quale siamo immersi potremmo determinare dov'è che ci stiamo portando e giungere da subito laddove il mercato arriverà nel futuro, arrivando addirittura noi stessi ad "educare", attraverso l'applicazione di una volontà creativa, il mercato, in modo che raggiunga quella posizione più rapidamente oppure che non ne raggiunga un'altra altrettanto plausibile e a noi invisa (questo potrebbe succedere perché nella sua instabilità, a volte, esso si rende suscettibile di prendere questa o quella via influenzato da minime e imprevedibili oscillazioni del momento). L'impresa deve cioè essere in grado di seguire nell'ambito del mercato una propria rotta, di sapere dove esattamente si trova, dove sta andando e perché. Non deve comunque essere dimenticato il limite derivante da un'inevitabile miopia a causa del quale più lontano guardiamo e più è facile incorrere in valutazioni errate.
Secondo l'intensità con cui sono perseguite e del risultato ottenuto nel raggiungere queste visioni, l'impresa inserita in un ambiente caratterizzato da turbolenze e incertezza è esposta a rischi diversi quanto a natura e portata. Possiamo dare una rappresentazione di ciò attraverso la matrice esposta nella ura 1.1.
Elevata Perfetta simbiosi Disorientamento sclerotico Visione dall'alto |
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Deriva strategica Disorientamento miòpico |
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ura 1.1 - Relazione tra prospettiva dell'impresa e situazione competitiva
Ponendo sulla dimensione orizzontale la forza con cui l'impresa si sforza di penetrare l'intimo del mercato divenendone essenza (visione da dentro) e su quella verticale il modo con cui essa cerca di darsi una più imparziale e spassionata visione dal di fuori, possiamo dividere la matrice che ne risulta in quattro quadranti corrispondenti a quattro diverse situazioni.
Un'impresa che non sia dentro appieno ai flussi del mercato, ma che abbia la pretesa di conoscere, attraverso una visione distaccata e oggettiva, non partecipe, la direzione da esso seguita, rischia di ritrovarsi, disorientata, da tutt'altra parte, per giunta con l'aggravio di un peso costituito da una cultura e un'organizzazione poco duttile e dinamica, sclerotizzata nel suo incedere alla deriva. Il pericolo è quello di non riuscire a rimettersi in rotta rimanendo esclusi dalla competizione o quantomeno ai suoi margini. Lo sforzo da compiere è dunque quello di immergersi appieno nelle correnti concorrenziali e recuperare una completa e cosciente fusione con l'ambiente competitivo.
Se in aggiunta ad una poco sensibile visione dal dentro non si riesce neppure a compiere uno sforzo di inquadramento delle varie forze che sommuovono l'ambiente di riferimento, la situazione diviene altamente critica e le possibilità di risollevarsi e non uscire dal mercato dipendono ora, oltre che dalla capacità di cambiare rapidamente e decisamente rotta (esigua, vista l'assenza di flessibilità e di perspicacia), dal fatto che la situazione di mercato non si allontani troppo dalle nostre attuali posizioni consentendoci il rientro. L'impresa, in alte parole, è in piena deriva strategica e, se anche dimostrasse una certa capacità ad operare, a lungo andare soffrirà le conseguenze delle carenze a livello di visione venendosi a restringere il tempo che essa ha a disposizione per riorientarsi alle condizioni di mercato in essere.
Nel caso in cui l'impresa abbia una completa visione dall'interno, ma manchi di proiezioni riguardo quella dall'esterno, essa si muoverà sì assieme al suo mercato, tuttavia non ne conoscerà il movimento complessivo e non saprà o non riuscirà ad intendere dove esso stia in realtà andando a parare. Se ad esempio la direzione presa portasse verso un globale suo restringimento a causa e in favore di altri mercati spinti da più potenti elementi, staremmo, in effetti, andando verso la dissoluzione assieme ad esso. La miopia, in questo caso, può portare all'impatto con scogli e vortici concorrenziali che, giungendo inaspettati e cogliendo l'impresa impreparata, ne mettono seriamente a repentaglio le prospettive future. Occorre pertanto cercare di mettere la testa fuori dell'ordinario e sapersi muovere attraverso le visioni.
