psicologia |
E' ancora possibile la metapsicologia?
Il contributo di Bion alla teorizzazione psicoanalitica
D. Mi può dare un'idea di che cosa si tratta?
R. Psicoanalisi, credo
W. R. Bion Memoria del futuro, il sogno
Con la pubblicazione nel 1960 della Struttura della teoria psicoanalitica
Rapaport portava a compimento il progetto a cui aveva lavorato per oltre un
decennio di presentare il modello concettuale della psicoanalisi come un sistema
assiomatico - deduttivo perfettamente integrato nella scienza.
In realtà, da tempo, le più brillanti intelligenze della Psicologia dell'Io, a
partire da Hartmann, erano impegnate in questa direzione. Questo sforzo era
culminato nella organizzazione a New York da parte di Sidney Hook (1959) del
famoso Convegno interdisciplinare su Psicoanalisi e metodo scientifico.
In verità il successo di Rapaport e degli Psicologi dell'Io era stato ottenuto
al prezzo di alcune significative asserzioni, segnatamente, che la psicodinamica
fosse in sostanza una neurodinamica e che l'oggetto della psicoanalisi fosse il
comportamento umano. Questo implicava che la psicoanalisi fosse una psicologia
generale fondata su un modello neurodinamico. Hartmann e Rapaport sostenevano
questa tesi appoggiandosi sulla ipotesi, difesa peraltro anche da Merton Gill,
che il Progetto fosse una psiconeurologia.
Questo impianto concettuale poteva mantenere la sua coerenza soltanto se si era
disposti ad identificare la realtà psichica con il comportamento latente e le
pulsioni con le motivazioni.
Questi slittamenti concettuali consentivano di affermare che la psicoanalisi può
attingere ed essere applicata sia ai fenomeni clinici che a quelli di
laboratorio e può quindi sedere a pieno titolo tra le scienze.
Naturalmente tutto questo incontrava non poche difficoltà a partire dallo scarso
o nullo interesse di Freud per la validazione sperimentale extraclinica delle
sue teorie, il che la diceva lunga sulle sue idee circa lo statuto
epistemologico della disciplina.
In verità l'impianto concettuale di Rapaport cominciò ben presto ad essere
criticato proprio nella cerchia dei ricercatori a lui più vicini. Iniziarono
Holt (1965) con la proposta di aggiornare i concetti della metapsicologia
collegandoli alle moderne neuroscienze e poi Rubinstein (1965) e Peterfreund
(1971) con il tentativo di sostituire i modelli della metapsicologia freudiana
con le più recenti acquisizioni in termini di cibernetica e di teoria
dell'informazione ma fu soprattutto la pubblicazione postuma, ad opera di Merton
Gill e Leo Goldeberg, della Teoria Psicoanalitica di G. S. Klein (1976) che
assestò il più duro colpo all'edificio rapaportiano. Klein negava ogni valore
scientifico e rilevanza teorica alla metapsicologia e identificava la
significatività scientifica della psicoanalisi nella sola teoria clinica.
Paradossalmente, proprio l'obbedienza al dettato rapaportiano di costruire un
modello rigorosamente scientifico della psicoanalisi e l'adesione alla sua tesi
che la spiegazione metapsicologica fosse in realtà una spiegazione
neurodinamica, avevano indotto Klein a differenziare radicalmente la
metapsicologia dalla teoria clinica e a liquidare la prima enfatizzando la
seconda. Ridotta ad essere soltanto una teoria clinica la psicoanalisi si
trovava, ora, a dover rivolgere la sua attenzione alla ricerca dei fattori,
degli scopi e delle motivazioni del comportamento rimanendo sul terreno della
psicologia sperimentalmente verificabile.
Questa energica cura dimagrante comportava una drastica riduzione
dell'importanza della sessualità infantile che pure Freud, nella prefazione alla
edizione del 1920 dei Tre saggi , ricordava essere, tra le scoperte della
psicoanalisi, quella che continuava a suscitare le maggiori resistenze. Il punto
è che quando ci si riferisce alle esperienze vissute, alle motivazioni, al Sè
etc., inevitabilmente si fa riferimento a qualcosa che è più attinente alla
coscienza che all'inconscio. Quindi lo sforzo intrapreso da Hartmann di fare
della psicoanalisi una psicologia scientifica perfettamente accettabile ed
integrabile nella psicologia accademica più che indurre il comportamentismo ad
assorbire i principi fondamentali della psicoanalisi aveva trasformato
quest'ultima in un comportamentismo mascherato.
