psicologia |
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Per gli esseri viventi, l'invecchiamento implica il trasformarsi progressivo dell'organismo; per invecchiamento o senescenza si intende il processo attraverso il quale, con il passare degli anni,si diventa vecchi, modificandosi in alcune caratteristiche personali. Le scienze biologiche hanno cercato di rispondere fissando come punto di partenza dell'invecchiamento il periodo relativo alla ssa delle capacità riproduttive e, come contrassegno della senescenza, il progressivo e irreversibile alterarsi dei tessuti dell'organismo, il progressivo e irreversibile rallentarsi delle funzioni, il progressivo e irreversibile ammalarsi dell'individuo. Ma se invecchiare equivale a perdere, decenni di ricerca hanno dimostrato come nell'uomo la senescenza implichi non soltanto impoverimento di certe strutture, ma anche conservazione di altre; non solo perdita di certe funzioni, ma anche perfezionamento di altre. Per quanto riguarda le funzioni dell'organismo, nel processo di senescenza tendono a decadere quelle scarsamente esercitate, a persistere e anche a perfezionarsi quelle maggiormente utilizzate. Nella realtà attuale non è possibile considerare come punto di partenza della senescenza la cessazione della capacità riproduttiva. Inoltre considerando la fase e il ritmo di decadimento delle varie funzioni dell'organismo, si possono rilevare situazioni molto differenziate non soltanto da persona a persona, ma anche fra le singole funzioni della stessa persona, la quale potrebbe essere invecchiata, per esempio, nel cuore ma non nel cervello e viceversa. Quindi sul piano biologico non è oggi possibile stabilire un dato o un insieme di dati che di per sé contrassegnino l'inizio dell'invecchiamento. Il sistema nervoso è stato maggiormente studiato allo scopo di scoprire quali modificazioni intervengono con il passare degli anni e possono pertanto essere riconosciute come i segni del processo di invecchiamento.
Diminuzione irreversibile neuroni |
Rallentamento produzione neurotrasmettitori |
Malfunzionamento dei meccanismi di regolazione |
Aumento progressivo cellule gliali |
Irrigidimento vasi sanguigni |
I neuroni che sono le cellule specifiche del sistema nervoso quando muoiono non possono essere sostituite. |
I neurotrasmettitori che sono la sostanza chimica necessaria alla trasmissione degli impulsi nervosi. |
Che consentono la conservazione di una condizione di equilibrio fra le singole funzioni. |
Le cellule gliali costituiscono la trama di sostegno e che si sostituiscono ai neuroni. |
Riduce l'afflusso del sangue al cervello e alterandone anche la regolarità e il ritmo. |
I sensi che dobbiamo considerare inoltre nella fase senescente sono:
PERCEZIONE - ATTENZIONE - LINGUAGGIO - AFFETTIVITA' E ADATTAMENTO - SESSUALITA' - CREATIVITA'
PERCEZIONE - durante l'invecchiamento possiamo osservare una riduzione delle attività psicofisiologiche, fra le quali le funzioni sensoriali. In particolare, la diminuzione delle abilità visive e acustiche sembra imputabile a una serie di eventi a carattere degenerativo che, con andamento progressivo e graduale e con un'alta variabilità interindividuale, riduce l'efficienza del sistema sensoriale. Le alterazioni del sistema visivo, che con maggior probabilità compaiono con la senescenza, sono in parte a carico del cristallino, a causa della sua opacità e della diminuita elasticità. Secondo uno studio il sistema visivo riflette il suo decadimento in 5 aree ben definite che sono : la lettura veloce, la sensibilità alla luce, la visione di immagini in movimento, la visione da vicino e l'analisi delle strategie di ricerca visiva. Tutti gli studi più recenti, sia sull'acuità visiva sia sulla sensibilità alla luce, convengono sul fatto che differenze nel rendimento di soggetti appartenenti a varie fasce di età non possono essere prese come valori assoluti. L'acuità visiva si riduce con gli anni. In certi casi la sua diminuzione porta a vera e propria cecità. La riduzione dell'acuità visiva comincia a essere significativa oltre il 70° anno di età, ma i primi segnali sono già avvertibili intorno al 45° anno. Si è potuto constatare che