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BENITO MUSSOLINI

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BENITO MUSSOLINI


Benito Mussolini fu un uomo politico italiano (nato a Dovia di Predappio, Forlì-Cesena, nel 1883 e morto a Giulino di Mezzegra, Como nel 1945). Di carattere impulsivo e violento, trovò nel partito socialista, cui si era iscritto già alla fine del 1900, un compromesso tra il senso di ribellione che nutriva contro la società, la ricerca di un ambiente in cui vivere, le idee socialisteggianti mutuate dal padre e la necessità di realizzare quel desiderio di notorietà che fu caratteristico di tutta la sua vita. Si dedicò all'insegnamento (fu maestro elementare a Predappio e a Tolmezzo, e nel 1908 insegnante di francese a Oneglia) e abbracciò contemporaneamente quella che considerava la sua vera vocazione, il giornalismo. Alla fine dell'anno fu chiamato a Trento (allora appartenente all'Impero austro-ungarico) per assumere la carica di segretario della camera del lavoro e la direzione del settimanale socialista L'avvenire del lavoratore. Dopo la sua espulsione dal Trentino, nel 1909 tornò a Forlì; qui si unì a Rachele Guidi, poi sposata civilmente nel 1915. Nel 1910 fu nominato segretario della sezione forlivese del partito socialista, di cui fondò e diresse l'organo di stampa, il settimanale La lotta di classe. Il 1º dicembre 1912 fu nominato direttore dell'Avanti!, organo ufficiale del partito, e si trasferì a Milano. Divenne così una delle più importanti personalità del socialismo italiano, senza tuttavia nutrire per il socialismo la stessa fede dei suoi comni di partito.




Scoppiata la prima guerra mondiale, M. fu dapprima risolutamente neutralista, ma nell'ottobre 1914 mutò d'improvviso atteggiamento, proclamando sull'Avanti! (18 ottobre) la tesi del passaggio dalla neutralità assoluta a quella condizionata e sostenendo nel novembre la necessità dell'intervento a fianco dell'Intesa. Questa tesi non fu però accolta dall'assemblea della sezione socialista di Milano del 24 novembre 1914, e M. fu espulso dal partito, quando già il 15 novembre era apparso il suo nuovo quotidiano, Il Popolo d'Italia, a cui fece seguito la fondazione dei «fasci di azione rivoluzionaria», che svolsero intensa proanda a favore della guerra contro gli Imperi centrali. Dopo un periodo di eclisse tra la fine della guerra e l'immediato dopoguerra, le fortune politiche di M. ebbero nuovo e decisivo impulso con la fondazione a Milano, il 23 marzo 1919, in piazza San Sepolcro dei «fasci italiani di combattimento». Caratteri essenziali del movimento fascista furono un esasperato nazionalismo, il ricorso sistematico alla violenza come metodo di lotta politica, l'avversione di fondo per lo Stato democratico e le istituzioni parlamentari. L'abilità demagogica e manovriera e lo spregiudicato opportunismo di M. capo indiscusso del movimento, il massiccio appoggio finanziario del grande capitale industriale e degli agrari, la disorganizzazione degli avversari, la debolezza dei governi e la passività degli organi dello Stato di fronte alle violenze squadristiche, il filofascismo più o meno larvato di una larga parte della classe dirigente e dell'esercito permisero al movimento (trasformato in partito nazionale fascista nel novembre 1921) di intensificare sempre più la sua azione rivolta alla presa diretta del potere, che culminò il 28 ottobre 1922 nella «marcia su Roma» delle camicie nere. Il re, dopo aver rifiutato di firmare il decreto di stato d'assedio presentatogli da Facta, il 30 ottobre incaricò M. di formare il nuovo governo. Come capo del governo incominciò ben presto la fascistizzazione dello Stato: il 12 gennaio 1923 istituì il Gran consiglio del fascismo e poco dopo diede un assetto stabile allo squadrismo con la creazione della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale e fece approvare il 18 novembre 1923 una legge elettorale maggioritaria (legge Acerbo) intesa a garantire al partito di maggioranza relativa i due terzi circa dei seggi della camera. Le leggi «fascistissime, del 24 dicembre 1925 e 31 luglio 1926 assicurarono al «duce» un potere personale pressoché assoluto, e il 6 novembre 1926 furono soppressi i partiti (tranne quello fascista), le organizzazioni sindacali e ogni libertà di stampa e di riunione. A rafforzare ulteriormente il regime e il prestigio personale di M. contribuì la conclusione con la Santa Sede (11 febbraio 1929) dei patti lateranensi, che risolsero il grave problema dei rapporti tra Stato e Chiesa rimasto insoluto dal 1870, anno della presa di Roma. In politica estera imboccò decisamente la via dell'alleanza con la Germania di Hitler. Scoppiata la seconda guerra mondiale, M. non intervenne subito a fianco dell'alleato, proclamando la «non belligeranza» (1º settembre); ma le strepitose vittorie tedesche nella primavera del 1940 lo indussero, il 10 giugno, a dichiarare guerra alla Francia (già prostrata dall'invasione tedesca) e alla Gran Bretagna. L'andamento sempre più disastroso del conflitto, in URSS e Africa settentrionale, mentre si profilava la disfatta generale delle forze dell'Asse, indusse lo stesso Gran consiglio fascista, dopo lo sbarco angloamericano in Sicilia, a votare, su proposta di Dino Grandi, nella notte dal 24 al 25 luglio 1943, una mozione di sfiducia a M. Il 25 luglio questi fu fatto arrestare dal re, che affidò il governo al maresciallo Badoglio; il partito fascista fu sciolto.

M. fu liberato, pochi giorni dopo l'annunzio dell'armistizio italiano, da un commando di paracadutisti tedeschi guidato dal maggiore delle SS Otto Skorzeny (12 settembre) e portato in volo in Germania; qui annunciò da radio Monaco (17 settembre) la creazione della Repubblica Sociale Italiana il cui primo governo fu costituito il 23 settembre. Tornato in Italia, si insediò a Gargnano, sul lago di Garda, come capo dello Stato e del governo della «repubblica di Salò». Dopo il crollo della linea gotica si trasferì a Milano (17 aprile 1945), e il 25 aprile cercò vanamente di trattare la resa col Comitato di liberazione; fuggito quella notte verso Como, fu fermato il 27 aprile dai partigiani a Musso, fu trattenuto in stato d'arresto nella vicina Dongo, e fucilato nel pomeriggio del 28 a Giulino di Mezzegra con la sua amante Clara Petacci, per ordine del CLN. Tra le sue opere più importanti vanno ricordate Il mio diario di guerra, 1916-l917 (1931), La mia vita (scritto nel 1911-l912 e pubblicato postumo nel 1947).




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