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I Sintomi del Panico (o crisi d'Ansia)
Il Disturbo da Attacchi di Panico è classificato dal DSM-IV (1994) sull'asse I (disturbi clinici) nel gruppo dei disturbi d'ansia dei quali fanno parte anche il disturbo d'ansia generalizzato, il disturbo post-traumatico da stress, il disturbo acuto da stress, il disturbo ossessivo-compulsivo, l'agorafobia, le fobie specifiche e la fobia sociale.
Un episodio di
attacco di panico, che di per sé non è classificabile come disturbo, si
presenta come un periodo piuttosto preciso (in termini di minuti) di paura e
disagio intensi. I sintomi di un attacco di panico, che elencheremo di seguito,
si sviluppano improvvisamente raggiungendo il picco nel giro di pochi minuti
(APA, 1994).
Si è in presenza di un attacco di panico, da un punto di vista diagnostico,
quando, confermata la validità di quanto scritto sopra, si è in presenza di
almeno quattro dei seguenti sintomi contemporaneamente:
palpitazioni, cardiopalmo, o tachicardia
sudorazione
tremori fini o a grandi scosse
dispnea o sensazione di soffocamento
sensazione di asfissia
dolore o fastidio al petto
nausea o disturbi addominali
sensazioni di sbandamento, di instabilità, di testa leggere o di svenimento
derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da sé stessi)
paura di perdere il controllo o di impazzire
paura di morire
parestesia (sensazioni di torpore o di formicolio)
brividi o vampate di calore
Il disturbo da attacchi di panico può presentarsi in associazione o meno con agorafobia. Il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, quarta edizione (APA, 1994) infatti elenca due tipologie di disturbo da attacchi di panico:
Disturbo da Attacchi di Panico con Agorafobia
Disturbo da Attacchi di Panico senza Agorafobia
Abbiamo già detto che l'attacco di panico, di per sé, non è codificabile come un disturbo, ma è un episodio. Il clinico che si trova di fronte ad un presunto disturbo, dovrà considerare specifici criteri; innanzitutto devono essere contemporaneamente presenti due condizioni: 1) gli attacchi di panico sono inaspettati e ricorrenti e 2) almeno uno degli attacchi è stato seguito da minimo un mese di una, o più, delle seguenti condizioni:
preoccupazione persistente di avere altri attacchi
preoccupazione a proposito delle implicazioni dell'attacco o delle sue conseguenze
significativa (secondo la valutazione del clinico) alterazione del comportamento correlata agli attacchi
A questo punto il clinico dovrà considerare la presenza o l'assenza di agorafobia per una diagnosi di disturbo da attacchi di panico, appunto, con o senza agorafobia.
Il DSM-IV ricorda
che, al fine di una corretta valutazione diagnostica, il professionista della
salute, dovrà valutare se gli attacchi possano essere o meno dovuti agli
effetti fisiologici diretti di una sostanza o di una condizione medica
generale. Inoltre è assolutamente necessario stabilire se gli attacchi di
panico possano essere meglio giustificati da un altro disturbo mentale.
Se si fosse in presenza di 'fobia', ad esempio, occorre valutare che
l'attacco di panico non si presenti esclusivamente in seguito all'esposizione
allo stimolo fobigeno.
Molti pazienti riportano un episodio di attacchi di panico in seguito all'uso
di cannabis. Va detto che la cannabis può indurre un attacco soprattutto in
quei soggetti in cui c'è una eccessiva tendenza al controllo.
Comprensione e Trattamento Psicologico del Disturbo da Attacchi di Panico
Nonostante la loro
breve durata, minuti che però sembrano interminabili per il soggetto, gli
attacchi di panico (spesso chiamati crisi d'ansia o attacchi d'ansia), vista
anche la drammatica reazione neurovegetativa (sudorazione, soffocamento,
tachicardia, vertigini, tremori, sensazione di svenimento, paura di morire,
paura di un infarto in corso, paura di perdere il controllo, sbandamenti,
sensazione di irrealtà, ecc.), causano a chi ne soffre intensi angoscia, paura,
disagio e vergogna e imbarazzo.
Tra i sintomi prima elencati, probabilmente i più frequenti sono la sensazione
di soffocamento, la tachicardia, la paura di morire e/o il timore di perdere il
controllo.