La deriva hartmaniana - rapaportiana ha determinato l'aumento dell'interesse per
l'osservazione diretta del bambino (Lichtenberg, Emde, Stern) ma il bambino
osservato ha smesso di essere il bambino pulsionale legato al principio di
piacere per diventare un bambino sociale alla ricerca di interazioni e di scambi
derivante, magari, dal modello etologico di Bowlby e in accordo con la
concezione epigenetica di Erikson (1950).
La psicoanalisi diviene così piuttosto una psicologia delle motivazioni
(Lichtenberg 1989) e, mentre da una parte si sviluppa il concetto e la teoria
del Sè (Kohut 1971), dall'altra i referenti teorici dell'operare psicoanalitico
potranno diventare magari il linguaggio dell'azione di Schafer (1976)
influenzato, quest'ultimo, dalla filosofia analitica (Wittgenstein, Austin,
Ryle) ma il suo ideale, la totalità integrata della persona, ribalta totalmente
la posizione di Freud circa l'alienazione fondamentale del discorso umano e la
irriducibile frattura tra conscio e inconscio (Barratt 1978).
Come si vede, come sempre, la questione cruciale è quella dello statuto
scientifico ed epistemologico della disciplina e va dato atto a Lacan di averlo
intuito sin dai primi anni trenta quando, attraverso una rilettura di Spinoza,
fondava la scientificità della psicoanalisi su una connessione tra processi
fisici e processi psichici intesa come rapporto di traduzione. Più tardi, prima
di soccombere alla egemonia del significante, grazie alla lezione di Kojève e di
Koiré, affrontò la questione del soggetto umano e del suo decentramento
articolando la scoperta freudiana dell'inconscio con il pensiero di Hegel colto
nella lettura di Heidegger e della fenomenologia di Husserl (Rudinesco 1993).
In quegli anni questo sfondo filosofico costituì la base di una psicoanalisi
fondata sulla scissione del soggetto (M. Klein, Lacan) che si contrapponeva alla
psicoanalisi dell'Io (A. Freud, Hartmann, Kris, Lewenstein).
Fin dagli anni trenta si delinearono, dunque, i due modelli teorico - filosofici
che avrebbero dominato l'universo psicoanalitico per tutto il secolo. Da una
parte quello fondato sulla concezione dell'Io come struttura adattivo -
regolatrice che, sebbene derivasse dall'Es, tendeva progressivamente ad
autonomizzarsi in accordo con la realtà. L'essenziale di questo modello si
conserverà, esaltando anzi le sue caratteristiche di fondo, anche dopo la crisi
antimetapsicologica iniziata da G. S. Klein, fino ai recenti sviluppi della
psicologia delle motivazioni e al moderno interazionismo. Ad esso si contrappose
la concezione dell'Io come imago derivata dai precipitati identificatori della
relazione con l'altro senza alcuna autonomia strutturale dall'Es a cui anzi
viene necessariamente ricondotto.
Sebbene sia doveroso riconoscere a Lacan il merito di aver posto per primo la
questione in termini teorico - filosofici e di aver proposto una posizione
radicalmente antipsicologista bisogna tuttavia ricordare che il problema era
nell'aria dagli anni venti dovendosi, sin da allora, affrontare la questione del
significato epistemologico e filosofico della teoria strutturale e della
relazione tra l'Io e l'Es.
Certamente un modello fondato sulla centralità dell'Io come istanza adattivo
regolatrice è coerente con l'aspirazione a creare una disciplina il cui statuto
epistemologico sia quello di una scienza naturale ma rappresenta una
semplificazione che poi diventa, in realtà, un fraintendimento del complesso e
articolato pensiero di Freud (1).
Forse soltanto oggi è possibile vedere con chiarezza come, dalla fine degli anni
venti agli anni quaranta, sebbene il dibattito ruotasse apparentemente intorno
al modello di sviluppo psichico, alla tecnica psicoanalitica e alle differenti
concezioni dell'Io, la questione di fondo riguardava lo statuto scientifico ed
epistemologico della psicoanalisi.