Essere al contempo coscientemente visionari e parte attiva della fusione con il mercato è la caratteristica vincente che contraddistingue le imprese che realizzano una simbiosi perfetta tra moti e realtà del presente e del futuro, con la cultura, sempre aperta a nuovi contributi e foriera di adattamenti di tipo olistico, a fare da cerniera tra presente e visione.
Se la fusione tra impresa e ambiente di riferimento (visione dal dentro) e l'aspetto puramente prospettico-visionario (visione dall'alto) costituiscono un elemento fondamentale per affrontare la competizione, le condizioni imposte per il loro conseguimento risultano essere tuttavia sì necessarie, ma non sufficienti. L'impresa deve in realtà disporre, come sopra enunciato, di risorse idonee per percorrere questa strada e soprattutto di un'adeguata cultura, promotrice del nuovo e del cambiamento, che pervada l'intera organizzazione.
1.1.2 - Nuove sfide e nuove spinte per il posizionamento.
In passato, sapersi posizionare era importante, ma non determinante. Le imprese e chi le dirigeva dovevano confrontarsi con una mutevolezza dell'ordinario relativamente bassa. Una vera e propria necessità di ripensare la propria posizione strategica emergeva solo al verificarsi di eventi di rottura[4]. Fino ad alcuni decenni fa esisteva un numero inferiore di marche che potevano competere sulla base di reali differenze nelle rispettive offerte. Le imprese, di solito, potevano trovare qualcosa che fosse allora effettivamente superiore ai concorrenti e cercare una particolare e più appetibile posizione sull'arena competitiva. Tuttavia, ancora non si può parlare correttamente di vere e proprie strategie di posizionamento, mancando la coscienza di tutte le implicazioni che il in tali termini comporta.
Quella che oggi sta emergendo è invece l'incombente esigenza di pensare alla propria collocazione sul mercato o su un suo segmento e tenere sempre ben saldo il controllo della propria posizione, l'importanza del quale va continuamente aumentando. Si è costantemente esposti al pericolo che venga a mancare il terreno da sotto i piedi, magari quello stesso terreno che abbiamo sempre considerato come saldo e ormai una certezza acquisita. Tutto traballa, ma il rischio maggiore è quello di non avvertire o di sottovalutare le scosse.
Numerosi sono gli elementi che stanno determinando la nuova realtà con la quale si devono confrontare le imprese, tutti comunque riconducibili a quella globalizzazione che, come un titanico sistema di vasi comunicanti è potenzialmente in grado di livellare le posizioni competitive ad oggi raggiunte. Una notevole spinta in questo senso è data dalla sempre più diffusa e rilevante presenza delle nuove tecnologie le quali, annullando d'un colpo tutte le principali certezze spazio-temporali, costituiscono il vero condotto di collegamento di codesti vasi comunicanti attraverso il funzionamento del cui sistema si vengono a determinare equilibri e squilibri.
L'intero globo, poi, sta assorbendo a grossi sorsi una mentalità e un modo di pensare ed agire di matrice occidentale e liberista orientata dagli assetti sociali ed economici tipici dei paesi anglosassoni (in particolare degli Stati Uniti). Gli effetti di questo mutato paradigma socio-psicologico dovranno naturalmente fare i conti con le particolarità locali di tradizioni ed esperienze già radicate e con le resistenze dei diversi orgogli nazionali. I freni saranno più potenti laddove prevale ancora la coscienza del vissuto e delle proprie radici. Il percorso, tuttavia, salvo improvvisi e inattesi sconvolgimenti che mettano in discussione la stessa struttura economica (prima ancora che sociale) statunitense, subirà soltanto delle ulteriori articolazioni ed arricchimenti, rimanendo però segnato quanto alla direzione principale.
