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La camera chiara
Ciò che la fotografia riproduce all'infinito ha avuto luogo una sola volta, essa ripete in modo meccanico ciò che in realtà non potrà mai ripetersi Tuttavia si tende sempre ad identificare la foto con il soggetto, la foto non si distingue mai dal referente (ciò che rappresenta) o non se ne distingue subito o per tutti. Cogliere il significante (segno linguistico) richiede una riflessione, una certa sapienza. La fotografia ha in se qualcosa di tautologico (ripete in modi diversi lo stesso concetto), e porta e porta sempre con se il suo referente, in una sorta di inseparabilità. Qualunque cosa la foto rappresenti è invisibile, poiché ciò che noi vediamo non è la foto ma il referente;questo fa si che sussista la difficoltà di mettere a fuoco la Fotografia. Per ciò che riguarda l'interpretazione sociologica della fotografia è necessaria una cultura. Secondo Barthes una foto può essere l'oggetto di tre pratiche: fare ovvero scattare la foto, in tal caso agisce il fotografo Operator ; subire ovvero essere l'oggetto fotografico, in questo caso entra in gioco il referente, colui che viene fotografato Spectrum ; e guardare, caratteristica di chi osserva la foto lo Spectator. Nella fotografia c'è poi il ritorno del morto, ovvero sia di qualcosa che al momento dell'osservazione della fotografia non c'è più. La fotografia sta nel punto d'incontro di due diversi procedimenti:
Di ordine chimico: è l'azione della luce su certe sostanze chimiche, secondo Barthes la rivelazione chimica dell'oggetto dava origine alla fotografia quale è per lo spectator;
Di ordine fisico: è la formazione dell'immagine attraverso un dispositivo ottico (foro stenopico attraverso il quale il fotografo inquadra e pone in prospettiva ciò che vuol cogliere, questa è secondo Barthes la visione che aveva della fotografia l'operator.
Barthes dice che il soggetto fotografato, nel momento in cui sa di esserlo si trasforma nella sua immagine mettendosi in posa, ragion per cui la Fotografia, attraverso questa trasformazione attiva, crea o mortifica il corpo fotografato. La fotografia condanna il soggetto ad avere un'espressione, dando un immagine all'io fotografato che talvolta non coincide. La fotografia diventa un oggetto atto all'autoscopia, si è di fronte ad una dissociazione della coscienza d'identità. La Fotografia trasforma il soggetto in oggetto, e ciò nel 1840 era una sofferenza poiché affinché le lastre dei primi ritratti (dagherrotipi) s'impressionassero bisognava che il soggetto si sottoponesse a lunghe pose sotto una vetrata in pieno sole. Davanti all'obiettivo, Barthes dice di essere: quello che crede di essere, quello che il fotografo crede che egli sia, e quello di cui il fotografo si serve per sfoggiare la sua arte. Il soggetto fotografato non smette di imitarsi, ogni volta che si fa fotografare avverte un senso di in autenticità. "La Fotografia rappresenta quel momento in cui sono un soggetto che si sente diventare oggetto" questa è la micro esperienza delle morte, il soggetto diventa uno spettro (fotografia - imbalsamazione). I fotografi ricorrevano a moli trucchi per rendere viva la fotografia, per far si che non sia morte, ma il soggetto sa che sta per diventare un oggetto e non oppone resistenza al potere mortifero della macchina fotografica. Barthes dice di essersi riconosciuto, un giorno, nella fotografia scattata da una fotografa che aveva saputo cogliere in lui la tristezza di un lutto recente, tuttavia più tardi la stessa foto era