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SHOPPING COMPULSIVO (di Roberto pani e Roberta biolcati)
La nostra ipotesi è che lo shopping compulsivo si presenti come una condotta psicologica, un sintomo sociale sempre più frequente e che pertanto meriti un'attenzione pari ad altri disturbi presenti in quadri psicopatologici studiati già da qualche tempo. Lo shopping compulsivo è stato, infatti, ampiamente trascurato e sottovalutato dalla psichiatria moderna. Con tale termine gli autori si riferiscono ad un tipo inappropriato di comportamento di consumo, eccessivo in se stesso, chiaramente disturbanti per l'esistenza degli individui che ne sono affetti. Viene definito l'impulso a comprare come una forte, a volte irresistibile spinta, una subitanea tendenza ad agire senza riflessione che, una volta scatenata, diviene incoercibile (impulso a comprare nel qui e ora). La perdita di controllo, derivante dalla spinta a comprare più di quanto sia necessario o ci si possa permettere, è seguita da depressione, disillusione, vergogna e senso di colpa. Lo shopping compulsivo è visto come un tentativo di regolare gli affetti, come un rimedio contro il senso di vuoto e la depressione. I beni di consumo non vengono acquistati perché necessari, perché rappresentano delle vere occasioni o per un intrinseco bisogno dell'oggetto di per se stesso; lo shopping compulsivo è primariamente, un tentativo di regolare gli affetti, è la manifestazione sintomatica di un conflitto interiore o di una problematica esistenziale. Nella vita di tutti i giorni, il consumo è ormai considerato un comportamento rituale essenziale, pervasivo e onnipresente. L'azione rituale, un conformarsi ad un copione stereotipato e un agire in conformità a tale copione prescritto, è considerata intrinsecamente gratificante. Da qui deriva il potenziale patogeno dell'attività dell'acquistare beni di consumo, se considerata in quest'accezione. Quelle relative al genere e all'età dell'acquirente compulsivo tipo sono state due questioni poco discusse in letteratura, anche se si tende a considerare lo shopping compulsivo come una tipica problematica femminile e si ritiene che i consumatori compulsivi sono più giovani rispetto alla media dei normali consumatori. Per spiegare questo disequilibrio si può argomentare che le donne sono, in generale, più esposte alle informazioni sui prodotti di consumo e più inclini, per natura, a chiedere aiuto per problemi personali (certamente questa non è l'unica spiegazione possibile). Le donne hanno appreso a risolvere i loro problemi in modo socialmente desiderabile e lo shopping è incoraggiato dalla società odierna (agli uomini più si confanno reazioni eccessive di collera come sfogo personale). L'età media stimata d'insorgenza è di 17.5 anni ma la presa di coscienza del problema, generalmente, sopraggiunge in età più tarda, circa un decennio dopo. La comprensione della gravità del disagio si verifica secondariamente, a causa dei debiti intercorsi, dell'incapacità a arli, a seguito del feedback delle conoscenze, per l'impossibilità a fronteggiare problemi legali, criminali, senso di colpa o per molte altre ragioni, come l'eccessiva quantità di tempo utilizzata per lo shopping o, semplicemente, l'incapacità materiale di indossare tutto ciò che si è comprato.I generi maggiormente acquistati sono vestiti, scarpe, gioielli, oggetti per il make-up, articoli per la casa e libri per quanto riguarda le donne; oggetti per l'auto, attrezzatura sportiva, articoli costosi che ostentino il loro prestigio per gli uomini. I prodotti legati allo shopping compulsivo sembrano essere, quindi, principalmente legati all'apparenza fisica, all'attrattività e all'immagine esteriore (la maggior parte degli oggetti comprati viene inoltre utilizzata in minima parte). L'impulso a comprare è inatteso, sorge spontaneamente e costringe l'individuo a fare acquisti. Tale impulso può diventare totalmente coinvolgente e pervasivo. I soggetti, inoltre, variano nel grado in cui descrivono l'impulso a comprare come fonte d'eccitazione personale, di piacere e rilassamento. Alcuni soggetti interrogati sulle sensazioni corporee, hanno parlato di vibrazioni, di calore, di vampate, come di un'energia che si diffonde. Come alcune droghe, il comprare funziona da stimolante che fronteggia la noia del vivere; si tratta di una sorta di droga universale. Tutti gli autori concordano che, una volta conclusa l'attività, sono i sentimenti negativi ad avere la meglio e la depressione e il senso di colpa, misto a vergogna, emergono violentemente a sconvolgere nuovamente la vita di questi individui. Metaforicamente, anche quando gli armadi sono pieni, il vuoto rimane. L'abitudine protratta, la dipendenza patologica o la dipendenza da sostanze stupefacenti e alcol possono segnare masochisticamente per l'individuo un sentiero costellato da abitudini patologiche (fumo, bottiglie, siringhe, cibo, shopping, persone da cui si dipende, situazioni trasgressive e perverse). Tale percorso, in mancanza d'altre alternative, finisce per fornire certezza proprio per la ripetitività della dipendenza, cioè nel circolo vizioso che, per quanto sconveniente, doloroso e a dir poco disagevole, sembra preferibile piuttosto che muoversi nel terreno psicologico del vuoto e dell'incerto. Il meccanismo di difesa dell'io più evidente risulta essere