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REVERIE E NON COSA
«Il lavoro analitico è costituito da due elementi completamente diversi,
si svolge su due scenari separati, coinvolge due persone, alle quali è assegnato
un differente compito. Per un attimo ci si può domandare perchè,su una circo-
stanza così fondamentale come questa, non sia stata già da tempo richiamata
l'attenzione.»
S.Freud 'Costruzioni in analisi'
Le riflessioni proposte in questo lavoro nascono da esperienze cliniche nelle
quali si incontrano ostacoli a comunicare con le parti psicotiche della mente,
con le aree di non pensiero.
Queste esperienze possono entrare in una dimensione trasformativa se accolte in
una reverie capace di contenere (tenere insieme) emozioni dissociate lasciandole
emergere in una dimensione spazio-temporale definita come 'campo emotivo'.
La 'co-abitazione' delle due menti, cimentate nel lavoro analitico, all'interno
di questa specifica dimensione, consentirà la 'realizzazione' particolare
definita da Bion 'unisono' . La realizzazione di questo evento, sulla soglia
della pensabilità, viene proposta come un viraggio comunicativo da
'trasformazione in allucinosi' (non pensiero) a «trasformazione in 'O' » con
conseguente attivazione della funzione alfa.
Se si conviene che l'evento 'dell'unisono', all'interno di un trattamento
psicoanalitico, segna il momento di svolta dal linguaggio morto (impregnato di
trasformazioni proiettive e allucinosiche) al linguaggio vivo ' della
effettività', occorre tener conto non solo della mente isolata dell'analista
impegnata nello sforzo di 'raggiungere' la mente isolata del paziente, quanto
dell'ambiente emotivo che pervade e permea entrambi gli interlocutori.
Il 'campo' inteso come 'atmosfera' emotiva modificare l'assetto globale della
relazione, preura una conurazione mobile dei rapporti con gli 'oggetti'
interni ed esterni, apre le rigide coordinate spaziotempo e rende possibile sia
la convivenza sia la interazione tra le menti dell'analista e dell'analizzato .
Le circostanze che preludono 'l' evento' dell'unisono, rendendone possibile la
'realizzazione', si appoggiano su una rivisitazione del concetto di 'reverie',
alla luce della ipotesi bioniana di 'non-cosa'.
Mentre il setting analitico, fondato dall'iniziale 'contratto', si evolve sulle
reciproche capacità rappresentazionali (carenti nelle aree di non-pensiero) ed
espone alla radicalizzazione dei 'due scenari', evocati da Freud; la dimensione
di 'campo' include uno spazio che travalica il mondo rappresentazionale,
comprende fatti psichici situati al di là della comunicazione simbolica
(elementi beta), e quindi include quella fascia di espressioni verbali ancora
immerse nella incoerenza. Dunque la stessa dimensione di campo in parte sfugge
alla 'capacità rappresentativa'.
La 'dimensione-campo' può essere immaginata come 'tramite' comunicativo, come
'medium', come veicolo protosimbolico, cio' viene spesso nominato da Bion come
'alone associativo' ); questa coloritura emotiva rende le interpretazioni
analitiche non solo 'convincenti', e intese a favorire l'inshigt ma
potenzialmente assimilabili, o 'digeribili' in quanto funzioni della
'esperienza'.
L' insight che accomna la interpretazione può essere concepito, in questo
contesto, non solo come il risultato di collegamenti tra legami affettivi
fruibili per la 'geometria della coscienza', ma come emergenza di emozioni
'appetibili' per le 'analogie di gusto' compatibili con nuove forme di
esperienza, ( l'heimlich di Freud).
In questo modo, i 'due scenari' nei quali sono collocati analista e analizzato
confluiscono, ( passaggio che ha caratterizzato l'evoluzione del pensiero
scientifico in generale), in una condivisa dimensione spaziotemporale intesa
come 'funzione' comunicativa, dotata di una sua specifica energia. Questa
'energia' del campo non nasce dall'uno o l'altro degli interlocutori, questi non
permangono isolati ognuno in un 'etere' assimilato ad uno spazio inerte,
all'interno del quale interagiscono tramite le 'competenze' proprie di due corpi
separati.