stata utilizzata senza pudore da un giornale che aveva disinteriorizzato il volto di Barthes dell'immagine, ciò dimostra che utilizzata in circostanze erronee la fotografia perde il significato originario dell'attimo in cui è stata scattata. Ciò che Barthes ricon0osce in quella foto è la morte: la morte è l'idea, forma di tale foto. Dopo essersi interrogato quale spectrum Barthes comincia ad interrogarsi sulla fotografia ora da spectator, osservando alcune foto raccolte in album o riviste, e che erano passate attraverso il filtro della cultura constata che alcune foto provocavano qualcosa in lui, altre lo lasciavano indifferente. Inizialmente cominciò a pensare che fosse un dato fotografo a suscitare in lui un emozione, ma si accorse presto che solo alcune foto di uno stesso fotografo lo affascinavano, non era quindi dello stile dell'operator che attraeva la sua attenzione su dette foto. Ragioni differenti possono indurre lo spectator ad un agitazione interiore dinnanzi ad una fotografia: si può desiderare l'oggetto rappresentato; amare o aver amato l'essere che ci fa riconoscere la foto; restare meravigliati da ciò che si vede; ammirare o mettere in discussione la prova del fotografo. Barthes vuol capire cosa fa scattare quell'istinto in lui quando guarda tali foto. La tale foto non è ammirata, ma anima lo spectator, l'attrattiva che la fa esistere è un'animazione. Barthes vuole definire un'essenza della fotografia ( i sui tratti tipici e invariati mediante i quali appare), ma comincia a pensare che si trattasse solo di qualcosa di casuale, singolare per cui la Fotografia è debole nella sua esistenza (sotto il profilo fenomenologia). Barthes tende perciò a ridurre la foto all'affetto, egli dice di scorgere nella fotografia essenze materiali (fisiche, chimiche) e settoriali (ovvero che si intrecciano con la cultura "storia" e "sociologia") ma al momento di pervenire alla fotografia in modo generico non riesce a seguire la strada dell'ontologia formale, tenendo invece con se i sentimenti suscitati dalla foto in se: tristezza, desiderio. S'interessa quindi alla fotografia solo per sentimento.
Totalità d'immagine nella foto
L'immagine fotografica è piena, non vi si può aggiungere nient'altro. Nel cinema la foto non ha però questa completezza, perché la foto presa in un flusso è trascinata verso altre visioni come sospinta. Nel cinema vi è sempre un referente fotografico, ma sfugge, non reclama la propria esistenza (passata attraverso le immagini precedenti). Come il mondo reale il cinema è sorretto dalla presunzione che l'esperienza continuerà a fluire mentre la fotografia arresta questo flusso d'immagine e diventa malinconica (perciò patetica) dalla presentazione dell'immagine si passa alla ritenzione (arresto) della stessa, non v'è soluzione di continuità. In una fotografia lo sguardo non vaga poiché la foto possiede una finitezza dell'immagine, perciò nonostante i suoi codici non si può leggere una foto: la fotografia è senza cultura quando è dolorosa. Nulla può trasformare l'afflizione in lutto, la morte non può contemplarsi rispecchiarsi e interiorizzarsi, qualsiasi purificazione catarsi è esclusa. Nella fotografia l'immobilizzazione del tempo si manifesta in modo eccessivo : il tempo è ostruito, bloccato. La foto è moderna ma in lei vi è qualcosa di enigmatica inattualità (l'arresto del flusso), l'essenza stessa di una fermata. La fotografia è violenta non perché mostra delle violenze, ma perché riempie di forza la vista e perché in essa nulla può sottrarsi e neanche trasformarsi.