l'annullamento retroattivo; infatti, ciascun acquisto compulsivo viene annullato dalla sua carica angosciante nel momento in cui se ne metta in atto uno successivo, fino a creare un circolo vizioso in cui il tentativo di sanare un'angoscia, ne crea un'altra immediatamente conseguente. La scissione, sempre intesa come meccanismo di difesa dell'io, completa l'opera di distacco ed estraniazione da un comportamento vissuto come negativo e permette il temporaneo ed effimero sollievo nell'atto di comprare. Lo shopping compulsivo è, quindi, considerato un rimedio per ovviare a deficit di sviluppo ed ha, pertanto, le sue radici negli stadi più precoci dell'età evolutiva individuale. Quindi sembra che, tra le molteplici cause psicologiche, sia possibile considerare lo shopping compulsivo come una manifestazione esteriore di un profondo conflitto, derivante da esperienze infantili inadeguate e mai elaborate. L'acquisto compulsivo d'oggetti equivale alla fantasia di riparazione di un desiderio infantile represso, che può essere cosi soddisfatto in modo socialmente accettabile (per di più, i vestiti ed i gioielli sono inanimati e, pertanto, non possono mai respingere ne deludere al contrario dell'amore genitoriale). Il disturbo di base è definibile come la mancanza di un'immagine di se stabile quindi un'integrazione mente-corpo insufficiente. Molti individui, con tale sintomatologia, sono stati deprivati dal punto di vista affettivo e forse troppo accuditi sul versante più materialista. Il loro, quindi, è un tentativo costante e caparbio di compensare e restaurare questo deficit di base. Molte volte una persona che agisce un comportamento sintomatico o patologico, come l'atto di comprare compulsivamente, crede di non avere scelta, pensa che esso sia il prodotto di un impulso irresistibile, non scatenato da bisogni interni. In sostanza, i compulsive shoppers si sentono disapprovati, negletti, e disprezzati nella loro identità. Da qui deriva il senso di disintegrazione del sé o, comunque, una certa difficoltà ad integrare parti buone e cattive del proprio mondo interno. Se lo shopping compulsivo rappresenta una delle tante manifestazioni di un disagio del vivere derivante dalle più svariate esperienze, si può capire l'estrema difficoltà del rintracciare le cause di esso; difficilmente un singolo fattore potrebbe fornire spiegazioni esaustive. Nell'attuale società, il valore centrale assunto dall'immaginazione ed i sentimenti d'isolamento e di vuoto hanno prodotto un tipo d'individuo profondamente antisociale nel proprio intimo, per il quale il diritto di realizzazione di sé è divenuto prioritario. I mezzi di comunicazione di massa gli forniscono, poi, una molteplicità di modelli comportamentali vincenti in cui identificarsi per non rischiare di essere classificato perdente. Un comportamento diviene problematico quando determina un danno significativo alla persona coinvolta direttamente o ad altri individui toccati indirettamente. Una caratteristica peculiare del disturbo sta nel fatto che, inizialmente, esso non venga riconosciuto come tale; il fatto che sia un comportamento ritenuto, unanimemente, normale rafforza quest'indifferenza iniziale o mancata consapevolezza delle conseguenze. Valutare il possibile legame tra lo shopping compulsivo ed altre forme di disturbo psicologico non significa che il compulsive shopper sia necessariamente a rischio di incorrere in altre patologie (anche se sembra essere più vulnerabile), ma soltanto che è possibile che le diverse manifestazioni sintomatiche condividano cause comuni. I problemi finanziari vanno ad influire sulla vita familiare, creando altrettanti disagi matrimoniali, rotture di legami e, non ultime, conseguenze lavorative. Tutte queste conseguenze poi, si sommano fino a diventare solitudine ed isolamento. Proprio perché lo shopping compulsivo, determina problemi personali, interpersonali, familiari, finanziari, sociali ed esistenziali che deve essere, a buon diritto, classificato come un disturbo mentale. Oltre al colloquio clinico, all'osservazione diretta del paziente, all'esame di questionari ed interviste autoriportati, profilassi comune nella valutazione diagnostica delle malattie mentali, è necessaria l'elaborazione di un test clinico specifico per lo shopping compulsivo. Considerando le caratteristiche di base dei Disturbi del Controllo degli Impulsi, quali comportamento problematico e ripetitivo, impulso e tensione crescenti prima del comportamento, diminuzione della tensione e gratificazione dopo l'attività, lo shopping compulsivo sembra, a buon diritto, rientrare in questa categoria diagnostica. Lo shopping compulsivo potrebbe ire tra i Disturbi del Controllo degli Impulsi Non Classificati Altrove nel DSM-IV. La classe comprende: disturbo esplosivo intermittente, cleptomania, piromania, gioco d'azzardo patologico, tricotillomania, e Disturbo del Controllo degli Impulsi Non Altrimenti Specificato (NAS). Orientare l'individuo verso una psicoterapia espressiva presuppone alcune considerazioni e sono necessarie particolari condizioni, cioè che l'individuo disponga almeno di:
-Insight, capacità introspettive, vale a dire d'autoriconoscimento del proprio mondo interno e del suo funzionamento; egli deve essere in grado di dialogare con i propri interlocutori, percepiti dentro di sé e non sperimentati come proiettati all'esterno.