Perchè questa dimensione del 'coabitare' prenda spessore, diviene ineludibile
che lo psicoanalista sia in grado di 'sopportare' e di condividere la vertigine
persecutoria del senso di 'non appartenenza' (al mondo dei viventi) che il
paziente evoca col suo linguaggio 'alieno', che vi possa sostare per tutto il
tempo necessario al prodursi di quel 'raggio di oscurità' generato dal suo
volontario oscuramento di memoria, desiderio e conoscenza.
In questa 'dimensione' di penombra si realizza quella 'visione radente' che,
come un'alba della esistenza, evidenzia i 'profili di significato' emergenti
dalla copresenza di 'cosa' e 'non-cosa'.
Diversamente, i 'ricordi' che si ripresentano come 'materiale' dell'analisi
rimangono 'sovraesposti' dalla luce abbagliante delle emozioni, e le
rappresentazioni rimangono incarcerate e sequestrate nel mondo delle equazioni
simboliche (trasformazioni in allucinosi).
Sino a quando il campo è costretto nella logica lineare, nel reticolo delle
equazioni simboliche il paziente percepisce la luce radente come la luce del
tramonto e il silenzio della morte, come preludio di un buio che suscita orrore,
dove la 'non-cosa' si dissolve nell'ombra di nessuna-cosaniente-cosa.
«Il paziente sente il dolore dovuto a un mancato adempimento dei suoi bisogni.
L'adempimento assente viene esperimentato come un nulla (no-thing). L'emozione
suscitata dal nulla viene sentita come indistinguibile dal nulla. L'emozione
viene sostituita da una 'non-emozione' » (Bion, 1970, 31).
Quando « il paziente si trova in uno stato mentale che NON HA un corrispondente
nell'apparato verbale, (allora) lo psicoanalista si trova costantemente di
fronte all'esigenza di produrre un suo proprio apparato di indagine, mentre sta
svolgendo l'indagine» (Bion 1970).
Questa energia del campo richiede all'analista una funzione della mente al di là
di qualsiasi programmazione 'tecnica' di strategia e di tattica , e al di là
delle sue competenze affettive di 'empatia', l'immersione nel 'campo' presuppone
l'attivazione di una 'funzione analitica della mente' adeguata a sperimentare
quel movimento di 'oscillazione' tra posizione depressiva e posizione
persecutoria che Bion tanto spesso descrive.
Attraverso questa particolare esperienza Bion sottolinea l'essenziale importanza
non tanto del 'raggiungimento' definitivo di UNA posizione (una meta), quanto
del transito, dell' attraversamento, che crea uno spaziotempo all'interno del
quale gli 'eventi' possano 'raccogliersi', grazie a un campo di 'invarianza' .
L'avvicendarsi di luci ed ombre, di 'cosa' e 'non-cosa', progressivamente
stempera l'orrore di una scoperta potenzialmente mostruosa, ma una 'stupita
meraviglia' (Di Chiara 1990) di fronte a un 'nuovo' ritrovato nell'evento dell'
unisono.
Una giovane donna, in analisi da alcuni anni, in prossimità di una pausa
analitica, porta, senza un alone emotivo pertinente, un sogno-incubo in cui la
paziente la sorella minore venivano sequestrate e prese in ostaggio dal marito
di una zia 'molto buona', chiaro riferimento alla madre-analista.
La paziente tenta la fuga, e per ingannare i sequestratori, comincia ad
attraversare il giardino, come per gioco, avviandosi progressivamente verso il
cancello. Dopo alcuni falsi tentativi, rassicurata dalla mancanza di reazione
dei sequestratori si risolve a fuggire veramente accomnando la sorella e si
rifugia in una casa abbandonata, dove entrambe vengono raggiunte dal
sequestratore che le uccide.
Nelle associazioni al sogno la paziente racconta della zia e di una esperienza
fatta con lei, da bambina, che le aveva dato grande sollievo: aveva visto, con
questa zia, per la prima volta un film che NON si concludeva con un lieto fine.