una riduzione notevole del livello sensoriale, cioè dell'acuità visiva, non influenza in modo necessariamente negativo il risultato percettivo, cioè il riconoscimento di ciò che vediamo, ma può portare, in modo apparentemente paradossale, a una percezione sotto certi aspetti migliore di quella di chi vede perfettamente. Tale fenomeno non meraviglia se si tiene presente la teoria del "campo percettivo", la quale sostiene che la percezione si realizza come espressione di un campo collocato nel nostro cervello nel quale operano 2 tipi di forze: forze di coesione, prodotte dal cervello stesso, e forze di freno, prodotte dagli organi di senso periferici; le prime tendono ad avvicinare gli stimoli forniti al cervello dalle vie nervose che trasmettono le informazioni provenienti dal mondo esterno dall'occhio o dall'orecchio, le seconde a mantenere ciascuno di tali stimoli nel punto che fisicamente occupa. La singola percezione rappresenta il risultato del rapporto fra l'azione esercitata dalle forze di coesione e quella svolta dalle forze di freno. Essa sarà tanto più espressione del cervello e tanto più buona quanto più il rapporto si sposta a favore delle forze di coesione. Allo scopo di ottenere percezioni migliori e non potendo intervenire aumentando le forze di coesione(perché prodotte appunto dal cervello) è necessario sforzarsi di diminuire le forze di freno sensoriali. È possibile conseguire questo risultato ad esempio abbassando l'illuminazione della stanza in cui è presentata una certa immagine. E lo stesso risultato si ottiene spontaneamente con la riduzione progressiva della funzione visiva periferica, come avviene nel processo di invecchiamento. Un aumento relativo delle forze centrali di coesione rispetto a quelle periferiche di freno rende la percezione migliore, perché più espressione del cervello e meno delle sensazioni. A facilitare un buon funzionamento delle percezioni agisce anche la persistenza, con l'invecchiamento, della costanza percettiva, cioè la capacità di non modificare la percezione di un oggetto anche se variano le modalità fisiche con cui l'oggetto viene presentato. Così un oggetto che vediamo meno chiaramente perché invecchiando la nostra acuità visiva si è abbassata, continuerà ad essere percepito come identico a quello che vedevamo quando l'acuità visiva era elevata. Nell'invecchiamento si verifica una selezione sempre più rigida delle informazioni ricevute e trasmesse al sistema nervoso centrale. Per spiegare questo fenomeno può essere utile considerare in termini di processo di invecchiamento la teoria del filtro. Tale teoria ritiene che il cervello sia come un grosso canale di comunicazione a capacità limitata. La riduzione nel numero delle informazioni che si manifesta con l'invecchiamento può essere ricondotta a una selettività progressivamente maggiore del filtro, il quale diviene sempre più specifico; esso viene attraversato da una quantità sempre più limitata di stimoli, con esclusione di quelli sconosciuti. Anche l'acuità uditiva dimostra di ridursi con gli anni. In grado maggiore che per la vista , nel determinare condizioni più o meno gravi sembra giocare una certa predisposizione familiare. Forse più che quella visiva, quella acustica può influire sul comportamento, specie su quello relazionale. Per ogni anziano più o meno efficiente sul piano mnemonico è possibile migliorare il proprio rendimento pensando, ragionando, leggendo, studiando, giocando, lavorando, ma soprattutto parlando e rispondendo non solo ai suoi coetanei, ma anche a persone più giovani. La riduzione della vista e dell'udito nella senescenza anche se penalizza la capacità di analizzare i dettagli delle immagini ottiche e di quelle acustiche, consente di cogliere gli aspetti essenziali della realtà, vista e ascoltata più con il proprio cervello che con gli occhi e le orecchie. La riduzione nell'intensità dell'informazione sensoriale, che si verifica normalmente nella persona che invecchia, consente un intervento maggiore ai fattori centrali della percezione. La persona invecchiando vive cioè sempre più in funzione del suo cervello e delle immagini stabili e costruttive che esso le consente di cogliere.