-Tolleranza alla frustrazione, nel senso che il setting, cioè la situazione prevista all'interno della quale paziente e psicoterapeuta s'incontrano, può contenere elementi gratificanti, misti anche ad elementi che non paiono tali al soggetto. Inoltre, durante il processo psicoterapeutico, lo psicoterapeuta che è responsabile della cura, lavora con il paziente non per assumersi la parte che nella vita spetta a quest'ultimo, ma affinché esso diventi in grado di assumersela a tutti gli effetti come protagonista del proprio futuro.
-Capacità di astinenza, cioè essere in grado di distinguere il bisogno urgente dal desiderio autentico adulto: ciò significa essere per lo meno disposti a saper riconoscere dentro di sé un senso di differenziazione tra i vari piani degli eventi passati che potrebbero risultare probabilmente intrecciati con quelli dell'attualità nel loro divenire.
-Tollerare il contatto nella relazione duale o gruppale, nel caso di una psicoterapia analitica in gruppo, che presuppone mantenere l'invito, sempre sottointeso nel qui ed ora della seduta, ad associare, sforzandosi di essere sinceri, il proprio pensiero, emozioni e sensazioni: tale invito si estende al racconto dei sogni e a tutto ciò che normalmente viene messo da parte dal paziente perché considerato sciocco o privo di senso.
-Tollerare l'eventuale vergogna che potrebbe accomnare questi inviti dello psicoterapeuta, in sostanza accettare di collaborare, non soltanto con lo psicoterapeuta, ma di trattare e a mediare con parti di sé giudicanti e quindi considerate al proprio interno ostili fino a quel momento.
Tutto ciò comporta una valutazione preliminare della specifica condizione del paziente, del livello di profondità che si ritiene opportuno raggiungere, dell'esame di realtà e della sua volontà e disponibilità a farsi aiutare, guardando dentro di sé. Il disturbo è dunque la manifestazione esteriore di un disagio derivante da esperienze infantili, la cui soluzione è rintracciabile nel mettere ordine in esse, attraverso la ricerca sofisticata di un senso che si recupera all'interno della relazione tra paziente e psicoanalista. L'utilizzo di farmaci nel trattare lo shopping compulsivo, non è un approccio al trattamento fine a se stesso, ma è utilizzato dopo un'attenta valutazione del caso, esclusivamente qualora fosse utile alleviare i sintomi più evidenti ed invalidanti, per preparare il terreno ad un altro tipo di programma orientato psicodinamicamente o meno, comunque orientato all'individuo e non ai suoi sintomi. Sarebbe d'estrema utilità un approccio combinato di psicoterapia e farmacoterapia, qualora il caso lo richiedesse, dove i due tipi di trattamento si completino e, mai, si escludano a vicenda. In sintesi, lo shopping compulsivo risulta essere un disturbo definibile e trattabile, caratterizzato da impulso generalizzato a comprare, improvviso, urgente, e vissuto come incoercibile. La spesa compiuta placa la tensione e l'ansia derivanti dall'impulso, ma la sensazione di perdita di controllo, gli acquisti cosi poco pensati e ponderati provocano un forte senso di colpa ed una depressione molto debilitanti.