Fino a quel momento lei era stata immersa (ed asfissiata) nella ideologia della
madre che le proponeva anticipatamente dei 'lieti fini', immaginari ma rigidi,
per 'TUTTE' le fiabe o eventi della sua esperienza, deformando persino i
racconti mitici che la piccola paziente imparava a scuola, col sostenere che gli
insegnanti erano bugiardi. L'ambiente emotivo che permeava la famiglia era
costellato di tutta una serie di orrori contrabbandati come fatti 'naturali',
epurati di ogni ombra. Il vuoto di realizzazione era riempito in modo
allucinosico, ostacolando l'esperienza del lutto e della mancanza.
Nell'analisi la paziente ottempera rigorosamente alle regole del setting e ha
richiesto spontaneamente di fare 5 sedute la settimana. Cio' che mi preme
sottolineare attraverso questo sogno è che la paziente sembra ritrovarsi in una
situazione di 'indecidibilità' emotiva, in quanto le posizioni PS-D ( il lieto
fine obbligato e la casa abbandonata) sembrano conurare un campo analitico
strutturato in due universi tra loro incomunicabili tra i quali il transitare
suscita un tale orrore da poter essere espresso nell'immaginario del sogno come
una 'non-emozione'.
Entrambe le posizioni si propongono come sequestri che si presentano come 'cose
in sè' impedendo la occasione di potersi ritrovare in luoghi insaturi ma forniti
di tracce familiari, la casa pseudo familiare dei sequestratori o l'altra
abbandonata da un proprietario che aveva lasciato,come unica traccia i resti del
suo ultimo pasto prima di morire.
Nei termini dell'incontro analitico la paziente comunicava che sia la presenza
che l'assenza dell'analista riattivavano, in quanto radicalmente giustapposte ,
uno stato di vuoto emotivo riempito da costruzioni persecutorie .
In questo caso, non essendosi ancora conurata una dimensione di campo che
permetta lo spazio della oscillazione PS-D si è ben lontani dalla possibilità di
realizzare un unisono e quindi una piattaforma di INVARIANZA.
Se conveniamo con Bion che: «L'invariante in psicoanalisi è il rapporto
proporzionale (ratio) tra la non-cosa e la cosa» (Bion . 144, 1965), questa
vignetta clinica esprime tragicamente come la mancata esperienza questo rapporto
gli eventi (la separazione dall'analista), si trasformano in turbolenze
insostenibili.
Per avvicinare questa esperienza il paziente ha bisogno di 'sentire', in
analogia con la propria indifesa nudità, l'analista spogliato di ogni
rassicurante attitudine teleologica ( la mancanza di qualsiasi 'fine'
preurato, sia lieto che non).
L'analista deve poter rinunciare a qualsiasi appoggio anticipatorio sui propri
punti di repere, sulle ipotesi definitorie chiaramente conurate (siano queste
il tramonto dell'Edipo, l'acquisizione della 'posizione' depressiva in quanto
capacità 'riparativa' degli 'oggetti', o altro); questi rimangono nel campo come
potenziali 'giocattoli' tra due bambini che devono ancora inventare le regole
del gioco.
Forse solo un percorso all'interno di questa primaria non-esperienza (niente
cosa) permette all'analista e al paziente di condividere la rinuncia al delirio
di onniscienza (il delirio di chiarezza dell'insight di D. Meltzer), di
permettere l'apertura di spazi meno pieni di vuoto.
Le nostre teorie possono talora condurci a spazzare dal campo presenze scomode
liquidandole con l'etichetta di 'buoni' o 'cattivi', e divaricandole, in termini
giustapposti di 'cose in sè'.
Per descrivere queste circostanze propongo il sogno di una paziente che si era
sentita costretta a organizzare la sua vita psichica all'insegna della (falsa?)
riparatività, ritrovandosi con l'impressione di una vita morta, 'da robot', di
tanto in tanto ravvivata da eventi predatori.