Il primo attacco, in genere, viene come un 'fulmine a ciel sereno',
improvvisamente e senza avvertimenti, mentre gli attacchi successivi si
sviluppano in seguito all'intensa paura che l'attacco si possa ripresentare; il
soggetto svilupperebbe una forma secondaria di 'ansia anticipatoria'
(Gabbard, G.O. 1994), ovvero la preoccupazione si sposterebbe dall'attacco in
sé a come, quando e dove si potrà ripresentare, ovvero siamo in presenza della
'paura della paura'. La persona inizia a temere che l'attacco si
possa presentare in qualsiasi situazione soprattutto in contesti sociali o in
situazioni dalle quali è difficile andarsene e nasce così un intensa paura che
può divenire imbarazzo per l'attacco stesso. La persona non parla dei propri
attacchi che ritiene perlopiù assurdi e senza senso, credendo di essere
comunque uno dei pochi a soffrirne, teme di impazzire o di essere pazzo e
spesso si rifugia in una condizione di evitamento sempre maggiore, fino
addirittura a rinchiudersi in casa con il timore anche di uscire dalla porta,
senza sapere che l'attacco di panico, nonostante i sintomi eclatanti che
possano far pensare ad una grave malattia (molti temono di avere un infarto in
corso), è una delle condizioni che più di altre può essere risolta con
trattamenti psicologici brevi, fino ad un massimo di 10-l2 incontri, con le
dovute eccezioni, ovviamente rivolgendosi a professionisti esperti in materia e
che adottino metodologie di intervento esclusivamente di tipo psicologico (che
ricordiamo non è farmacologico; quando ci somministrano un farmaco dobbiamo
sapere che chi abbiamo davanti non può essere uno psicologo).
Stavamo dicendo che il disturbo da attacchi di panico crea un enorme disagio
nella persona che spesso riduce in modo significativo molte delle proprie
attività. Capita sovente che riducano viaggi e spostamenti al fine di evitare
che l'attacco di panico possa presentarsi in situazioni come abbiamo detto
'imbarazzanti' oppure dalle quali è difficile spostarsi. Imbarazzo e
vergogna per gli attacchi sono piuttosto frequenti e questo porta anche il
paziente a non chiedere immediatamente aiuto ad un professionista.
Molte persone con disturbo da attacchi di panico creano una rete di ure
significative di sostegno al fine di poter continuare in alcune fondamentali
attività come quelle lavorative. Si fanno accomnare sul posto di lavoro, a
scuola, all'Università e anche ovviamente dallo psicologo, in quei casi
fortunati in cui il paziente decide di fare qualcosa per risolvere il problema.
Nonostante lo psicologo sia la urea professionale più adatta alla gestione e
al trattamento dei disturbi da attacchi di panico, l'iter della persona inizia
quasi sempre da una visita medica generale. La 'crisi d'ansia'
presentandosi improvvisamente spiazza sia la persona che ne soffre sia coloro
che le sono accanto. Così, al primo attacco, è facile ricorrere ai servizi di
pronto soccorso. Sia dal medico di base sia al pronto soccorso, nella maggior
parte dei casi, viene consigliato l'uso di un ansiolitico (En, Xanax, Lexotan,
Valium). Gli ansiolitici diverranno frequentemente l'ancora di salvezza,
portati sempre con se anche se non utilizzati, come se il solo fatto di essere
a portata di mano tranquillizzi la persona; è facile che la persona non abbia
intenzione di prendere farmaci per paura di diventarne dipendente. Però non si
risolve la situazione di disagio ed i soggetti che soffrono di attacchi di
panico cercano sempre soluzioni per controllarla fino ai casi più gravi di
evitamento totale, soprattutto quando si è in presenza anche di agorafobia
(frequentemente associata al disturbo da attacchi di panico).
Altre problematiche che si presentano con frequenza in comorbilità all'attacco
di panico sono episodi depressivi, ipocondria (sintomi fisici che fanno
emergere la paura di avere un malattia che non si risolve con l'esclusione di
una causa organica che può emergere dagli accertamenti medici), fobie.
Il farmaco ansiolitico è un palliativo, ovvero di per sé non ha effettivi
curativi ma permette, in un primo tempo, di ridurre la sintomatologia. Però ben
presto non sarà più sufficiente.
La maggior parte dei pazienti con attacchi di panico teme che esso sia un
sintomo di una malattia organica e, quando si è in presenza anche di
ipocondria, non sono sufficienti le rassicurazioni da parte di medici e
psicologi. Il paziente si sente spesso incompreso circa l'enorme disagio e
molte volte non è a conoscenza di quanto in realtà sia diffuso, sentendosi così
solo con il proprio problema.
Quando la persona con attacchi di panico arriva dallo psicologo per una
consulenza psicologica al fine di stabilire le possibilità di intervento, lo
psicologo dovrà tenere conto delle soluzioni fino a quel momento adottate dal
soggetto per controllare o tentare di superare il disagio.
Lo psicologo dovrà ricordare che spesso la persona arriva in consulenza
soltanto quando sente 'di non farcela più' dopo cioè numerosi
tentativi di soluzione e dopo aver provato iter terapeutici soprattutto di tipo
farmacologico, chiedendo improvvisamente un intervento 'magico' in
cui in fondo non crede, altrimenti sarebbe arrivato all'inizio del problema.
L'attacco di panico è risolvibile con trattamenti sanitari sia di tipo
psicologico, in setting clinici di primo livello, sia di tipo psicoterapeutico.
