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Psicologia dello sviluppo
modulo 4 - Lo sviluppo dell'intelligenza secondo Piaget
La più importante teoria sullo sviluppo mentale del bambino è quella elaborata da Jean Piaget (1896- 1980). L'oggetto di analisi è lo sviluppo intellettuale nei primi anni di vita. Al fine di comprendere la teoria di Piaget è essenziale avere presente che il suo interesse fu di tipo epistemologico ( problemi relativi allo sviluppo della conoscenza).
Per Piaget ogni comportamento consiste in un riadattamento, reso necessario dal bisogno di ristabilire un equilibrio tra organismo e ambiente. Ogni comportamento suppone un aspetto:
- affettivo o energetico, che spinge l'individuo all'azione per poter raggiungere uno scopo,
- conoscitivo o strutturale, in quanto struttura il comportamento in modo tale che sia possibile raggiungere lo scopo prefissato.
L'interesse di Piaget fu rivolto agli aspetti strutturali e non a quelli energetici.
Per Piaget l'intelligenza rappresenta il più alto grado di adattamento mentale.
L'adattamento consiste in un equilibrio tra l'azione dell'organismo sull'ambiente ( assimilazione) e l'azione dell'ambiente sull'organismo ( accomodamento).
L'assimilazione è quel processo che permette l'acquisizione di nuovi dati utilizzando strutture mentali già possedute. - conservazione -
L'accomodamento è quel processo che permette di acquisire nuovi dati solo attraverso una modificazione di schemi mentali. - novità -
Piaget respinge un'ipotesi innatista, che afferma che le strutture cognitive hanno un'origine esclusivamente interna, e un'ipotesi ambientalista, che afferma che le strutture cognitive hanno un'origine esclusivamente ambientale. Piaget propone invece una teoria organismica, ritiene, cioè, che sia i fattori maturativi che i fattori ambientali concorrono allo sviluppo dell'intelligenza.
Limiti ambientali possono accelerare, ritardare o bloccare lo sviluppo delle strutture cognitive.
Piaget ha suddiviso lo sviluppo cognitivo del bambino in 4 stadi:
-il passaggio da uno stadio al successivo può essere graduale
- l'età può variare da un bambino ad un altro
-ogni stadio è diverso dal precedente, presenta forma e regole proprie
-le nuove acquisizioni di uno stadio non si perdono passando allo stato successivo, ma vengono integrate.
1-Stadio SENSOMOTORIO (0-2 anni)
2-Stadio PREOPERATORIO (2-7 anni )
3-Stadio OPERATORIO CONCRETO (7-l1 anni)
4-Stadio OPERATORIO FORMALE ( 11-l5 anni)
Stadio SENSOMOTORIO (0-2 anni)
Piaget distingue 6 diverse fasi evolutive. Le prime tre sono caratterizzate dal perfezionamento dei riflessi e da azioni non ancora caratterizzate dall'intelligenza. Nella 4°e nella 5° l'uso dell'intenzionalità nel coordinare i mezzi e fini permette un'intelligenza senso-motoria. Nell'ultima il bambino supera un agire senso-motorio per compiere atti di intelligenza guidati dal pensiero.
I) 0-l mese. L'esercizio dei riflessi.
L'adattamento all'ambiente si basa sul perfezionamento di comportamenti riflessi quali la suzione, prensione, riflessi pupillari e palpebrali. Il bambino utilizza queste modalità per comunicare col mondo esterno. Fin dai primi giorni di vita si nota un progressivo miglioramento, con il passare del tempo succhia il capezzolo appena viene a contatto con le sue labbra. Nel raffinare i propri riflessi il neonato generalizzare le proprie assimilazioni (succhia il dito, il cuscino), ma non per questo reagisce allo stesso modo a tutti gli stimoli (egli distingue quando ha fame ciò che deve essere succhiato).
II) 1-3 mesi. I primi adattamenti acquisiti e la reazione circolare primaria
Appaiono le prime abitudini. Il bambino impara a coordinare tra di loro due schemi d'azione ( prende l'oggetto e lo porta alla bocca). 'Reazioni circolari primarie' circolari per la tendenza alla ripetizione di movimento. Esse consistono in movimenti semplici che coinvolgono uno o più organi, non sono prodotte per ottenere un risultato, sono fini a se stesse. A questa età un oggetto che se nel campo percettivo è dimenticato, il bambino non ha nozioni spaziali, temporali e causali.
III) 3-8 mesi. Le reazioni circolari secondarie
Le azioni del bambino tendono a produrre un risultato nell'ambiente. Le reazioni circolari secondari diventano sempre più complesse (prende il biscotto, porta la bocca, lo rompe, raccoglie i pezzi). Non sono ancora comportamenti intelligenti, sono azioni per raggiungere un'fine, ma sono senza intenzione.
IV) 8-l2 mesi. La coordinazione degli schemi acquisiti ed il loro impiego
Si può parlare di intenzionalità completa dai 10 mesi circa, si parla di tratti di intelligenza caratterizzati dalla risoluzione di un problema, con coordinamento intenzionale mezzi-fine.
Dagli otto mesi la nozione di oggetto si consolida sempre più, il bambino cerca gli oggetti anche se spariscono, perfezionando le sue nozioni spaziali, temporali e causali.
V) 12-l8 mesi. Le reazioni circolari terziarie
I progressi del bambino si manifestano attraverso una costante sperimentazione, esplora il proprio ambiente ed utilizza tutto ciò che trova (pentole, posate, penne, scatole). Questi comportamenti richiedono l'applicazione ad oggetti di schemi d'azione familiari, ma anche di altri nuovi.
Con la sperimentazione il bambino giunge alla scoperta di nuove relazioni tra gli oggetti, oggetti che siano presenti, ed è questo il limite dell'intelligenza senso-motoria.
VI) Dai 18 mesi in poi. Comparsa della funzione simbolica
l'utilizzo del pensiero simbolico permette al bambino di utilizzare, per risolvere i piccoli problemi (raggiungere una palla usando un bastone) anche le rappresentazioni di oggetti non presenti e di azioni non ancora compiute. Il bambino trova la soluzione di un problema con un atto di invenzione.
È in grado di imitare ciò che ha fatto una persona alcune ore prima (imitazione differita nel tempo), di giocare 'facendo finta' che degli oggetti siano diversi da ciò che sono in realtà (gioco simbolico) e di combinare tra loro dei simboli per comunicare: le parole (linguaggio verbale).
Stadio PREOPERATORIO (2-7 anni )
Il periodo compreso tra l'utilizzazione del pensiero (18 mesi) e quella delle operazioni (6-7 anni) è detto periodo del pensiero preoperatorio. Periodo suddiviso in due sottoperiodi:
-periodo pre-concettuale
-periodo intuitivo
A partire dai 2 anni circa, secondo Piaget il bambino non utilizza veri e propri concetti, perché per fare ciò è necessario saper classificare la realtà in un modo che è possibile solo a livello operatorio, cioè quando il bambino è in grado di classificare ed in particolare di includere.
Atteggiamento fondamentale del bambino è ancora di tipo egocentrico, in quanto non conosce alternative alla realtà che sperimenta personalmente. Questa visione unilaterale lo porta a credere che tutti la pensino come lui.
Il suo pensiero non è deduttivo (dal generale al particolare), né induttivo (dal particolare al generale), ma analogico, cioè dal particolare al particolare.
Il bambino a livello del pensiero intuitivo utilizza identità e funzioni.
Per la nozione di identità, per cui una cosa rimane la stessa, anche se ha subito delle trasformazioni che ne hanno modificato l'aspetto, gli studiosi presentano al bambino un pezzo di filo di ferro, prima a forma di cerchio poi è raddrizzato. I bambini di 4 anni negano l'identità del filo di ferro, perché hanno notato le trasformazioni.
Per quanto riguarda la nozione di funzioni, per cui si stabiliscono corrispondenze tra due serie di elementi secondo precise regole, mettiamo di fronte al bambino una fila di 8 vasetti di fiori e collochiamo un fiore in ogni vaso, il bambino dirà che il numero di fiori e dei vasi è lo stesso. Se gli facciamo togliere i fiori per farne un mazzetto, il bambino dirà che i vasi sono più dei fiori.
Stadio OPERATORIO CONCRETO (7-l1 anni)
Le azioni mentali isolanti si coordinano tra loro e diventano operazioni concrete
Il pensiero intuitivo permette conoscenze ampie e complesse. I bambini di 5-6 anni usano verbi al condizionale o raccontano storie lunghe.
Tali capacità hanno un limite: il bambino di questa età non è in grado di compiere delle operazioni, ovvero ciò che trasforma uno stato A in uno stato B, lasciando nella trasformazione almeno una proprietà invariante, con la possibilità di ritornare da B ad A annullando la trasformazione.
Stadio OPERATORIO FORMALE (11-l5 anni)
Nel periodo della scuola media inizia l'uso del pensiero formale. Si tratta del pensiero al suo massimo livello. La sua acquisizione richiede vari anni, non viene acquisito da tutti allo stesso livello.
Il pensiero formale ( detto anche ipotetico- deduttivo) consiste nella capacità di condurre ragionamenti corretti, senza la necessità di verificare la conclusione del ragionamento. Tale capacità porta l'adolescente a saper usare nozioni come quella di infinito, probabilità o imparare l'algebra.
Critiche alla teoria piagetiana:
Secondo Flavell nella teoria piagetiana vi è molta imprecisione, critica il fatto che Piaget non sia riuscito ad accertare scientificamente il sistema di classificazione di stadi. ½ è il problema dell'organizzazione e dell'analisi dei dati, egli omette di dare un'informazione quantitativa sui suoi risultati, tende a trarre delle conclusioni definitive da prove che altri avrebbero considerati incerte.
La critica più generale rivolta a Piaget è di aver proposto un modello di sviluppo unilaterale: vita affettiva, socializzazione, linguaggio sono stati da lui trascurati.
Piaget ha sottovalutato il ruolo dei processi sociali e ha trascurato l'importanza dell'interazione sociale che invece era cruciale nel suo lavoro e nel suo metodo di esaminare il bambino.
Per Piaget l'influenza sociale è necessaria, senza rapporti di confronto e di cooperazione tra individui non avverrebbe il superamento dell'egocentrismo e non sarebbe possibile il costituirsi dei sistemi di operazioni concrete e formali.
Da alcuni anni gli studiosi considerano molto debole, per non dire errata, la funzione piagetiana che il neonato è totalmente privo di strutture cognitive, vari studi hanno evidenziato la notevole competenza precettiva del neonato e del lattante.
Esiste un'incompatibilità notevole tra la descrizione del comportamento neonatale di Piaget e i dati neurali, i dati sulla maturazione cerebrale indicano che il neonato dovrebbe possedere un vasto repertorio comportamentale e invece Piaget descrive solo un numero limitato di riflessi.
Altre critiche riguardano i tempi di passaggio tra i vari stadi di sviluppo. I tempi sono molto più lenti e incompleti di quanto poteva sembrare sulla base delle prime formulazioni. Tale critica ridimensiona la credenza piagetiana di uno sviluppo armonico, in cui le varie strutture di uno stesso stadio si sostengano a vicenda.
Il punto debole della teoria piagetiana sembra quello di aver sottovalutato l'importanza di altri fattori dello sviluppo oltre a quello delle strutture intellettive, da ciò deriva la descrizione dello sviluppo in termini di strutture logiche e la proposta di postulare uno sviluppo auto-formantesi (fattore di equilibriazione).
modulo 5 - Lo sviluppo dell'intelligenza e dei concetti: contributi di orientamento cognitivista e neopiagetiano
Negli ultimi 20 anni gli studiosi cognitivisti dimostrano un crescente interesse per lo studio dello sviluppo dell'intelligenza. Piaget era interessato a descrivere lo sviluppo degli schemi e delle operazioni, egli non ci ha fornito informazioni sui procedimenti dettagliati seguiti da bambini per risolvere i problemi da lui proposti. L'interesse degli psicologi che si rifanno all'approccio Human Information Processing è quello di descrivere in modo preciso i processi seguiti.
Young ha proposto a bambini di diversa età una seriazione da effettuare con i parallelepipedi, un bambino può prendere un blocco a caso, ma prima di metterlo alla fine della fila lo confronta con quelli che già ci sono.
È lecito chiedersi se siamo di fronte ad abilità di ragionamento tra loro tutte diverse oppure se c'è qualcosa che le accomuna; se prendiamo la seconda ipotesi, cioè che vi possano essere l'abilità di basi che favoriscono prestazioni ad un certo livello in varie situazioni, siamo in un'ottica piagetiana.
Gli esperimenti sono molto utili per completare l'analisi piagetiana, descrivendo, ciò che è comune a varie situazioni, che ciò che li differenzia. Se neghiamo l'idea che vi siano delle modalità di ragionamento (strutture) comuni, si è negata la teoria piagetiana: le spiegazioni proposte sono alternative a quelle piagetiana e non integrative.