'Mi trovo in una grande sala, insieme a una mia cara amica; su un letto vedo un
'body', sembra vuoto ma poi mi accorgo che si muove. Guardo meglio e scopro che
i movimenti del body, che a tutta prima mi davano una sorta di eccitamento
sessuale, sono prodotti da una pantera che sta dentro nascosta e cerca di
afferrare e divorare un topolino. Dal di fuori colpisco la pantera sulla testa e
libero il topolino. Quando me lo trovo in mano mi accorgo che si tratta di un
congegno meccanico'.
Al di là dei 'significati' possibili che, a partire da questo materiale, possono
essere rintracciati nell'hic et nunc di una dinamica relazionale
transfert-controtransfert, anche questa paziente, in questo momento, esprima il
sentimento di impotenza e di inutilità (di niente-cosa), significativo
dell'organizzazione dello spazio-tempo del campo emotivo che denuncia un vissuto
di 'non- esperienza' del lavoro analitico.
Ricercare e interpretare 'significati' concernenti la pantera o il topolino,
parlare di oggetti 'incubi' o 'succubi', 'buoni' o 'cattivi', oggetti
'parziali', parti scisse proiettate e negate del Sè, e cosi' via, sarebbe come
inserire dei personaggi in uno scenario privo di senso.
Essenziale invece accogliere, e 'soffrire' insieme, il non-senso di questo
corpo-vestito, di questa 'psicoanalisi-body', una 'niente cosa', mascherata
dall'eccitamento di 'conflitti di copertura'.
Qualsiasi interpretazione tesa a definire i termini del conflitto non può che
essere intesa come un 'prendere parte', preurare un 'traguardo finale',
declinarsi in ipotesi predittiva e prescrittiva, lasciando entrambi i partners
(analista e paziente) sequestrati in uno scambio meccanico, in un
'linguaggio-body', inerte, privo della sufficiente energia per permettere
oscillazioni e transiti di emozioni: il doppio significato, di vestito e di
corpo, infatti resterebbe incastrato nella stessa equazione simbolica,
formalmente modificata.
Di qui l'importanza della nozione bioniana di 'linguaggio della effettività',
che permette di recuperare un discorso pieno dei mostri della nostra
incompetenza affettivarappresentativa (errori, balbettii, fraintendimenti),
linguaggio eventualmente incarnato in 'agiti', non necessariamente 'evacuatori',
ma tesi a tenere in campo la 'non cosa': un corpo assente del quale è rimasta
solo una traccia, malamente delineata da questo costume vuoto e mostruosamente
riempito da costruzioni allucinosiche.
Un 'corpo assente' mai 'realizzato' in una nascita psichica; un corpo del quale
non si possono ancora prevedere le misure e le forme; un corpo non differenziato
nell'attesa della madre per la quale la nascita di questa bambina ha
rappresentato una doppia sostituzione: di un padre inesistente e di una sorella
nata deforme.
Un corpo ancora nudo di una mente che non ha trovato nè spazio nè tempo per
crescere, per il quale nessun 'vestito preconfezionato' può essere proponibile.
In queste situazioni, dunque, la normale attrezzatura esperienziale e cognitiva
dello psicoanalista rischia di proporsi come una 'lettura' preconfezionata;
interventi che si appoggino su acquisizioni relative a modelli psicoanalitici
noti (invidia-gratitudine, elaborazione del lutto, transfert e contro-transfert)
possono rinforzare l'impressione di essere 'vivi' come dei robot, ed esprimere
il tentativo dell'analista di eludere (reificandola) la propria impotenza di
fronte al rischio di un 'contagio psichico'. Per questo motivo ogni intervento
'di contenuto' intorno ai 'significati simbolici' rischia di inserirsi in uno
spazio di fraintendimento o di rinforzo delle trasformazioni in allucinosi.
Perciò l'importanza del suggerimento della Fainberg che invita, nel caso di
interventi interpretativi non dilazionabili di rivolgere una particolare
attenzione all'ascolto dell'ascolto.
Anche il lavoro interpretativo volto a ridurre delle scissioni puo' produrre
'mostri' nello spazio dell'incontro clinico, perchè eccita soluzioni di
giustapposizione delle parti dissociate, inopportunamente chiamate a risolversi
fuori dal campo opportunamente 'ascoltato'.