Melanie Klein e il suo gruppo, come non mancò di notare Lacan, avevano una
concezione dell'Io piuttosto vicina alla sua. Infatti, sebbene ritenessero che
l'Io era presente fin dalla nascita, pensavano che esso si strutturasse
attraverso una serie di momenti identificatori in contrasto tra loro secondo le
modalità della proiezione e della introiezione (identificazione proiettiva ed
introiettiva).
La scarsa o nulla propensione della Klein per la speculazione pura che ha
caratterizzato un po' l'insieme della psicoanalisi britannica, nonostante la
presenza di alcune singole intelligenze particolarmente versate nelle questioni
filosofiche come Money - Kyrle, non ha aiutato a che ci si rendesse pienamente
conto delle implicazioni epistemologico - filosofiche delle rispettive teorie e
quindi a comprendere la natura della posta in gioco nella contrapposizioni tra
lei e A. Freud. Ciò che è mancato, a mio avviso, è stata la comprensione della
natura epistemica del freudismo e quindi del significato della costruzione
metapsicologica. Prova ne sia che Meltzer (1978), peraltro uno degli autori più
sensibili alle questioni teoriche, nel presentare l'evoluzione del pensiero di
Freud parlerà di scissione tra clinica e teoria e di evoluzione dal determinismo
neurofisiologico alla prospettiva fenomenologica mancando, a mio avviso,
clamorosamente, di cogliere l'idiosincrasia freudiana. Questo gli farà ritenere
che Bion nel corso della sua opera si sia progressivamente liberato della
metapsicologia freudiana fino a costruire un sistema di notazione e di
comprensione dei fenomeni che avvengono nella stanza di analisi libero da una
supposta zavorra scientista.
Personalmente ritengo che l'intera opera di Bion, e ciò diventa più chiaramente
visibile a partire da Apprendere dall'esperienza (1962), attraversata come è
dalla tensione e dalla costante attenzione a cogliere e ad esprimere
l'inconscio, abbia un valore intrinsecamente metapsicologico. Certo il termine
pensiero a cui egli spesso ricorre può apparire troppo generico per descrivere
lo sforzo di rappresentare la realtà psichica nel linguaggio del processo
secondario ma i concetti di elemento b e di elemento e di funzione a, in quanto
rappresentazioni di processi psichici mediante modelli derivati dalle scienze,
hanno lo stesso valore euristico e lo stesso statuto epistemologico dei concetti
espressi nel settimo modulo della Interpretazione dei sogni (1900). Il modello
quasi matematico presentato negli Elementi della psicoanalisi (1963) è analogo
al modello quasi neurofisiologico del Progetto (1895). Infatti il modello usato
per costruire la 'griglia', sebbene derivi dalla Tavola degli Elementi di
Mendeleyeff, se ne distingue perchè quest'ultima serve a effettuare azioni
tra pesi atomici e valenze mentre il primo è un sistema che serve a trasformare
i pensieri.
Concordo con Meltzer (1978) quando afferma che Bion non si occupa nè delle
teorie psicoanalitiche della personalità nè delle teorie della osservazione
psicoanalitica delle personalità, infatti la crescita (Growth) di cui parla è
quella delle capacità di formulazione mentale. A questo riguardo è bene chiarire
il significato del termine genesi applicato all'asse verticale della griglia e i
suoi rapporti con l'asse orizzontale a cui è attribuita la funzione uso. Il
termine genesi sembra rimandare al criterio evolutivo (sviluppo psichico,
crescita della mente, etc.) mentre il termine uso rimanda alla costruzione
metapsicologica. Tuttavia nella griglia la teoria evolutiva non avrebbe senso se
non come punto di vista genetico cioè come referente genetico per la costruzione
metapsicologica. Le teorie psicoanalitiche delle sviluppo devono essere ritenute
in questo contesto soltanto un modello di base, uno sfondo rappresentazionale
dal quale costruire la rappresentazione dell'attività mentale detta
psicoanalitica, ovvero la messa in forma dell'esperienza psichica nella
situazione analitica. Pertanto sia l'asse verticale che quello orizzontale sono,
in realtà, attinenti alla costruzione della rappresentazione metapsicologica,
vale a dire al tentativo della mente di rappresentarsi le trasformazioni che in
essa intervengono sotto la pressione della sua relazione con un'altra mente.