LA QUESTIONE DELL'ONORARIO IN PSICOTERAPIA PSICOANALITICA (DI ROBERTO PANI E ERIKA BOERIS)
Questo studio mira a comprendere le dinamiche psicologiche consce ed inconsce che accomnano l'atto concreto, di per sé semplice, del corrispondere una somma di denaro per una prestazione professionale ricevuta ed i significati di questo scambio all'interno della relazione tra paziente e psicoterapeuta. Nel setting psicoterapeutico il trasferimento di denaro dall'utente al consulente può significare qualcosa di più di un'equa ricompensa per i servizi forniti, esso si trasforma in una variabile importante nella relazione psicoterapeutica, un gesto che acquista un valore simbolico specifico che non può essere ignorato. L'assenza dell'onorario può determinare una situazione in cui il paziente sperimenta un vissuto auto-colpevolizzante nei confronti dello psicanalista. Lo psicoterapeuta inoltre, potrebbe sentirsi prevalentemente vincolato ad un ruolo di operatore assistenziale e, come conseguenza di ciò, sperimentare la coercizione a lavorare solo al fine di mantenere protette le parti bambine del paziente all'interno dell'area materna. Per quanto riguarda il servizio pubblico, il cittadino a le tasse e quindi avrebbe diritto alla prestazione gratuita. Però il mancato amento diretto delle prestazioni sembra essere avvertito come un ulteriore problema dalla quasi totalità degli psicoterapeuti. Per quanto riguarda i servizi infantili inoltre, il amento potrebbe significare un impegno più preciso per i genitori: non are talvolta può portare ad una più facile deresponsabilizzazione. Particolare attenzione deve essere posta sulla moltitudine d'aspetti transferali e controtransferali, che poggiano sul rapporto monetario tra psicoterapeuta e paziente. Un esempio può essere quello del paziente che s'indebita per are lo psicoterapeuta tanto da sentirsi umiliato da questa dipendenza, al tempo stesso in grado di attivare una relazione sadomasochistica gratificante. Un altro esempio, riguarda il paziente il cui bisogno di agire si manifesta attraverso il "barare" cercando di non are o are meno le sedute di psicoterapia. Tale fenomeno, tipico dei pazienti psicopatici, esprime dinamiche inconsce del bisogno di essere nutriti dallo psicoterapeuta-madre, reazioni comuni anche a quei pazienti che hanno vissuto privazioni materne. La situazione concernente il amento potrebbe essere molto complessa:
-ad esempio, un paziente potrebbe lavorare facendo prevalere certi aspetti dal punto di vista dell'ES, associando il denaro ad una sorta di nutrimento che potrebbe essere donato o trattenuto; inoltre l'onorario potrebbe rappresentare anche uno strumento di controllo onnipotente, una sorta di fallo; oppure una modalità finalizzata a pervertire la relazione;
-se vediamo il medesimo aspetto da un punto di vista di una prevalenza delle funzioni superegoiche, il paziente potrebbe assolvere il amento delle sedute allo scopo di non sentirsi responsabile circa l'impegno al quale la relazione psicoanalitica lo chiama;
-se vediamo l'aspetto dal punto di vista del coinvolgimento affettivo, si potrebbe supporre che il paziente assolva con scrupolo e puntualità al versamento dell'onorario, ritualizzando con quest'atto il suo distacco e il suo scarso coinvolgimento affettivo, cioè la sua indipendenza dalla relazione psicoanalitica (ti o quindi non mi sento in colpa se non mi coinvolgo), oppure il suo contrario, per espiazione di una colpa;
-se interpretiamo certe modalità espressive del funzionamento dell'Io, si potrebbe constatare che il paziente potrebbe accettare di are alte quote d'onorario per aumentare la sua autostima o il suo contrario, cioè sentirsi umiliato (sono accettato da te soltanto se ti ricompenso lautamente);
-infine si potrebbe ipotizzare che l'onorario sia accettato proprio per ragioni reali e contrattuali, senza che ciò costituisca una connotazione di qualcosa diverso dalla relazione reale.