Un altro rischio, che spesso mi sono trovato a fronteggiare, è quello di una
pseudo-trasformazione, dove al posto dell' 'orrore' della 'niente cosa'che è
stata evocata, viene sovrapposta la descrizione di una conflittualità, senza
senso e senza tempo.
Cosi' il campo analitico è invaso da due personaggi avvinghiati l'un l'altro in
un conflitto senza inizio e senza fine, i duellanti del romanzo di Conrad, la
pantera e il topolino del sogno proposto. Un mondo senza vita, questo, dove solo
il duellare sembra evocare un movimento che 'mima' l'esistere.
E' possibile che, come nell'episodio evocato da Freud a proposito del 'disturbo
della memoria sull'Acropoli', per evitare il senso di catastrofe recato
dall'ambasciatore con l'annuncio della verità (la sconfitta), l'ambasciatore
venga ucciso, sostituendo un onnipotente diniego all'intollerabile notizia. La
uccisione dell' 'ambasciatore', svuota lo spazio di transito emotivo e questo
spazio vuoto diventa un attrattore di mostri; come nel sogno della mia paziente
tutta concentrata a liquidare la pantera nel gioco illusorio di salvare il
topolino-meccanico.
Il paradigma bioniano della 'non-cosa' può venire utilizzato come catalizzatore
per attivare la 'funzione analitica della mente' rendendola capace di 'SOSTARE',
per tutto il tempo necessario, nella posizione persecutoria finchè il campo non
si espanda sufficientemente per consentire una 'oscillazione' emotiva
sperimentabile.
Un campo analogo allo spazio bianco sul quale poter scrivere, secondo la nota
metafora freudiana del 'notes magico'.
Secondo Bion questo 'scrivere' diventa la base esperienziale dalla quale una
serie di 'congiunzioni costanti' permettono lo scaturire di quell'evento da lui
nominato come 'fatto scelto'.
Sullo sfondo della sequenza di transiti oscillatori PS< >D viene a crearsi
quella 'invarianza' di senso che consente la realizzazione di quel «rapporto
proporzionale tra la 'non-cosa' e 'la cosa'» prima ricordato.
Diversamente, « quando cosa e non cosa coincidono.. il paziente
considera l'analista che è realmente presente, anche come il luogo dove
l'analista non è. Viceversa, l'analista che è realmente assente, è considerato
come uno spazio che è occupato dall'analista assente (trasformazione in
allucinosi)».
Sembra quindi che allo psicoanalista non rimanga altro che personificare in sè
stesso la persecuzione del suo paziente,attivando così quella specifica forma di
esperienza di OSCILLAZIONE-TRANSITO tra posizione persecutoria e depressiva.
Sembra che proprio questa dimensione del transitare possa aiutare i nostri
pazienti a separarsi dalle proprie allucinazioni, esperienza che, come Bion
suggerisce, è ben più formidabile di quanto non sia la separazione (lutto) da un
oggetto interno investito affettivamente.
Si tratterebbe infatti di concepire l'esperienza della separazione non solo come
frutto di una CESURA, ma liberazione da una 'mentalità' che invita i processi
trasformativi a incamminarsi 'automaticamente' nella direzione allucinosica.
All'interno di questa dimensione organizzata dal campo può conurarsi il
'mondo dell'umano', il mondo dei legami affettivi dove l'interlocutore se
come 'cosa in sè', per riire come 'soggettività', la cui conoscibilità è
delineata dalla 'non-cosa', che Freud ha individuato come inconscio.
Implicitamente Freud, esplicitamente poi Bion rivolge l'osservazione non tanto
alle 'alle cose in sè' ma, piuttosto, allo strumento per conoscere: 'l'apparato
per pensare'.
L'apparato per pensare non equivale, evidentemente, alla nostra capacità
razionale, questa capacità, apparentemente luminosa, in certe circostanze, viene
rovesciata in forza di emozioni travolgenti: allora la luce della ragione
diviene un abbaglio che fa sire lo spazio che fa da sfondo al legame degli
oggetti tra loro.