La domanda che frequentemente pone il paziente è su come sia possibile che una
crisi così forte e debilitante, con manifestazioni neurovegetative importanti,
possa avere un'origine psicologica. Spesso infatti la crisi di panico si
presenta alla persona senza evidenti contenuti psicologici. Il fatto però è che
mente e corpo sono un tutt'uno, mai separati. Senza inoltrarci in una
disquisizione teorica, ricordiamo che non esiste una psicologia che non sia
fisiologia e viceversa. Sarà quindi necessario informare che
'mentale' non significa 'falso' o 'superficiale'
o 'banale' ma che la mente è una funzione del nostro organismo e come
tale ne influenza le attività.
Chi soffre di attacchi di panico non è 'pazzo', anche se può avere la
sensazione di impazzire. Il soggetto che abbia avuto uno o più attacchi di
panico riconosce sempre e soffre dei propri sintomi ed è da tale riconoscimento
che può nascere una spontanea richiesta di aiuto. Molti credo che chiedere
aiuto sia una sorta di sconfitta poiché si ritiene che sia necessario
'farcela da soli'. Questo è ciò che in genere peggiora la situazione,
fino alla cronicizzazione. Chiedere aiuto non significa non riuscire da soli,
ma esattamente l'opposto; significa essere consapevoli che esistono metodi di
cura e quindi, semplicemente, usufruirne. Spesso farcela da soli significa
informarsi e scegliere il professionista in grado di seguire il nostro
percorso. Come siamo riusciti a trovare soluzioni per molti problemi, allo
stato attuale, l'attacco di panico ha una delle più elevate possibilità di
essere risolto e, lo ribadiamo, in tempi piuttosto brevi con interventi di tipo
psicologico.
Molte persone invece, pur di non recarsi dallo psicologo, vivono per anni con
questo disturbo portando con sé un disagio intenso, accomnati anche da
enormi sensi di colpa, soprattutto nei riguardi di chi li circonda. L'attacco
di panico, come ogni altro disturbo, rappresenta un tentativo di adattamento
della persona che però sfocia in una sintomatologia non funzionale.
Se si desidera risolvere il problema la via regia è il trattamento psicologico
breve, mentre esiste un altro desiderio, che in psicologia emotocognitiva
definiamo 'desiderio disfunzionale' che è quello di volere vivere con
il problema. La scelta è ovviamente libera.
Ricordiamo che un problema esiste soltanto quando non troviamo le adeguate
soluzioni per risolverlo. Ora che siamo stati informati che una delle
principali soluzioni per l'attacco di panico è quella di rivolgersi ad uno
psicologo, sta a noi scegliere.
Molte persone scelgono la via della non soluzione e questo, che ad alcuni
potrebbe sembrare assurdo, ha un valore di adattamento quindi va rispettato.
Ovvero la persona che soffre ha almeno la certezza che può continuare a
soffrire, che può lamentarsi del problema e che quindi ha un motivo per far si
che gli altri non lo lascino solo a provvedere a se stesso, creando legami di
forte dipendenza.
La persona che sceglie la strada del non rivolgersi ad un psicologo ha spesso
paura dell'ignoto e dell'incertezza, teme quello che non conosce ovvero non sa
più come si fa a vivere senza il problema ed ha paura che se lo risolvesse
perderebbe l'amore, l'attaccamento, l'aiuto degli altri significativi.
Pur esistendo tipi di trattamento specifici per gli attacchi di panico occorre per lo psicologo valutare quale possa essere il più efficace e nel più breve tempo possibile per uno specifico paziente. Ecco che si rende necessario un processo di consulenza per finalità diagnostico-differenziali prima di procedere ad un qualsiasi trattamento.
Per concludere,
dall'esperienza clinica di questi anni con persone che hanno sofferto di crisi
d'ansia, sembrerebbe che gli attacchi di panico si generino come reazioni
inconsce a situazioni di pericolo 'attuali' che implichino la
possibilità di 'separazione' o di 'perdita'. Insorgono
spesso in periodi della vita in cui si presentano cambiamenti. Ad esempio dopo
la pubertà, in seguito a cambiamenti sociali, spostamenti importanti, paura di
divorzi e separazioni propri o di genitori e parenti, cambiamenti scolastici,
matrimoni, lutti, e sono molto frequenti negli studenti universitari fuori
sede, in altre parole in seguito ad incarichi di maggiore responsabilità e
perdita di un ambiente di sostegno. Raramente insorgono dopo i 45 anni, mentre
la fascia a rischio va dall'adolescenza fino ai 30-35 anni di età.
L'intervento psicologico quindi è una delle soluzioni attualmente più brevi ed
efficaci e l'aspettativa di risoluzione del problema è molto alta.
Vorrei però lasciare a tutti quelle persone che stanno convivendo con gli
attacchi di panico una domanda: cosa accadrebbe nella tua vita se un giorno non
avessi più gli attacchi di panico? cosa faresti che ora non fai?
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