Adottando il linguaggio di Bion direi che la rappresentazione delle proprie
trasformazioni ha una funzione principalmente autocontenitiva, è una sorta di
auto - reverie.
Bion, nel tentativo di descrivere un apparato per pensare i pensieri, ha
costruito un apparato ipotetico capace di generare pensieri atti ad esprimere le
esperienze emotivo-cognitive (contenitrici di significato) che si determinano
nella stanza di analisi.
In questo la sua opera è analoga a quella di Freud che, partendo dall'intento di
descrivere le modalità del lavoro onirico, è giunto a costruire la
rappresentazione di un modello ipotetico di apparato psichico quale messa in
forma della tensione tra processo primario e processo secondario.
Naturalmente non dobbiamo nasconderci l'esistenza di diversità culturali e di
linguaggio che determinano delle concettualizzazioni, tra loro, difficilmente
abili e confrontabili. Valga per tutte la questione se la rappresentazione
metapsicologica intesa come spiegazione (Assoun 1993) debba essere ricondotta ad
una trasformazione in K oppure, giacchè in quest'ultimo concetto vi è un
riferimento a componenti intellettualistiche e razionalizzatrici di natura
difensiva, se sia da intendere la spiegazione metapsicologica come una
trasformazione in O (essere all'unisono). Ma in questo caso si sente un'aura di
misticismo che sembra poco compatibile con il concetto di verità analitica così
come è stata concepita da Freud (1937).
Forse, a questo riguardo, ci può essere d'aiuto far riferimento al segno F
(Attenzione ed interpretazione 1970) inteso come coalescenza di diavolo, fede e
autoaccecamento freudiano (Meltzer 1978).
Esso rappresenta quella capacità negativa, il raggio di buio di Keats, che è
l'essenza, il catalizzatore della operazione metapsicologica. L'oscurità delle
formulazioni bioniane rispetto a questo segno, che si collega alla necessità da
lui affermata di inibire lo sviluppo della memoria e del desiderio, può forse
essere in parte rischiarata dalla consapevolezza che ora abbiamo acquisita circa
l'importanza e l'ubiquitarietà del lavoro del negativo (Green 1993) nella genesi
del pensiero creativo. In ogni caso questo è un aspetto del processo del
pensiero che rimanda alla cucina della strega di faustiana memoria, alla strega
metapsicologia, al Phantasieren freudiano. Si potrebbe, dunque, supporre che il
progressivo abbandono del vertice matematico a favore di quello mistico che si
realizza in Attenzione ed interpretazione derivi dalla necessità di far fronte
alla violenza dell'affetto e di introdurre un vertice capace di esprimere
quest'ultima dimensione oltre a quella del significato. Il mistico, come la
strega, è forse il vertice più adatto ad una piena messa in forma
dell'esperienza emotiva, operazione, questa, metapsicologica per eccellenza. Non
bisogna tuttavia dimenticare che sebbene, nei suoi scritti più tardi, Bion
sembri slittare eccessivamente verso il misticismo pure non ha mai smesso di
sostenere l'inconoscibilità dell'inconscio (O resta inconoscibile) e che il
processo di conoscenza comporta una deformazione della verità. Infatti sebbene
il mistico possa conoscere la verità non può comunicarla senza falsificarla
almeno parzialmente.
Tutta la parte finale della sua opera è attraversata dal problema del rapporto
tra la verità e la sua pubblicazione cioè tra pensiero e linguaggio. Da
Attenzione e interpretazione alla Trilogia fantastica è un ininterrotto sforzo
di comunicare, attraverso la parola e la scrittura, l'intensità e la
drammaticità dell'esperienza psichica. Infatti, quantunque non possiamo negare
la presenza nell'ultimo Bion di segni di una certa deriva verso la metafisica
pure dobbiamo riconoscere che anche il suo ricorso all'iperbole sull'esempio di
San Giovanni della Croce (Salita al Carmelo) (Trasformazioni 1965), (Bleandonu
1990) è mosso dal tentativo di rendere comunicabile la realtà dell'esperienza
psichica. Inoltre egli non si è assestato stabilmente nella metafisica e il suo
interesse per il linguaggio, mediato originariamente da Wittgenstein e dalla
filosofia analitica, lo ha spinto fino alla fine della vita a battere tutte le
strade - attraverso il ricorso a poeti e narratori (Shakespeare, Keats, Erza
Pound, Lewis Carrol e Joyce di Finnegan Wake) - per rendere dicibile la verità
ultima cioè la realtà psichica.