' Il significatonon è una necessità logica ma psicologicauna volta
raggiunto il significato psicologicamente necessario, la ragione, in quanto
schiava della passione trasforma il significato psicologicamente necessario in
significato logicamente necessario percio' l'attività della ragione è
inadeguata.' ( Bion -trasformazioni- pg. 105). La necessità psicologica non è
regolata dalla legge causa-effetto, colpa-punizione, carnefice-vittima, ma,
mentre partecipa al mondo degli affetti e dei legami (amore-odio-conoscenza), è
tuttavia impregnata di elementi che derivano dal mondo delle emozioni. In questa
seconda dimensione dello spaziotempo ci troviamo svincolati dalle strettoie
della 'dinamica' e dalla 'economia' geometrica connesse alla logica degli
investimenti affettivi, immaginati come 'struttura' dell'inconscio esplorabile
come un 'dato'.
Il paradigma di 'campo emotivo' consente di rendere pensabile un universo di
comunicazioni impregnato di energie che si proano per ESPANSIONE o per
CONTAGIO, che non appartengono all'uno o all'altro interlocutore, ma sono create
dalla situazione. Ciò consente di cogliere la realizzazione di esperienze
primarie, che riguardano, cioè, un'area che precede le acquisizioni e le ipotesi
razionali.
Maria, una paziente all'inizio dell'analisi , al ritorno da una separazione
porta questo sogno: ' mi trovavo nella cucina di una casa di montagna e stavo
preparando la cena. Mi accorgo che, appoggiato sul davanzale della finestra c'è
un pacco di polvere di eroina. Lo uso per per impastare le polpette che
serviranno come cibo per me e per un uomo che nel sogno potrebbe essere mio
marito'.
Le associazioni vanno sulle 'fatiche di Ercole' che Maria ha dovuto sostenere
per portare a buon termine i suoi impegni familiari e di lavoro. La parola
'eroina' sembra, cosi', assumere il doppio significato di droga e di eroe,
rendendo indecidibile, al momento, una interpretazione che colga un solo
significato. Il problema è, allora, di poter aprire un percorso che permetta,
attraverso l'emergere di una serie di significati, una 'oscillazione' tra le due
dimensioni accorpate nella stessa 'polpetta', che, diversamente, attraversa il
campo evocando mostri.
(In termini pittorici rimando ai paradossi dei quadri di Magritte, dove viene
rappresentata ossessivamente una immagine che include la sua definizione
contraria - vedi 'questa non è una mela', o, come nel dipinto 'Esprit de
geometrie', dove viene rappresentata una coppia madre-bambino mostruosamente
dotati della reciproca testa.).
In termini storici colpisce come già Freud avesse avvicinato questa problematica
nel lavoro 'il doppio significato delle parole primitive', quando, rifacendosi
all'antico linguaggio egizio, rilevò che veniva utilizzata la stessa parola per
esprimere gli opposti: lucebuio venivano indicati con lo stesso termine, il
gesto col quale l'interlocutore lo accomnava ne forniva il senso. Questa
considerazione fa da argine alla attrattiva che esercita lo spazio rassicurante
e saturo della illusoria cosa-in se.
La richiesta che Maria sembra portare all'analista è che possa partecipare a
questa piega del campo, impregnato di una dimensione emotiva apparentemente
insensata, la polpetta-eroina, senza incanalarlo in una direzione obbligata,
come se si trattasse di fare una opzione fra 'due diversi scenari' da tenere
disgiunti. Il drammatico spessore del legame affettivo può permanere nell' 'hic
et nunc' per il tramite della 'polpetta-eroina'.
Individuare nella polpetta l'ambivalenza affettiva 'della' paziente,
rinforzerebbe la rappresentazione di due mondi scissi, opposti, attivando le
fantasie di appartenenza a un mondo 'alienato', raggiungibile solo attraverso un
atto di colonizzazione-espropriazione, o ' invasato', dal male o dal bene non è
rilevante.