Esempi:
Per gli studi che proponevano modificazioni con completamento della teoria piagetiana, si pongono con essa in una linea di continuità, si usa l'espressione 'neopiagetiani'. Facciamo riferimento a due autori: Pasquale Leone e Case.
Elementi di continuità tra la teoria piagetiana e quella neopiagetiana:
1-il primo elemento riguarda la nozione di stadio. I neopiagetiani accettano l'idea che lo sviluppo possa essere descritto sulla base di una successione per stadi, caratterizzati da modificazioni quantitative e qualitative- intelligenza senso-motoria alla rappresentazione mentale, ad un uso del pensiero operatorio concreto e formale-.
2-tali stadi sono universali -non da tutti raggiungibili-non è possibile saltare una tappa.
3-ogni struttura si sviluppa inglobando quella precedente.
Le differenze fondamentali. I neopiagetiani tendono a:
-sottolineare il ruolo dei fattori maturativi (innati), senza fare ricorso al fattore di equilibrazione.
-cercare di descrivere in modo più analitico ulteriori passaggi all'interno di quattro stadi piagetiani.
Pasquale Leone afferma che la capacità mentale del bambino progredisce con l'età. A partire dai 2 anni circa il bambino ha a disposizione più spazio mentale per l'attivazione dei propri schemi. A parità di condizioni il bambino più grande ha anche più capacità mentale di quello più piccolo.
Anche secondo Case all'interno degli stadi vi sono dei progressi, egli sostiene che ogni stadio è suddividibile in tre sottostadi (la capacità del bambino cresce di una unità per ogni sottostadio, fino a un massimo di tre all'interno di uno stadio). Strategie utilizzate dal bambino per risolvere i problemi sono condizionate non solo dalle conoscenze possedute e da una buona codificazione delle consegne e dei dati del problema, ma anche dallo spazio mentale a disposizione.
Indagini che hanno considerato il rapporto tra conflitti cognitivi e confronto sociale mostrano che il ruolo della cooperazione tra pari produce risultati ottimali nel momento cruciale dell'apprendimento, cioè quando il soggetto ha già i prerequisiti necessari, ma è ancora nella fase centrale dell'apprendimento, sta per capire. Emerge che:
-il rapporto tra pari permette una cooperazione che, suscitando un conflitto socio cognitivo, favorisce lo sviluppo cognitivo.
-le prestazioni di un allievo tendono ad essere migliori se egli assume il ruolo dell'insegnante rispetto ad un altro allievo.
Lo sviluppo intellettuale secondo l'approccio psicometrico nella sintesi di Sternberg:
Secondo l'analisi di Sternberg un primo aspetto evolutivo riguarda eventuali cambiamenti nel numero di fattori con il progredire dell'età. Con il crescere dell'età si passa da una abilità intellettuale generale a vari gruppi di abilità. Tale differenziazione si accentua nel passaggio dalla fanciullezza all'adolescenza.
Per gli studiosi dell'approccio psicometrico il termine intelligenza è usato in senso generale, per riferirsi a quel qualcosa che permette ai soggetti le prestazioni cognitive. Gli studiosi ritengono questo o quel fattore specifico più o meno importante ad una certa età.
-Nei primi 2 anni di vita risultano fondamentali i fattori di tipo percettivo e motorio.
-Tra i 2 e i 4 anni acquistano importanza i fattori di tipo simbolico, diventano secondari quelli percettivo motori.
Secondo Sternberg ciò che cambia non è il tipo di intelligenza, ma il suo contenuto.
Lo sviluppo delle conoscenze concettuali:
Il pensiero utilizza i concetti. Attraverso i concetti riuniamo in classi gli elementi della realtà, distinguiamo gli esemplari che appartengono ad una certa categoria e quelli che non vi appartengono.
Il pensiero quindi procede per categorie.
I concetti non sono isolati ma organizzati, collegati tra loro. Si distinguono 3 diversi livelli gerarchicici (secondo gli studi della Rosch): livello di base, subordinato, sovraordinato. L'individuo nel formarsi i propri concetti non procede come uno scienziato che classifica secondo le proprietà necessarie e sufficienti, ma utilizza processi cognitivi, che tengono conto di: somiglianza di famiglia, tipicità, indeterminatezza dei confini categoriali.
I concetti vengono formati attraverso dei prototipi e non andando a verificare se sono o no presenti tutte le caratteristiche che ci devono logicamente essere perché un elemento appartenga ad una certa categoria.
A livello di sviluppo:
1-in una prima fase la conoscenza del bambino è basata sugli schemi (script),
2-presto il bambino concentra la propria attenzione su singoli oggetti e sulle caratteristiche. Nascono quindi i primi concetti. Il bambino non abbandona le rappresentazioni di tipo schematico, ma affianca ad esse le rappresentazioni di tipo concettuale.
3-in una terza fase il bambino è in grado di distinguere tra le proprietà funzionali dell'oggetto e quelle della categoria. Non sempre le sue definizioni sono del tutto adeguate, es. la mela è un frutto, ma si trova in difficoltà a dire in che cosa è diversa dagli altri frutti.
4-in una quarta fase le definizioni intendono contenere le specificazioni, es. ' rotondo' più delle ciliege e meno del cocomero.
Le quattro fasi sono descritte senza riferimenti all'età. Essi infatti possono variare a seconda della conoscenza specifica del soggetto relativamente ai concetti in questione. Le prime due fasi si riferiscono all'età della scuola dell'infanzia, mentre gli altri due caratterizzano il periodo della scuola elementare e media.
modulo 6 - Lo sviluppo della metacognizione
Il termine metacognizione si riferisce sia ai processi che permettono di effettuare le scelte nelle strategie cognitive da mettere in atto, sia alle conoscenze specifiche che il soggetto ha su come avviene la conoscenza. Al primo ci si riferisce con l'espressione 'teoria della mente', oggetto di analisi sono le credenze e i desideri che i soggetti attribuiscono alle menti altrui.
Il secondo filone sono gli studi sullo sviluppo della metacognizione, oggetti di analisi sono:
- i rapporti tra conoscenze sulla memoria,
- prestazioni e effettivi di memoria,
- lo sviluppo metacognitivo in soggetti con disturbi di apprendimento o handicap mentale,
- lo sviluppo delle conoscenze relative alla memoria, attenzione, emozioni.
La ' teoria della mente' :
Tutte le persone si servono di conoscenze psicologiche per comprendere le azioni e le emozioni. Si anticipano le azioni degli altri, secondo un principio generale: le persone agiscono per realizzare certi scopi o soddisfare desideri e le loro azioni sono guidate dalle conoscenze e dalle credenze che possiedono. Se siamo in una stanza e la persona viene verso di noi guardandoci con una particolare espressione, possiamo pensare che egli desideri parlarci. Ciò che abbiamo percepito ci invita a formulare una ipotesi (teoria) sulle cause mentali che hanno portato quella persona a comportarsi in quel modo.
Teoria della mente si riferisce all'insieme di conoscenze e abilità che prima venivano chiamati psicologia intuitiva. I cardini di questa teoria sono le credenze e i desideri.
Esempio: un bambino di nome Max, con sua mamma, è in cucina. Max mette nell'armadio rosso la cioccolata, quindi esce a giocare in giardino. La mamma prende la cioccolata, per preparare il dolce, poi la ripone nell'armadio giallo, invece che in quello rosso. Ora Max torna e vuole la cioccolata. Dove la cercherà?
Per prevedere ciò che farà Max bisogna capire che il suo comportamento non sarà guidato da ciò che noi sappiamo, ma da ciò che sa Max, da ciò che egli ha nella sua mente.
Solo una minoranza di bambini di 4 anni dà risposte corrette, le prove vengono superate dal 92% dei bambini di 6 anni. I bambini di 6 anni compiono ragionamenti corretti in quanto hanno una adeguata teoria della mente. Esperimenti successivi hanno evidenziato che i bambini più piccoli rispondevano in modo scorretto soprattutto per la difficoltà a memorizzare più cose contemporaneamente. C'è un accordo unanime sul fatto che dopo i 4 anni i bambini siano in possesso di una teoria della mente. Sulle capacità dei bambini più piccoli esistono varie controversie, rendendo esplicita l'informazione ( dove andrà prima di tutto Max a cercare la cioccolata?) la maggior parte dei bambini di 3 anni risponde correttamente. In conclusione si può ipotizzare che dai 3 anni i bambini abbiano una teoria della mente.
L'attività cognitiva di controllo dei processi di memoria ('meta-memoria'):
È possibile distinguere due diverse indagini: alcune generali, come obiettivo primario lo studio dei vari aspetti della meta-memoria, altri dedicati solo alle conoscenze del soggetto sulle caratteristiche della memoria.
Il termine meta-memoria non significa una forma particolare di memoria, ma un'attività cognitiva di controllo dei processi di memoria. Si tratta di una attività che per la sua natura ha molto più a che fare con l'intelligenza e/o il pensiero e/o il ragionamento che non con la memoria.
Le capacità mnemoniche dei bambini sono positivamente influenzate da interventi educativi che migliorino il livello metamnemonico.
Delle indagini con soggetti con ritardo mentale hanno evidenziato come è possibile migliorare le prestazioni di memoria attraverso uno specifico training di meta-memoria. I bambini con ritardo mentale fornivano prestazioni inferiori nell'uso di strategie e nell'effettivo ricordo. Queste ricerche suggeriscono non solo che vi è una relazione tra meta-memoria e prestazioni di memoria, ma anche che un adeguato training di meta-memoria può essere utile per migliorare le prestazioni di memoria, a condizione che l'età mentale del soggetto non sia troppo bassa. Si ipotizza quindi che sia necessario un certo livello di intelligenza per saper utilizzare ciò che sia imparato.
Lo sviluppo delle conoscenze sulla memoria:
Sia le ricerche che si rifanno all'approccio 'teoria della mente' sia quelle che studiano la metamemoria forniscono informazioni anche sullo sviluppo delle conoscenze relative al funzionamento della mente.
Un obiettivo fondamentale è stato quello di confrontare lo sviluppo delle strutture mentali con lo sviluppo delle conoscenze sul funzionamento della mente.
A 3-4 anni i bambini non riconducono il ricordo o l'oblio a processi intenzionali. Le prime riflessioni sulla memoria sono quindi espresse piuttosto precocemente, tuttavia, poiché in linea di massima non si tratta ancora di vere e proprie 'strategie' di memoria, preferiamo riferirci ad esse come componenti di un prelivello.
A 4-6 anni la memoria non viene descritta solo come una sorta di contenitore, più o meno capiente, dal quale le idee possono entrare ed uscire, ma come un processo della mente su cui possiamo influire attivamente. L'oblio viene spesso ricondotto ad una cattiva recezione, cioè 'al non aver sentito'.
Sui processi di memoria influiscono anche componenti di carattere fisiologico: stanchezza, sonno, fame, sete, caldo, freddo. Il bambino comincia ad intuire che il passare del tempo è una variabile importante, una strategia di memorizzazione e di recupero molto menzionata tutte le età è quella che fa ricorso ad un aiuto esterno, spesso un adulto, che supplisce così alle difficoltà del bambino.
A 5-8 anni il passare del tempo viene indicato come la principale causa dell'oblio e l'utilizzo di strategie di memoria viene previsto anche per l'intervallo di ritenzione. Se la reiterazione può essere utile immediatamente dopo la percezione del materiale da ricordare, lo è ancora di più se effettuata anche durante il periodo di mantenimento. L'utilizzo del pensiero diventa più finalizzato ed elaborato. Il pensiero risulta ancor più proficuo se accomnato dalla ricerca di uno stato di calma. Compare la capacità di scrivere che costituisce un buon supporto all'incertezza del ricordo.
A 8 anni il tempo che intercorre e risulta essere una variabile importante, importanti sono anche l'attività che in tale periodo hanno luogo. Per quanto riguarda le strategie emerge la necessità di evitare pensieri che possono produrre un'interferenza. L'impegno e lo sforzo personale devono essere intensi e prolungati, infine possono essere sfruttate le capacità associative del pensiero.
Dai 10 anni emerge la consapevolezza che gli aspetti emozionali e motivazionali sono molto importanti. Emozioni intense possono interferire nel ricordo, viene riportata l'importanza del concentrarsi, l'utilizzo di associazioni diventa più raffinato, per memorizzare un termine o oggetto si ricordano anche altre parole.
Lo sviluppo delle conoscenze sull'attenzione:
Anche per quanto riguarda l'attenzione possiamo distinguere diversi livelli nello sviluppo delle concettualizzazioni.
A 3-4 anni il fare attenzione viene identificato con l'essere bravi, ubbidienti.
A 4-6 anni i processi attentivi sono spesso assimilati a quelli percettivi, la disattenzione consiste in un problema di recezione dell'informazione, al non aver ascoltato dovuto a fattori esterni, rumori o musica; o a fattori interni, giocare, guardare in giro. Per attirare l'attenzione altrui vengono riportate strategie come fare rumore, parlare forte, gridare o contattare la persona fisicamente privilegiando così la dimensione concreta rispetto a quella mentale.