Ciò che costituisce la natura fotografica è la posa, che non è un atteggiamento della cosa fotografata o una tecnica dell'operator, bensì il termine di un intenzione di lettura (l'impressione di se che si vuol dare allo spectator che guarderà la foto) : guardando una foto includiamo nello sguardo il pensiero dell'istante in cui è stata scattata, per quanto breve sia stato, una cosa reale si è trovata ferma davanti all'obiettivo per cui io trasferisco l'immobilità presente della foto, sulla registrazione passata dell'attimo in cui è stata scattata, ed è questa sospensione che costituisce la posa (sospensione passato - presente). Nella foto qualcosa si è posto dinnanzi all'obiettivo e vi è rimasto per sempre; nel cinema invece qualcosa è passato davanti all'obiettivo ma la posa viene travolta e negata in continuazione dal susseguirsi delle immagini: è un arte che deriva dalla prima. Il tratto inimitabile della fotografia (il suo noema) è che qualcuno ha visto il referente (è stato). La fotografia è nata come un arte della persona: della sua identità, dal mantenere le distanze del corpo (distanziarsi da esso), anche qui il cinema differisce dalla fotografia. Il cinema mescola due pose: lo "è stato" dell'attore in quanto persona viva, e quella del suo ruolo. Osservando film di attori che sono morti si prova una certa malinconia quale è quella della fotografia. La fotografia può essere talvolta testimonianza (schiavo- schiavitù), attestare qualcosa di storico non attraverso testimonianze storiche ma attraverso un ordine nuovo di prove, senza mediazione verbale alcuna si va incontro ad una presentazione diretta della realtà. La foto è un emanazione del referente: "da un corpo reale che era la, sono partiti dei raggi che raggiungono l'osservatore (processo chimico) è una luce che emana. La fotografia ha qualcosa a che vedere con la resurrezione (sindone) è il contatto di un corpo con un qualcosa che anche nella sua assenza testimonierà la sua presenza.
La data fa parte di una foto perché induce a far mente locale, a considerare la vita, la morte, l'inesorabile estinguersi delle generazioni, in breve il fluire del tempo. Pone una presenza non solo di ordine politico, ma anche di ordine metafisico (è stato presente in quell'assetto politico e si è evoluto).
"appunto perché si trattava di una fotografia non potevo negare che ero stato la, esso è autentificazione, - (attesta la presenza in un dato luogo e in determinato momento) - non può mentire sull'esistenza della cosa o del fatto. Ogni fotografia è un certificato di presenza."
R. Barthes "La camera chiara"
La fotografia è senza cultura, produce la morte volendo conservare la vita, blocca il flusso del tempo della vita, è l'irruzione nella società di una morte asimbolica, la vita e la morte tutto in un semplice scatto. A questa prima morte è iscritta la seconda vera e propria morte, tra le due morti solo un attesa. Oltre al particolare (che colpisce) esiste un altro punctum che non è più forma ma tempo, la sua rafurazione più pura. La foto di qualcuno che sappiamo dovrà morire, ci da il passato della posa e il futuro della morte (entelechia). Questo punctum si legge appieno nella fotografia storica: in essa vi è sempre una compressione di tempo "è morto - sta per morire".
Se una foto piace si guarda, si scruta come se si volesse di più sul referente, cercando di ingrandirne i tratti, vederli meglio, capirli, conoscerne la verità. Ma componendo, ingrandendo si ha la folle speranza di scoprire la verità, ma è tutta un illusione; infatti penetrando in profondità non si viene a capo ad alcuna verità, è la grana della carta che si ingrandisce, mentre l'immagine si disfa, perciò l'unico sapere che da la foto è che ciò "è stato" effettivamente. La foto non nasconde ma non parla, non sa dire ciò che da a vedere. La somiglianza è una conformità ad un identità, si può arrivare a dire che una foto è somigliante anche se non si conosce il modello poiché è conforme a ciò che loro hanno identificato in vita, il valore che hanno espresso nella loro esperienza di vita. Per cui barthes trova la somiglianza della madre (che rimanda all'identità della donna) in una foto che non le assomiglia fisicamente, poiché è di una bambina che lui non ha conosciuto, tuttavia presenta l'essenza della donna (entelechia), il valore che essa ha sempre espresso:la dolcezza. Il volto ha un aria che è la cosa che si trasmette dal corpo all'anima (espressione individuale);al di fuori della somiglianza (satori: emozione che si trasmette attraverso un atto breve). L'aria è l'espressione della verità come supplemento intrattabile dell'identità. Quando la foto rivela l'anima, la persona rappresentata non è separata da se stessa: coincide. L'aria è qualcosa di morale che apporta al volto il riflesso di un valore di vita. E' un ombra luminosa che accomna il corpo, e se la foto non da 1uest'aria, il corpo va avanti senza ombra, e dato che quest'ultima è stata separata dal corpo siamo dinnanzi ad un corpo sterile, il soggetto muore per sempre. Lo sguardo sembra essere trattenuto da qualcosa di interiore. Trattenere dentro di se l'amore, la paura questo è lo sguardo. La fotografia offre qualcosa di inerte e tuttavia disponibile, di offerto. Una fotografia può suscitare due sentimenti: amore e pietà. L'estasi fotografica è il realismo assoluto, una foto che suscita amore e pietà descrivendo il tempo.