La lettura di Cogitations (1992) ci da la misura di questo travaglio che la
struttura formalmente più compiuta degli altri suoi scritti del periodo
epistemologico (Bleandonu 1990) sembra in parte nascondere. In ogni caso io
credo che la portata e anche i limiti dell'opera di Bion non possano essere
intesi a pieno se non viene contestualmente compreso il significato epistemico
della prassi teorico - clinica inaugurata da Freud.
Questa si fonda sul fatto che la costruzione psicoanalitica deve farsi imporre
la legge del suo oggetto cioè dell'inconscio. Pertanto la psicoanalisi, proprio
nel momento in cui adotta rigorosamente la visione del mondo della scienza, è
costretta a rifiutarla e a dichiararne l'illeggittimità rispetto al suo oggetto.
Riprendendo la suggestiva immagine di Dorey (1991) si può dire che con la
scoperta dell'inconscio, giacchè questo 'dice il vero sul vero' (Lacan), si
dovrebbe affermare che l'inconscio è la scienza ma, al contempo,
paradossalmente, l'inconscia odia la scienza. Fuor di metafora questo significa
che il riconoscimento dell'inconscio rende impossibile immaginare che esso non
sia determinante nel processo stesso della conoscenza dello psichico ma questo
implica che il modello della conoscenza scientifica, come si è storicamente
determinato, è incompetente a formulare qualsivoglia proposizione significativa
sull'inconscio. Così, di fatto, la psicoanalisi affermando che il soggetto della
verità (l'inconscio) è irriducibile al sapere (la conoscenza scientifica)
introduce
un terzo vertice tra scienza e metafisica: il vertice metapsicologico.
La rappresentazione metapsicologica è quindi legata alle condizioni di
possibilità della soggettività, ovvero all'inconscio sia dell'analizzando che
dell'analista che la costruisce, a partire da Freud fino a ciascuno di noi.
Infatti in psicoanalisi, a differenza di tutte le altre discipline, la relazione
clinica - teoria è assolutamente idiosincrasica.Nella clinica l'esempio, in
quanto determinato dall'inconscio, non è nè casuale nè anodino e non illustra un
concetto generale ma, come ebbe a dire Freud, l'esempio è la cosa stessa (Freud
1991) (2). Rispetto a ciò che è l'esempio nella clinica, la rappresentazione
metapsicologica si pone come l'inverso pensato dell'esperienza clinica, ovvero,
come ciò che rende pensabile quest'ultima (Assoun 1993).
Dunque, l'operazione metapsicologica si distingue da quella ermeneutica perchè
in essa, come nella clinica, la scelta della 'finzione concettuale' non è
arbitraria ma determinata da una relazione significativa con il materiale
empirico. Essa quindi si distingue e si oppone al finzionalismo del 'come se'
stile Vaihinger in quanto la 'finzione' metapsicologica, scaturendo
dall'inconscio, è più 'vera' della natura stessa.
La costruzione metapsicologica rappresenta quindi una nuova forma di razionalità
e di scientificità e si differenzia dal pensiero filosofico puro che, in virtù
di un processo di astrazione, si colora di un'aurea di dissociazione che lo
avvicina alla schizofrenia (Assoun 1976).
Il problema della metapsicologia è dunque quello della conoscenza -
comunicazione - pubblicazione dell'inconscio cioè della sua messa in forma.
Sia per Freud che per Bion è obbligatorio fare metapsicologia.
Per il primo è essenzialmente il sessuale inconscio che si impone obbligando il
discorso ad enunciarlo. Per il secondo è il pensiero (inconscio) che si mette
alla ricerca di un pensatore costringendolo ad accoglierlo e ad esprimerlo.