ATTENZIONE - E' una delle abilità fondamentali del nostro sistema cognitivo e tre sono le caratteristiche generali che la contraddistinguono.
1° arousal - rappresenta il livello di soglia, ovvero l'intensità minima necessaria allo stimolo per attivare i processi di elaborazione da parte del sistema nervoso centrale;
2° capacità dei meccanismi attentivi - ovvero la quantità di informazione che può essere elaborata in parallelo;
3° capacità di essere selettivi - ovvero la possibilità di ignorare alcune informazioni per prenderne in considerazione altre.
I nostri recettori sono abitualmente bombardati da una miriade di stimoli e l'essere consapevole di ciò è assolutamente inutile alla nostra sopravvivenza; su questa base il nostro organismo ha regolato un sistema di selezione in grado di trascurare le informazioni inutili per elaborare e considerare solo quelle utili. Un esempio sui meccanismi attentivi deriva dallo studio dell'effetto "Stropp". Ai soggetti viene fatto vedere una parola che indica il nome di un colore però scritta con inchiostro di colore diverso (ad esempio ROSSO viene scritto in nero) chiedendo di denominare il colore dell'inchiostro usato(stimolo centrale) e ignorando il significato della parola (stimolo incidentale), abitualmente gli esaminati mostrano serie difficoltà nell'esecuzione del compito a causa della forza di interferenza dello stimolo incidentale rispetto a quello centrale. È stato altresì dimostrato che detta difficoltà aumenta con la senescenza e non solo con l'effetto Stropp ma anche con altri tipi di esami. Una delle controversie più importanti sull'interpretazione di questo fenomeno si riferisce all'opportunità di collocare il meccanismo dell'attenzione prima o dopo il momento dell'analisi dell'informazione, perché, come già citato prima, il sistema nervoso funziona come un unico canale di comunicazione a capacità limitata, e la presenza di meccanismi di selezione degli input accettabili per quel canale implica che tutti gli stimoli sono selezionati all'inizio del processo di elaborazione. Il decadimento dei meccanismi attentivi sembra implicare la capacità di distribuire le proprie risorse attentive piuttosto che un deficit complessivo delle abilità.
Esempio: un giovane ed un anziano sono posti a un test dove devono leggere delle lettere su di un foglio e nello stesso tempo ascoltarne altre dovendo suonare un campanello quando sentivano una determinata lettera. A differenza dei giovani gli anziani riuscivano bene solo in uno dei due compiti, quello nel quale implicavano volontariamente maggior attenzione. Attualmente questa teoria è messa in discussione da chi interpreta i meccanismi attentivi come espressione dell'intero apparato psichico, piuttosto che di una struttura che semplicemente filtri e selezioni gli input. Rispetto alla capacità degli anziani di suddividere l'attenzione, sembra esserci una diretta correlazione fra livello del rendimento, complessità del compito e quantità di memoria che viene richiesta. Uno studio evidenzia come le differenze fra fasce di età diventa significativa solo quando l'interazione di questi tre fattori è molto forte.
Attenzione fluttuante : è invece il processo con il quale un individuo può essere in grado di focalizzare l'attenzione, alternativamente, su 2 stimoli. Anche questa abilità si appoggia sostanzialmente sull'efficienza della memoria a breve termine. Le maggiori difficoltà dimostrate dagli anziani in compiti di attenzione fluttuante, sono state infatti interpretate in termini delle loro incapacità a mantenere uno stimolo in stand by mentre si è occupati a risponderne ad un altro.
Esempio: una persona entra in una stanza e non si ricorda più cosa ci era andata a fare. Come nel caso della memoria possiamo concludere che l'invecchiamento provoca una riduzione nella velocità e nella plasticità di questa strategia cognitiva, ma non ne intacca la globale efficienza. Quando l'anziano riesce ad attivare le proprie risorse rendendo sintonico il compito alle proprie potenzialità, la differenza fra età diverse sembra attenuarsi o sire.