La convergenza circolare di questi fenomeni accresce ulteriormente la dinamicità che caratterizza ormai i più diversi settori nel loro divenire. Se la globalizzazione, alimentandosi dell'apporto delle nuove tecnologie che svolgono il ruolo di un fermento, dà la spinta alla crescente liberalizzazione dei mercati, quest'ultima, da parte sua, esprime nell'espandersi tutte quelle premesse che sono alla base della forza della prima. Il risultato di questo continuo rincorrersi e mordersi la coda è che i settori diventano realtà instabili e sempre meno definite, con confini labili e variabili che ne mutano aspetto e significato ad ogni istante. L'arena competitiva diventa un'entità quasi astratta, tanto evanescenti sono i suoi contorni. ½ confluiscono players della più diversa origine e natura attratti, a volte si direbbe, dalla sua stessa confusione e marasma. La leva del prezzo, inoltre, sta diventando un elemento essenziale di competizione in molti settori rappresentando allo stesso tempo una possibilità e un limite per le strategie d'impresa.
Ci stiamo progressivamente avviando verso un mondo del provvisorio, in cui tutto - pensieri e azioni, imprese, sentimenti, . - nasce dal niente come una bolla di sapone e nel niente può altrettanto facilmente tornare senza dare troppe spiegazioni né suscitare grossa indignazione o recriminazioni tanto da parte di chi tali eventi promuove, quanto da parte di chi li subisce. La velocità sarà sempre più la regina incontrastata del tempo futuro, vera rafurazione e personificazione del nuovo spirito, nell'attesa che nuovi modelli comportamentali riescano a ridurne la portata o a dominarla occupandone il posto. I pericoli derivanti dalla velocità sono palesi. Se la mente non riesce a stare al passo con gli eventi, rimarrà in sua balia, venendole a mancare quell'importante freno stabilizzatore che è la ponderazione.
Nel mondo delle imprese le conseguenze avranno, e in parte stanno iniziando ad avere sin da adesso, una portata epocale. Quelle fra esse che oggi si sentono al sicuro, se non verranno prontamente erette barriere tanto imponenti, quanto forse a volte solo utili a ritardare il corso degli eventi, vedranno sgretolarsi o sparire sotto gli occhi la propria posizione competitiva. Diventa, infatti, quasi inimmaginabile concepire un mercato in cui si sia coperti dal rischio che arrivi qualcun altro, magari proveniente da qualche altra parte del globo, il quale, anche pur mancando di una rilevante tradizione, sappia fare quello che facciamo noi, probabilmente con risultati migliori e a costi inferiori. Sarebbe pura utopia pretendere che il mondo segua le nostre (cieche) presunzioni.
La libera concorrenza, se non opportunamente contrastata dalle imprese con azioni volte a renderle diverse e appetibili da un mercato che consente la floridezza soltanto a pochi eletti, condurrà alla riduzione dei margini di profitto nella maggior parte dei settori (a loro volta caratterizzati da un'elevata mutevolezza e sfuggenti ad una precisa definizione), fino a porre i più piccoli e deboli ai margini della competizione, in attesa di essere traghettati fuori dal mercato. Allora, distinguere fra politiche di differenziazione o di leadership dei costi non avrà più un senso dal momento che serviranno entrambe, e potrebbero non essere neppure sufficienti, ad assecondare i fini di sopravvivenza e continuo sviluppo delle imprese. La regola aurea diverrà l'elevazione e l'evidenziazione, con ogni mezzo disponibile, rispetto al gruppo di concorrenti, più o meno diretti, con i quali l'impresa si trova a competere per la conquista di una posizione di rilievo nella mente del consumatore.
Un detto pellerossa, sicuramente estensibile a qualsiasi entità intelligibile, afferma: «Per comprendere veramente un uomo occorre camminare per due lune nei suoi mocassini».
Rispettivamente con le esperienze (tutte, percettibili e non) che generano il presente, quelle che sono da esso generate e ancora in itinere e quelle che ne costituiscono l'essenza.
Pensiamo, per esempio, all'industria automobilistica degli anni Venti ed al successo della nuova organizzazione produttiva e della strategia di ampia diffusione adottate dalla Ford, la quale costituiva una sfida che fu affrontata con successo dalla General Motors attraverso un'estesa gamma di prodotti rivolti ai numerosi segmenti di un mercato ormai aperto e in espansione.
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