L'etimo della parola 'invasato', che riporta all'essere posseduto da qualcosa di
alieno, mi sembra rendere il sentimento ambipresente (non ambivalente) di una
esperienza mostruosamente claustrofobica (l'essere messo in un vaso), e di
mancanza di contenimento (l'essere fuori di sè).
Giovanni, un insegnante di circa quarant'anni, in analisi da tre anni, dopo un
faticoso periodo intorno a vissuti di disastri, evocati da immagini di case
senza tetto, di smottamenti di terreno, fino ad arrivare a fantasie suicidarie
aveva avuto la possibilità di ritrovarmi in un bizzarro campo emotivo allargato
dove avevamo potuto convivere in presenza di una seria malattia che chiedeva un
rischioso intervento chirurgico.
Le risonanze emotive di cui era permeato il campo avevano 'contagiato' la mia
mente tanto che fui preda di una sogno-incubo sullo sfondo di un rischio di
naufragio in mare scampato per merito di individui imbarcati come naufragi
apparentemente molto inquietanti.
Questo sogno, arrivato al culmine di una serie di oscillazioni PS><D favorì un
unisono nell'ultima seduta che diede come esito una mia
interpretazione-associazione apparentemente illogica che collegava un suo
ricordo infantile angoscioso alla salvifica presenza di un feroce cane da
guardia della casa di un vicino.
Il giorno dopo il paziente porta questo sogno: «Mi trovavo nella mia stanza, su
un lettino che somigliava a quello del suo studio e iva uno strano essere,
sembrava un marziano: questo essere mi rivolge la parola dicendomi che se
rimanevo in quella stanza diventava possibile intraprendere il mio intervento
chirurgico in forma non invasiva, incruenta, tramite una sorta di contatto
mentale col mio organo malato. Mi sveglio dicendo tra me ma guarda: mica così
cattivi questi marziani!»
Il paziente, che nella realtà concreta dovrà subire un intervento chirurgico,
mentre manifesta il desiderio magico che il trauma sia meno intollerabile, si
serve dell''analista-mostro' (così come nella interpretazione era stato
possibile individuare l'aspetto 'non-cosa' del cane feroce).
Analogamente la presenza inquietante dell'intervento chirurgico può diventare
pensabile e non solamente riducibile a un problema di sopravvivenza. L'impatto
della esperienza di oscillazione e transitabilità che permette di realizzare
l'unisono rende meno inevitabile 'collocare in un altro mondo le presenze
persecutorie', ma rendere possibile la convivenza quando il loro aspetto
'non-cosa' può occupare una funzione prima rigidamente attribuita alla logica
causa-effetto.
Considerazioni conclusive sul tema della reverie
Bion, nel suo lavoro 'Per una teoria del pensiero',(presentato al congresso di
Edimburgo-luglio 1961), aveva gettato le basi per una soluzione 'relazionale'
del problema delle allucinazioni.
Il fenomeno allucinatorio veniva inquadrato non più solamente come realizzazione
di desiderio (simmetrico al lavoro del sogno), ma come il prodotto di una
evacuazione ex vacuo in assenza di un interlocutore contenitivo-trasformativo,
la reverie materna.
Gli elementi beta del bambino, non trovando un contenitore in grado di
accoglierli e trasformarli non potevano trovare altro esito che non quello di
essere elaborati come 'cose in sè'.
Bion, come sottolinea Bordi nella sua nota introduttiva alla versione italiana,
aveva trovato un modello atto a descrivere e tentare una ipotesi di soluzione al
problema, lasciato irrisolto dalla metapsicologia freudiana, delle
'allucinazioni negative'.
Col progredire delle sue osservazioni, da 'Apprendere dalla esperienza' (col
concetto di -K) a 'Elementi', Bion si era reso conto della complessità
soggiacente alla nozione di 'Reverie'.
In 'Trasformazioni', dove Bion più da vicino esplora i molteplici rapporti tra
cambiamento e costanza (invarianza) degli stati mentali, si imbatte nella
necessità di postulare il concetto di 'NON-COSA' come fenomeno intrinseco al
processo di conoscenza attraverso la esperienza emotiva.