LINGUAGGIO - invecchiando continuiamo a parlare e scrivere in modo esauriente, anche se possiamo presentare qualche modificazione nella modalità di espressione. Il linguaggio è considerato una delle funzioni che meno risentono del processo di senescenza; quando e qualche perdita, essa è piuttosto riconducibile a difficoltà nell'apprendimento e nella memoria. Alcuni studiosi hanno riconosciuto che con l'avanzare dell'età l'espressione spontanea diventa progressivamente più fluente, con una struttura sintattica sempre più complessa, con una limitata riduzione del lessico attivo e una stabilizzazione o un relativo arricchimento di quello passivo. A parte alcune difficoltà, riconducibili più a problemi mnemonici che lessicali, nelle frasi composte quali ad esempio (il gatto che rincorreva il topo che ha mangiato il formaggio che era rimasto fuori dal frigo) il linguaggio non risulta comportare una riduzione sotto l'aspetto qualitativo.
AFFETTIVITA' E ADATTAMENTO - Con l'invecchiamento, l'affettività tende a modificarsi sia quantitativamente e qualitativamente. Innanzitutto si determina una riduzione della sua intensità soggettiva, alla quale può corrispondere una parallela attenuazione del suo aspetto espressivo; in 2° luogo, l'affettività si concentra su poli di riferimento piuttosto circoscritti e si attenua rispetto a contenuti che precedentemente suscitavano reazioni intense. I riferimenti alle proprie condizioni personali (stato fisico) diventano prevalenti su quelli a condizioni esterne: si determina così la tendenza a un egocentrismo, che appare progressivamente più incisivo. La diminuzione di espressività è stata ricondotta all'accresciuta capacità di rappresentazione simbolica degli affetti, mentre la generale diminuzione di intensità dell'esperienza emozionale con l'invecchiamento sembra dipendere da un effetto di abitudine di fronte agli stimoli che suscitano emozioni. In alcuni casi, con l'invecchiamento si determina o si accentua una labilità emotiva, ma questo dato si presenta tanto variabile da non consentire una generalizzazione. È invece riconoscibile, in linea con quanto già affermato, un concentrarsi dell'emotività prevalentemente su contenuti riguardanti il proprio presente e passato. È pertanto impossibile considerare la vecchiaia prescindendo al modo in cui si è vissuta l'età adulta e, in particolare, l'età presenile. La vita affettiva, invecchiando, si viene caratterizzando con una frequenza relativamente minore delle emozioni positive, maggiore di quelle negative; fra le quali può assumere un ruolo particolarmente incisivo la depressione, a sa relativamente frequente; il dislivello fra i due tipi di emozioni si accentua decisamente negli anziani istituzionalizzati. Tanto le emozioni positive quanto quelle negative sembrano riferirsi a un atteggiamento di relazione con l'ambiente: la contentezza ha a che fare con la riuscita e l'autorealizzazione, la paura con il timore di non essere in grado di far fronte da soli alle sfide dell'ambiente, la rabbia con la sensazione di essere limitati nella propria autorealizzazione e con la coscienza di aver fallito, la tristezza con la solitudine e la mancanza di aiuto. Un'altra esperienza emotiva più frequente negli istituzionalizzati è data dalla compresenza di paura e tristezza, in relazione con il pensiero della morte, della malattia e della sofferenza fisica. La ricerca più recente ha dimostrato che il disadattamento, la cui espressione più penosa e pericolosa è la depressione, anche se presente in età senile più frequentemente che il altre fasi della vita, non è un fenomeno universale e non può pertanto essere considerato come la conseguenza obbligata dell'invecchiamento. Il disadattamento all'età senile, se ben non riconducibile esclusivamente a questi casi, è scatenante per gli uomini spesso con il pensionamento, al verificarsi del quale, dopo un breve periodo di benessere dovuto alla sensazione di libertà, si esprime in termini di depressione, di isolamento, di vissuto di inferiorità e di emarginazione; ciò che si riteneva libertà è vissuto come vuoto e privo di significato. Nella donna, è frequente successivamente allo sradicamento e al successivo inserimento in una casa di cura, vissuto sotto forma di impedimento alla conservazione delle proprie abitudini. Per entrambi i sessi, il disadattamento e fra i 60 e i 70 anni e in molti casi evolve verso una condizione di riadattamento.