A 6-8 anni il ruolo attivo che il pensiero svolge viene descritto in termini di 'distrattore'. Cause di disattenzione sono l'aver pensato ad altro o concentrarsi su altre cose. Per quanto riguarda le strategie attributive si presentano ora più elaborate, il bambino può guardare benecon attenzione.
Dagli 8 anni il pensiero riveste un ruolo centrale, esso rappresenta uno strumento importante per assicurare o comunque sostenere i processi attentivi. Per riuscire a stare attenti bisogna sforzarsi di capire, riflettere, avere tutta la mente su ciò che si deve imparare. È importante evitare ogni pensiero interferente, la mancanza di interesse e la mancanza di volontà che possono essere alla base della disattenzione.
Lo sviluppo delle conoscenze sul controllo delle emozioni:
L'analisi delle credenze espresse da bambini evidenzia che in questo caso è opportuno distinguere quattro diversi livelli di sviluppo.
I bambini più piccoli tendono a confondere le manifestazioni esteriori delle emozioni con le emozioni stesse. Ritiene che la tristezza viene identificata con il pianto, la paura col tremare, la strategia consiste nel non tremare.
A 4 anni il bambino inizia a riconoscere che le emozioni vanno e vengono. Per eliminare le cause può essere utile il ricorso ad un adulto, questi può intervenire per aiutare o proteggere, consolando o stringendo forte il bambino. Lo stato emotivo è un evento che dipende perlopiù dall'esterno.
A 5-6 anni il bambino cerca di controllare le proprie emozioni intervenendo non sulle cause esterne, ma su se stessi. Il controllo delle emozioni sembra legarsi all'azione, è il livello del fare più che del pensare, del concreto più che del mentale. Il giocare, cantare, distrarsi viene spiegato come fare altro e non come pensare ad altro. Caratterizza questo livello la strategia del dirsi, per esempio devo farcela, devo stare tranquillo.
A 8-9 anni l'emozione viene descritta soprattutto come un evento mentale che può essere controllato attraverso strategie, il pensiero può influire su se stesso. Una certa emozione può essere meglio controllata se analizziamo la situazione attentamente. Il bambino individua le componenti motivazionali come fattori che influiscono sulla capacità di controllare le emozioni.
Lo sviluppo della metacognizione: sintesi
Tra i 3 ed i 5 anni, periodo della scuola dell'infanzia:
Dagli esperimenti sulla 'teoria della mente'risulta che i bambini hanno delle competenze superiori a quelle emerse nei primi esperimenti, eliminare le difficoltà provocate dalla comprensione linguistica ha permesso di evidenziare che a 3 anni il bambino inizia a tener conto del fatto che altri bambini regolano il proprio comportamento sulla base delle informazioni che possiedono, anche se queste sono errate.
In altre parole essi sanno che la mente umana può pensare cose sbagliate, le persone si comportano tenendo conto delle proprie credenze.
A 3-4 anni capiscono che esiste l'oblio
-alcune condizioni esterne alla mente (sonno, stanchezza) favoriscono l'oblio
-si può fare qualcosa per ricordarsi meglio le cose (ripeterle a voce alta)
Meno evolute sono le conoscenze riguardanti l'attenzione.
Un discorso analogo deve essere fatto per quanto riguarda le conoscenze sulle emozioni. A questa età il bambino tende a confondere le manifestazioni esteriori delle emozioni con le emozioni stesse.
A 4-5 anni le conoscenze della memoria:
-per favorire il ricordo è importante immagazzinare bene il materiale fin dall'inizio.
-per recuperare i ricordi è importante pensarci o chiedere all'adulto.
Conoscenze sull'attenzione:
-per essere attenti bisogna essere in un ambiente tranquillo,
-prestare attenzione richiede impegno.
Conoscenze sulle emozioni, il bambino tende a pensare che:
-se c'è un'emozione troppo forte bisogna chiedere aiuto ad un adulto,
-con il passare del tempo le emozioni passano.
Le ricerche ci suggeriscono che solo a partire dai 5 anni c'è una correlazione tra le conoscenze metacognitive e le effettive prestazioni, almeno per quanto riguarda la memoria.
Anni della scuola elementare:
I bambini sanno che esiste, per la memoria, l'interferenza delle azioni e anche quella del pensiero. Forse nel bambino vi è una progressione nelle conoscenze che intenda seguire le seguenti tappe:
-la memorizzazione richiede una buona attenzione, questa richiede impegno e motivazione.
A questa età aumenta l'importanza che il bambino dà ai comportamenti esterni che possono favorire il controllo delle emozioni. Il bambino capisce che un certo controllo delle emozioni può essere effettuato agendo sull'esterno, ma anche dall'interno attraverso il linguaggio. Un sistema di conoscenze metecognitive sembra, in un primo livello, formato. Proprio per questo inizia a esserci la correlazione significativa tra conoscenze metacognitive e prestazioni. Pare che l'uso del pensiero operatorio inizia a giocare un ruolo cruciale nel favorire tale collegamento.
Dagli 8-9 anni la maggioranza dei bambini ha capito che le emozioni interferiscono sulla memorizzazione, sul recupero e sull'attenzione. Come le emozioni interferiscono sulla memoria e l'attenzione, così il bambino riconosce che il pensiero può favorire un certo controllo delle emozioni.
Memoria, attenzione, emozioni: si tratta di variabili che interagiscono le une con le altre, indipendentemente dall'età cronologica.
modulo 7 - Lo sviluppo delle conoscenze: ulteriori approfondimenti.
Si distinguono due diversi tipi di conoscenze: procedurali e dichiarative. Le prime si riferiscono al saper fare, cioè alle conoscenze su come si agisce ( i 'programmi' del computer). Qui conoscenze dichiarative e riguardano le credenze del soggetto (i dati su cui si sta operando).
Il contributo di Piaget:
Si è rivolto soprattutto allo studio dello sviluppo delle strutture intellettuali, nei suoi primi studi interpreta lo sviluppo delle modalità di ragionare del bambino e delle sue conoscenze infantili il riferendosi ad alcune tendenze che differenziano il bambino dall'adulto. La più importante è definita con il termine 'egocentrismo' e 'realismo'.
Egocentrismo, realismo e pensiero precausale:
Col termine 'egocentrismo' si indica la tendenza a non tener conto della possibilità che esistano punti di vista diversi dal proprio, cioè la difficoltà a considerare l'esistenza di modi di vedere, di conoscere, di pensare, di vivere, diversi dai propri. Piaget ha dichiarato che l'egocentrismo ed il realismo sono caratteristiche fondamentali del pensiero infantile e si manifestano un pò in tutti gli aspetti cognitivi del bambino: il linguaggio, le idee relative ai fenomeni fisici, morali, ecc.
Col passare dell'età il bambino supera questa difficoltà, a 6-7 anni compie dei progressi e presto l'egocentrismo primitivo viene superato, anche se gli influssi della mentalità egocentrica permangono a vari livelli.
Con il termine 'realismo' si designa la tendenza a dare più valore ai dati percettibili che a quelli rappresentativi è da considerare come unica realtà quella visibile e materiale. Piaget ha evidenziato come la tendenza realistica porta il bambino ad attribuire alla realtà puramente soggettiva, come sogno o il pensiero, le caratteristiche che sono invece tipiche degli oggetti materiali. Il bambino tende a non comprendere le nozioni impartite dall'adulto che si basano sul 'possibile' il che non hanno perciò un sufficiente riscontro nella realtà percettibile.
Uno dei prodotti delle egocentrismo e del realismo è il pensiero precausale. Il bambino piccolo, dominato dall'egocentrismo e realismo, vive il mondo interiore e quello esterno come non distinti e quindi non appartenenti ad una sola realtà, egli tende a credere che tra le cose, e che tra lui e le cose, sia possibile una serie di relazioni. A causa del pensiero precausale il bambino può porre motivazioni di ordine logico e morale all'origine dei fenomeni, così che egli può pensare che alcuni sogni vengono per punire il bambino disobbediente, che l'erba cresce perché altrimenti le mucche morirebbero di fame.
Le idee infantili sulla realtà naturale:
I bambini piccoli tendono ad attribuire vita, intenzionalità e coscienza a molti elementi che secondo gli adulti sono inanimanti e privi di intenzionalità e di coscienza (animismo infantile).
Per Piaget non è una credenza consapevole, ma solo un atteggiamento generale.
È possibile distinguere quattro diversi periodi.
1-i bambini di età inferiore ai 5-6 anni tendono ad attribuire vita, coscienza e intenzionalità a tutti gli oggetti che si trovino in un processo dinamico (tavolo che brucia, candela che fa luce).
2- Dai 6-8 anni rivelano tendenze animistiche solo per le cose in movimento (nubi, fiumi, veicoli).
3-Dagli 8-l0 anni i bambini distinguono tra gli oggetti che si muovono di moto proprio e quelli che si muovono solo per moto ricevuto attribuendo vita e intenzionalità solo ai primi.
4- A 11-l2 anni i bambini rivelano concezioni simili a quelle adulte.
Nozioni relative al tempo:
Il bambino non capisce che una persona di età maggiore di un'altra è necessariamente nata prima. Il realismo influisce sul giudizio del bambino inducendolo a dare importanza alle trasformazioni del corpo, per esempio all'altezza, e non al trascorrere l'obiettivo del tempo.
A 6-8 anni il bambino comincia a costruirsi delle nozioni appropriate, anche se in modo incompleto. Può succedere che il bambino comprenda che le distanze di età restano costanti, ma che non sappia dedurre chi è nato per primo.
Dopo gli 8 anni di bambino capisce chiaramente il concetto di età.
Le idee del bambino sulla realtà economica:
Il bambino di età compresa tra i 3 e i 14 anni pensa che la banca dà i soldi al papà perchè gli servono per comprare tante cose, che se si sforza di più deve avere più soldi perché è giusto così. Anche il realismo si manifesta nelle nozioni economiche infantili, come quando il bambino pensa che per fare un certo mestiere è sufficiente indossare la divisa può che basti voler essere contadino sotto l'operaio per diventarlo.
Solo in una fase più evoluta (7 anni) emerge la nozione, a livello di vera e propria assimilazione, che i soldi si ottengono lavorando.
La comprensione delle nozioni religiose:
La comprensione delle nozioni religiose è condizionata sia dalla qualità e dall'intensità dell'istruzione che il bambino riceve sia dalle caratteristiche delle sue strutture mentali.
-Nel periodo della scuola materna Dio è spesso considerato un signore, un uomo particolare.
-Nella scuola elementare Dio può essere anche considerato come un gigante o un uomo che non si vede.
-A 9-l0 anni il bambino può affermare che Dio è in noi o nelle nostre anime o sempre vicino a noi.
-Nel periodo della scuola media vi sono le prime comprensione della spiritualità di Dio.
La comprensione infantile delle nozioni religiose tende ad essere di tipo ritualistico. Ci si riferisce al fatto che il bambino è più teso a capire come si devono fare le cose 'di chiesa' che al loro significato.
Tra le nozioni che il bambino assimila più facilmente vi è quella di Dio Creatore fin dai 5-6 anni. Gli studi condotti da Piaget su come il bambino si rappresenta la realtà naturale ci permettono di capire che ciò avviene per influenza dell'artificialismo. Il bambino assimila facilmente tale nozione perchè non è necessario che egli si formi nuovi schemi mentali. Un'altra nozione facilmente assimilabile dai bambini è che Dio è garante della immortalità dell'uomo, nel senso che gli garantisce una vita dopo quella terrena.
In generale il bambino non collega le credenze religiose con quelle ricavate attraverso l'esperienza quotidiana. Si parla di una 'frattura Mondo-Dio', è come se ci fosse qualcosa che impedisce il confronto profondo tra le cose che riguardano la religione e quelle che riguardano la vita di ogni giorno, egli si trova con nozioni che non riesce a conciliare: dopo morti si va nella bara e sottoterra, ma si va anche in Paradiso, cioè in cielo.
La cosa più semplice per evitare il conflitto sembra quella di non effettuare collegamenti tra le nozioni religiose e quelle che derivano dalla vita quotidiana.
-Nella prima adolescenza (11-l4 anni) l'uso del pensiero formale migliora notevolmente le sue capacità di comprensione e sorgono i primi dubbi.
-Nella seconda adolescenza ( 15-l9 anni) emergono in modo prepotente i dubbi: perché Dio permette il male?
La compressione della morte:
Fino a pochi anni fa gli studiosi ritenevano che la comprensione della morte da parte del bambino fosse limitata. Gli studiosi piagetiani tendevano a pensare che senza l'uso del pensiero operatorio concreto non fosse possibile, per un bambino di età inferiore ai 6-7 anni, capire che la morte è universale, irreversibile.
Ricerche recenti hanno evidenziato che fin dai 2-3 anni di vita la problematica della morte è affrontata dal bambino. L'osservazione delle espressioni verbali infantili rivelano che ancor prima del compimento del terzo anno di vita il bambino si accorge del fenomeno, ad esempio di fronte alla morte di un animale prova compassione. Egli ha cominciato a differenziare la morte dal semplice dormire.