Per costruire la rappresentazione metapsicologica la psicoanalisi non può
identificarsi con altre scienze nè ridursi ad esse. Se lo facesse smarrirebbe il
suo oggetto. Essa deve fare da sè come scrive Freud a Jung nella lettera del
30.11.1911 (Freud 1990).
Questo punto illustra la natura del rapporto della psicoanalisi con le altre
discipline. Se Bion fa ricorso alla matematica, alla mistica, alla poesia, al
romanzo fantastico e Freud alla neurofisiologia, alla biologia, al mito
antropologico e al romanzo storico lo scopo rimane sempre quello di mettere in
forma l'esperienza analitica. Questo metodo non ha nulla a che vedere con il
tentativo di farne una psicologia generale o una scienza naturale come ha
tentato di fare la Psicologia dell'Io e prima ancora Fenichel (1946) che nella
sua ortodossia formale la trasforma in un mentalismo a connotazione biologica.
All'opposto Habermas, Hyppolite e Ricoeur ne hanno rifiutato ogni appartenenza
alle scienze naturali e quest'ultimo ha tentato di fondarla epistemologicamente
sulla fenomenologia husserliana (Ricoeur 1965) ma, in realtà, la qualificazione
di scienza speciale (Spezialwissenschaft) che le attribuisce Freud ha piuttosto
una derivazione machiana nel senso che definisce la irriducibilità del suo
oggetto (Assoun 1981).
La psicoanalisi infatti, pur riprendendo il linguaggio delle scienze naturali,
ne sovverte l'oggetto. In essa le parole non corrispondono all'oggetto a cui
apparentemente si riferiscono ma esprimono l'inconscio con una terminologia che
appartiene ad altre discipline. Essa quindi esprime un fatto psichico senza
essere una psicologia ma trascendendola nella metapsicologia. Quest'ultima è
dunque il lavoro della immaginazione scientifica che crea un nesso tra
razionalità e immaginazione. La sua specificità è il fantasticare scientifico
che è il lavoro che intercorre tra il processo primario e il processo secondario
e che genera i processi terziari (Green 1972).
La prassi epistemica di Freud che è derivata da una sintesi originale di
Naturphilosophie di stampo goethiano e di materialismo positivista, in Bion, si
è trasformata grazie all'incontro con la combinatoria algebrica e la tradizione
mistica.
Per concludere questa breve esposizione della peculiarità dell'operazione
metapsicologica in Bion e definirne le invarianze e le differenze rispetto a
quella di Freud erò brevemente Sintesi delle nevrosi di traslazione (1985)
e Memoria del futuro (1991) di cui prenderò in considerazione soltanto la prima
parte: Il sogno.
Ho scelto deliberatamente questi due testi estremi in quanto ad audacia
intellettuale, ad ardimento speculativo e ad invenzione creativa perchè queste
loro caratteristiche fungono da ingranditori che permettono di evidenziare al
meglio i tratti peculiari della costruzione metapsicologica nei rispettivi
autori.
La Sintesi alla fine non fu ritenuta matura per la pubblicazione e Memoria del
futuro ha visto la luce come estremo ed ultimo sforzo di Bion di esprimere la
realtà dell'esperienza psichica.
Sintesi delle nevrosi di traslazione si colloca al centro del dibattito teorico
con Ferenczi. Essa è preceduta e seguita da due importanti scritti di
quest'ultimo: Fasi evolutive del senso di realtà (1913) e Talassa (1924) ed è il
cuore di una grande speculazione metabiologico - metapsicologica.
L'elemento epistemologicamente centrale di tutta la sua elaborazione è il
concetto di fantasia filogenetica. A partire da questa è possibile comprendere
il metodo freudiano di costruzione delle teorie. Questo è dato dal fatto che,
sebbene egli fosse timoroso di scivolare nella filosofia, pure, non poteva
sottrarsi alle speculazioni su certe fantasie che gli si imponevano come ospiti
non invitati. Si tratta di rappresentazioni che corrono, costantemente, sul filo
tra metapsicologia e mito, di operazioni pericolose nelle quali si susseguono in
rapida successione audaci fantasie e critica spietata.
