psicologia |
Già verso la fine del secolo scorso il gioco è stato fatto oggetto di studio particolare da parte della psicologia infantile.
Nel periodo senso-motorio, che copre i primi due anni di vita dell'individuo, il gioco, secondo lo psicologo svizzero Piaget, è l'attività principale del bambino per lo sviluppo cognitivo e l'imitazione. Quest'ultima inizia come imitazione di suoni.
Il gioco inizialmente è gioco di esercizio. Piaget sostiene che nel progressivo adattamento del bambino all'ambiente, il gioco si verificherebbe tutte le volte che, avendo acquisito un'abilità o compiuto una scoperta, il bambino cerca di far aderire allo schema motorio o cognitivo appena acquisito oggetti nuovi, con il risultato di esercitare l'abilità e la scoperta stessa.
Questa impostazione teorica di base permette di spiegare il parallelismo esistente fra le caratteristiche che il gioco assume col progredire dell'età e le caratteristiche dei processi mentali di cui il bambino diviene via via capace, e quindi di distinguere varie fasi nell'evoluzione del gioco infantile: 1) dall'età di un anno a quella dei diciotto mesi è il periodo del gioco percettivo motorio puro: prendere gli oggetti, batterli l'uno contro l'altro, disporli l'uno sull'altro, gettarli ecc. sono attività che rafforzano nel bambino il senso di sicurezza nelle proprie capacità di modificare l'ambiente; 2) verso i diciotto mesi al gioco percettivo-motorio, si affianca il "gioco simbolico".
Gli oggetti vengono considerati come simboli di altri oggetti non presenti. Così il bambino esercita la capacità di immaginare realtà non presenti; 3) un importante progresso si verifica quando i giochi simbolici, dapprima individuali, assumono il carattere di "giochi sociali" richiedono la collaborazione di più bambini; 4) dai 7-8 anni si assiste allo svolgimento di "giochi con regole"; 5) alcuni giochi con regole richiedono poi un tipo di pensiero più evoluto, che si sviluppa a partire dagli 11-l2 anni, e implica la capacità di immaginare con facilità situazioni ipotetiche.
Dai 2 ai 7 anni il pensiero è essenzialmente "egocentrico": il bambino riporta tutto al suo punto di vista.
Testimoniano l'egocentrismo: 1) l'animismo: egli pensa che gli oggetti in movimento vivano come lui. Il bambino rappresenta il sole con il naso, la bocca e gli occhi; 2) il finalismo egli pensa che tutto ha un fine, la notte esiste perchè lui deve andare a dormire; 3) l'artificialismo, il bambino concepisce il mondo come creazione dell'uomo: tutto ciò che esiste in natura è fatto dall'uomo.
Con il passare degli anni nell'individuo prevalgono le attività di pensiero e di riflessione. Il gioco è, quindi, un modo di essere per il bambino. Nelle situazioni più strane, anche drammatiche, il bambino gioca, come se questa attività fosse per lui un modo di essere necessario.
La caratteristica della necessità del gioco è evidente; quando il bambino è infatti impedito nel gioco per delle ragioni fisiche o psicofisiche, manifesta dispiacere e questa impossibilità a giocare si rivela essere una carenza fondamentale.
Attraverso l'osservazione del
gioco si possono cogliere aspetti fondamentali della personalità del bambino:
da quelli dello sviluppo cognitivo a quelli dello sviluppo affettivo e della
socialità.
Piaget , a cui va il merito, tra l'altro, di aver considerato fondamentali, per
lo sviluppo cognitivo, i primi comportamenti di gioco, dice che già attraverso
le attività di esplorazione, manipolazione, sperimentazione, inizialmente del
suo corpo e poi degli oggetti esterni, il bambino apprende a coordinare le sue
azioni con le proprie percezioni, a capire le prime connessioni causali.
Piaget chiama questo tipo di giochi "giochi di esercizio": attraverso questi il bambino insieme si diverte e consolida ciò che apprende.
L'attività del gioco appare inoltre come un'attività privilegiata del bambino nella veglia e per questa prima fase della vita del bambino si potrebbe dire, modificando una frase di Freud sul "sogno guardiano del sonno", che il gioco è il "guardiano della veglia" in assenza della madre.
Quello che noi chiamiamo gioco è quindi per il bambino piccolo, di pochi mesi, molto più di un semplice divertimento: è manifestazione d'affetto, avventura, scoperta di sé, esplorazione del mondo.
Il gioco è un modo di porsi in relazione con l'adulto ed esprime il modo che ha il bambino di acquisire una certa autonomia.
Il gioco dunque costituisce una tappa fondamentale dello sviluppo globale della personalità del bambino e quindi va stimolato, consentito, valorizzato.
Infatti attraverso il gioco il bambino esprime le proprie emozioni, i propri stati d'animo, il proprio modo di vivere il rapporto con se stesso e con gli altri.
D'altra parte il gioco costituisce il mezzo più immediato e naturale per sviluppare la manualità, la fantasia, la capacità di analisi e quindi l'apprendimento, il pensiero logico ed il ragionamento astratto.
Perciò chi sta accanto al bambino deve selezionare con cura il materiale da offrirgli: giocattoli o materiale di vario tipo devono servire da stimolo per uno sviluppo psicofisico armonioso e rispondente all'ambiente socio-culturale in cui egli vive.
I giocattoli devono essere per il bambino il mezzo per soddisfare l'esigenza di creare, di conoscere, di imitare, di imparare a stare con gli altri.
Non è il caso, quindi, di offrire troppi giocattoli e tutti insieme, mentre è indispensabile cercare di adottare i giocattoli alle varie età senza precorrere i tempi né ritardare le possibilità creative con giochi insignificanti o troppo semplici.
L'esigenza creativa del bambino è perciò stimolata moltissimo dalle costruzioni o anche da oggetti qualunque che offrono infinite possibilità di interpretazione e di uso, mentre bisogna fare attenzione ai giocattoli sofisticati che bloccano l'iniziativa e impoveriscono la fantasia, i quali spesso soddisfano i desideri dei genitori o adulti e non quelli dei bambini.
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