L'identità: apparenza
Verità: essenza
L'interesse per la fotografia assunse per Barthes una coloritura culturale. Cogliere il significante fotografico richiede un atto secondo di sapere o di riflessione. Una foto è sempre invisibile ciò che vediamo è il suo referente. Nel formulare la sua tesi sulla fotografia Barthes si sentiva sballottato tra due linguaggi, uno espressivo (sociologico) l'altro critico (tecnico). La fotografia sta nel punto d'incontro di due procedimenti:
di ordine chimico, è l'azione della luce su determinate sostanze;
di ordine fisico:è la formazione dell'immagine attraverso un dispositivo ottico.
Appena si sa di essere fotografati ci si mette in posa, ci si fabbrica cioè un altro corpo, trasformandosi in immagine. La fotografia condanna ad avere sempre un'espressione, ecco che spesso l'immagine non coincide con l'io del referente dice Barthes, creando per il soggetto della fotografia la sensazione di in autenticità.
" Il capolinea del tram a cavalli: New York.
L'animazione: la fotografia non è affatto animata ma anima lo spectator
Ciò che attira Barthes della fotografia non è il generico, ovvero l'ontologia formale (la forma della foto) ma quello sentimentale affettivo egli è interessato alla fotografia solo per il sentimento. L'essenza della foto per Barthes non poteva essere separata dal pathos di cui essa era fatta, come spectator Barthes s'interessa alla fotografia solo per sentimento.
" L'esercito pattuglia le strade. Nicaragua
Studium: interesse generico educato , sorta di educazione che consente allo spectator di comprendere l'operator
Punctum: interesse per un particolare non di tipo culturale per una data foto
"Il I° maggio a Mosca" di William Klein permette a Barthes di accedere ad un infrasapere: come vestono i russi.
Biografema: caratteristica, aspetto di una tale fotografia che porta ad una certa conoscenza di valenza empirica di qualcosa.
Non è attraverso la pittura che la fotografia perviene all'arte bensì attraverso il teatro, ne è un esempio il diorama, una forma di spettacolo teatrale dell'800 costituita da vedute di ampie dimensioni che illuminate con artifici donano agli spettatori nell'oscurità l'illusione di trovarsi di fronte ad un panorama reale.
Lo shock fotografico consiste nel rivelare ciò che era così ben nascosto, che il referente stesso ignorava o di cui non era consapevole. Dal momento che la foto è contingenza (casuale), la fotografia può significare solo assumendo una maschera, facendo di un volto il prodotto di una società e della sua storia. La maschera è il senso, in quanto è assolutamente puro. Quando il senso di una foto è troppo impresso allora viene alterata, la si consuma esteticamente e non politicamente. I nazisti censurarono Sander perché i suoi volti del tempo non corrispondevano all'archetipo nazista della razza, parlavano troppo ed erano considerate pericolose. A tal proposito meglio delle foto che non avessero alcun senso, in modo che non inducessero a pensare e quindi non risultassero sovversive.