Se si accetta l'assunto secondo cui il significato ed il valore clinico di una psicoterapia ad orientamento psicodinamico si esprimono all'interno della relazione paziente-psicoterapeuta, e che pertanto proprio in questa si giochino i processi di cambiamento strutturale, dobbiamo immaginare che l'onorario rappresenti all'interno della coppia non soltanto una realtà di scambio materiale (prestazione-onorario) ma, soprattutto e principalmente, di scambio con valenze di segno psico-affettivo. In altre parole il paziente, durante le sedute, comunica allo psicoterapeuta le varie modalità che si riferiscono alle situazioni in cui si sono svolti i vari eventi che erano, per così dire, prevalenti a quei tempi, da quelli più antichi a quelli più recenti che trovavano, per esempio, al centro degli affetti oggetti primari, ma anche eventi passati meno antichi, spesso stratificati e sovrapposti. Si tratta pertanto di dimensioni situazionali che riemergono, a volte contemporaneamente, e tra loro s'intrecciano in comunicazioni confuse che richiedono pertanto di essere districate. Il dialogo che si stabilisce perciò lungo il processo psicoterapeutico, garantito dalla conduzione consapevole del terapeuta, dovrebbe evolvere dinamicamente e condurre verso una nuova sistematizzazione delle parti conflittuali del Sé del paziente. Anche l'onorario risente delle esperienze passate, presenti e future e pertanto diviene veicolo di messaggi: esso stesso è comunicazione. L'opera freudiana, rappresentazione viva di un pensiero nuovo e originale, potrebbe senza dubbio essere considerata una sorta di "bibbia", interpretata letteralmente da alcuni, criticata e riveduta da altri, considerata punto di partenza e quindi di snodo di varie e più diverse forme di pensiero. Egli affermò di seguire il principio del noleggio di una determinata ora. Ad ogni paziente viene assegnata una certa ora ancora disponibile nella giornata lavorativa; quest'ora è sua ed egli deve risponderne anche se non la utilizza . .Non si può fare altrimenti. Oggi, risulta chiaro quanto i consigli di Freud siano stati assunti dai diversi autori che hanno trattato la questione del amento, quasi come leggi, come regole inviolabili. Non sembra però eccessivo, affermare che spesso le parole di Freud siano state usate, distorte e quasi manipolate. Il denaro può essere considerato un veicolo di scambio di beni e servizi, un mezzo per esaminare atteggiamenti e valori, un oggetto di transfert. Esso però può anche essere considerato l'ultimo tabù nella nostra società. Indipendentemente dalle diverse soluzioni adottate, la psicoterapia psicoanalitica è sempre una transazione in cui lo psicoterapeuta riceve una qualche forma di amento e il paziente, direttamente o indirettamente, gioca un ruolo importante in questo amento. La psicoterapia psicoanalitica non è mai gratuita. ½ è sempre un onorario, a volte visibile, altre volte quasi o totalmente invisibile. Il vantaggio più ovvio dato dalla presenza dell'onorario, è il fatto di motivare gli terapeuti ad essere diligenti e a svolgere un buon lavoro. Un ulteriore vantaggio dell'onorario, sul versante dello psicoterapeuta, riguarda il fatto che, ricevendo una retribuzione, i terapeuti non solo sono in grado di assicurarsi una certa tranquillità economica, ma vivono tutta una serie di sentimenti positivi associati al ricevere e possedere denaro; possono percepire un aumento dell'autostima, una conferma della loro produttività e del loro status. Il amento inoltre, richiede una certa responsabilità da parte dei terapeuti nello svolgere il proprio lavoro e fornisce ai pazienti una ragione per pretendere ed esigere tale responsabilità. All'onorario viene riconosciuta un'altra funzione psicoterapeutica: limitare le distorsioni, sia del paziente che dello psicoterapeuta, che potrebbero interferire con il buon andamento della cura. Esso aiuta a chiarire tutto ciò che la psicoterapia non è e allo stesso tempo promuove ciò che la psicoterapia è veramente. La psicoterapia psicoanalitica lavora all'interno di una sua cornice, un setting, una struttura propria che determina cosa si possa o non possa fare, cosa possa o non possa accadere, permettendo quindi di differenziare ciò che è psicoterapia da ciò che non lo è. Il denaro, perciò, sembra avere la funzione non solo di sanare un debito per le ore di lavoro effettuate, ma di consentire anche di resistere al vortice affettivo che inevitabilmente si crea nella situazione analitica. L'onorario può divenire uno strumento di conoscenza perché, a seconda degli atteggiamenti e comportamenti che il paziente manifesta nell'affrontare la questione economica, lo psicoterapeuta può riconoscere e analizzarne le dinamiche consce e inconsce. Dalle posizioni assunte da diversi autori, è emersa una concezione abbastanza delineata: l'onorario ha un certo significato per la psicoterapia, in particolare psicoanalitica ma, ancor prima, per il paziente. Si è parlato di sacrificio che dovrebbe essere sufficientemente consistente, per promuovere nel paziente il giusto investimento (in termini di tempo e di denaro) nella psicoterapia. Altri autori, invece, sostengono che il amento o non amento rappresentano situazioni diverse per pazienti diversi: non è possibile stabilire a priori una regola fissa e generale perché un medesimo vincolo (economico, in questo caso) può avere significati differenti per pazienti diversi, nella stessa situazione. La pratica di