SESSUALITA' - Attualmente le concezioni relative al rapporto fra sessualità ed invecchiamento sono in totale revisione; in contrapposizione circa una diminuzione progressiva e irreversibile della funzione sessuale, si pongono oggi i dati di numerose ricerche le quali dimostrano, specie per quanto riguarda la psicosessualità, che essa può essere consentita anche a età notevolmente avanzate; l'invecchiamento fisiologico non comporta pertanto una perdita obbligata della sessualità, specie se questa, come ogni altra funzione, continuerà a essere esercitata. L'invecchiamento di per se non produce un impoverimento globale e irreversibile della sessualità. Nell'analisi dei fattori che determinano in chi invecchia una diminuzione o una totale sospensione dell'attività sessuale, bisogna sottolineare l'importanza di meccanismi psicologici come il senso di colpa e di vergogna per avere ancora esigenze e pulsioni sessuali, e forse ancora di più il pregiudizio radicato nella società. L'anziano che affronta la sessualità può avere un modo di silenzio discreto prevenendo domande imbarazzanti e rispettando la privacy; un sentimento di avversione considerando la sessualità sgradevole, grottesca e socialmente riprovevole. Sicuro è, che la società, ha un impatto negativo sulla sessualità degli anziani che tendono a respingere i propri stimoli perché considerati inadeguati.
CREATIVITA' - Lo svolgimento di un'attività creativa non solo è compatibile con il processo di invecchiamento, ma può contribuire a facilitare l'andamento regolare di tale processo. Questa funzione positiva svolta dalla creatività non vale solo per i grandi artisti, ma anche per l'uomo normale che riesca negli anni a sognare ad occhi aperti, a distaccarsi dalle cose per rielaborarle in termini fantastici, immaginativi. Può capitare che una persona che per gran parte della sua vita ha svolto mansioni artigianali riveli, invecchiando, qualità creative ignorate.
Yerkes confrontando trasversalmente i risultati ottenuti in gruppi di diverse età, rilevò la presenza di un declino delle capacità intellettive già considerevole a partire dai 30 anni, sottolineando però, che questo risultato non doveva semplicisticamente essere interpretato nel senso di un declino intellettuale generalizzato con l'avanzare dell'età, a causa di alcune possibili differenze tra i gruppi di diversa età. Nonostante tali considerazioni la teoria di Yerkes prese piede. La conferma più autorevole alle teorie di Yerkes arriva da Wechsler in occasione della taratura della scala di intelligenza WAIS: i valori del QI totale subivano, infatti, incrementi fino al terzo decennio di vita, periodo in cui venivano raggiunti i punteggi massimi, per poi declinare gradualmente fino ai 60 anni. Oltre quest'età il declino si faceva ancora più accentuato. Anche Wechsler come Yerkes riscontrò un declino differenziato nelle diverse abilità misurate: in particolare, sembrerebbero restare costanti con il tempo il bagaglio culturale, la competenza linguistica e la capacità di orientarsi nei problemi della vita quotidiana. Sembrerebbero declinare con l'età le abilità mestiche, la capacità attentive, l'agilità e la capacità di riorganizzazione mentale, il pensiero logico-astratto, la rapidità psicomotoria e la capacità combinatoria.
Una rettifica alla teoria di cui sopra giunse dalle ricerche di Horn e Cattell e dalla loro teoria dell'intelligenza fluida e cristallizzata, che è tuttora considerata valida nelle ricerche sull'invecchiamento cognitivo.
Intelligenza fluida - riguarda i processi base del trattamento dell'informazione e della soluzione di problemi e si esprime nelle prove che richiedono velocità di organizzazione, agilità mentale, ragionamento induttivo, formazione di concetti, memoria associativa ec.
Intelligenza cristallizzata - è invece collegata alle dimensioni socioambientale e culturale ed è influenzata da fattori educativi, non solo durante l'infanzia, ma nel corso di tutta l'esistenza: è una dimensione intellettuale sostanzialmente stabile nel tempo, che riguarda cultura generale, comprensione linguistica, vocabolario, relazioni semantiche e sintattiche.