Già a 3 anni egli non ha ancora compreso che la morte è irreversibile, universale e consiste nella cessazione delle funzioni vitali, ma i progressi verso questa comprensione sono significativi. I bambini di età superiore a 6 anni capiscono che la morte è irreversibile e consiste nella cessazione delle funzioni vitali.
Le idee del bambino sulla scrittura, prima di saper leggere e scrivere:
I bambini con svantaggio socio-culturale si dimostrano a tale proposito meno evoluti degli altri
Leggere:
-Fin dai 2-3 anni il bambino ha proprie idee su cosa può essere oggetto di lettura e cosa no.
-Già dai 3-4anni i bambini pensano che solo certi segni o lettere possano essere letti. Non è presente il problema dell'orientamento spaziale, ovvero si legge da destra verso sinistra o viceversa.
Scrivere:
-Dagli 2-3 anni i bambini tentano di scrivere in due modi, corsivo o stampatello
-A 3-4 anni vengono scritte solo le cose importanti come i nomi.
-A 4-5 anni i bambini tendono a pensare che la parola singola sia scritta con più caratteri.
A 5-6 anni avviene la comprensione che le parole sono separate tra di loro da uno spazio bianco.
Le idee di bambini di scuola elementare sulla famiglia:
La maggioranza dei bambini disegna, alla consegna che riguarda la famiglia reale, una famiglia che ha le stesse caratteristiche di quella reale; i li unici disegnano più di un lio. Nella maggioranza dei bambini di scuola elementare prevale l'idea che una famiglia senza li sembra non essere una famiglia.
Se i genitori si separano prevale la convinzione che a quel punto non c'è più una famiglia vera e propria.
Le finalità di una famiglia sono il volersi bene e il provvedere ai li.
modulo 8 - Lo sviluppo delle emozioni
Caratteristiche e funzioni:
Un'emozione è una complessa catena di eventi che comincia con la percezione di uno stimolo e finisce con un'interazione tra l'organismo e lo stimolo che ha dato via dalla catena di eventi.
Alle emozioni sono state riconosciute 3 funzioni specifiche, 1 favorente l'azione e 2 di tipo comunicativo:
1-Esse servono all'individuo per far fronte ad una situazione vissuta come eccezionale. L'attivazione dell'organismo può risultare eccessiva, si usa il termine di emozione per riferirsi al rischio di una reazione esagerata.
2-comunica all'esterno la propria situazione (con il rossore, lo sguardo fisso, ecc).
3-l'emozione serve anche ad informare lo stesso individuo sia che c'è qualcosa di eccezionale da fronteggiare, sia sui risultati dei suoi tentativi di controllo dell'emozione.
Possiamo distinguere tra emozioni primarie (come la paura, felicità, tristezza) ed emozioni complesse (delusione, ansia).
Problemi teorici nello studio dello sviluppo emotivo:
Il primo ostacolo è fornito dal fatto che per quanto riguarda i primi mesi di vita gli aspetti soggettivi dell'emozione non sono direttamente ' osservabili', ma osservabili attraverso indici esterni ( sguardo, movimenti del soggetto).
Un'altra difficoltà è legata alla definizione stessa di emozione. Come abbiamo visto una delle caratteristiche fondamentali delle emozioni è il 'vissuto cosciente' dell'emozione stessa, in altre parole il soggetto si accorge di 'provare' qualcosa difficile da controllare.
Le teorie dello sviluppo delle emozioni:
Si delineano 2 diverse ipotesi:
1-Teoria della differenziazione: si ipotizza che si possa distinguere nel neonato solo uno stato di minore o maggiore eccitazione e che successivamente avvenga una differenziazione tra stati motivi di sconforto e piacere.
1° mese di vita: presenti il sorriso endogeno e il dolore (che esprime attraverso il pianto) ed infine lo sconforto (che prova di fronte a un disagio fisico). Essi sono ritenuti dei precursori. Non si tratta perciò di avere e proprie emozioni.
3° mese di vita: vi è l'attenzione coatta precoce, caratterizzata dal fatto che il bambino, di fronte a uno stimolo non familiare, lo fissa per un periodo prolungato (2 minuti), questo comportamento è considerato un precursore della paura, si pensa che l'oggetto-stimolo scateni nel bambino una reazione negativa che è più provocata dal fatto che il bambino resta immobile che non per il fatto che l'oggetto fa 'paura' al bambino.
Dai 3 mesi compaiono le emozioni vere e proprie: piacere, rabbia, disappunto. Si suppone che il bambino abbia una vaga consapevolezza del proprio 'sentire' 'interno.
Dai 7 mesi, c'è una maggiore consapevolezza delle proprie emozioni.
Dopo i 18 mesi di vita apparirebbero altre emozioni, quali l'affetto per se stessi, vergogna, orgoglio, amore, far del male intenzionale e colpa.
2-Teoria differenziale: si caratterizza per la determinante importanza attribuita alle componenti innate.
Izard distingue 3 livelli di sviluppo:
2-3 mesi di vita: stadio caratterizzato dall'espressione delle emozioni per comunicare i bisogni (sconforto, interesse, tristezza, sorriso endogeno)
3-4 mesi: il bambino presta attenzione agli elementi del mondo esterno (sorriso sociale, gioia, sorpresa)
9 mesi: il notevole progresso nella consapevolezza di sé e del proprio agire è accomnato dall'emergere ulteriori emozioni ( timidezza, colpa e disprezzo).
Altre proposte teoriche cognitiviste:
3-Teoria cognitivista delle emozioni, proposta da Scherer, prevede che lo sviluppo emotivo sia condizionato dalle capacità di valutazione del bambino.
Nel 1° mese il bambino è in grado di valutare se un certo stimolo ha carattere di novità oppure è familiare, abbiamo così sorpresa o noia.
Dai 3 mesi di vita il bambino valuterebbe lo stimolo a seconda del fatto che esso permetta il raggiungimento di un certo obiettivo oppure lo ostacoli.
4-Un'analisi teorica di orientamento cognitivista, proposta da Harris. Egli attribuisce credito a Darwin sul fatto che gli esseri umani possiedano un repertorio universale e innato di espressioni facciali. Grazie a questa dotazione innata il bambino sarebbe in grado di riconoscere fin dai primi mesi di vita espressioni facciali relative alle nozioni di dispiacere, felicità e rabbia.
Comparsa delle varie emozioni:
Gli studiosi non concordano pienamente sui tempi di sa delle varie emozioni.
Esistono però ampie concordanze relativamente alla presenza del:
-sorriso endogeno, espressione di benessere fisico; tra fallimento e sconforto dalla nascita
-sorriso al volto umano, dal 3° mese di vita
-riso come espressione di gioia, rabbia, collera e paura, tra i 3-9 mesi di vita. Avendo presente la suddivisioni in stadi di Piaget le colloca nel periodo delle reazioni circolari secondarie (3-8 mesi), in cui il bambino non è più centrato solo sull'esercizio dei riflessi, ma sul mondo esterno, teso ad agire per raggiungere degli obiettivi
-colpa e disprezzo, dopo il primo anno di vita.
La comprensione delle emozioni altrui:
Almeno a partire dagli 8 mesi il bambino è in grado di interpretare alcune riflessioni di incoraggiamento o di ansia delle madri (paura dell'estraneo o guardare la madre per ricevere indicazioni ).
Dopo il primo anno di vita la comprensione delle emozioni porta il bambino, in caso di emozioni negative, a cercare di intervenire per 'consolare' l'altro.
A 3-6 anni i bambini sono in grado di capire che vi sono reazioni soggettive agli stimoli, quindi la stessa situazione può risultare piacevole per una persona e non per un'altra.
Dai 4-l0 anni che i bambini comprendono sempre più le condizioni che provocano emozioni complesse come l'orgoglio, la vergogna e la colpa. Ciò è dovuto al fatto che il bambino riesce a considerare il giudizio. Nella fanciullezza capiscono che si provare due diverse emozioni anche in breve tempo o contemporaneamente.
Il controllo delle emozioni:
Verso gli 8-9 mesi circa il bambino dovrebbe avere una certa consapevolezza del vissuto interno, soggettivo, connesso con le emozioni.
I progressi nello sviluppo cognitivo, come il pensiero operatorio, che rende possibili ragionamenti complessi, possono favorire il controllo emozioni.
Fin dai primi anni della fanciullezza i bambini sanno che è possibile controllare, almeno parzialmente, le emozioni negative e privilegiano le modalità 'sostitutive ', cioè quelle che permettono di 'riempire la mente' con cose più piacevoli rispetto. Riguardo al problema del rapporto fra le espressioni emotive e l'esperienza soggettiva vi è un'ampia concordanza sul fatto che le emozioni hanno una base innata, ciò spiega perché certe espressioni emotive tendano ad essere universali.
modulo 9 - Lo sviluppo affettivo secondo la psicoanalisi
La psicanalisi non sorge nell'ambito della psicologia, ma in un contesto medico e psichiatrico. La psicoanalisi dei primi anni del 900 si distingue dalle correnti e psicologiche di allora per l'oggetto di studio ( il comportamento anormale), il metodo ( l'osservazione clinica) e il fine ( la guarigione dei malati mentali).
Lo stadio orale:
La psicanalisi ci invita a considerare la notevole importanza che ha per il bambino la zona della bocca, vista come la zona del corpo che permette le prime sensazioni di piacere. Essa è la ' prima zona erogena' e tale rimarrà per i primi 18 mesi di vita. Data l'importanza della zona orale, la qualità della relazione tra il bambino e la madre può risultare condizionata anche da come vengono risolti i problemi relativi all'alimentazione. Non si tratta solo di un rapporto finalizzato alla soddisfazione dei bisogni fisici, ma di un vero e proprio dialogo che può provocare un piacere più o meno intenso.
Con la crescita dei primi denti ( sei mesi di vita) il bambino acquisisce uno strumento efficace per attaccarsi a parti del mondo esterno, a trattenerle, a impossessarsene.
In questo periodo inizia un 'processo di separazione-individuazione ', cioè quel processo che porta gradualmente il bambino a conoscere se stesso e a distinguersi dagli altri.
All'inizio il bambino non distingue tra ciò che ha dentro e ciò che ha fuori lui, egli non sa che è una persona diversa da lui quella che soddisfa i suoi bisogni. All'inizio il bambino si trova in uno stato di totale indifferenziazione.
A partire dal secondo mese di vita sembra esserci una consapevolezza che qualcuno soddisfa i suoi bisogni, si parla allora di 'fase simbiotica '.
Con il passare del tempo attua una serie di semplici comportamenti e che risulteranno utili per attuare il processo di differenziazione: si stringe o si allontana dal corpo della madre, si porta la propria mano alla bocca.
Il processo di individuazione-separazione procede, finché verso i 12 mesi circa, arriverà alla deambulazione, egli è intento a prendere contatto con il mondo esterno, a scoprire cose nuove e luoghi prima inaccessibili.
Secondo Spitz il sorriso è un'importante fase di transizione del processo che porterà al vero e proprio costituirsi dell'oggetto libidico, cioè alla capacità di provare dei sentimenti, anche complessi, nei confronti di una persona. Dopo il fenomeno del sorriso al volto umano, il bambino inizia a manifestare i propri sentimenti di dispiacere allo sparire della madre. Per la costituzione dell'oggetto libidico bisogna aspettare il 6°-8° mese di vita poiché solo allora può dirsi stabilita una relazione affettiva con una persona specifica. Questa tappa è contraddistinta dall'angoscia, nei casi più evidenti il bambino non sorride più a tutte le persone, di fronte all'estraneo scoppia in lacrime, o gira la testa per cercare un familiare.
Superato questo momento, il bambino sarà sempre più disponibile ad instaurare relazioni affettive anche con altri adulti, senza per questo aver paura di perdere il proprio oggetto libidico.
La costruzione dell'identità personale:
Erikson ha cercato di tratteggiare un quadro che integrasse la visione freudiana, in modo da tener conto anche delle reazioni che l'individuo instaura con l'ambiente sociale. Erikson si sposta sulle strategie che l'Io adotta per affrontare il mondo esterno. La fase tra la nascita e i primi 18 mesi di vita è definita da non acquisizione di un senso di fiducia di fondo, attraverso il superamento del senso di sfiducia. Ciò comporta il sentire/capite che i suoi bisogni fondamentali possano essere soddisfatti dalla ura materna, così può accettare che la madre si assenti, fiducioso appunto che essa ritornerà
Lo stadio anale:
Il 2° e 3°anno di vita è una fase caratterizzata da un cambiamento della zona erogena:da quella orale a quella anale. Nell'espulsione delle feci possiamo ravvisare:
- lo spostamento della zona erogena la mucosa ano-rettale è fonte di piacere a tanto quanto lo era la bocca
- uno strumento di controllo da parte delle bambino sia su se stesso (egli decide quando trattenere o abbandonare qualcosa vissuta come parte del proprio )che sul mondo esterno ( attraverso il controllo degli sfinteri egli esprime l'accettazione o rifiuto, l'obbedienza o ostilità).
