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La prima guerra mondiale fu un fenomeno complesso e drammatico, ma qual'era il ruolo del poeta e del letterato nei primi anni del 1900 e quali opinioni aveva della guerra?
Tra i documenti del tempo ce ne sono alcuni interessanti perché individuano due fondamentali pensieri: c'era chi esaltava la guerra e chi la disprezzava.
Il Manifesto del Futurismo pubblicato su "Le aro" del 1909 scrive "noi vogliamo glorificare la guerra sola igiene del mondo . "
Questa affermazione potrebbe stupirci se non conoscessimo alcuni fondamentali canoni del Futurismo e comunque essa non risulta giustificabile ai nostri occhi. Questa corrente esaltava l'ormai affermata industrializzazione e la nuova realtà in movimento. La letteratura e l'arte si muovevano nello stesso verso esaltando il movimento aggressivo, la velocità, "lo schiaffo e il pugno" che nella dimensione sociale e politica sfoceranno nella guerra "sola igiene del mondo".
Nella guerra gli intellettuali lessero il futuro, il mezzo per progredire ed avanzare in un costante movimento verso una società rinnovata e tra i poeti e i futuristi l'innovazione si esplicò anche nella tendenza a sovvertire le regole della poesia, della sintassi, delle parole fino all'esasperazione.
Ciò accade anche nella poesia russa, quella dell'epoca rivoluzionaria, rappresentata da Vladimir Majakovsfkj che però grida il suo orrore nei confronti del conflitto mondiale e dell'imperialismo che lo ha generato. Nella poesia del testo del 1914 la descrizione dell'atmosfera di guerra è buia, triste, sanguinosa e violenta; la guerra è uno strumento tragico, drammatico, folle che innanzitutto va contro l'interesse dei lavoratori di tutto il mondo.
Tuttavia altri documenti dell'epoca indicano correnti di pensiero che esaltano la guerra perché ricompone l'equilibrio terrestre, e viene considerata come ago della bilancia per l'insoddisfazione umana.
Giovanni Papini in "Amiamo la guerra" del 1914, va a dire "siamo troppi"; dunque la guerra può fare "il vuoto perché si respiri meglio", giustificando così il mezzo di distruzione di milioni
di persone. Aggiunge inoltre che fra i morti sono pochi quelli che meritano di essere ricordati, e in questo senso, va anche contro i valori e i diritti umani che sembrano soccombere di fronte a tanta esaltazione bellica.
Osservando però l'"Esame di coscienza di un letterato" di Renato Serra notiamo una autocritica più incisiva e diretta senza retorica: "la guerra non cambia niente", alla fine quelli che combattono, lottano, muoiono per "una causa che è sempre santa" poi non vengono glorificati e nulla giova alla loro vita.
"Che cosa è che cambierà su questa terra stanca, dopo che avrà bevuto il sangue di tanta strage". Serra, pur essendo ancora legato agli ideali risorgimentali e irredentistici della difesa della sacralità della nazione, tuttavia riconosce l'inutilità di tanto terrore e di tanta carneficina. Al contrario, D'Annunzio rimane ancorato alla retorica della guerra Nazionale.
Nelle parole di Thomas Mann infine riusciamo a comprendere il punto di vista dei poeti tedeschi; la Germania, con la prima guerra mondiale, voleva portare a compimento il progetto di superiorità nazionalistica, imparato col Bismarck. Gli intellettuali erano spinti quindi da un coinvolgimento forte che li portava a pronunciare versi ispirati dalla guerra stessa: "Era la guerra di per se stessa a entusiasmare i poeti". La guerra diventava per loro una via di liberazione, una sorta di "purificazione".
Come possiamo noi "giovani pacifici" comprendere tutto questo? Come possiamo arrivare a capire le spinte interiori per cui l'uomo sceglie tra il bene e il male, tra guerra e pace?
Non a caso proprio agli inizi del 1900 si diffondeva la psicoanalisi di Freud, non a caso l'espressionismo tentava di esprimere l'interiorità dell'individuo, con tutte le sue pulsioni inconsce, anche le più violente e distruttive.
E' dunque la guerra un esperimento dell'uomo per riscoprirsi interiormente, per far emergere ciò di cui ha paura o ha bisogno per sentirsi più forte? Davvero è necessaria la guerra? I poeti e i letterati del tempo risposero a loro modo, ora noi con occhio critico, obiettivo e meno plagiato dal "superomismo" abbiamo il dovere di rispondere in piena coscienza e mostrando di aver appreso la lezione della Storia.
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