Soltanto l'esercizio e lo sviluppo dell'intelligenza fluida possono dar luogo alla crescita dell'intelligenza cristallizzata: la senescenza è caratterizzata da un deterioramento delle abilità fluide e da una sostanziale stabilità di quelle cristallizzate.
Arenberg condusse una ricerca longitudinale nella quale, utilizzando compiti tradizionali di problem solvine, vennero esaminati soggetti compresi tra i 24 e gli 87 anni a intervalli di 6 anni. Finchè i risultati furono esaminati attraverso confronti trasversali, emerse un aumento degli errori con l'avanzare dell'età, soprattutto quando i confronti venivano operati tra persone sotto o sopra i 60 anni. Quando furono analizzati longitudinalmente, si osservò un declino a partire solo dai 70 anni. Questi studi hanno sottolineato l'importanza, nello sviluppo delle abilità cognitive, della dotazione intellettuale di partenza, che influisce sia sul livello intellettuale rilevato al termine delle ricerche sia sul ritmo con cui si manifesta il declino nelle singole abilità. Nonostante le differenze di fondo, i risultati ottenuti, se analizzati sotto il profilo dello sviluppo cognitivo durante l'età adulta e la vecchiaia, mostrano notevoli analogie:
1°- un notevole declino delle capacità intorno ai 70 anni
2°- esiste una forte variabilità interindividuale, nel senso che ogni individuo, per forza del proprio vissuto, avrà un declino più o meno repentino delle proprie abilità distinte. Venne così avviato uno studio approfondito sulla variabile età chiamando in causa l'intelligenza fluida e quella cristallizzata, in quanto, la prima era direttamente legata al declino fisiologico e la seconda, potenzialmente stabile, potrebbe andare incontro a fenomeni legati al disuso intellettuale (informazioni legate alla memoria a lungo). Benché le tecniche usate siano molteplici le più considerate sono: training cognitivi e training non cognitivi.
Training cognitivi, utilizzate su soggetti anziani, atte ad ottimizzare le loro prestazioni, sono raggruppabili in 5 categorie:
modeling - consiste nel mostrare all'anziano un altro soggetto che esegue il compito cognitivo prescelto e utilizza strategie adeguate.
Feedback - consiste nel fornire informazioni retroattive sulla correttezza o meno delle risposte.
Esercizio e pratica - con compiti analoghi a quello sperimentale.
Aumento della velocità delle loro risposte - in cui le prestazioni più veloci vengono rinforzate positivamente.
Istruzioni verbali - al soggetto vengono forniti suggerimenti diretti sul come effettuare il compito in modo ottimale.
A tutt'oggi non esistono modelli o teorie d'insieme che si riferiscano allo sviluppo mestico nel corso dell'arco di vita e sono ancora sporadici i tentativi di fornire una spiegazione unitaria dei numerosi dati empirici raccolti su soggetti anziani, come invece è avvenuto nello studio dell'intelligenza. I dati raccolti sono contraddittori e variano a seconda del materiale impiegato. L'invecchiamento è caratterizzato dall'accentuarsi di una serie di cambiamenti che interessano il sistema nervoso centrale. Inizialmente queste modificazioni sono state individuate come causa prima delle variazioni nella capacità di apprendere e ricordare osservate in soggetti anziani. Solo dagli anni 70 si è ipotizzato che il declino mestico degli anziani fosse da attribuire alla mancanza d'esercizio, al disuso e all'interferenza, che il materiale mnemonizzato in passato, possa interferire con ciò che si deve memorizzare oggi. Benché l'invecchiamento sia indiscutibilmente collegato a modificazioni sensoriali, come testimonia il processo, a tutti noto, di riduzione dell'acutezza visiva e uditiva che caratterizza l'anziano, abbastanza sorprendentemente la maggior parte delle ricerche non ha messo in evidenza riduzioni significative delle capacità del registro sensoriale: la memoria iconica sarebbe addirittura più persistente nell'anziano che nel giovane. Gli effetti dell'invecchiamento sulle capacità della memoria a breve