Il processo di separazione-individuazione
Con la deambulazione il bambino esperimenta vari tentativi di separazione dall'oggetto libidico. Col tempo la sicurezza del bambino sembra diminuire, egli torna a cercare la madre, chiede all'adulto una tecipazione nelle esperienze, per essere sicuro di poter superare eventuali ostacoli. Egli ricerca l'autonomia, ma vuole sempre avere la possibilità di rifugiarsi presso l' adulto. Il terzo anno di vita si caratterizza per il consolidamento del senso della propria individualità, possono acquistare molta importanza anche ure diverse da quella materna (es. quella paterna). Elementi caratterizzanti sono le gelosie nei confronti dei genitori e la scoperta dell'identità sessuale
Le relazioni oggettuali
Un fenomeno importante in secondo anno di vita è costituito dal ' no '. La parola usata frequentemente dalla madre è: ' no ' impedendo al bambino di fare ciò che si desidera fare. Ogni 'no' della madre che rappresenta una frustrazione emotiva del bambino che si trova in conflitto tra il legame libidico e la frustrazione provocata da lei stessa, egli fa ricorso a un meccanismo di difesa: quello dell'identificazione. Il bambino fa però l'uso di una variante, applica cioè l'identificazione con l'aggressore, quindi il ' no ' viene usato contro l'oggetto libidico.
La costruzione dell'identità personale:
Secondo Erikson il periodo compreso tra i 18 e dei 36 mesi è caratterizzato da acquisizioni nel senso di autonomia e lotta contro il senso di dubbio e di vergogna, è un periodo di conflitto: da una parte il bambino si sente indipendente, dall'altra è ppresente la paura della separazione dei genitori. La problematica del controllo anale, ritenuto centrale anche da Erikson, porta a sentimenti contrastanti: sensazione di essere capace di controllo, ma anche paura di non essere in grado di farlo. Il bambino può sviluppare una corretta autonomia, in caso contrario risulternno dominanti la vergogna e il dubbio.
Lo stadio fallico
Dai 3 anni circa diventa dominante l'interesse per i genitali. Sia il bambino che la bambina non riconoscono la vagina come genitale femminile, essi sarebbero centrati sul genitale maschile e sul fatto che alcuni individui ne sono forniti, mentre altri non lo sono.
Lo stadio fallico è comunque caratterizzato soprattutto dal complesso edipico, un conflitto che dura per un periodo molto lungo, almeno tre anni, spesso è caratterizzato da emozioni e sentimenti molto intensi, è contraddistinto da sentimenti libidici molto intensi verso il genitore di sesso opposto.
Nella femmina il complesso edipico sì origina dalla constatazione di non avere l'organo sessuale maschile, inizialmente la bambina può rimanere stupita, fingere di averlo, successivamente si convince di essere uguale a tutte le femmine e in particolar modo anche alla madre. Una volta accettata questa condizione la bambina rivolge tutta la propria attenzione al padre. È questo il momento in cui entra in rivalità con la madre ed ha con lei rapporti a volte tesi. La bambina, infatti, spesso manifesta una chiara svalutazione della madre che è il modello da imitare. Proprio attraverso una sempre maggiore identificazione con la madre ella rinuncerà alla rivalità superando questo delicato periodo della vita.
Il bambino invece manifesta un grande interesse per suo padre: vorrebbe sostituirlo in tutto. Più tardi il bambino inizia ad investire la madre come oggetto libidico. Egli manifesta due tipi di attaccamento: l'investimento concettuale e sessuale nei confronti della madre e l'identificazione con il padre, modello da imitare. I due sentimenti finiscono per incontrarsi e da ciò nasce il complesso di Edipo normale. Il bambino si rende conto che il padre gli impedisce il cammino verso la madre, l'identificazione con il padre assume un tono ostile. Vivendo il padre come rivale teme di essere privato del pene, cui si sente particolarmente orgoglioso. Proprio l'angoscia di castrazione costituisce la spinta al superamento del complesso edipico, rinunciando alla rivalità con il padre, tendendo all'identificazione.
La costruzione dell'identità personale:
Per Erikson il periodo compreso tra il 3 e i 6 anni è caratterizzato da acquisizione dello spirito di iniziativa e superamento del senso di colpa. Egli accetta le argomentazioni freudiane sul complesso di Edipo, ma focalizza la sua attenzione sul problema dell'identificazione con i genitori. Il bambino deve ora scoprire che genere di persona sta per diventare. In questo periodo è teso a raggiungere obiettivi, prendere l'iniziativa, anche e competere con gli altri.
Il periodo di latenza:
L'individuo rafforza le proprie capacità di dominio della posizione sessuale. Gli impulsi sessuali vengono deviati dal raggiungimento di altri fini. Dopo i 6-7 anni avviene una ridistribuzione delle energie pulsionali: una parte trasformata in 'tenerezza', un'altra parte in attività intellettuali, sociali, scolastiche. I meccanismi della sublimazione e della rimozione sono responsabili della ' amnesia infantile ' che porta a ricordare pochissimo di quanto avvenuto nei primi 6-7 anni di vita.
La costruzione dell'identità personale:
Questo periodo è contraddistinto dall'acquisizione del senso di industriosità e difesa del senso di inferiorità. È l'età dell'impegno scolastico, il bambino cerca il successo, vuole dimostrare se stesso che riesce a padroneggiare le situazioni. O in caso di difficoltà emergono sentimenti di inferiorità.
Lo stadio genitale:
Con la pubertà e l'adolescenza le pulsioni libidiche ritornano attive e i conflitti dello stadio edipico possono riemergere. La qualità non è uguale a quella infantile. Le pulsioni sessuali di tipo genitale costituiscono ora dei nuovi pericoli che prima non esistevano, cui non è abituato a far fronte. Sono la causa di tutti quei cambiamenti dell'Io, avviene uno sconvolgimento nella personalità dell'adolescente. L'adolescente emargina completamente le persone che per il bambino avevano rappresentato un importante oggetto d'amore: i genitori, negando la loro importanza o denigrandoli. Queste reazioni che si alternano anche a ritorni a momenti di debolezza e di indipendenza da parte di giovani, a volte i genitori vengono sostituiti da un leader adulto, più frequentemente l'alternativa genitori viene ricercata nel gruppo dei coetanei.
La costruzione dell'identità personale:
Anche Erikson sottolinea come l'adolescenza si caratterizzi per l'importanza attribuita proprio alla problematica dell'identità. Essa è contraddistinta da acquisizione del senso di identità e superamento del senso di diffusione dell'identità, spesso si tratta di un periodo contraddistinto da vere e proprie crisi identità, alla ricerca di quella identità ritenuta più coerente e più ' propria '.
Ulteriori stadi nella costruzione dell'identità personale :
Erikson propone, dopo la pubertà, altre tre fasi che evolutive. La sesta fase è costituita dall'intimità e solidarietà opposta all'isolamento, in cui il giovane ha un bisogno di intimità che può realizzarsi attraverso una fusione con l'altro, esperienze negative portano l'isolamento.
L'età adulta è caratterizzata da generatività opposta a stagnazione. L'adulto tende ad essere attento non solo al futuro personale, ma anche di chi sta attorno. In caso negativo la vita appare noiosa, assurda, senza futuro, priva di ulteriori sviluppi.
L'ultima fase è contraddistinta da integrità dell'Io opposta a disperazione, l'individuo cerca di attuare un bilancio rispetto a quanto ha fatto per continuare una realizzazione che non neghi il proprio passato. la problematica della morte è centrale, in caso di sviluppo negativo si fa strada la disperazione.
modulo 10 - Lo sviluppo sociale
Secondo Bowlby il bambino è geneticamente predisposto a ricercare e mantenere la vicinanza con i membri della propria specie ed in particolare con la propria madre. ½ è un periodo sensibile, a 2 mesi, per lo stabilirsi di un ottimale legame di attaccamento. Poiché esso necessita di un rapporto stabile e duraturo con la ura materna, le separazioni o gli abbandoni hanno effetti negativi sullo sviluppo della personalità.
Bowlby sostiene che la socializzazione non è un derivato di bisogni fisiologici primari, ma è essa stessa un 'bisogno primario'. Tale posizione è in contrasto con la posizione comportamentista, oltre che quella della psicanalisi.
Le teorie di Bowlby sono soggette a varie critiche:
1-Bowlby pone un'enfasi eccessiva sul fatto che l'attaccamento tenda a realizzarsi su una sola ura (madre).
2-attribuisce troppa importanza al legame di attaccamento, considerandolo come il prototipo di tutte le relazioni affettivi e sociali e successive.
3-gli si rimprovera di aver sottovalutato l'importanza dei rapporti tra coetanei nei primi anni di vita.
I primi 3 anni di vita
L'interazione con i genitori
I primi 2 mesi di vita l'esigenza più urgente per l'adulto è quella di regolarizzare i processi fisiologici fondamentali del piccolo, come l'alimentazione o veglia/sonno. Le basi che gli permettono di avere le sue prime interazioni. L'oggetto sociale ( la persona umana ) ha un valore percettivo molto maggiore di qualsiasi altra parte inanimata dell'ambiente.
A partire dai 2 mesi di vita il bambino progredisce nella capacità di prestare attenzione al mondo esterno, le sue azioni diventano più autonome e i piccoli acquisiscono sempre maggior competenza, efficienza e rapidità nel gestire le informazioni offerte dalle altre persone.
Dai 5 mesi grazie al progresso avvenuto sul piano manipolatorio, l'attenzione si rivolge anche agli oggetti inanimati. Le interazioni madre-bambino possono arricchirsi focalizzandosi sulle attività che il bambino compie con gli oggetti. Il lattante passa dalla conoscenza generale degli esseri umani alla conoscenza dei tratti specifici delle singole persone con cui egli è a contatto proprio sulla base delle interazioni sociali.
A partire dal 5° mese il bambino è di norma in grado di riconoscere la madre dalle altre persone.
Dagli 8 mesi lo sviluppo del bambino si manifesta con cambiamenti notevoli. L'integrazione del bambino di chi si prende cura di lui diventano più ricche e complesse, fondate sulla reciprocità e sulla intenzionalità. C'è concordanza nell'attribuire importanza alla reazione drammatica del bambino all'assenza della madre. Sembra che la separazione dalla madre divenga un evento molto significativo soprattutto a partire dal 7° mese di vita.
Pochi mesi dopo la sa dell'attaccamento, il bambino manifesta comportamenti di separazione. Egli non ha più tanto bisogno di continui sostegni percettivi, ha ormai a disposizione una rappresentazione interna dell'oggetto del suo attaccamento. In sintesi, a partire dai 10-l2 mesi, poco alla volta l'immagine interiorizzata della madre inizia a procurare del bambino la stessa sicurezza della sua presenza fisica.
Dai 18 mesi i avviene un ulteriore progresso, grazie all'uso del pensiero le interazioni sociali utilizzano più la componente verbale, in particolare il comportamento del bambino viene guidato dalle richieste verbali dell'adulto. L'uso del ' no ' è quasi solo un primo modo superficiale di interagire, altre volte si è di fronte ad un atteggiamento realmente oppositorio, che può mettere i genitori in seria difficoltà. Tale fase può essere più o meno acuta e prolungata a seconda del comportamento dei genitori, essa comunque tende ad apparire in tutti i bambini. La maggioranza degli studiosi e una modalità con aree di differenziare se stessi dagli altri e sperimentate le proprie capacità di indipendenza. Si tratta di una delle tante tappe che l' individuo deve raggiungere e superare nel suo cammino verso l'autonomia affettiva, emotiva e sociale.
L'interazione tra coetanei
Durante il 1° anno di vita le interazioni tra coetanei sono caratterizzate dal fatto di essere più brevi, isolate e passive rispetto a quelle che avvengono con gli adulti. Con il passare del tempo diminuiscono sia i contratti fisici sia le interazioni attraverso oggetti o di tipo negativo (es: togliere un giocattolo). Aumentano invece le interazioni attraverso oggetti, di tipo positivo (es: porgere un oggetto).
Nel 2° e 3° anno di vita le interazioni tra coetanei si fanno più ricche, emergono la reciprocità e la complementarietà, i bambini coordinano le azioni di tipo sociale al loro fine sociale. Gli studiosi hanno evidenziato un graduale passaggio dalle cosiddette interazioni speculari alle interazioni complementari e reciproche. Si parla di interazioni speculari quando i bambini ' insieme ' fanno la stessa cosa.
Nel 3° anno di vita si notano sempre più altri tipi di interazione. Ad es. un bambino risponde alla richiesta di aiuto di un comno ( interazione complementare) oppure, dopo aver fornito soccorso una prima volta, lo richiede a sua volta ( interazione reciproca).
A partire dal secondo anno il bambino gioca assieme a dei coetanei. In alcuni casi sembra che il bambino privilegi i giochi solitari, mentre in altri si rivela capace di giochi sociali sofisticati (giochi simbolici come i mestieri). Quando ai bambini è lasciato ampio spazio di scelta emergono giochi brevi, individuali; in quelli in cui gli educatori, rispettando gli interessi dei bambini, propongono dei giochi sociali, emerge che il bambino ha delle capacità di fatto non utilizzate di gioco simbolico.