Lo studium, secondo Barthes, da vita ad un tipo di foto molto diffuso: la fotografia unaria che si ha quando si trasforma la "realtà" senza sdoppiarla o farla vacillare; questo tipo di fotografia gli risulta banale, è semplice senza accessori inutili, ricerca l'unità (del senso), possono rappresentare un esempio di tale fotografia le foto di reportage o quelle pornografiche; in queste foto non v'è uno shock, un punctum non un particolare che ne interrompe la lettura.
Il particolare (punctum) viene fornito senza scopo, non è una composizione di natura logico creativa.
Il punctum è un particolare non intenzionale che si trova nel campo della cosa fotografata come supplemento, non programmato nella composizione, catturato senza volontà dal fotografo, un dettaglio che sconvolge tutta la lettura. Il punctum è un supplemento, è ciò che io da spectator aggiungo alla foto, e che tuttavia è già nella foto. Mentre invece nel cinema non è possibile aggiungere qualcosa all'immagine, non c'è il tempo per individuare un punctum, nessuna pensosità ecco perché Barthes privilegia il fotogramma (immagine singola).
Il punctum distoglie da ogni cultura o sapere. Lo studium è invece codificato, può essere definito.
La fotografia del Giardino d'inverno fornisce a Barthes ciò che lui stava cercando di sua madre, un entelechia, chi era stata in vita. La foto aveva trasformato la posa fotografica in quell'insostenibile paradosso che lei aveva sostenuto per tutta la vita: l'affermazione di una dolcezza.
Barthes non voleva ridurre il soggetto (fotografico) di sua madre in socius. Ogni foto poteva essere banale (ciò che tutti vedono in una foto e sanno) o singolare (con lo slancio di un emozione che appartiene solo a colui che percepisce in quella foto qualcosa in più: l'amore).
Soggetto: sua madre
Socius: la madre nel senso più generale del termine
Referente fotografico: ciò che è stato posto dinnanzi all'obiettivo senza cui non vi sarebbe fotografia alcuna.
Noema: caratteristica inimitabile della fotografia, la cosa fotografata è stata la, si è trovata là.
Fotografia e Cinema
Ciò che Barthes intenzionalizza in una foto non è l'Arte, ne la Comunicazione ma la Referenza, che è l'ordine fondatore della fotografia.
La posa è il termine di un intenzione di lettura (l'immagine o l'impressione che in referente vuol dare di se, o che l'operator vuole creare della fotografia). Io da spectator trasferisco l'immobilità della foto presente sulla registrazione passata (al momento dello scatto), ed è questa sospensione di tempo che costituisce la posa.
Nel cinema la posa viene continuamente confusa, negata dal continuo conseguirsi delle immagini. Il tratto inimitabile della fotografia (il suo noema: è stato) è che qualcuno ha visto il referente. Il cinema mescola due pose: lo è stato dell'attore, e quello del personaggio. Guardando un film di attore morto si prova una certa malinconia: la malinconia della fotografia.
La totalità d'immagine che si ha in una foto viene sostituita in un romanzo con la scarsità d'immagine; ciò costituisce nel romanzo che cattura (piace) un immagine mentale più amplia con possibilità di aggiungervi con l'immaginazione elementi nuovi, mentre la foto è piena non vi si può aggiungere altro. Il cinema non ha questa completezza poiché vi si possono aggiungere altri fotogrammi in qualsiasi momento tramite montaggio, e l'esperienza continuerà a fluire.
Il fotografo è un agente della morte, la fotografia è l'immagine che produce la morte volendo conservare la vita. Con la fotografia si entra nella morte piatta, all'estremità di questa prima morte è iscritta la morte vera e propria, tra le due morti solo un attesa. La foto condivide la sorte della carta: è deperibile, l'attimo è fissato su supporti più solidi ma pur sempre mortali; come un organismo vivente tale supporto nasce, fiorisce, invecchia, si attenua e poi svanisce. Le società passate facevano in modo che il ricordo, sostituto della vita, fosse eterno e che almeno la cosa che esprimeva la morte, il monumento, fosse immortale. Ma la società moderna facendo della fotografia testimone principale ha rinunciato al monumento. La fotografia è si una testimonianza sicura ma è effimera.
