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ACCADEMIA DI ARCADIA
Il 5 ottobre 1690 un gruppo di intellettuali e scrittori in polemica con il "cattivo gusto" barocco fonda a Roma l'Arcadia, un'Accademia letteraria che costituisce per molti aspetti l'espressione più importante della poesia del Settecento. I fondatori dell'Arcadia sono quattordici, tra cui Gian Vincenzo Gravina, Giambattista Felice Zappi e Giovan Mario Crescimbeni, che daranno un contributo essenziale alla regolamentazione e allo sviluppo dell'Accademia. Negli anni seguenti entrano a farne parte, tra gli altri, Lorenzo Magalotti, Vincenzo da Filicaia, Apostolo Zeno, Scipione Maffei, Ludovico Antonio Muratori e Giambattista Vico.
L'Arcadia si impone un rigido cerimoniale, e dichiara la sua fedeltà assoluta alla tradizione bucolica, rilevabile dal nome stesso, che è quello della mitica regione greca abitata dai poeti pastori. I soci assumono pseudonimi d'origine pastorale e il luogo di raduno viene chiamato Bosco Parrasio. L'Accademia ha come insegna la siringa (il flauto) di Pan coronata di alloro e pino, e per protettore Gesù Bambino, perché, secondo la tradizione, i pastori furono i primi ad adorarlo; la patrona, o "basilissa", è la regina Cristina di Sa, al cui salotto letterario erano appartenuti alcuni dei fondatori. La stesura delle leggi dell'Arcadia viene affidata al Gravina, che le scrive in latino su dodici tavole e le espone pubblicamente il 20 maggio del 1696. Tra il 1716 e il 1722 l'Accademia fa stampare ben nove volumi di poesie dei suoi aderenti.
A dispetto del cerimoniale un po' ridicolo, che non manca di suscitare fin dal suo apparire ironie anche feroci, l'Arcadia ha una funzione importante nella storia della cultura italiana, e motivi più seri si celano sotto l'apparente superficialità di certe scelte. Innanzi tutto l'Accademia regola in modo organico quell'orientamento verso la poesia bucolica promosso dal Sannazzaro, la cui prima significativa manifestazione si era avuta sul finire del Cinquecento con i drammi pastorali Aminta del Tasso, e Pastor fido del Guarini. La finzione bucolica, che si era già tradotta in forma concreta sul palcoscenico dei teatri, viene rivissuta ora con tanta forza che gli arcadi trasformano in una realtà quotidiana i nomi, gli abiti e gli atteggiamenti pastorali.
L'Arcadia rappresenta fin dal primo momento un potente strumento per l'unificazione culturale italiana; essa infatti assorbe l'infinità di accademie preesistenti e le sostituisce con una sola, che si dirama su tutto il territorio nazionale attraverso le cosiddette "colonie". L'Arcadia compie in tal senso un'opera capillare di organizzazione della cultura, poiché apre succursali ovunque e raggiunge zone sempre rimaste ai margini del dibattito intellettuale, o addirittura escluse da esso, come l'Abruzzo, la Sardegna e il Trentino, anche se spesso la qualità poetica dei rimatori locali resta mediocre. Inoltre, appoggiando le tendenze che prendono forma specialmente in Toscana e Lombardia, l'Accademia coordina il movimento antibarocco e sintetizza in modo uniforme le diverse esigenze di novità sempre più sentite e diffuse in tutt'Italia.
L'Arcadia ha come primo obiettivo quello di gettare le fondamenta di una poetica basata sulla spontaneità dell'ispirazione e capace di esprimere in forme composte e lineari la naturalezza dei sentimenti; gli arcadi riconoscono il carattere fantastico della poesia, ma colgono lucidamente l'esigenza di mediarlo attraverso gli strumenti della razionalità; come afferma Tommaso Ceva (1648-l737), la poesia dev'essere un "sogno fatto alla presenza della ragione".
Alla magniloquenza barocca l'Accademia contrappone modi espressivi limpidi e scorrevoli, che valorizzano la chiarezza del lessico e della sintassi e tendono a dare eleganza e nitore ai versi. La misura e l'eleganza non sono elementi estetici fini a se stessi, ma rispecchiano lo sforzo di ricercare l'ordine intellettuale attraverso un'operazione formale che esprima valori di equilibrio, chiarezza dei temi e gradevolezza del ritmo. Alla base del programma arcadico sta ancora l'ormai antica contrapposizione tra l'utilità e il diletto: anche per gli arcadi la poesia dev'essere uno strumento piacevole che abbia però il vero come oggetto e scopo.
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