Dai 3 ai 6 anni:
L'interazione tra il bambino e i suoi genitori si fa sempre più ricca. Il bambino, superata la fase negativistica, è particolarmente teso ad imitare i propri genitori, in particolare quello del proprio sesso, e ad identificarsi con loro. Il bambino è attento a comprendere i diversi ruoli delle persone. La frequenza della scuola dell'infanzia amplia ulteriormente l'orizzonte sociale del bambino, gli permette di entrare nel mondo delle 'regole sociali ' stabilite per permettere la convivenza, capisce e come ci si deve comportare nella ' ruolo ' di lio, in quello di maschio o femmina, nipote.
Per quanto riguarda la dimensione autorità-obbedienza fino ai 6-7 anni i bambini non mettono in dubbio il fatto che si debba ubbidire ai genitori, essere bambini buoni significa accontentare i genitori essendo obbedienti e gentili.
Il rapporto con gli insegnanti:
L'insegnante assume il ruolo di chi conferma la necessità delle regole sociali, che possono essere meglio comprese perché confermate da persone tra loro diverse. Il bambino ha presente che per ' diventare grandi ' si devono imparare molte cose, l'insegnante pone il bambino di fronte alla necessità di diventare una persona che ' impara e produce ' e che viene valutato per ciò che fa.
Un altro compito fondamentale di insegnante è favorire l'interazione tra coetanei, fin dai 2 anni il bambino manifesta chiari comportamenti di aiuto agli altri, con il passare dell'età egli diviene sempre più bravo ad interpretare i motivi di disagio dei coetanei.
Per quanto riguarda il gioco sociale il bambino rivela buone capacità a seconda del contesto educativo in cui egli è inserito. Dai 3 ai 6 anni i giochi simbolici possono risultare raffinati se mediati dalla presenza di un educatore, senza un adeguato intervento educativo i bambini possono sembrare egocentrici e individualisti.
Per quel che riguarda il concetto di amicizia il bambino non distingue tra comni e amici. Amicizia vuol dire ' fare qualcosa di interessante insieme a qualcuno '.
L'età della scuola elementare
Per quanto riguarda il rapporto con i genitori e in particolare ai problemi legati alla dimensione autorità-obbedienza, durante la fanciullezza, il bambino tende a ritenere che si deve obbedire genitori.
Dopo gli 8 anni egli è in grado di riconoscere che i genitori possono dare degli ordini sbagliati.
Gli insegnanti della scuola elementare assumono il ruolo di chi chiede al bambino di impegnarsi per imparare e di chi valuta tale apprendimento, che si evidenziano al bambino la necessità di un'organizzazione precisa al fine di garantire sia l'apprendimento individuale sia la vita sociale.
Il gioco sociale, con la fanciullezza, si arricchisce ulteriormente. Acquistano importanza i giochi con regole, i bambini sono in grado di condurre giochi che richiedono da parte di tutti il rispetto di alcune regole precise. Dopo gli otto anni, sono anche in grado di modificare le regole del gioco per adattarle alle esigenze del gruppo che vi è coinvolto.
A questa età l'amicizia è caratterizzata dall'avere interessi comuni, condivide le idee e preferenze.
L'amico è ' colui che ti aiuta se ne hai bisogno '.
L'adolescenza
Per quanto riguarda il rapporto con i genitori è risaputo che in molti casi esso è caratterizzato da un livello intenso di conflittualità. Molti problemi si hanno proprio riguardo la dimensione autorità-convenienza, l'adolescente pretende che i genitori motivi le sue decisioni, egli non accetta più il principio di autorità. Il superamento di tali conflitti permette all'adolescente la conquista di una nuova identità personale e sociale.
Anche il rapporto con gli insegnanti si modifica rispetto al periodo precedente, ora è caratterizzato da tensione, paura. Gli adolescenti chiedono ai loro insegnanti di essere più valorizzati, di essere compreso, aiutato, più sensibile ai suoi problemi.
Molta l'importanza hanno i rapporti con i coetanei. Per quanto riguarda l'amicizia essa tende a diventare non solo intima, ma anche più esclusiva e duratura. Nell'adolescenza l'amicizia tende a non fondarsi sull'attività da fare assieme, ma sul rispetto personale: al centro è proprio l'amico e non ciò che si può fare con lui. L'amico deve sentire di essere libero di esprimersi come non gli è possibile con gli altri. Attraverso il gruppo l'adolescente può realizzare quel bisogno di identità sociale che tanta importanza ha proprio a questa età. Il gruppo gli permettere una migliore conoscenza di sé e degli altri.
Grazie all'uso sempre più adeguato del pensiero formale, l'adolescente si rivela capace di giochi con regole particolarmente complessi ( scacchi, sectiune). L'attività ludica è presente in varie altre sue attività, dall'ascolto della musica a quelle sportive. Lo sport gli permette di rivivere problemi e conflitti tipici della sua vita quotidiana, è uno strumento di confronto individuale e sociale, mezzo di formazione e controllo dell'identità.
modulo 11 - Lo sviluppo comunicativo e linguistico
La comunicazione non verbale:
Si distinguono diversi tipi di segnali non verbali: il contatto fisico, la vicinanza, la postura, l'espressione del volto, i gesti, lo sguardo ecc.
La comunicazione tra gli animali:
Si servono di segnali non verbali, raggiungendo l'effetto di comunicare. Una delle più elementari forme di comunicazione tra gli animali ha la funzione di mettere il gruppo in stato di allarme: attraverso grida o producendo un particolare odore.
Altre forme di comunicazione tra animali servono per il richiamo, per trovare un comno con cui accoppiarsi. Altri segnali servono per allontanare, minacciare o per procurarsi cibo.
Tutte le forme di comunicazione costituiscono un patrimonio della specie a cui l'individuo appartiene.
La comunicazione gestuale ed il linguaggio dei segni:
Ci sono segnali emessi intenzionalmente aventi un significato specifico che può esser tradotto in parole: scuotere la mano in segno di saluto, indicare, ecc.
Alcuni gesti non intenzionali vengono usati sistematicamente e fanno parte del repertorio comportamentale dell'individuo.
Anche i linguaggi dei sordi si caratterizzano per l'uso di segni non verbali. Si distinguono due diversi tipi di linguaggi dei segni:
1- i gesti usati mantengono un certo rapporto con oggetto significato
2- i gesti hanno caratteristiche e di complessità analoga a quella del linguaggio verbale. (ASL, LIS)
Sulla natura del linguaggio verbale:
Il linguaggio verbale si caratterizza di ben 16 caratteristiche peculiari, tra cui:
- il linguaggio utilizza il canale verbale-uditivo (il LIS utilizza i canali manuali e visivi)
- gli elementi costitutivi (parole o morfemi) sono discreti. es: 2 parole con significati diversi devono avere almeno un tratto fonologico diverso.
- è possibile produrre messaggi del tutto nuovi e creativi
Le funzioni del linguaggio verbale:
a) Si parla di funzione espressiva quando l'espressione verbale ha lo scopo di permettere una eliminazione oppure un allentamento di una tensione interna (es:ahi!). Lo scopo non è quello di comunicare agli altri il proprio dolore, ma solo un di scaricare una tensione
b) la funzione comunicativa è sempre stata considerata la funzione fondamentale del linguaggio
c) il linguaggio ha anche una funzione di regolamento del comportamento. Di fronte ad un comportamento complesso (es: puzzle) succede di usare il linguaggio.
d) la funzione cognitiva può favorire in particolar modo l'analisi, la sintesi, la generalizzazione.
Approcci teorici nello studio dello sviluppo linguistico
Possiamo riconoscere nello studio dello sviluppo del linguaggio un approccio:
- ambientalistico
- innatistico
- interattivo-cognitivista.
L'ambientalistico sottolinea l'importanza e delimitazione del linguaggio adulto e/o l'associazione stimolo-risposta ottenuta sulla base di condizionamenti di tipo operante.
L'approccio innatista ritrova in Chomsky il suo maggiore esponente. Secondo Chomsky la grammatica di una lingua è un sistema di regole che permette di accoppiare fra loro suoni significati. In tale grammatica si distinguono tre componenti fondamentali:
- fonologico. si riferisce ai suoni
- semantico. si riferisce ai significati
- sintattico. si riferisce alle regole che permettono di combinare fra loro suoni e si significati.
Chomsky postula la presenza innata nell'uomo di un particolare meccanismo che gli permette di acquisire il linguaggio: il L.A.D. struttura innata che permette al bambino di comprendere e di produrre anche frasi che egli non ha mai udito. Essendo innato, il LAD è considerato come universale e alla base dell'apprendimento di ogni lingua.
L'orientamento interattivo-cognitivista affronta il problema dello sviluppo del linguaggio in modo complementare e simile a quello semanticista (sposta l'attenzione dell'analisi dalla componente sintattica a quella semantica. vengono ricercati tutti i collegamenti fra sviluppo linguistico e sviluppo della memoria, dell'intelligenza, dell'attenzione ecc ).Si attribuisce importanza alle componenti semantiche-concettuali ed a quelle esecutive.
Dal pianto alle prime parole:
La comunicazione non verbale nel 1° anno di vita:
Nei primi mesi di vita il bambino produce comportamenti come diretta espressione del suo stato di bisogno. E non c'è alcuno scopo comunicativo, alcuna intenzionalità.
Tra i 4 e 8 otto mesi il bambino manifesta comportamenti comunicativi sia non intenzionali sia intenzionali. Egli tende il braccio con il palmo della mano aperto nel gesto di voler atterrare il biberon, consapevole dell'obiettivo , ma il gesto di afferrare è solo espressione di un bisogno.
Verso gli 11-l2 mesi è facile osservare veri e propri comportamenti comunicativi.
Nel primo anno di vita il bambino manifesta due tipi di intenzione comunicativa:
- la richiesta
- la dichiarazione
Nello stesso periodo in cui il bambino utilizza intenzioni comunicative attraverso richieste e dichiarazioni non verbali compaiono anche le prime parole.
La comprensione del linguaggio nel 1° anno di vita:
Fin dai primi mesi il bambino di mostra le sue prime comprensioni prima sorridendo ed emettendo dei suoni, poi fissando e girando la testa. Possiamo supporre che inizialmente il bambino reagisca al tono generale del discorso comprendendo vagamente le intenzioni.
Nel primo anno il bambino riesce a comprendere le informazioni dell'adulto e gli comunica solo se esse si riferiscano una realtà in cui momento percepibile dato che non ha vere rappresentazioni.
Prime vocalizzazioni e lallazione:
Nella prima attività fonica del bambino possiamo distinguere 2 tipi di vocalizzazione:
quella comprendente vari suoni emessi (pianto) presente fin dalla nascita.
quella comprendente tutte le produzioni foniche indipendenti dal pianto (vera e propria vocalizzazione).Compare nel 2° mese di vita
È stato osservato che sia il pianto che le vocalizzazioni (comportamenti istintivi) devono essere considerati segnali comunicativi, anche se non intenzionali, in quanto diretti ad uno scopo cioè quello di attirare l'attenzione della ura materna, affinché ella soddisfi i bisogni.
Alla produzione delle prime vocali segue la fase della lallazione. Si distinguono 2 fasi:
sa di cantilene e sui suoni vocali (dai 3 ai 6 mesi)
produzione e ripetizione di sillabe ( dai 6 ai 10-l2 mesi)
Dai sei mesi il bambino produce suoni che assomigliano sempre più a vere e proprie sillabe, con accostamenti vari di vocali e di consonanti. Con il passare del tempo le ripetizioni di sillabe si fanno sempre più frequenti ( dagli 8 mesi).
Alla base della lallazione vera e propria (6 mesi) vi è anche un processo di reazione circolare secondaria, per cui bambino tende a riprodurre una produzione fonica subito dopo averla prodotta; in altre parole il bambino produce un suono casualmente, poi il suono da lui prodotto funziona da stimolo e lo induce a riprodurlo (autostimolazione). Subito dopo appare la vera e propria imitazione dell'adulto.
Dai 6 ai 9 mesi il bambino ripete alcune sillabe subito dopo averle udite.
Le prime parole:
I bambini producono le prime parole fra gli 8 e i 17 mesi. La maggioranza dei bambini produce le prime parole dai 10 ai 12 mesi.
Si passa dalla fase della lallazione a quella delle prime parole quando le stesse sillabe come ma-ma, pa-pa non vengono più usate a caso, ma vengono associate a particolari persone quando presuppongono l'intento di comunicare.
Dalle prime parole alle prime frasi
La comprensione del linguaggio
Nel 2° anno di vita il bambino è in grado di comprendere anche il significato di semplici frasi composte da più parole. Inizia a comprendere frasi che si riferiscono a realtà non presenti, dato che in questo periodo comincia a far uso del pensiero simbolico. Per quanto riguarda la comprensione di istruzioni impartite dall'adulto egli ha difficoltà ad eseguirle se sono in contrasto con la propria attività motoria.