termine sono stati ampiamente studiati: complessivamente gli studi effettuati mostrano che la riduzione delle capacità del magazzino a breve è strettamente legata al tipo di compito proposto. La tendenza mostrata dagli anziani a fornire prestazioni analoghe a quelle dei giovani nei compiti di riconoscimento, a differenza di quanto avviene nei compiti di rievocazione, ha indotto gli studiosi a pensare che, dal momento che la rievocazione richiede una ricerca attiva in memoria, le difficoltà mnemoniche degli anziani si situassero a livello di recupero dell'informazione e non a livello di codifica. Gli studi sulla memoria a lungo termine con l'avanzare dell'età si sono orientati non tanto a studiare i suoi limiti, dato che la capacità è considerata pressoché illimitata, quanto piuttosto i processi di trasferimento e le strategie di recupero dell'informazione dalla MLT. Tra le ipotesi che spiegano il declino mnemonico degli anziani, una delle più discusse è quella della deficienza di produzione, secondo la quale gli anziani sono meno abili dei giovani nell'uso spontaneo di strategie efficaci di memorizzazione. È stata ipotizzata in 2 versioni : 1°- deficit di ricerca - Secondo la quale gli anziani riuscirebbero meno bene nei compiti di apprendimento e di memoria. 2°- approccio della profondità di elaborazione - Secondo la quale gli anziani si troverebbero in difficoltà già nel momento della codifica dell'informazione.
L'impiego di strategie è processo cognitivo controllato, ma parte delle informazioni che memorizziamo viene acquisita e immagazzinata automaticamente, senza l'intervento di processi coscienti di apprendimento.
La malattia è caratterizzata da un inizio insidioso e da una lenta evoluzione e presenta tipici disturbi della memoria e del linguaggio. Il malato presenta inizialmente difficoltà nel ricordare nomi e cose fino aa avere difficoltà di comprensione, il contenuto dei discorsi sono sempre più poveri e privi di significato e, sebbene la capacità di ripetizione sia più o meno conservata, quella di comprensione e denominazione peggiorano continuamente. I malati hanno difficoltà nel riconoscere le cose e collocarle nello spazio e una loro caratteristica costante è la perdita dell'orientamento. Accanto a questo declino delle facoltà cognitive, quelle motorie vengono conservate fino ad una fase avanzata della malattia. Tenendo conto delle differenze individuali, la fase terminale della malattia sorge in un periodo che va dagli8 ai 12 anni. Nella demenza di Alzheimer sono presenti perdite neuronali soprattutto nella corteccia, nell'ippocampo e nell'amigdala. È colpito il sistema colinergico, l'attività della colina-acetiltrasferasi è marcatamente ridotta a livello della corteccia e dell'ippocampo.
È una malattia il cui esordio è maggiore fra i 40 e i 70 anni. Porta a tremori, rigidità, bradicinesia e può essere accomnata da disturbi cognitivi che arrivano nel 10-40% dei casi a vera e propria demenza. Si verifica un rallentamento dei processi cognitivi, abulia, incapacità di rosolvere problemi ed elaborare concetti, diminuisce la fluidità verbale e compaiono disturbi della denominazione. È frequente la presenza di depressione.
La malattia di pick esordisce in tarda età e nelle fasi iniziali si ha un'alterazione della personalità, i disturbi dell'emotività e risultano compromesse le capacità di giudizio e l'autocoscienza. Sono presenti disturbi del linguaggio fino alla perdita totale della parola. La morte sopraggiunge in periodo che varia dai 2 ai 15 anni.
La malattia esordisce fra i 40 e i 50 anni. I disturbi mentali possono sia precedere che seguire quelli motori. Con il progredire della malattia si ha un rallentamento dei processi mentali, perdita della capacità di giudizio e di autocoscienza e un continuativo deterioramento cognitivo con compromissione della memoria. I disturbi motori iniziano alle mani per poi coinvolgere gli arti, il collo, il tronco.
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