addebitare al paziente le sedute saltate, come abbiamo già sottolineato, viene giustificata facendo riferimento al"principio dell'ora a noleggio" concettualizzato da Freud agli inizi del 1900. Anche i periodi di vacanza richiesti dal paziente che non coincidano con le ferie dell'analista sono soggetti a amento. Il trattamento psicoanalitico deve essere considerato dal paziente come una delle cose più importanti della sua vita e, in linea di massima, una vacanza è assolutamente inconcepibile. Fra le cosiddette "deviazioni" della tecnica, rientrano la riduzione o l'aumento dell'onorario. Gli psicoanalisti sono particolarmente interessati a svolgere la cura con pazienti altamente motivati; sono inoltre consapevoli che anche pazienti molto motivati (ovviamente) possono non essere in grado di affrontare economicamente una tariffa piena. Di conseguenza alcuni psicoanalisti possono decidere di adottare un onorario variabile, applicabile ai diversi tipi di pazienti e le manifestazioni transferali potranno essere interpretate in modo migliore se l'analista si dimostra chiaro sin dall'inizio. In questo modo, le fantasie del paziente non interferiranno con la presentazione dell'onorario da parte dello psicoanalista. I mutamenti sociali degli ultimi decenni, se da un lato hanno portato a realizzare concretamente quanto aveva ipotizzato Freud (1918), a proposito delle analisi gratuite e delle possibilità di accesso alla psicoterapia attraverso i servizi pubblici; dall'altro hanno portato all'introduzione di ure intermedie che intervengono come terzo ante nel rapporto tra paziente e psicoterapeuta. E facciamo riferimento al ruolo dell'istituzione (ospedale, scuola, A.S.L . ) in veste di datore di lavoro del terapeuta; alle comnie assicurative che rimborsano (a determinate condizioni) il costo della cura, e, non meno importante, ai familiari che spesso sostengono la spesa dell'intero trattamento. E' facile comprendere quanto il far are qualcun altro al posto del paziente possa invalidare la funzione dell'onorario come strumento psicoterapeutico, essendo apparentemente neutralizzato il sacrificio economico del paziente. Quando a are al posto del paziente è un familiare, sembra che non esista alcun vantaggio per lo psicoterapeuta, ne tantomeno per il paziente. E' probabile che alcuni pazienti che non ano direttamente lo psicoterapeuta, manifestino il desiderio inconscio di nuocere alla persone che a per loro. Al contrario, visto che vi è un altro che a, alcuni pazienti potrebbero sentirsi, invece, costretti a stare meglio, solo per compiacere alla persona che sta mantenendo per loro la psicoterapia. Il primo passo che è stato fatto nello studio della relazione tra l'onorario e lo psicoterapeuta, è stato quello di riconoscere che fra i terapeuti esistono massicce resistenze a parlare di denaro e che, inevitabilmente, si ripercuotono sulla terapia, sul paziente e sul terapeuta stesso. Per gli psicoterapeuti, la maggior difficoltà nel parlare di denaro e nel ricevere l'onorario a loro dovuto è probabilmente la riluttanza a riconoscersi pienamente nel ruolo di procuratori di un servizio a amento. La motivazione iniziale a diventare psicoterapeuti nasce generalmente dal desiderio di essere utile agli altri e, tale desiderio, rimane presente per tutta la vita, nella maggior parte degli psicoterapeuti. Gli psicoterapeuti sono preoccupati che i pazienti li possano accusare di "essere li" solo per denaro e questo, inevitabilmente, comporta l'emergere di profondi sensi di colpa e di specifiche manifestazioni controtransferali. Diversamente, esistono pazienti che per varie ragioni pensano sia inopportuno parlare di denaro. Questi pazienti utilizzeranno diversi stratagemmi per ingannare se stessi, ad esempio l'immaginare che deve essere solo la comnia assicurativa ad occuparsi dell'onorario o il pensare che i contributi dell'assicurazione non facciano realmente parte del loro reddito. Visto che l'utilità dell'onorario è direttamente proporzionale alla sua visibilità (abbiamo ricordato quanto il non affrontare in maniera adeguata la questione economica possa compromettere l'alleanza psicoterapeutica), allora ne consegue che quest'ultima dovrebbe essere un obiettivo importante del processo psicoterapeutico, sin dall'inizio. Dopo anni di silenzio, negli scritti più recenti emerge la volontà, da parte degli addetti ai lavori, di rompere il muro di silenzio, imbarazzo e indifferenza che caratterizza il tema dell'onorario. Parlare di denaro è considerato tanto inappropriato quanto inibente, sia in un setting individuale che in un setting di gruppo: in gruppo, inoltre, di fronte a più persone, la questione dell'onorario si complica per l'imbarazzo e la vergogna che i partecipanti possono provare nei confronti di una platea. Lo psicoterapeuta, soprattutto se inesperto, potrebbe trovarsi nel mezzo di vissuti aggressivi e accuse di avidità e vulnerabilità difficilmente gestibili. Noi pensiamo, in conclusione, che risulti preferibile rendere "visibile e presente" l'onorario in psicoterapia come una realtà professionale e di scambio umano; è opportuno affrontare la questione con chiarezza, superando timori ed imbarazzo. Tale eventuale mancata chiarezza per timore di ferire il paziente, in realtà, nasconderebbe le eventuali insicurezze dello psicoterapeuta che rischierà di porsi in una posizione strumentalizzabile da parte dell'analizzando, in quanto percepito come debole e manipolabile.