Lo sviluppo fonologico:
Il bambino tenta di coordinare fra loro i vari suoni in modo da produrre una parola che abbia un significato e gli permetta perciò di comunicare. Lo sviluppo fonologico inizia con una selezione attraverso differenziazione. Il bambino tende a costruirsi un sistema fonologico procedendo all'inizio solo i fonemi che si differenziano tra di loro. Egli impara i fonemi uno alla volta, ma distinguendoli da altri fonemi.
Dopo aver differenziato le consonanti dalle vocali, il bambino, attua differenziazioni anche all'interno delle consonanti:
- fra orali e nasali
- tra labiali e dentali
Contemporaneamente dovrebbe avvenire all'interno delle vocali distinzioni in larghe e strette.
In sintesi:
- il bambino, dopo la fase della lallazione, deve apprendere ad usare i fonemi della lingua materna e per raggiungere questo scopo deve apprendere lentamente quali sono i tratti distintivi della propria lingua;
- inizia questo processo attraverso differenzazioni;
- la prima differenzazione è tra vocali e consonanti
- il bambino non apprende i fonemi isolatamente, ma differenziandoli da altri.
Considerando non solo gli aspetti logici, ma anche l'interazione con fattori più generali risulta:
- nei primi mesi del 2° anno di vita i bambini possono produrre, con pochi fonemi, molte parole
- un fonema non è difficile o facile da articolare in assoluto, ma a seconda del contesto in cui è inserito
-il bambino tende a non riprodurre parole troppo lunghe o a ridurle a parole di due sole sillabe
-nel ridurre le parole troppo lunghe il bambino tende a lasciare inalterata l'ultima parte della parola o eliminando la prima parte
Concludendo il bambino non assimila 'papallescamente' le parole come le ode dall'adulto, ma secondo un suo originale e caratteristico sistema.
Lo sviluppo semantico:
Una delle conclusioni fondamentali che possiamo trarre dagli studi di Piaget e di Vygotskij è che inizialmente la parola ha per il bambino un significato meno specifico di quanto essa abbia per l'adulto. Molte parole si riferiscono ad una intera situazione. Il bambino non usa le parole con un significato stabile, ma attribuisce loro più significati, arrivando perciò ad usarle anche in situazioni in cui, secondo l' adulto, esse sono inadeguate.
Il bambino generalizza eccessivamente prima di attribuire alle parole lo stesso significato attribuito dall'adulto pertanto l'idea che più frequentemente porta il bambino alla generalizzazione sembra consistere nel riferire una parola anche a tutto l'insieme di cui l'elemento è parte e quindi anche a tutte le parti incluse nell'insieme. Altre volte il bambino attribuisce una stessa parola anche ad elementi che sembrano non appartenere allo stesso insieme. Egli usa, altri criteri. Spesso l'accostamento è dovuto a qualità vistose secondo l'adulto non significative.
In conclusione si sottolineano aspetti presenti della sovrageneralizzazione semantica :
a) mentre all'inizio il bambino considera ' una alla volta ' le varie caratteristiche per esecutive degli oggetti, alla fine egli ne considera molte contemporaneamente
b) il passaggio avviene sulla base di ripetute verifiche di ipotesi sul rapporto tra il nome e l'oggetto. Tali verifiche pervengono in modo diretto grazie all'insuccesso-successo nella comunicazione
Verso il linguaggio dell'adulto
A 18 mesi circa ( acquisizione dell' intelligenza rappresentativa) il bambino produce le sue prime frasi più parole per il confluire di più fattori. Il bambino ha a disposizione molte parole non più usate in modo vago ma collegate con certi oggetti o aspetti di una situazione. Inizia la richiesta di sapere il nome di oggetti nuovi perchè comprende che ogni oggetto ha un nome.
La comprensione del linguaggio:
La comprensione del linguaggio nel bambino progredisce sempre di più arrivando alla fine del terzo anno di vita a comprendere anche frasi abbastanza complesse pertanto permangono alcuni limiti nella comprensione dei discorsi degli adulti se questi discorsi contrastano troppo con ciò che in quel momento occupa il bambino.
Lo sviluppo fonologico:
Verso i 4-5 anni di vita la maggioranza dei bambini italiani è in grado di articolare quasi tutti i suoni (o fonemi) tipici della propria lingua.
Lo sviluppo morfologico:
Fin dal 3° anno di vita il bambino impara ad utilizzare tutta una serie di regole morfologiche, come la formazione del maschile del femminile, del singolare e del plurale, la coniugazione dei verbi. Il bambino non apprende le regole attraverso l'acquisizione passiva dei modelli adulti, ma attraverso procedimenti propri e seguendo regole tipiche del linguaggio infantile. Dello sviluppo morfologico il bambino rivela una sua creatività, una sua peculiare originalità.
Lo sviluppo sintattico:
Secondo la grammatica generativo-trasformazionale lo sviluppo sintattico presuppone nel bambino sia la capacità di riunire in classi le varie parole conosciute, sia di afferrare la struttura sintagmatica di una frase che si traduce nella capacità di segmentare frasi a vari livelli. Con il passare del tempo la grammatica infantile diviene sempre più elaborata.
Lo sviluppo lessicale:
Dai 3 anni il lessico infantile si arricchisce notevolmente.
Il bambino di 6 anni conosce, di norma, il significato di più di 1000 parole ed ogni giorno può apprenderne di nuove, con capacità di assimilazione impressionante. ' Periodo aureo ' per l'apprendimento di nuove parole.
Bambini appartenenti a diverse classi sociali sono diversamente favoriti.
Verso i 2 anni i bambini chiedono spesso: 'che cosa è?'. il bambino sa che ogni cosa ha un nome.
Il bambino di 5-6 anni pone la domanda: 'cosa significa?' o 'cosa vuoi dire?'. Il bambino non cerca più solo la corrispondenza fra sequenze di suoni (le parole) e oggetti, ma tra frequenze di suoni e altre frequenze di suoni. Impara a migliorare il linguaggio attraverso lo stesso linguaggio.
A partire dagli 8-9 anni i bambini riescono a formulare definizioni linguistiche abbastanza appropriate.
modulo 12 - Lo sviluppo morale
Nel 1932 Piaget pubblica Il giudizio morale del fanciullo. In questo testo è proposta la distinzione tra due diversi tipi di moralità teorica infantile: la moralità eteronoma e la moralità autonoma .
Kohlberg propone più sottili distinzioni ( 3 livelli, suddivisi in 6 stadi ) ed analizza lo sviluppo morale anche negli adolescenti e nei giovani di varie parti del mondo.
Lo sviluppo delle notizie morali secondo Piaget:
Piaget ha studiato lo sviluppo di nozioni morali riguardanti la bugia ed il furto, la responsabilità individuale e collettiva. Ha affrontato lo studio delle nozioni morali infantili presentando racconti e chiedendo di esprimere opinioni. Sulla base delle risposte fornite da bambini di età compresa fra 4 e 14 anni ha individuato due livelli fondamentali della moralità teoretica fra loro contrapposti:
- moralità eteronoma fondata sulla responsabilità oggettiva, sulla costrizione e sul dovere. Contraddistinta dal fatto che le regole morali infantile sono dovute ad un processo di acculturazione acritica, di assimilazione di regole che l'adulto ha imposto il bambino si sforza di seguire, pur non comprendendone la funzione. morale centrata sulla adulto e basata su un rapporto autoritario. caratterizzata dall' attribuire più importanti risultati (respons. ogg.)
- moralità autonoma basata sulla responsabilità soggettiva, sulla cooperazione e la ricerca del bene. contraddistinta dalla comprensione ed accettazione critica delle regole morali; caratterizzata dalla attribuire più importanza alle intenzioni (respons. sogg.)
Alla base di queste diverse moralità infantili ci sono 2 logiche:
- costrizione ( moralità eteronoma)
- cooperazione (moralità autonoma)
Nell'infanzia prevalgono giudizi morali che attribuiscono più importanza alla responsabilità oggettiva (relativa agli effetti dell'azione compiuta), che non a quella soggettiva (relativa alle intenzioni).
I giudizi morali dei bambini sono influenzati dal comportamento dell'adulto e dal rispetto che il bambino ha per lui.
Una regola morale è 'giusta' non perchè viene riconosciuta come valida in sè, ma perchè 'così ha detto la mamma'. Secondo Piaget la morale infantile è eteronoma (cioè la norma è qualcosa che ha la propria giustificazione esternamente, nella paura o nel rispetto per l'adulto) e basata sulla costrizione ( il bambino accetta le regole perché provenienti da un'autorità superiore).
Sanzioni espiatorie e sanzioni reciproche:
Molti giudizi morali, sia del bambino che dell'adulto, si fondano sulla nozione di giustizia. ½ sono vari tipi di giustizia.
Giustizia retributiva: di fronte ad un comportamento che viene ritenuto non corretto moralmente ci si pone il problema della proporzionalità fra l'atto compiuto e la punizione.
Giustizia distributiva: si riferisce al problema di come distribuire in modo giusto un onere o una cosa piacevole fra un insieme di persone.
Alcune punizioni vengono definite espiatorie: sanzioni arbitrarie, nessun collegamento logico, significativo con l'atto compiuto. ' hai sbagliato e ora hi ' (es: copiare 50 volte una poesia)
Le punizioni reciproche sono caratterizzate dal fatto che esse sono logicamente collegate con l'atto commesso. Es: se si dicono bugie, gli altri non ci credono più.
I bambini di età inferiore ai 6/7 anni non si preoccupano di stabilire un collegamento significativo fra l'atto commesso e la punizione. Scelgono le punizioni espiatorie perchè meglio rispecchiano il livello di giudizio morale fondato sull'accettazione acritica delle norme proposte dall'adulto.
Prima dei 7/8 anni circa il bambino padroneggia molto più la logica della giustizia retributiva che quella della giustizia distributiva. Secondo Piaget ciò è dovuto al fatto che il bambino più piccolo è ancora centrato sul rapporto con l'adulto.
La giustizia immanente:
Piaget fa notare che il bambino che crede nella giustizia immanente non si pone il problema di come fare la natura a 'sapere ', ' vedere ', ' conoscere ' e ' agire ' per garantire la giustizia. Il bambino ha questa credenza perché per lui la natura non è regolata solo da leggi meccaniche, ma anche da leggi morali e fisiche che insieme sono finalizzate al bene dell'uomo, a garantire la giustizia ecc.
Il bambino si accontenta di credere che vi sono sanzioni automatiche, senza per questo interessarsi a come agisce la natura. Solo con il passare degli anni e con la considerazione dell' universo come sistema regolato solamente da leggi meccaniche, e gli si chiede veramente come agisca la natura. Quando comincia a chiederselo, cominciò a vacillare la sua tendenza della giustizia immanente.
In sintesi: il bambino crede alla giustizia immanente un pò perché ha avuto occasione di sentire dai genitori frasi come ' ti sta bene ', ' è la tua punizione', ma soprattutto perché il bambino, avendo acquisito, in seguito alla costrizione dei genitori, l'abitudine della sanzione, presterebbe spontaneamente alla natura il potere di esercitare le stesse sanzioni.
Lo sviluppo delle nozioni morali secondo Kohlberg
Gli studi iniziati da Piaget sono stati ripresi da Kohlberg. Lo sviluppo morale consiste nella progressiva assimilazione delle regole che la società propone. L'approccio di Piaget e Kohlberg l problema è completamente diverso. Secondo loro il bambino non è un essere passivo che assimila ciò che gli proviene dall'ambiente; è attivo, ha un suo proprio modo di ragionare e di conoscere.
Il bambino modifica progressivamente il proprio modo di ragionare o meglio l'insieme delle proprie strutture mentali. Per sapere a quale livello di sviluppo morale è un bambino non è tanto importante conoscere i contenuti dei suoi giudizi quanto il suo modo di ragionare.
Sulla base delle proprie ricerche Kohlberg ha ritenuto utile riformulare in modo più dettagliato lo sviluppo morale,distinguendo 3 livelli:
- livello preconvenzionale. Il bambino di età compresa fra i 4 e i 10 anni è spesso ' beneducato', è sensibile ai giudizi di buono e cattivo, ma interpreta queste valutazioni in termini di conseguenze materiali (punizioni, ricompense ecc.)
- livello delle convenzioni. il soddisfare le aspettative e l'adeguarsi alle regole della propria famiglia, del gruppo cui si appartiene, della propria nazione è percepito come qualcosa di oggettivamente valido. Il bambino si preoccupa non solo di conformarsi al proprio ruolo nell'ordine sociale, ma anche di conservare tale ordine sostenendolo e giustificandolo.
- livello del superamento delle convenzioni. Caratterizzato da un costante riferimento a principi morali autonomi.