La nostra mente primitiva, nella ricerca di creare 'FORME' alle cose, nello
sforzo di creare un mondo rappresentazionale che ci possa mettere in contatto
col mondo dei nostri simili, si scontra continuamente con gli aspetti
inconoscibili delle cose, questi possono essere sentiti (in assenza di una
esperienza di reverie) come ostacoli spaventosamente insormontabili. In questi
frangenti gli ostacoli all'appartenenza comunicativa vengono bypassati con le
costruzioni allucinosiche.
Ma gli ostacoli, in tal modo evitati, ricostituiscono quell'isolamento della
soggettività, quella solitudine abissale della 'non appartenenza', del pensiero
morto, della 'niente-cosa.
Per vivere (e soffrire) l'amore l'odio e la conoscenza, occorre poter sopportare
una originaria cesura; dalla cesura si crea quella 'sutura' presente nel
linguaggio della «EFFETTIVITA'», strumento di comunicazione e cemento della
'appartenenza'.
Bion si imbatte nella necessità di conurare il concetto di 'non-cosa' quando,
nelle riflessioni condotte in 'Trasformazioni', si accorge che alcune
proposizioni dei suoi pazienti formalmente 'associative', potevano contenere un
suggerimento all'analista al fine di connetterle in un reticolo causa-effetto.
«Il paziente tentava di convincere se stesso,o me,della validità di una catena
causale intesa come qualcosa a cui la ragione doveva automaticamente obbedienza.
Ero invitato a colludere con lui nel convenire che quella particolare catena
causale era valida. E valida significava, in quel contesto, NON RICHIEDENTE
INDAGINE.» (Bion, ibid. .86)
«In psicoanalisi è difficile evitare la sensazione che la sua ssa (della
relazione causa-effetto) lasci un VUOTO e che il vuoto DEBBA essere riempito».
(Bion, ibid..84)
« La teoria causale è valida solo nel campo della moralità e solo la moralità
può CAUSARE qualcosa. Il significato non ha alcuna influenza al di fuori della
psiche e non causa niente». (.88-nota)
« La componente morale è inseparabile da sentimenti di colpa e di responsabilità
e dalla sensazione che il LEGAME tra un oggetto e l'altro,e tra questi oggetti e
la personalità, sia di causalità morale. (.93-94).
La teoria causale in senso scientifico, nella misura in cui ne abbia uno, è
quindi la trasposizione di una idea, da un campo morale in un campo in cui è
inappropriata, in quanto illumina forzosamente la sua originaria penombra
attraverso l'usurpazione da parte del S.Io della funzione dell'Io.
La 'reverie' materna originariamente intesa come capacità di contenere gli
elementi beta del bambino trasformandoli in elementi alfa, ripropone una visione
binaria, un doppio scenario delimitato dal pendolo protopensiero-pensiero.
Propongo di considerare che il permanere nella mente della madre della imago del
partner sessuale, concretamente assente nel momento dell'allattamento ma
presente come traccia e prototipo dell'ultima esperienza di legame, conura
uno sfondo di invarianza e un allargamento del campo che dona specificità alla
funzione di 'reverie'.
E' evidente l'analogia con la necessità che l'analista tolleri di fare il lutto
delle sue teorie come 'cose in sè', perchè queste possano liberamente circolare
come tracce capaci di attivare la funzione alfa.
Un commento di questa parte teorica può trovare uno spazio di descrizione
convincente nel confronto tra gli interventi interpretativi saturi o insaturi
dell'analista.
Si può sempre sperimentare nella pratica clinica come gli interventi saturi (di
cesura), diventino utilizzabili -come lecosiddette 'costruzioni in analisi'-
quando un certo percorso di trasformazione in O è già realizzato e necessitano
semplicemente di consensuali ipotesi definitorie.
La gran parte del lavoro, pero', si appoggia su interventi interpretativi
insaturi, che si pongono come 'eventi' del campo e agiscono sulle
cristallizzazioni ideologico-deliranti che fanno parte delle certezze dei nostri
pazienti, quanto delle incrollabili credenze nei nostri costrutti teorici.
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