Orientamenti in psicoterapia (di Rodolfo uni e Roberto pani)
Processo e risultato della psicoterapia - Un punto di vista implicito in questi studi è che la psicoterapia come qualsiasi attività clinica, debba essere sottoposta alla verifica dei dati e alla conferma che l'intervento abbia una propria efficacia terapeutica sul paziente. Gli esiti positivi che si ottengono dalla psicoterapia, indipendentemente dalle posizioni teoriche di partenza, hanno indotto alcuni a pensare che vi siano fattori comuni sottesi alle diverse forme di terapia in relazione al risultato terapeutico. Nell'indagine del processo della psicoterapia, si possono individuare almeno cinque fattori fondamentali di influenza:
1-il paziente;
2-il terapeuta;
3-l'interazione che risulta dalle loro rispettive variabili individuali;
4-le procedure delle tecniche terapeutiche;
5-l'influenza potenziale degli eventi esterni alla terapia sul paziente.
Superando la dicotomia tradizionale e convenzionale processo-risultato, questa diversa prospettiva sostiene che il risultato terapeutico può essere misurato significativamente in molti e diversi momenti della terapia. Secondo questa prospettiva, la ricerca della psicoterapia diviene l'analisi dei processi che avvengono all'interno delle sedute di terapie ed i processi che avvengono all'esterno delle stesse e della loro reciproca interazione. Il centro focale di attenzione è quindi sul risultato prossimo rispetto a quello distante. Gli studiosi distinguono poi diverse componenti attive del processo psicoterapeutico. Questi elementi concettuali sarebbero inclusi in ogni processo della psicoterapia:
1-il contratto terapeutico che definisce il proposito, la forma, i termini ed i limiti dell'impresa terapeutica;
2-gli interventi terapeutici condotti nei termini del contratto terapeutico;
3-il legame terapeutico che riflette l'aspetto della relazione tra i due partecipanti, nella misura in cui svolgono le loro rispettive parti negli interventi terapeutici;
4-la capacità di relazione del paziente che si riferisce alla sua possibilità di assorbire gli interventi terapeutici e di fare propria la relazione del legame terapeutico;
5-le realizzazioni terapeutiche come la capacità di insight, la catarsi, l'apprendimento discriminante ecc., che avvengono durante le sedute e presumibilmente conducono a mutamenti della vita o della personalità del paziente divenendo a loro volta oggetto della valutazione del risultato.
Ad ogni modo, all'interno di questi studi si è andata delineando la distinzione tra il macrorisultato di lungo periodo, valutato al termine della terapia ed il microrisultato di breve periodo, che può essere valutato nella vita quotidiana del paziente tra le diverse sedute nel corso della terapia. Tali microrisultati costituiscono dei passaggi sottili ma significativi verso la modificazione personale del paziente ed il macrorisultato sarebbe la risultante di un estesa serie di cambiamenti di breve termine. Tra l'altro, la ricerca odierna, è attenta non solo alla comunicazione verbale, strumento privilegiato di ogni forma di psicoterapia, ma anche al livello non-verbale, manifestato dalle posture del corpo, espressioni del viso, la qualità della voce ecc. Si ritiene che anche questi concetti teorici possano contribuire ad un ulteriore definizione dei cambiamenti che avvengono nella psicoterapia.