All'interno di ciascuno di questi livelli si possono distinguere 2 stadi:
- Livello preconvenzionale
stadio 1: tendenza a tener conto della punizione e rispetto totale nei confronti dell'autorità
stadio 2: un'azione è giusta se porta al soddisfacimento delle necessità dell'individuo. i rapporti umani sono considerati da un punto di vista utilitaristico
- Livello delle convenzioni
stadio 3 : tendenza ad assumere lo stereotipo del 'bravo bambino'. un comportamento positivo a quello che fa piacere o è di aiuto agli altri. Si cerca di ottenere il consenso attraverso comportamento 'simpatico'
stadio 4: tendenza a considerare l'importanza delle autorità, delle regole, del mantenimento dell'ordine sociale. Un comportamento corretto consiste nel fare il proprio dovere
- Livello del superamento delle convenzioni
stadio 5: tendenza ad accertare una convenzione sociale. L'azione corretta viene ad essere definita in termini di diritti universali e di modelli che sono stati esaminati ed accettati dall'intera società
stadio 6: tendenza a dare maggiore importanza alle decisioni della coscienza ed ai principi etici che si richiamano all' intelligenza logica, l'universalità e alla coerenza.
Il primo livello ( soprattutto nel primo stadio) coincide con il livello piagetiano della moralità eteronoma. A differenza di Piaget, Kohlberg distingue, all'interno del piagetiano livello cooperativo-autonomo almeno due fasi ben distinte. Egli sottolinea come il superamento della moralità e eteronoma fondata sugli adulti avviene, in una prima fase (periodo della fanciullezza ) secondo modalità più acritiche e conformistiche.
Le ricerche di Damon
William Damon ha cercato di inserire la problematica dello sviluppo morale in quella più ampia dello sviluppo sociale. All'interno delle regole sociali egli individua 4 aspetti fondamentali relativi a:
giustizia
amicizia
autorità
regole convenzionali
L'amicizia e l'autorità sono concetti relazionali, che permettono al bambino di organizzare le sue più importanti relazioni sia con i pari che con gli adulti.
Le nozioni di giustizia e di regole sociali sono concetti regolativi, in quanto servono al bambino per apprendere ad uniformarsi a certi comportamenti, ad accettare le costrizioni ed a risolvere i conflitti fra i propri desideri e le aspettative degli altri.
La vita sociale richiede l'acquisizione di molteplici regole. Alcune considerate appartenenti alla sfera della moralità, perché implicanti notizie di giustizia. Altre si fondano solo a livello pragmatico, cioè utili per l'individuo e/o la comunità. La distinzione fra questi due tipi di regole non è facile.
Damon ha condotto ricerche sulle conoscenze relative alla giustizia distributiva. Ritiene che queste conoscenze siano fondamentali al bambino per la sua vita sociale con i pari. Ogni convivenza sociale implica la soluzione del problema relativo a come distribuire dei beni o delle risorse a disposizione. E per quanto riguarda la distribuzione dei beni sono stati distinti 3 diversi criteri:
per merito
per eguaglianza
per benevolenza
Questi tre criteri non sono mutuamenti esclusivi. essi possono essere combinati fra loro. Inoltre il singolo individuo può usare prima l'uno e poi l'altro a seconda delle situazioni.
Giudizi e comportamenti:
Le ricerche di Piaget, Kohlberg, Damon ed altri hanno permesso di definire le caratteristiche dello sviluppo dei giudizi morali. Per quanto riguarda il sesso non sono emerse differenze significative. A qualsiasi età i bambini tendono a favorire se stessi. Per quanto riguarda il confronto fra giudizi espressi individualmente e quelli espressi dopo la discussione in gruppo, i risultati più interessanti riguardano i bambini di 4-5 anni. Essi esprimono giudizi molto più evoluti, dopo la discussione. Non altrettanto avviene per i bambini di 7-8 anni. Queste ricerche ci invitano a pensare che la capacità di formulare giudizi morali evoluti può favorire comportamenti morali altrettanto evoluti e ci confermano che la cooperazione può favorire sia giudizi che comportamenti moralmente più evoluti.
Giudizi morali e sviluppo intellettuale:
L'acquisizione del pensiero operatorio è una condizione necessaria per il passaggio dalla moralità eteronoma a quella autonoma ( o in Kohlberg per esprimere giudizi morali a livello del secondo o terzo stadio) mentre l'uso del pensiero formale o ipotetico-deduttivo è necessario per il passaggio ai livelli più evoluti della moralità autonoma ( o in Kohlberg per passare al quinto stadio).
L' acquisizione del pensiero operatorio-concreto e di quello formale è ritenuta una condizione necessaria, ma non sufficiente per lo sviluppo morale.
Influenza dei giudizi degli adulti e dei coetanei:
I bambini provenienti dall'ambiente rurale risultano complessivamente meno evoluti di quelli di città. L'ambiente influenzano sviluppo morale. Le differenze fra ambienti posso essere di vario tipo: la professione dei genitori, gli insegnanti, il rapporto con la natura, i giochi, la possibilità di cooperazione fra coetanei, l'educazione familiare, il rapporto con gli altri adulti, l'istruzione religiosa, ecc.
La fanciullezza sembra caratterizzata, sul piano morale da:
- coesistenza di tendenze cooperativi, che proiettano sempre più il bambino un verso la morale autonoma
- capacità di contrastare eventuali tendenze coercitive da parte dell'adulto
I bambini di 6-7 anni, sia che sono al livello della moralità eteronoma che di quella autonoma, non si lasciano suggestionare dal coetaneo che esprime giudizi contrari. I bambini che si lasciano suggestionare lo fanno solo a causa del rispetto che a quest'età nutrono per l'adulto.
il riscatto per l'adulto può portare ad un cambiamento di opinione sia in senso matura e estivo che in senso aggressivo, il rispetto per un bambino un può più grande ha effetti solo positivi.
A mano a mano che si procede con l'età non solo aumentano la cooperazione e il rispetto, reciproco nei confronti dei coetanei, ma i bambini si rendono sempre più conto della convenzionalità delle regole morali e della possibilità che esistano molteplici modi di giudicare; quindi sono anche disposti ad accettare giudizi che gli altri sostengono, ma cerca di modificare le spiegazioni che vengono loro proposte in modo da renderle più plausibili secondo il loro modo di valutare.
Sviluppo morale ed istruzione religiosa:
Per cercare di capire con quale intensità i vari fattori richiamino nel bambino l'idea di Dio si distinguono due situazioni:
- il bambino, dato un certo stimolo, pensa a Dio anche se e fino a quel momento non era stato fatto alcun cenno a nozioni religiose
- la reazione del bambino è legata alla presentazione esplicita di alcune nozioni e religiose.
Nonostante eventuali proposte da parte l'adulto, il fanciullo non tende a pensare spontaneamente a Dio quando si trova di fronte ad un conflitto morale. Qualora il bambino sia esplicitamente invitato a riflettere in termini religiosi, egli tende a limitare il più possibile l'intervento divino. In altre parole se l'adulto gli parla di miracoli, egli ci crede, ma preferisce pensare ad un Dio che interviene indirettamente, ad esempio attraverso la 'coscienza'.
La grande maggioranza dei bambini privilegia più la funzione di Dio Protettore che di Dio Giudice.
Man mano che il bambino supera la morale eteronoma basata sulla coercizione in favore di una morale cooperativo-autonoma, egli assimila anche le nozioni proposte dall'istruzione religiosa in sintonia con le proprie convinzioni morali, tendendo a rifiutare le proposte relative ad un Dio coercitivo-punitivo per assimilare più facilmente quelle relative ad un Dio protettivo che premia o perdona. È lo sviluppo morale a condizionare l'assimilazione delle nazioni proposte dall'istruzione religiosa e non viceversa.
L'istruzione religiosa ha nel complesso meno incidenza sullo sviluppo morale di quanto non si sospetti.
L'influenza l'istruzione religiosa sembra influire sullo sviluppo morale meno dello sviluppo intellettuale, del rapporto coercitivo o dialogante dei genitori o degli adulti in genere con il bambino, della cooperazione fra pari.
Stili educativi e sviluppo morale:
L'educazione di quasi tutti bambini è dovuta l'influenza di molte persone: i genitori, i fratelli, i nonni, altri familiari, l'educatrice e i coetanei.
Le ricerche condotte sugli stili educativi ne hanno individuati quattro:
I primi due, basati sull'imposizione dell'autorità da parte l'adulto, sono caratterizzati dall'uso del potere fisico e della minaccia di sottrarre al bambino il proprio affetto.
Gli altri due sono caratterizzati dal fatto che l'adulto cerca di potenziare al massimo la capacità di comprendere la situazione da parte del bambino ( stile induttivo basato sul ragionamento) e di provare empaticamente gli stessi sentimenti provati dalle altre persone ( stile induttivo basato sull' empatia).
Lo stile educativo basato sul potere fisico:
Uno stile educativo tradizionalmente utilizzato per controllare il bambino è basato sul potere fisico utilizzando punizioni di tipo espiatorio. Per quanto riguarda le punizioni privilegia il classico sculaccione o il ceffone ( varianti: privare il bambino di oggetti materiali o di attività piacevoli).
I genitori controllano il bambino soprattutto sfruttando il proprio potere, la propria autorità e la propria superiorità fisica.
Un tale stile educativo ignora il dialogo con il bambino, non si preoccupa di fornire al bambino le informazioni che gli permetta nel futuro di comprendere meglio la situazione e di comportarsi adeguatamente.
Questo stile educativo ha effetti negativi soprattutto se utilizzato dalla madre e le bambine ne risentono negativamente più dei bambini.
Più la punizione è intensa e maggiormente il bambino tende a desiderare l'oggetto o l'attività proibiti e maggiori sono le energie che egli deve impiegare per resistere alla tentazione.
Lo stile basato sul potere fisico è quello che ha peggiori effetti sullo sviluppo morale.
Lo stile educativo fondato sulla sottrazione dell'affetto:
Tra gli stili educativi non basati sul potere fisico è possibile individuarne uno basato sulla privazione dell'affetto: ignorare il bambino, fingere di non notare i tentativi, diretti o indiretti, con i quali il bambino cerca di riconciliarsi con il genitore; rifiutarsi di parlargli quando è evidente che il bambino sta aspettando ansioso che il genitore faccia la prima mossa; non accettare il dialogo ( le scuse), dirgli esplicitamente ' se fai così non ti voglio più bene '; esprimergli sentimenti di rifiuto di aiuto o di abbandono ( ' adesso ti arrangi' ' va in dia, non ti voglio vedere ' ); isolarlo, minacciare di lasciarlo.
L'eventuale minaccia di punizione agisce in profondità scatenando paure di abbandono, di separazione.
Particolare importanza ha la durata della punizione. Questo stile educativo produce inibizione dei sentimenti ostili e si differenzia da quello basato sul potere fisico per il fatto che sono maggiori sia l'interiorizzazione delle norme sia il senso di colpa.
Gli stili educativi di tipo induttivo basati sul ragionamento e sull' empatia:
Agli stili educativi basati sul potere fisico sulla sottrazione d'affetto possiamo contrapporre altri 2 stili denominati 'induttivi ', in quanto non basati sulla coercizione ma sulle potenzialità del bambino, le sue capacità di comprensione della situazione.
Il genitore che utilizza questo stile privilegia il dialogo con il bambino e cerca di fornire, con un linguaggio comprensibile al livello di sviluppo del bambino, la motivazione delle proprie azioni.
Ad esso possono essere ricondotti anche i comportamenti che tendono a far appello all'autostima del bambino, al suo orgoglio, al piacere che si ricava constatando la propria capacità di autocontrollarsi. È il bambino al centro della situazione, reso protagonista nel cercare di ovviare agli effetti negativi prodotti con le sue infrazioni.
Quando lo stile induttivo si basa sull'empatia ( capacità di condividere i sentimenti positivi o negativi degli altri) ha particolare importanza la considerazione delle implicante del proprio comportamento sulle altre persone, ottenuta favorendo un ' decentramento ' nel bambino tale da fargli capire o rivivere la situazione in cui può trovarsi l'altro. Affinché ciò avvenga l'adulto fornisce al bambino le informazioni che meglio gli permettono di capire i sentimenti degli altri.
Questo stile sembra avere effetti positivi proprio a partire dall'età in cui inizia il passaggio dalla moralità eteronoma a quella cooperativo-autonoma ( dai 5/6 agli 8/9 anni ).
Le ricerche condotte confrontando i vari stili educativi hanno evidenziato una superiorità degli stili induttivi su quelli basati sulla costrizione.
Diversa influenza dei genitori:
Ambedue i genitori possono influire sullo sviluppo morale dei li. Secondo Hoffman (1971) lo stile educativo paterno ha meno influenza di quello materno. Il risultato più generale delle ricerche condotte su quest'argomento consiste nel fatto che le femmine sembrano caratterizzate, rispetto e maschi, da:
- una maggiore interiorizzazione delle norme morali,
- una maggiore attenzione agli aspetti che le proiezioni hanno sugli altri,
- una maggiore senso di colpa in caso di infrazione
- essere meno condizionate dalla paura di sanzioni esterne
- una maggiore resistenza alle tentazioni
Secondo Hoffman ciò è dovuto probabilmente al fatto che le femmine sono educate più dei maschi con stili educativi di tipo induttivo, basati sul ragionamento e sull' empatia e meno spronate alla competizione.
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