Barthes inizialmente crede di poter distinguere lo studium, campo d'interesse culturale, dal punctum, straniamento imprevisto che attraversa tale campo; successivamente individua un nuovo punctum che non è più di forma, ma d'intensità ed è il Tempo, la rafurazione più pura del noema è stato.
"Ritratto di Levis Payne" 1865 di Alexander Gardner
La foto rafura il soggetto in una cella, dove attende la sua impiccagione per aver tentato di assassinare il segretario di Stato americano Seward. Ciò che Barthes dice di vedere assieme allo studium (ne conosce la sorte) è il punctum: sta per morire. La foto è bella ma lui legge allo stesso tempo questo è stato questo sarà (è stato fotografato nella sua cella, morirà). Dando il passato della posa la fotografia dice la morte al futuro. Questo punctum si legge appieno nella fotografia storica: in essa vi è sempre una compressione di tempo (è morto, sta per morire).
Il fatto di vedere fotografata una cosa, un oggetto non tira in ballo la realtà, ma se si tratta di un volto di una persona amata, dal momento che la fotografia autentifica l'esistenza della tale persona lo spectator vuole ritrovarla globalmente, in essenza, al di là della semplice somiglianza. E' un desiderio folle che può corrispondere solo attraverso l'aria.
L'aria è l'espressione della verità, è come il supplemento intrattabile dell'identità, esprime il soggetto. Su questa foto di verità la persona amata non è separata da se stessa: finalmente coincide, resta un anima. Forse l'aria è qualcosa di morale che apporta al volto il riflesso di un valore di vita, è un ombra luminosa che accomna il corpo che se ne viene separato diventa sterile e il soggetto muore per sempre.
Lo sguardo sembra essere trattenuto da qualcosa d'interiore (paura, amore) ecco lo sguardo è questo. Mentre nel cinema nessuno dei protagonisti del film guarda mai lo spectator (è proibito) la foto può guardarci dritto negli occhi: sguardo fotografico.
Come si può avere l'aria intelligente senza pensare a nulla di intelligente? Barthes dice che il referente volendo dar un impressione di se intelligente assume un aria pensierosa, in realtà però non sta pensando a nulla di intelligente: noesi (qualcosa di caratteristico senza tratto caratteristico) senza noema, un atto di pensiero senza pensiero.
Lo sguardo è sempre virtualmente pazzo: è al tempo stesso effetto di verità ed effetto di follia. Il destino della fotografia sarebbe questo: crea la confusione tra realtà e verità, porta l'immagine (efe) a quel punto di follia in cui l'affetto è garante dell'essere.
La fotografia si avvicina alla follia, raggiunge la verità folle (quella verità che è per me non è per nessun altro, la vedo io perché sono vicino a quella persona o situazione).
Immagine folle velata di reale: falsa a livello di percezione (uno sguardo intelligente percepito da chi osserva la tale foto, senza pensare a nulla di intelligente interpretato dal referente) vera a livello di tempo (è stato). Le immagini che avevano punto Barthes lo facevano andare oltre all'irrealtà della cosa rafurata, facendolo entrare nello spettacolo, nell'immagine partecipandovi al punto da provarne Pietà per ciò che sta per morire.
La fotografia può essere savia se il suo realismo resta relativo, temperato da abitudini estetiche o empiriche (generalizzando la fotografia si ottiene ciò); è pazza se questo realismo è assoluto, originale (personale) se riporta alla coscienza amorosa che investe il corso della cosa, questa è l'ecstasi fotografica (la vedo solo io che sono vicino sentimentalmente all'immagine).
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