Anche Bion fa ricorso ad un mito genetico a proposito del cimitero della città
di Ur. D'altro canto le fantasie scientifiche sono più vicine ai miti che alle
teorie scientifiche e Bion considera il mito una delle dimensioni in cui si
espande la psicoanalisi.
Memoria del futuro appare un romanzo fantastico sull'origine del pensiero. Quì
la fantasia genetica è quella della genesi del pensiero. Entrambi gli scritti
appaiono una sorta di sogno teorico. In questo senso Freud e Bion abitano la
psicoanalisi come Heidegger propone di abitare la poesia (Lacoste 1987).
La psicoanalisi che è nata dall'incontro tra l'enigma della follia isterica e le
risposte che è riuscito a dargli un nevrotico, con Bion, si spinge ad esplorare
le regioni estreme della schizofrenia perchè, per motivi personali, egli ha
sentito di doversi addentrare in aree pericolosamente vicine alla dissociazione.
Se la metapsicologia freudiana espressa nella Sintesi rappresenta l'infanzia
psichica dell'umanità quella che si manifesta nella Trilogia è l'infanzia del
pensiero.
In Bion il passagio dalla fantasia al fatto scientifico è più diretto che non in
Freud e la critica spietata della realtà non viene menzionata. Questo rende la
sua opera più vulnerabile e a rischio di scivolare nel misticismo metafisico ma
ciò accade perchè si spinge in territori più estremi di quanto non faccia Freud.
Infatti, per far parlare la psicosi, la matematica, che in Bion sostituisce la
biologia di Freud, deve andare oltre il riferimento euclideo e diventare
irrazionale. La topica di Bion è lo spazio della geometria irrazionale, non -
euclidea.
Il primo volume della Trilogia appare come la narrazione della decostruzione di
una nevrosi che innesca un cambiamento catastrofico.
I primi venti moduli descrivono la decostruzione dell'organizzazione nevrotica
con la slatentizzazione della psicosi sottostante e la frammentazione della
psiche. I successivi ventiquattro rappresentano il processo di costruzione di un
nuovo pensiero. Ma per costruire il pensiero è necessario far ricorso ai vertici
religioso, artistico e scientifico in quanto elementi protomentali. Il lavoro di
costruzione abbisogna poi della capacità negativa per creare personaggi
immaginari.
Non tocca a me decretare il successo o il fallimento dello sforzo di Bion ma,
quand'anche avesse fallito, la sua opera rimane come la grandiosa
rappresentazione della impossibilità di pensare l'impensabile.
(1) E' pensabile che questa semplificazione sia stata favorita all'inizio da A.
Freud e questo può essere compreso se teniamo conto della enorme responsabilità
che le si era caricata sulle spalle quando, a causa delle cattive condizioni del
padre, ella ancor giovane e relativamente ancora poco esperta analista, dovette
assumerne le veci nella direzione del movimento psicoanalitico. Timorosa, forse,
di adottare una concezione troppo radicale dell'inconscio che pure era coerente
con le formulazioni della seconda topica, dipendente emotivamente dal padre e
certamente non all'altezza della sua statura intellettuale cercò appoggio, sia
nel campo della teoria clinica - vedi la polemica con la Klein - che in quello
della fondazione teorica e diede la sua adesione ad una concezione della
psicoanalisi meno radicale e scientificamente meno rivoluzionaria quale è stata
la Psicologia dell'Io (Grosskurth 1986).
In verità non è difficile vedere in alcune delle tendenze attuali della
psicoanalisi le preoccupazioni che furono di A. Freud. L'inadeguato
riconoscimento della radicale centralità dell'inconscio e della ineludibilità
dell'analisi del transfert nel trattamento dei bambini e degli adolescenti
sembrano riecheggiare negli attuali discorsi sull'importanza della realtà, sia
nella relazione analitica che rispetto alla persona dell'analista, a tutto
discapito della fantasia inconscia. Sono forse queste le tarde conseguenze di
quello che Alix Strachey definì 'il lato sentimentale di A. Freud'.
Freud annotò questo commento in margine alle associazioni dell'Uomo dei Topi
che per descrivere l'angoscia che lo pervadeva quando immaginava di guardare
delle ragazze nude, spontaneamente, disse 'per esempio come se morisse mio
padre' rivelando così esattamente il suo desiderio inconscio.
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