La psicoterapia breve - Fino ad un recente passato la psicoterapia breve veniva considerata come uno strumento terapeutico da impiegare solo in situazioni di emergenza, fino a quando cioè non era possibile applicare una terapia di lungo periodo. L'indagine sperimentale indica attualmente che i metodi di psicoterapia breve, una volte ritenuti utili solo per problemi meno gravi, si sono mostrati efficaci anche con problemi cronici e seri purché la terapia sia mantenuta in un ambito di buon senso e ragionevolezza negli scopi da raggiungere. Per terapia breve si intende una vasta serie di trattamenti in cui il principale comune denominatore è la brevità programmata, intesa come proposito terapeutico e non come difetto (si pongono, in genere, obiettivi limitati e focalizzati). Il mantenimento di un centro focale nella terapia è una delle caratteristiche tecniche più importanti della terapia analitica breve. Le verbalizzazioni del paziente devono essere mantenute su tale centro focale (e ciò richiede una partecipazione più attiva da parte del terapeuta). La terapia di crisi (un esempio di terapia breve) sostiene in particolare la necessita di un pronto intervento da parte degli operatori di salute mentale per rispondere alle richieste di aiuto del paziente che si trova in una situazione di crisi. Questa concezione ci mostra un orientamento di terapia che tende a dare il massimo rilievo alle cause situazionali dei problemi delle persone, differendo dal punto di vista delle terapie psicodinamiche, orientate verso le forze psicologiche che operano all'interno dell'individuo. Questo secondo punto di vista, diverso da quello psicodinamico, punta soprattutto al sintomo cosi come è riferito dal paziente e lavora per eliminarlo più che ad essere orientato verso introspezioni o ricerche in profondità. Molti clinici ritengono che 25 sia il limite di sedute massimo per una terapia breve.
Metodi di osservazione partecipante e non-partecipante - Rispetto al metodo più tradizionale dell'aggregazione o frequenza dei dati che ha caratterizzato le indagini precedenti agli anni '80 la tendenza più attuale della ricerca è di scoprire gli specifici legami temporali tra processo e risultato terapeutico. E' su questa linea di tendenza che si collocano le metodiche dell'osservazione partecipante e non-partecipante. L'osservazione non partecipante pone essenzialmente attenzione alle modalità di comunicazione verbale e non-verbale delle sedute di terapia, riflettendo un modo naturalistico dell'osservazione. L'osservazione partecipante, invece, sottolinea maggiormente gli aspetti essenziali soggettivi della relazione terapeutica e dell'alleanza che si è venuta creando con il terapeuta. I metodi di osservazione non partecipante sono fondati sulla codifica di dati riguardanti i processi di comunicazione che avvengono durante la psicoterapia. I metodi di osservazione partecipante tentano di indagare l'interno psicologico della psicoterapia, tramite l'esplorazione del resoconto delle sedute stesse. Secondo gli autori che impiegano strumenti di indagine per l'osservazione partecipante, la ricerca sulla psicoterapia dovrebbe includere comunque dati sulla singola esperienza del paziente e del terapeuta, in quanto gli elementi riferiti a fatti osservabili solo dall'esterno della terapia, non sarebbero in grado di penetrarne l'interno psicologico. In realtà i due metodi di osservazione appaiono tra loro complementari poiché essi rappresentano diverse strategie di accesso all'indagine, adattandosi ciascuna di esse a particolari variabili meglio dell'altra.
Descrizione e spiegazione nella ricerca in psicoterapia - Scopo della conoscenza empirica è descrivere, spiegare e prevedere gli eventi nel mondo. La descrizione costituisce il primo compito dell'esplorazione scientifica. Descrizione e spiegazione sono dei passaggi necessari ed essenziali dell'indagine scientifica anche per quanto riguarda la psicoterapia. La psicoterapia necessita attualmente di un analisi intensiva dei complessi fenomeni in sé. Solo quando questi fenomeni siano stati descritti e misurati in modo attendibile, sarebbe possibile passare alla descrizione e spiegazione dei fenomeni, alla costruzione di modelli e infine alla previsione. Appare importante giungere ad un buon livello di descrizione dei fenomeni per poter poi spiegare e dimostrare il rapporto tra i processi osservati nelle sedute e l'esito della terapia medesima.
I colloqui di consultazione psicologica - Le consultazioni psicologiche assumono sempre maggiore rilevanza dal punto di vista della procedura clinica, in quanto costituiscono lo spazio attraverso cui è possibile, nei primi incontri con il paziente, stabilire un contatto con il suo particolare livello di comunicazione in quel determinato momento evolutivo della sua vita. Il paziente, di solito e comunque assume fin dall'inizio una certa posizione, un certo assetto nella relazione con l'interlocutore professionista, posizione che può essere di per se stessa molto eloquente e rivelatrice del suo problema dinamico, in quanto offre particolari osservabili, anche per mezzo della postura e della mimica espressiva. I momenti recuperabili di un colloquio della durata temporale approssimativa di un ora, potrebbero riassumersi in sette punti virtuali:
1-rapida e sommaria impressione ricavabile dal paziente;
2-rapida presentazione dei sintomi e del problema emergente;
3-conoscenza anamenestica;
4-analisi della domanda;
5-interpretazioni di prova e relazione empatica con il consulente psicologo;
6-restituzione;
7-suggerimenti, proposte, patto psicoterapeutico.
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